Singapore-Bali

Dall'hi-tech di Singapore ai vulcani di Bali e Lombok
Scritto da: annalecce
singapore-bali
Partenza il: 05/06/2012
Ritorno il: 22/06/2012
Viaggiatori: 5
Spesa: 2000 €

5 giugno, si parte!

Partiamo da Brindisi alle 10,30 con Alitalia. Siamo io, il mio immancabile compagno Maurizio e l’amica di sempre Grazia. Dopo un movimentato trasferimento da Linate a Malpensa con smarrimento e ritrovamento del bagaglio a mano di Grazia in 4 con valigie, seggiolino e ruota di scorta (“ma questa serve proprio?” disse Maurizio) alla fine siamo a bordo del nostro volo Quatar (€ 680,00) pronti al lunghissimo volo Milano-Doha-Singapore. L’aereo è piacevolmente semivuoto, tanto che riusciamo a stenderci a schiacciare un pisolino dopo pranzo. La cucina “italian fusion” della Quatar ci lascia perplessi. La mozzarella su letto di pesto e gli gnocchi fluffy coi peperoni e le spezie rimarranno nella nostra memoria come sono rimasti sul nostro stomaco. L’aeroporto di Doha è anonimo e un po’ disorganizzato. Sembra comunque che prossimamente verrà inaugurato il nuovo faraonico aeroporto e questo sarà dismesso. Degna di menzione è la sala fumatori dove chi decide di smettere definitivamente di fumare dovrebbe fare una capatina. Provare per credere. Il volo per Singapore è puntuale e, già belli cotti, ci appisoliamo.

6 giugno: Singapore

Arriviamo a Chiangi in perfetto orario. L’atmosfera è tranquilla e ovattata, tutto perfetto al recupero dei bagagli. Il lato negativo di tanta perfezione ci si manifesta al momento di dichiarare gli acquisti alla dogana. Avevamo acquistato due stecche di sigarette a Doha a 15 € cadauna tutti contenti e qui ci chiedono di pagare € 70 di tasse a stecca! Preferiamo lasciarle agli zelanti doganieri che prontamente le distruggono sotto i nostri occhi… a Singapore non si scherza col fumo! Troviamo subito un taxi che ci accompagna al Perak Hotel, prenotato via internet, Little India. Le strade sono larghe, c’è poco traffico, ai lati della strada è un susseguirsi di alberi e piante tropicali. Sembra un giardino botanico. Il nostro hotel è piccolo ma accogliente, la stanza è “japanese style”, letti comodi e condizionatore benedetto e silenzioso. Per noi va benissimo. Collaudiamo subito il fornello elettrico e la moka portati dall’Italia, ci siamo voluti viziare portandoci dietro il nostro caffè. Dopo un pisolino e una provvidenziale doccia siamo pronti a uscire alla scoperta di questo pittoresco quartiere di Singapore. In giro ci sono tanti indiani e pochissimi orientali e colori, odori, rumori, ci riportano alla memoria i caotici mercatini indiani. La sera visitiamo un tempio indù e il pittoresco Tekka Center, un grande mercato coperto dove al primo piano c’è l’abbigliamento e al piano terra il wet market, cioè i generi alimentari e lo street-food. Compriamo la frutta per la notte e poi ci fermiamo a mangiare un fantastico tandoori con un curry di pollo e riso da leccarsi le dita nell’allegra confusione del mercato. Lavata di mani al lavabo d’ordinanza e poi, curiosando fra negozi colmi di gioielli d’oro, di spezie, di fiori, di CD, di apparecchi elettronici ammucchiati alla rinfusa, di saponi e detersivi, rientriamo all’hotel.

