So wild, so easy

Viaggio in Alberta e British Columbia (Western Canada) di Alessandro e Claudia. 29 Agosto – 16 settembre Luoghi visitati: impossibile nominarli tutti. Luoghi dove abbiamo dormito: ROCKY MOUNTAINS Calgary, Lake louise, Jasper BRITISH COLUMBIA Burns Lake, Prince Rupert - (VANCOUVER ISLAND) Port Hardy, Telegraph Cove (Foresta - tenda),...
Scritto da: Aledispenser
so wild, so easy
Partenza il: 29/08/2009
Ritorno il: 16/09/2009
Viaggiatori: in coppia
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Viaggio in Alberta e British Columbia (Western Canada) di Alessandro e Claudia. 29 Agosto – 16 settembre Luoghi visitati: impossibile nominarli tutti. Luoghi dove abbiamo dormito: ROCKY MOUNTAINS Calgary, Lake louise, Jasper BRITISH COLUMBIA Burns Lake, Prince Rupert – (VANCOUVER ISLAND) Port Hardy, Telegraph Cove (Foresta – tenda), Ucluelet, Tofino, Victoria, Vancouver e Bowen Island, (Toronto) Mezzi di trasporto: Auto (3.450 KM), Aereo (da e per Italia + Toronto-Calgary e Vancouver-Toronto), Nave (Inside Passage da confine Alaska a Vancouver Island), Snocoach (su ghiacciaio), Kayak (lungo costa Vancouver Island),, Motoscafo (Ucluelet e Victoria – 1000hp), Battelli (costa Pacifico), Idrovolante, Traghetti (da Victoria e per Bowen Island), Bicicletta, piedi (tanti, tanti KM ;-))!) Racconto di viaggio Il tapis roulant che ci accoglie ai transiti dell’aeroporto di Toronto è un’anteprima, e in sé una piccola metafora, di ciò che ci attende nel nostro viaggio attraverso il Canada occidentale. Lunghissimo (il triplo dei tapis roulant che gli scorrono sonnacchiosi accanto) e velocissimo, con tanto di fase di accelerazione in partenza e decelerazione all’arrivo, è un’esperienza entusiasmante nella sua perfezione. Il Canada che vedremo, anche se ancora non lo sappiamo, sarà proprio così.

Dopo un transito, come detto, perfetto, voliamo direttamente verso Calgary, punto di partenza del nostro viaggio attraverso Alberta e British Columbia. La città meriterebbe forse di più, ma avendo scelto di dedicare tutto il tempo possibile alla natura di questo splendido e immenso Paese non perdiamo tempo e, dopo un breve sonno ristoratore, ritiriamo la nostra auto e partiamo. C’è da dire che le nostre certezze di navigati automobilisti metropolitani si infrangono subito davanti alle sterminate distanze che separano uno svincolo dall’altro. I rari ma disponibilissimi passanti che ci assistono nella nostra ricerca della nostra destinazione, una graziosa cittadina ai piedi delle Montagne Rocciose di nome Banff, sono più che prodighi di informazioni, ma sopravvalutano evidentemente il senso dell’orientamento di chi, come noi, userebbe il navigatore anche per andare dal giornalaio a 200 metri da casa. Per fortuna le montagne, laggiù, si vedono bene, e il riflesso dei ghiacciai è un punto di riferimento troppo evidente e allettante per sbagliare direzione… Pochi Km (relativamente, alla fine del viaggio ne avremo percorsi ben più di 4.000…) e siamo già in un mondo nuovo e diverso, tra alberi, montagne e un sole fantastico. I 26 gradi circa di temperatura invitano a lasciare aperto il tettuccio dell’auto per godere dell’aria purissima e della possibilità di avere un punto di vista alternativo per le nostre foto. Infatti, se la strada meriterebbe, per la bellezza di ciò che ci circonda, un servizio fotografico dedicato, ciò che più sorprende ed eccita sono le innumerevoli deviazioni sul percorso che promettono, e poi manterranno, luoghi da favola. Laghetti di smeraldo e altissime cascate con arcobaleno sono lì, a portata di mano ma lontani dal nostro immaginario come un bellissimo sogno.