7 giugno: Botanic Garden

Ci svegliamo di buon’ora perché vogliamo approfittare delle ore più fresche (si fa per dire) per visitare il Botanic Garden. Ci spostiamo con la Mrt, la fantastica metropolitana di Singapore, che naturalmente è efficientissima e pulitissima. Nulla fuori posto. La gente però è strana. Quasi tutti sono incollati al loro smartphone, non alzano mai gli occhi per guardarsi intorno, non parlano fra di loro, ci sembrano un po’ alienati. Invede noi tre, da bravi italiani, riempiamo il vagone di risate, battute e chiacchiere. L’ingresso del Botanic Garden è proprio all’uscita della Mrt. Non c’è biglietteria? L’ingresso è libero? Incredibile. Percorriamo un vialetto circondato da splendidi alberi in un prato curatissimo, c’è poca gente in giro, si percepisce il ronzio lontano della metropoli ma qui c’è solo il rumore degli uccellini. Al centro informazioni facciamo incetta di mappe e dépliant e l’escursione può cominciare. Non sto a descrivere per filo e per segno le meravigliose piante che abbiamo ammirato in questo curatissimo giardino. La zona che mi è piaciuta di più è il settore delle palme, enormi, disseminate a gruppi in un prato grandissimo che scende a formare un laghetto di ninfee sul quale “galleggia” un palcoscenico. Credo che assistere ad un concerto la sera in uno scenario del genere sia un’esperienza fantastica. Il top del top, però, è l’Orchid Garden. Qui si paga un ingresso di 5 $. Va bene, ci sta. Nel giardino ci sono milioni di orchidee grandi, piccolissime, a ciuffi, abbarbicate dappertutto in un susseguirsi di cascatelle, archi e vialetti uno più scenografico dell’altro. Chi ama le orchidee come noi non se lo deve perdere! Torniamo stanchi ma felici in hotel, ci riprendiamo dalla stanchezza e dal caldo e nel pomeriggio andiamo a Chinatown. Non ci vuole molto tempo a visitare questo piccolo quartiere in stile cinese e coloniale, ormai assediato dai grattacieli che incombono da tutti i lati. Le stradine sono piene di lanterne rosse e bancarelle di amuleti, generi alimentari, ventagli, abiti di “seta”, divise da kung-fu e cineserie varie. Dopo una sosta ad un tempio indù ci fermiamo a cenare in una stradina appartata in un ristorante autenticamente cinese a gestione familiare che propone un’ottima cucina cinese che apprezziamo molto nonostante i nostri patetici sforzi per mangiare con le bacchette. Spendiamo solo 13 € a testa, e per essere a Singapore è un affare.

8 giugno: Marina Bay

La mattinata di oggi è dedicata al Business District e la visita alle meraviglie architettoniche della Singapore moderna. La prima tappa è la terrazza panoramica del Marina Sands Hotel (€12,50), al 56° piano del favoloso hotel dove si arriva con un ascensore che impiega pochi secondi per salire da terra all’ultimo piano. Da qui si ha una panoramica di tutto il modernissimo comprensorio che è in parte già ultimato. Edifici dal design avveniristico si alternano a cantieri dove si lavora febbrilmente per ultimare questa meraviglia dell’architettura moderna. In lontananza si vedono decine di navi portacontainer alla fonda. Da qui sembra di vedere un plastico, non qualcosa di reale. L’hotel sul quale ci troviamo è veramente enorme, con le sue 3 torri. Al pianterreno dall’aria rarefatta e fresca c’è la zona colazioni, con trionfi di ogni bendiddio, ammiriamo a bocca aperta questa struttura architettonica dove tonnellate di cristallo, cemento e acciaio si fondono per creare una struttura incredibilmente spaziosa e leggera. Da qui ci spostiamo allo shopping centre del Suntec City, un altro enorme complesso di uffici e negozi, per acquistare un tour che lascerà a bocca aperta i miei esigentissimi compagni di viaggio. Con un mezzo anfibio riadattato che si ricorda la guerra del Vietnam che si chiama Duck (Duck & Hippo, € 20 circa) visiteremo la zona del riverside dal fiume e da terra. Si parte dalla strada normale, ma dopo pochi minuti ci si tuffa nell’acqua salmastra del Singapore River con un tuffo che manda in visibilio i bambini e provoca l’ilarità generale. Navighiamo accanto alla enorme ruota del Singapore Flyer, al complesso del Marina Bay Sands, al Merlion, animale mitologico metà gatto e metà pesce simbolo della città, ponti avveniristici, teatri, al Museo d’Arte Moderna a forma di fiore, all’enorme palcoscenico all’aperto davanti al quale, durante il Gran Premio, sfrecciano le auto di Formula 1. Risaliamo sulla terraferma e visitiamo la zona “antica” della città molto deludente in effetti. Il bello di Singapore non è sicuramente in questa zona. Al capolinea prendiamo al volo un taxi che ci porta in albergo dove recuperiamo i bagagli e ci facciamo accompagnare in aeroporto.

La breve tappa singaporina è finita, si vola a Denpasar, Bali! Quando il nostro volo AirAsia puntualissimo atterra a Denpasar ci sembra di scendere da una macchina del tempo che ci ha riportati indietro almeno di 50 anni. Qui non c’è nulla di avveniristico e tecnologico, ma solo un gran caos asiatico di traffico e di gente sudata. Appena usciamo, dopo aver sbrigato le noiosissime formalità burocratiche, veniamo abbordati da un sedicente taxista che ci accompagnerebbe a Legian per 200.000 rupie. Preferiamo accodarci allo sportello dei taxi ufficiali e paghiamo il passaggio 60.000 rupie. Ok, questa è l’Asia vera! Il nostro Warung Coco, prenotato su internet, si rivela meglio di quanto ci aspettavamo a un primo impatto vedendo la reception, che è una specie di garage nel caos polveroso di Mataram St. con una receptionist non molto sorridente. Ci accompagnano alle nostre stanze, in un piccolo complesso recintato e sorvegliato con giardino interno in una stradina lontana dal caos della strada principale. I ragazzi invece dormiranno poco distante in una stanza in una villetta. Tutto semplice ma pulito. Mangiamo un nasi goreng al volo e poi torniamo con un taxista procuratoci dalla receptionist, che nel frattempo si è un po’ “sciolta” all’aeroporto, perché alle 21,45 arrivano i ragazzi, mio figlio Jacopo e la sua ragazza Ilaria, con un volo da Sydney. In realtà fra una lungaggine burocratica e l’altra e un gran patema d’animo della sottoscritta, riusciamo ad abbracciarci solo alle 22,30. Torniamo tutti a Legian e andiamo a dormire, distrutti ma felici.

9 giugno

Stamattina viene a prenderci l’autista del Bali Mountain Retreat, dove trascorreremo i prossimi 3 giorni. Il viaggio, fra villaggi e risaie, dura circa 3 ore. Man mano che ci allontaniamo da Kuta diminuisce anche il traffico, finchè cominciamo a salire salire salire e vediamo sempre meno case e auto. Arriviamo a destinazione e, appena varcato l’ingresso, restiamo tutti a bocca aperta. L’ecoresort è situato in posizione panoramica su una collina dalla quale si vede dall’alto la foresta. E’ fatto di piccole costruzioni in stile balinese disseminate in un curatissimo giardino pieno di piante, fiori, fontanelle e ruscelletti. La nostra tripla (Lotus House) è la più appartata con un lettone comodissimo che guarda sulla foresta da una portafinestra che sembra un megaschermo sulla giungla, e una stanza singola comunicante per la nostra “zietta”, bagno, doccia e lavabo. E’ arredata con semplicità e gusto, ci piace decisamente molto, Grazia fa filmati di tutti gli ambienti per documentare tutto e non dimenticare neanche il più piccolo particolare. I ragazzi invece dormiranno nella “rice house”, una casetta di legno su palafitta molto romantica anche se un po’ spartana. Dopo esserci sistemati nelle rispettive camere e aver messo nello stomaco degli involtini primavera strepitosi, ci riposiamo. La sera, dopo una gustosa cenetta, facciamo conoscenza con Richard, il proprietario del resort. E’ un olandese-australiano molto alternativo che 8 anni fa ha cominciato a mettere su questa bella attività. Ci dà qualche “dritta” utile per organizzare le attività dei prossimi giorni. Compatibilmente con le capacità fisiche di tutti i prossimi giorni saranno all’insegna del movimento all’aria aperta per visitare i meravigliosi dintorni.

10 giugno

Oggi noi vecchietti ci separiamo dai ragazzi. Faremo un’escursione a piedi nella riserva naturale del monte Batukaru di 4 ore, mentre loro arriveranno con una guida fino alla vetta e ci metteranno circa 8 ore… Dopo una mezzoretta di yoga nella “yoga house” (manco a dirlo ero da sola) ci prepariamo a partire. La nostra guida si chiama Gedè, mentre ci avviamo verso la foresta ci indica gli alberi del cacao, del caffè, ci fa assaggiare il nettare dolcissimo dei fiori di hybiscus e i delicati germogli di felce. La salita fino al primo tempio nella foresta è facile, il sentiero è largo e si snoda prima fra le piantagioni, poi all’ombra di alberi secolari ricoperti di vegetazione. Le piante che crescono sugli alberi sembrano esplodere da invisibili vasi poggiati sui rami morti. Ci svolazzano intorno meravigliose farfalle bianco perla a macchie nere leggere come foulard di chiffon. Camminiamo nell’aria tiepida circondati da tutte le sfumature di verde. Quando siamo quasi arrivati al tempio comincia il fuori programma della gita. Un gruppo di incauti pellegrini è salita fin quassù in auto e sono rimasti impantanati nella terra fangosa. Ma i nostri ingegnosi uomini, dopo vari tentativi, riescono a rimetterli in carreggiata con l’aiuto di alcune assi che avevano adocchiato lungo la strada mentre salivamo. Tutto si conclude con applausi, strette di mano e sorrisi cordiali. Al tempio facciamo solo una breve sosta, è un tempietto che viene usato saltuariamente per poche cerimonie, molto semplice, solo una decina di altarini, dall’atmosfera è tranquilla.