Dopo esserci riempiti occhi e cuore di tanta bellezza, ci dirigiamo verso il luogo in cui trascorreremo la nostra prima notte sulle Montagne Rocciose. Immaginate un lago bellissimo color smeraldo circondato da foreste, su cui si specchia un ghiacciaio maestoso. Potersi svegliare al mattino con questa vista, nell’unico Hotel che può godere in esclusiva di un Parco naturale di questa bellezza, è un’esperienza memorabile. Certo l’Hotel, con la sua tipica forma “a castello”, è fin troppo grande e lussuoso per i nostri gusti, ma le sensazioni di fronte a questo spettacolo sono quelle che in pochissimi luoghi al mondo ci sia capitato di provare. La passeggiata al mattino presto, lungo i sentieri del lago e su, verso il ghiacciaio che tuona in lontananza, resta e resterà un momento indimenticabile. L’incontro con un cow boy che si inerpica a cavallo verso la montagna sarà una delle immagini simbolo del viaggio.

E’ ora di partire: ci aspetta l’Icefield Parkway, considerata una delle strade più spettacolari del mondo. Impieghiamo pochissimi Km a capire il perché… La strada che conduce a Jasper è un susseguirsi incredibile e interminabile di scenari mozzafiato. Ciò che più sorprende, mentre si viaggia tra maestose montagne e ghiacciai spettacolari, è la “densità” di cose da vedere… Non c’è curva, dosso o crinale che non nasconda qualcosa di unico da vedere e naturalmente fotografare. Le possibili deviazioni (tutte ottimamente indicate e ben descritte sin dalla strada) per imboccare un sentiero, ammirare una cascata o, perché no, bagnarsi in un laghetto smeraldo si susseguono e propongono panorami sempre nuovi e stupefacenti. Impossibile elencarli tutti, difficilissimo rinunciare a qualcuno. Vorremmo che la giornata durasse ben più di 24 ore, ma pur essendo partiti prestissimo sappiamo di dover arrivare entro la notte a Jasper e verso la fine, dopo una bella passeggiata su un grande ghiacciaio, acceleriamo per farcela. Attraversiamo la cittadina di Jasper, che ci comunica subito un senso di “friendly wilderness”, di vivibile lontananza dal mondo difficile da spiegare. Il nostro Hotel è un piccolo paese di casette basse immerso in un immenso parco naturale, tanto grande da contenere anche un paio di laghetti azzurri. Mentre, sotto la doccia, riflettiamo sulla “giornata perfetta” appena vissuta, alcuni cervi (femmine) passeggiano tranquille e libere sul piccolo patio della nostra casetta. Torneranno, seguite da un enorme maschio color miele, anche il giorno dopo. La bellezza di ciò che vedremo il giorno seguente, camminando tra grandi ghiacciai verso laghetti popolati da iceberg e foreste verdissime abitate da animali di ogni dimensione, ci convincerà a cambiare i nostri programmi e a rimanere una notte in più.

Siamo sulle Montagne Rocciose, in Alberta, e dobbiamo raggiungere, con a disposizione un giorno in meno di viaggio, la costa del Pacifico, proprio al confine con l’Alaska. Abbiamo un appuntamento improcrastinabile con una nave che parte ogni due giorni (e dalla settimana successiva ogni non meno di 7 giorni, e solo se le condizioni del mare lo consentono…).

Per diverse centinaia di chilometri non incontriamo case o centri abitati, solo una natura spettacolare. Il Mt Robson, monte più alto delle Rocky Mountains, è un luogo incantato che ci rimarrà impresso per la sua purezza e per la natura sfolgorante. “Overwhelming”, direbbero da queste parti… Dopo una necessaria sosta notturna in un insignificante villaggio di transito lontano da Dio e dagli uomini, continuiamo a macinare chilometri, non senza qualche sorpresa di tanto in tanto, come la scoperta di una autentica e antichissima foresta pluviale, unica nel suo genere, nel bel mezzo del Canada.

Prima di arrivare a Prince Rupert, località sul Pacifico al confine con l’Alaska dove si trova il porto di imbarco nostro obiettivo, decidiamo per una deviazione. Dopo un lungo sterrato fermiamo l’auto non lontano da un gruppo rumoroso di “nativi occidentalizzati” (una discreta percentuale della popolazione locale è di origine pellerossa) che accanto a un torrente nella foresta si gode un bel barbecue, vero sport nazionale in Canada. Ci addentriamo in un sentiero alla scoperta dell’ennesimo bel laghetto e, mentre torniamo indietro, vediamo venirci incontro una ragazza. Ha in mano pezzi di salmone e granchio cotti alla brace, e ce li offre!!! Il marito stesso li ha pescati, e ne hanno in quantità (i granchi sono davvero impressionanti, grandi come un pallone da calcio). Li guardiamo come Marziani (in realtà i Marziani siamo noi) e accettiamo. Il pesce più squisito che abbiamo mai mangiato. Non lo dimenticheremo più, così come non dimenticheremo l’innata e sincera amichevolezza dei Canadesi, di cui collezioneremo lungo il viaggio innumerevoli esempi. Il mattino seguente, è ancora buio quando ci ritroviamo sul molo in attesa di imbarcare la nostra auto. Il viaggio che ci attende ci porterà, lungo il cosiddetto Inside Passage, a Vancouver Island, grande isola che rappresenta la parte più occidentale del Canada. Si viaggia per un giorno intero tra fiordi selvaggi e isolotti, in gran parte disabitati, ricoperti da fitte e verdissime foreste tra cui scorrono torrenti e cascate. L’atmosfera, tipica di questo luogo, è come sospesa, con nuvole basse che sembrano impigliate ai rami degli alberi più alti e donano una luce quasi irreale al panorama che scorre alla destra e alla sinistra della nostra, peraltro bellissima, nave. Non ci sono turisti, tantomeno Italiani (non ne incontreremo nessuno in 16 giorni), a bordo. Dalla nostra fantastica poltrona sulla prua ci godiamo lo spettacolo, e il tempo vola.

E’ notte fonda e piove quando sbarchiamo a Port Hardy (Vancouver Island), poche case diffuse in un territorio movimentato dalle forme del mare. Raggiungiamo James, un simpatico ex pescatore che ci accoglie nell’adorabile e profumatissimo Bed and breakfast che conduce con sua moglie Susan. Si tratta in pratica della sua casa, e la nostra camera ci colpisce subito per il gusto “marinaro” e la cura di ogni dettaglio. Mancano poche ore alla ripartenza ma per fortuna ci addormentiamo subito, ben consapevoli che dal giorno dopo ci attende un avventuroso ma durissimo tour de force attraverso questa grande isola lunga diverse centinaia di chilometri.