La seconda parte del trek è molto più impegnativa. Il sentiero si fa ripido e tortuoso, il fondo è scivoloso e la vegetazione si fa sempre più intricata, spesso ci imbattiamo in alberi caduti che ostacolano il cammino. La vegetazione è incredibilmente ricca e sentiamo dappertutto richiami di uccelli. Dopo una mezzoretta così, ci rendiamo conto che arrivare al secondo tempio sarebbe troppo impegnativo e, alla fin fine, non aggiungerebbe molto alla nostra esperienza perché comunque non arriveremmo in vetta, così chiediamo a Gedè di tornare indietro. Così, stanchi ma più rilassati, ci divertiamo a fare filmini demenziali stile tarzan con la Grazia che si esibisce con le liane. Dopo aver ripreso fiato con una merenda al sacco al tempietto, con molta calma torniamo al Mountain Retreat. La sera ci raggiungono Jacopo e Ilaria i quali, invece, hanno raggiunto la vetta del monte con la loro guida. Sono felici ed entusiasti di tutto, anche se purtroppo le nuvole non gli hanno permesso di godersi dall’alto il panorama della valle. Con la loro guida hanno scoperto frutti sconosciuti, attraversato tunnel di vegetazione, scivolato di sedere giù per pendii fangosi…Jacopo era felice come quando da piccolo andammo a Disneyland.

11 giugno: MOUNTAIN BIKE

Oggi scenderemo lungo le pendici del monte Batukaru fino al mare con le mountain bike con la guida Putu, che ieri ha accompagnato i ragazzi nel trekking, attraverso villaggi e risaie. Il percorso non sarà molto faticoso perché la strada è tutta in discesa, ma il fondo è molto accidentato e dovremo stare molto attenti. Per fortuna i freni della bici funzionano egregiamente e i copertoni tengono bene la strada. Grazia ci dà un’ammirevole dimostrazione di coraggio e tenacia dato che non inforcava una bicicletta da almeno 30 anni, men che meno una bici con le marce. Maurizio invece, pur essendo esperto, si è lasciato prendere la mano, anzi il pedale, dall’adrenalina e ha sbagliato una curva a tutta velocità, è caduto e si è tatuato sulla schiena il copertone. Senza altri danni, per fortuna. Lungo la discesa abbiamo visto risaie splendide di un verde tenero immerse nel silenzio della campagna, coltivazioni di caffè e cacao, piccoli villaggi tranquilli dove gli abitanti lavorano sereni e ci salutano sorridendo, gallerie verdi di alberi. I balinesi sono gente pacifica, amano la loro isola e il loro stile di vita rilassato, difficilmente ambiscono a lasciare il loro villaggio e la loro casa piena di altarini dove vivono con tutta la famiglia. Dopo una provvidenziale sosta “cocco” dissetante arriviamo al mare. Qui, alla foce di un fiumicello, c’è una spiaggia selvaggia di sabbia scura, vacche che pascolano, un tempietto. Qui ci aspetta il furgone sul quale vengono caricate le nostre bici e ripartiamo, stavolta con un comodo combi. Lungo la strada chiediamo a Putu di fermarsi in un posto dove si mangia bene cucina tipica balinese, così ci facciamo tondi tondi con un ottimo piatto a base di maiale e riso in un posticino frequentato esclusivamente da balinesi spendendo, naturalmente, una cifra irrisoria. Al rientro al Mountain Retreat la fatica dell’attività fisica degli ultimi giorni si fa sentire, così Grazia, Jacopo e Ilaria approfittano della spa per un massaggio rilassante e rigenerante. Primo massaggio della vita di Jacopo. Ne esce in brodo di giuggiole. Dopo una cena veloce, tutti a letto!

12 giugno: Si parte!

Mentre facciamo colazione già sappiamo che ci mancheranno la pace, la vegetazione, l’aria fresca di questo posto, ma ci attendono nuove avventure e siamo contenti di iniziare un nuovo capitolo del nostro viaggio. Dopo aver salutato Richard e tutto lo staff saliamo sul combi 8 posti (6 pax più i bagagli 600.000 rupie) che da Tabanan ci porerà a Tulamben dove abbiamo prenotato su internet un appartamento da 6 posti in hotel 4 stelle, tre doppie per 2 giorni € 20 a testa al giorno, sembra un buon affare. La prima sosta è al tempio di Tabanan, costruito sul lago in onore delle divinità delle montagne. E’ in corso una cerimonia, c’è un gran viavai di fedeli e turisti, profumo di incenso suoni di gong e preghiere. Bella atmosfera, forse un po’ guastata dalle decine di negozietti di prodotti artigianali, ma a Bali è un po’ dappertutto così. Dopo una visita e tante belle foto (anche una coppia di sposi!) ripartiamo. Dopo un’oretta di viaggio su una strada meravigliosa che dalle montagne scende verso valle, facciamo una tappa alle piscine reali di Tirtaganga, in un meraviglioso giardino dove, fra statue che ritraggono dei della religione indù e ponticelli, scorre l’acqua della sorgente che alimenta laghetti e piscine. L’ultima piscina a monte, scavata nella roccia, sul fondo della quale sgorga l’acqua sorgiva, con le scalette scolpite a forma di dragone, è di una limpidezza cristallina. Ci siamo solo noi, che non esitiamo a tuffarci nell’acqua fresca per un bagno rigenerante indimenticabile. Uno spuntino a base di mangostine acquistato all’ingresso del sito, una cartolina alla nonna imbucata in un’improbabile buca delle lettere, e ripartiamo. Dopo un’altra oretta ci fermiamo a visitare la cascata di Gitgit. Purtroppo non si può fare il bagno, la corrente è troppo forte. La peculiarità di questo posto è che tutt’intorno alla cascata gli alberi sono di chiodi di garofano, noce moscata, cannella e vaniglia. Le bancarelle vendono le spezie in bustin, profumatissime perché raccolte ed essiccate qui. Ci fermiamo a pranzare in un ristorantino modesto, il Tomato. Non ci facciamo grandi illusioni perché l’aspetto lascia un po’ a desiderare. Una signora anziana prende le comande e, dopo un’attesa piuttosto lunga… ricompare dalla cucina con i migliori spring-rolls che abbiamo mai mangiato a Bali. Anche le altre pietanze sono gustose e hanno il sapore e il profumo del cibo genuino e il profumo delle spezie fresche. Il conto è economicissimo e, come se ciò non bastasse, la signora a fine pranzo insiste per regalarci bustine di spezie, borsettine souvenir per infilarcele dentro e alla fine, confusi e quasi commossi ci facciamo tutti una foto di gruppo con lei. Si riparte scendendo verso il mare alla volta di Tulamben. Questa parte del viaggio è un po’ monotona e lunga, e la stanchezza comincia a farsi sentire. Nel pomeriggio arriviamo a Tulamben allo Sparks Hotel, sul quale spenderò solo poche parole. Economico, all’apparenza elegante e situato in una posizione strepitosa, con la vista dall’alto sul mare da una parte e il vulcano dall’altra, una bella piscina, purtroppo disorganizzato e con evidenti lacune dal punto di vista della pulizia. Peccato. Un tuffo in piscina e poi Maurizio, io, Jacopo e Ilaria (Grazia è stanca e ha deciso di cenare in hotel), andiamo a cenare in paese, che dista 15 minuti a piedi sotto una coperta di stelle e il Gurung Anung che veglia, imponente e un tantino inquietante, sul mare luccicante. Lungo la principale (e unica) strada di Tulamben scegliamo quello dei ristorantini che ci sconfinfera di più. La cena è buona, il conto anche. Tulamben più che un paese è un tranquillo agglomerato di guest-house, diving-centre e ristoranti. Tutta l’economia qui gira intorno all’attività del diving per i turisti. Che sarà la nostra avventura di domani.

13 giugno

Dopo una robusta colazione e qualche istruzione veloce di Jacopo a Maurizio sull’uso delle bombole (!) gli intrepidi (Jacopo e Ilaria) e gli incoscienti (Maurizio) partono per il diving. Le più prudenti e inesperte (Anna e Grazia) si dedicheranno allo snorkellig. Dopo una corte serrata di tutti i ragazzini del diving a Grazia, finalmente ci armiamo di maschera e pinne e ci dirigiamo sulla spiaggia (nera) per andare a vedere lo ship wreck, la nave affondata della II guerra mondiale intorno alla quale la natura si è divertita a far crescere un’esplosione di colori e forme di pesci e coralli. I nostri due accompagnatori ci indicano le zone più interessanti e ci girano pure un dvd. Per Grazia è il primo vero snorkeling, grida di gioia ogni volta che vede un pesce colorato o un corallo. E’ un’esperienza particolare nuotare in quest’acqua tiepida dove colori e forme si stagliano vivaci e imprevedibili sul fondale color antracite. Dopo un’oretta, emergiamo come due sirenotte felici, e dopo una accesa trattativa fra Grazia e il venditore di barchette-aquilone colorate, rientriamo in albergo dove ritroviamo tutti gli altri, anche loro entusiasti dell’immersione. Nel pomeriggio i ragazzi ed io scendiamo alla “private beach” del nostro hotel. Il sentiero è un tratturo impervio e quasi invisibile. Una volta arrivati al mare, troviamo due minuscole spiagge di ciottoli tondi nerissimi punteggiati da coralli bianchi circondate da fichi d’india. Esplorando la scogliera ci accorgiamo che il fondale è tutto un banco di coralli quasi a pelo d’acqua. Non si può nuotare e neanche tuffarsi. Peccato non avere maschera e pinne, immagino che il fondale sia bellissimo. Facciamo solo un bagnetto e qualche foto in questo posto strano, selvaggio e impervio. La sera si cena con ottimi king prawns ordinati la sera prima in un ristorante del paese.