Prima dell’alba prendiamo le nostre cose, salutiamo James e ripartiamo sotto una pioggerellina poco promettente. Il centinaio scarso di KM verso Telegraph Cove ci svela l’imponente rigogliosità di una natura straripante e “piena” come solo in certi paesi tropicali abbiamo avuto modo di vedere. Oltre alle foreste, altissime, sorprende la varietà di piante e fiori che ci circondano, totalmente diversi da ciò che abbiamo visto sul Continente. Intuiamo che la pioggia possa avere un ruolo determinante in tutto questo, ma adesso dobbiamo sperare che smetta perché nei giorni successivi, per nostra scelta, non avremo un letto caldo e riparato dove dormire… A Telegraph Cove, un porticciolo incantato tra mare e foreste, ci attendono i nostri nuovi compagni di viaggio, tre canadesi e una spagnola giramondo appassionata di Kayak. A guidarci saranno Dave, un ragazzo simpatico e capelluto che vive da sempre a contatto con la natura e che incarna anche fisicamente l’idea del “wilderness”, e il suo amico Whitye, dalla Nuova Zelanda. Prendiamo quindi il mare, sotto una pioggia leggera, con il nostro Kayak carico di viveri, acqua e tende per campeggiare. Vuoi per le avverse condizioni meteorologiche, vuoi per il fatto che per noi è la prima volta su un kayak, mezzo che per i Canadesi è invece più familiare della bicicletta, le prime ore di pagaia sono per noi un vero trauma. Dopo una breve sosta, riprendiamo il mare e puntiamo verso un luogo adatto per prepararci alla notte. Ci sono diverse cose importanti da fare prima che cali l’oscurità, come cercare della legna adatta per il fuoco e soprattutto montare la tenda nella foresta. Non facciamo fatica ad ammettere, tra l’incredulità generale, che per noi è la prima volta, ma grazie a Claudia (capace e abituata a montare di tutto, dal transistor al mobiletto Ikea Skuglund…) il rompicapo di flessibili, teli di plastica e pioli assume alla fine una forma credibile e apparentemente solida. Prendiamo le necessarie precauzioni antiorso, come tenere lontani da tentazioni cibo e dentrificio, e, dopo una bella serata vicino al mare sotto le stelle a cercare di asciugarsi accanto al falò, prendiamo possesso delle nostre tende nella foresta. Inutile dire che rimarremo tutta la notte bagnati e senza vestiti, fradici e “affumicati” al tempo stesso, mentre fuori piove sempre di più. Al mattino ci viene comunicato un cambio di programma: è previsto l’arrivo di una tempesta vera e propria e sta per partire una barca per il nostro soccorso. Smontiamo e impacchettiamo le nostre cose, poi si decide di provare invece a tornare con i nostri Kayak. La nostra tecnica è migliorata, ma la fatica è pazzesca e arriviamo stravolti, dopo qualche ora di pagaia, a Telegraph Cove. La tempesta l’abbiamo scampata, facciamo un ultimo pranzo insieme e poi ripartiamo: ci attendono molte ore di guida per scendere verso Sud e poi attraversare l’isola verso la costa opposta, quella del Pacifico.

Il viaggio, bellissimo soprattutto nella zona dei parchi dell’interno e delle foreste centenarie, non consente molte soste. E’ sera tardi quando arriviamo a Ucluelet. Un’accoglientecasetta di legno ci attende con un bel calduccio all’interno. Efficienti come sempre. La mattina, tanto per cambiare, sveglia prestissimo per andare a vedere le balene. Una barca veloce, solo per noi, ci porta attraverso le Broken Island, un arcipelago spettacolare di isole disabitate tra il fiordo dove si trova Ucluelet e l’Oceano pacifico. Vediamo balene e leoni marini, ma come al solito è la natura del posto a impressionarci. Grazie alla solita perfetta organizzazione, riusciamo a trovare una barca per andare verso un luogo chiamato “Hot Springs”. Siamo solo noi e il “capitano”, un bel tipo del luogo, e il viaggio, con le lunghe onde dell’oceano e tanti avvistamenti di animali, è decisamente bello. Il ragazzo ci lascia su un piccolo molo e riparte, noi ci addentriamo nella foresta pluvialesu una lunghissima passerella di legno. La bellezza della foresta lascia senza parole. Arriviamo alla fine del sentiero, dove una fonte termale si getta, tra piccole cascate, nel mare. Siamo soli. Facciamo il bagno, tra cascate e oceano. Potremmo rimanere ore, ma la camminata di ritorno è lunga e siamo in ritardo. Quando arriviamo, il nostro idrovolante è sul molo e il pilota sta socializzando con alcuni velisti mangiando pasta con loro sul piccolo pontile. Non è affatto arrabbiato con noi, tanto per cambiare gli unici passeggeri e anche gli ultimi prima del tramonto. Saliamo, io alla cloche accanto al pilota, sul microaereo e decolliamo, poi una serie di virate mozzafiato e scendiamo, come per ammarare… Già arrivati? Mi chiedo, prima di sfiorare l’acqua per un saluto spettacolare del piota ai suoi amici velisti. Il pilota mi fa un cenno di intesa, c’è un tramonto fantastico e lui ha voglia di pilotare e divertirsi: lo spettacolo è tutto per noi. La costa vista dall’alto è di una bellezza indescrivibile, con centinaia di fiordi, insenature più o meno profonde e isolette coperte di foreste a perdita d’occhio. Mai visto nulla del genere. Claudia, rapita da tanta bellezza, scatta migliaia di foto in poco tempo. Indimenticabile.