14 giugno

Si parte alla volta di Ubud. Solito combi (400.000 rupie). Lungo la strada ci fermiamo in una manifattura di batik dove vediamo le donne al lavoro e l’esposizione dei lavori. E’ una cosa interessante, alcuni batik sono molto belli, ma non facciamo acquisti perché i prezzi ci sembrano esagerati. Sentiamo puzza di tourist-trap anche in un’esposizione di argenti dove ci accompagna l’autista, così dopo questa tappa gli chiediamo di condurci direttamente a destinazione senza fare altre soste. Arriviamo nel primo pomeriggio al nostro hotel, il Saren Indah (€ 90 la tripla, 30 la doppia), nei pressi della Monkey Forest. Siamo stanchi del viaggio e quando ci affacciamo dalla veranda delle nostre stanze sulle verdissime e tranquille risaie ci sembra di essere in paradiso. L’hotel è confortevole, con una bella zona lounge e il ristorante, piscina con lettini e tavoli con ombrelloni. Peccato per il rumore dei lavori di ampliamento, ma dalla nostra stanza non si sente niente. Io e Maurizio ci riprendiamo con un’insalata a bordo piscina, poi io vado in paese alla ricerca di una sistemazione per domani, perché al Saren Indah c’è posto solo per stanotte. Per andare in paese si deve attraversare la Monkey Forest. Qui i turisti sono tanti, ma le scimmie molte di più. Divertimento assicurato per i più piccoli, attenzione agli oggetti pendenti per i grandi. Risalendo la Monkey Forest Road non trovo granchè, i prezzi sono anche economici ma le strutture sono modeste e quasi mai ben tenute. Lungo la strada incontro i nostri ragazzi che nel frattempo stanno già comprando in giro regalini da portare a parenti e amici. Cercano un bar dove si serva il Luwak Coffee. De gustibus! La strada trabocca di negozietti di artigianato e, volendo fare shopping, c’è l’imbarazzo della scelta. Stanca e sconsolata torno in hotel dove fortunatamente il receptionist ci viene in aiuto e ci consiglia di chiedere più avanti al Garden View Cottage se c’è posto. Detto fatto, io e Maurizio andiamo a far un sopralluogo e siamo fortunati. C’è una serie di bungalow tipici balinesi, alcuni sono di più recente costruzione come quello che prenotiamo per noi, Grazia e Ilaria. E’ tutto nostro, ha un giardinetto privato, è immerso nella tranquillità delle risaie. Tutto intorno un giardino tropicale dove sorgono gli altri bungalow in un dedalo di sentierini di pietre deliziosi fatti di pietre bianche e nere. Costa anche poco (26 € a testa). La piscina color cobalto con la donnina di pietra lavica che versa l’acqua dall’orcio è bellissima! La sera andiamo con i ragazzi a vedere uno spettacolo di danza balinese. Dopo un qui-pro-quo del receptionist del nostro hotel che ci manda in taxi a vedere uno spettacolo che in realtà non c’è causa cerimonia religiosa (tipico inconveniente balinese), ci facciamo riaccompagnare a Ubud dove i ragazzi avevano visto che c’era uno spettacolo di danza Legong al Balai Banjar Ubud Kelod. Per fortuna arriviamo in tempo per lo spettacolo e per due ore rimaniamo a bocca aperta ad ammirare le danzatrici e i loro favolosi costumi di seta a che danzano al ritmo ipnotico di tamburi e gamelan. Naturalmente non capiamo nulla del significato dei loro gesti complicatissimi che raccontano episodi del Ramayana, il Mabharata e chissà quali altre leggende, ma lo spettacolo è veramente suggestivo e imperdibile. La compagnia di ballo è molto conosciuta, siamo stati fortunati, perché spesso per i turisti vengono allestiti spettacoli un po’ improvvisati con danzatrici non molto brave. Dopo lo spettacolo ceniamo in un ristorantino nei paraggi, tranquillo ma niente di che come cucina, e torniamo al nostro hotel attraversando la Monkey Forest al buio con le torce non senza una certa apprensione. Per fortuna di notte le scimmie dormono.

15 giugno

Oggi si va a visitare Ubud e il suo famoso Market. Si dice che la mattina presto si fanno gli affari migliori, così ci muoviamo di buon’ora. In realtà credo che sia meglio se non altro per evitare la canicola, fa veramente caldo. Non sto a descrivere a quantità di merci diverse e i colori di questo tipico mercato asiatico, bisogna vederlo. Gli articoli sono quasi tutti artigianali e si spazia dalla cestineria di vimini agli oggetti in madreperla, legno, argento, sete e sarong veramente per tutti i gusti. Naturalmente si deve mercanteggiare e le trattative possono essere lunghissime. Conviene in ogni caso adocchiare un venditore che abbia articoli di buona fattura (non tutti lo sono) e acquistare in quantità per spuntare un buon prezzo. Il mercato di Ubud ormai è famoso e pieno di turisti, i balinesi lo sanno, sono scafati e ne approfittano, quindi… occhio! Dentro il mercato ci dividiamo e ognuno fa i suoi acquisti, ogni tanto ci incrociamo con i ragazzi carichi di buste e bustine, mentre Grazia è proprio sparita, inghiottita dalle montagne di mercanzie. Dopo un paio d’ore ci ritroviamo tutti fuori dal mercato, pieni di buste, sudati e entusiasti degli affari conclusi. Non sempre abbiamo spuntato il prezzo migliore, ma abbiamo comunque speso poco, e non ci dispiace lasciare qualche rupia in più per questa gente che lavora duramente ed è in genere molto povera e ci accoglie sempre con un sorriso ospitale in questa terra così bella. Visitiamo il Royal Palace, di cui purtroppo si può vedere solo una piccola parte e lo splendido portale di legno intagliato. Quello che però apprezziamo di più, stanchi e accaldati come siamo, è il bellissimo Lotus Cafè, un bar-ristorante poco più avanti situato nella splendida cornice di un antico palazzo balinese con tanto di stagno, ninfee e orchidee. Pranziamo magnificamente seduti sul pavimento di bambù sui cuscini all’ombra, accanto al laghetto. Dopo la pausa ristoratrice torniamo all’hotel, facciamo il trasloco dei bagagli al Garden View e salutiamo Jacopo che riparte, purtroppo. Lacrimuccia d’ordinanza della mamma che si consola solo dopo un tuffo in piscina e un po’ di relax. Nel pomeriggio io e Ilaria andiamo a farci fare un massaggio per riprenderci dalla stanchezza e dalla malinconia in una spa dalla quale usciamo come nuove. Ceniamo tutti in un piccolo ristorante poco distante dall’albergo, il Chilly Cafè, dove mangiamo bene, il posto è molto tranquillo.

16 giugno

Oggi andiamo a visitare alcuni siti importanti nei dintorni di Ubud, abbiamo prenotato ieri il tour al Tourist Information vicino al Market a 125.000 rupie a testa. Il primo sito che visitiamo è il Goa Gajah, la bocca dell’elefante, a Bedulu, dove io e Ilaria scendiamo in esplorazione giù per un sentiero immerso nella foresta alla ricerca di un altare buddista che non troviamo. La passeggiata è comunqu bella, anche se un po’ faticosa, fra alberi enormi che affondano le radici nell’acqua tumultuosa del torrente. Dopo un altro tempio non particolarmente bello, arriviamo a Gunung Kawi, le otto antiche (XI sec.) tombe scolpite nella roccia che si fronteggiano sulle sponde di un fiumicello circondato dal verde della foresta. La scalinata non finisce mai, fa caldo e i venditori sono molto insistenti, ma una volta arrivati a valle non vorremmo più andare via, affascinati dalle sculture antiche e misteriose e dai balinesi che oggi, che è un giorno di festa, vengono qui a chiedere la benedizione degli dei nei loro abiti migliori con offerte e preghiere nel tempio vicino.