Ammarati a Tofino, “villaggio” sull’oceano a poche decine di chilometri da Ucluelet, decidiamo di cambiare ancora programma: rimarremo qui un giorno in più. Contattiamo, in uno dei numerosissimi ed efficientissimi Visitor Centre, una signora di origini finlandesi che ha una bella casa di legno sulla spiaggia di Long Beach. La casa ha una grande depèndance costituita da una deliziosa casetta tutta in legno immersa nel verde con grandissima sauna (a legna anch’essa), come non se ne trovano più nemmeno in Finlandia. Spettacolare, come spettacolare è l’immensa e lunghissima spiaggia sull’oceano, popolata da surfisti, su cui si trova. Il mattino, dopo una spettacolare colazione portataci in camera da Nikki (squisiti muffins al cioccolato fatti in casa e poggiati su pietre laviche), prendiamo una barca e andiamo a vedere gli orsi bruni che rivoltano i sassi sulla spiaggia per mangiare i granchi.

Ci aspetta un altro bel viaggio per attraversare l’isola e scendere verso Victoria, capoluogo dell’isola e capitale del British Columbia. Victoria si presenta, nella sua perfezione, come una città Inglese di altri tempi affacciata su un bel porto popolato di barche a vela. Il clima è straordinariamente mite. Il nostro Hotel, un antico palazzo a castello che si affaccia sul mare, è anche il monumento simbolo della città. Si respira un’aria piacevole. Il mattino successivo siamo di nuovo in barca. Questa volta per vedere, oltre alle balene, le Orche. Ne vedremo molte, in una giornata di sole da urlo. Verso sera ci avviamo verso il porto per prendere il traghetto che ci porterà, con arrivo la sera stessa, sul Continente. Ci dirigiamo verso Vancouver: una città verde e moderna, bella da vedere e ancor più da vivere, che si affaccia sul mare. Al mattino noleggiamo una bicicletta e visitiamo Stanley Park, un immenso promontorio verde popolato di animali e ricco di spiagge in cui prendere il sole e fare il bagno. Il giorno dopo, deciso che la natura debba continuare a essere protagonista del viaggio, prendiamo la nostra auto e andiamo a imbarcarci su uno dei tanti battelli che partono verso le numerosissime isole, isolette e parchi sulla costa che circondano Vancouver. Scegliamo un’isola chiamata Bowen Island. L’isola è deliziosamente selvaggia e possiede esattamente il clima rilassato e amichevole che desideriamo. Sul posto abbiamo modo di conoscere alcune persone, tra cui una simpatica e anziana signora inglese con una vita avventurosa da raccontare in giro per il mondo (Cortina d’Ampezzo compresa), vedova di un diplomatico. Ha deciso di vendere alcuni suoi oggetti di famiglia. Sono affascinanti, e hanno tutti una storia da raccontare. Ci godiamo la giornata e il tramonto su una spiaggia, bella e tranquilla, e prendiamo l’ultimo battello utile per il ritorno. Ci attende l’ultima corsa verso l’aeroporto: non abbiamo alcuna fretta di lasciare il Canada, ma tanto per cambiare abbiamo i minuti contati se non vogliamo perdere il volo.

Facciamo una sosta a Toronto, dove una nostra amica ci fa visitare la città. Piacevole, ordinata, ma dopo aver visto “quel” Canada, siamo ancor più felici di aver puntato tutto sul Wild… Il Canada occidentale si è rivelato un Paese sorprendente. In luoghi così immensi e sterminati, penso ad esempio all’Australia, sono spesso i “vuoti”, gli spazi tra un luogo interessante e l’altro, a caratterizzare il paesaggio. Il Canada che abbiamo vissuto è invece assai diverso, così “pieno” da riempire le giornate e il cuore di immagini e di esperienze continue. In ciò risiede una buona metà del segreto del fascino che ha avuto per noi questo viaggio. L’altra metà sta invece nel contesto organizzativo perfetto e nell’attitudine della gente, che fa si che ci si possa concentrare totalmente sul viaggio in sé. So wild, so easy!



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