Io e Maurizio ci riprendiamo dal caldo grazie alle fontane e alle fresche acque del fiume. La tappa successiva è stata quella che ci è piaciuta di più: Tirta Empul. La festa di oggi è una festa dei giovani. E’ un vero spettacolo vedere questa folla di ragazzi in abiti tradizionali coloratissimi che fanno ordinatamente la fila per bagnarsi alle cannelle della fonte sacra. Ci persiamo nel mare di sorrisi, colori, spiritualità e allegria di questo posto bellissimo immerso nel verde di Bali. Scattiamo foto meravigliose. Le bancarelle rallentano, come al solito, la nostra tabella di marcia, ma non resistiamo all’affare: 3 foulard di seta a 300.000 rupie… La tappa successiva, dopo avere attraversato chilometri di frutteti, è al lago Batur e il Gunung (vulcano) Agung. Visitiamo il tempio situato in posizione panoramica sul bordo del cratere. La vista sulla caldera è surreale. E’ chiaramente visibile la colata dell’ultima grande eruzione del 1975 che ha distrutto interi paesi e mietuto tante vittime. L’altare principale del tempio che visitiamo è stato recuperato dalle rovine di quello distrutto dalla lava ed è stato spostato sul bordo del cratere. Credo che la devozione e superstizione ossessiva di questo popolo sia dovuto proprio al fatto che qui si vive nella costante paura che le forze della natura si scatenino senza preavviso e senza un perché. Gli altarini e le offerte altro non sono che il loro modo per esorcizzare l’atavica paura dell’uomo di fronte alla natura madre e matrigna. E’ una giornata bellissima e l’aria limpida dell’alta quota fa brillare i colori di questo tempio che è quello che ci è piaciuto più di tutti. Anche qui giovanissime coppie partecipano a una cerimonia, forse dedicata ai promessi sposi. Ripartiamo alla volta di Ubud, dove salutiamo Ilaria che ci lascia per tornare a Sydney. Siamo di nuovo in tre: Marizio, Grazia ed io, che mi tuffo alla Zen Spa per alleviare la stanchezza mentre Mau e Grazia fanno un pisolino. Si torna in paese per l’ultima cenetta a Ubud. Ci fermiamo al Three Monkeys, uno dei meglio recensiti, dove la cucina è un raffinato fusion di cucine etniche. Tutto ottimo, ambiente chic con vista sulla risaia. Strepitoso il dessert tiepido al cioccolato belga.

17 giugno

Oggi si parte per Lombok! Passaggio in auto + biglietto fast boat 300.000 rupie a testa. Il taxi ci lascia al molo di Padangbai dove, dopo una lunga attesa con un caldo infernale fra venditori insistenti e centinaia di altri turisti sudati ci imbarchiamo. Due ore e ½ di traversata molto ondeggiante spinti da 5 fuoribordo da 250 cv e finalmente arriviamo alla meta, al molo di Teluk Nara, dopo aver fatto scalo alle tre isole Gili dove sono scesi la maggior parte dei passeggeri. Il solito furbacchione dell’equipaggio ci propone un tour delle Gili a 1.300.000 rupie ma non ci caschiamo. Un taxista ci rapina 150.00 rupie per accompagnarci a Senggigi ma purtroppo non abbiamo prenotato niente e dobbiamo cercarci un albergo. Comunque siamo fortunati perché troviamo posto al The Beach Club, che dai siti internet sembrava invece che fosse full. E’ uno dei meglio recensiti della città. Il nostro bungalow in legno col tetto di foglie di palma e il bagno all’aperto, con una comoda verandina dotata di amaca e poltroncine in vimini che guarda sul giardino, è accogliente e pulito. Nel giardino c’è una bella piscina con ombrelloni. La spiaggia è proprio lì, con il suo famoso tramonto mozzafiato. Vado a vedere la spiaggia e subito mi viene incontro un tipo che mi propone un tour alle Gili, ma stavolta la richiesta è 600.000 rupie, decisamente più onesto del marinaio di prima! Ci accordiamo per domani. La sera ceniamo in uno dei ristoranti sulla spiaggia, cibo buono e prezzo buono.

18 giugno (il compleanno della zietta!)

Il nostro regalo per i ruggenti 50 della nostra amica è una splendida giornata in barca alle isole Gili. Sulla spiaggia ci aspetta Ni, un consumato marinaio del posto, che ci fa accomodare sulla sua barca di legno con i bilancieri tutta colorata, spartana ma dipinta di fresco. Appena ci allontaniamo dalla spiaggia navighiamo sotto costa, ed è tutto un susseguirsi di spiagge deserte meravigliose di sabbia chiara orlate da palme da cocco. Le strutture turistiche sono poche e ben inserite nella vegetazione. Facciamo rotta per la prima delle Gili, Gili Trawangan, l’isola della movida. La spiaggia bianca è attrezzata con lettini comodi e bar per i turisti, c’è gente ma non folla. Ci sembra il posto ideale per chi ama la vacanza comoda e l’animazione notturna. Lo snorkelling qui è un po’ deludente. I coralli sono quasi tutti morti e nell’acqua c’è qualcosa che pizzica. Riusciamo comunque a incontrare una tartaruga che seguiamo finchè non si inabissa. La seconda tappa è Gili Meno, la più selvaggia. Le uniche strutture che vediamo dal mare sono pochi semplici chioschetti. Qui finalmente vediamo coralli vivi e vegeti e pesci multicolori a 4-5 metri di profondità. Ultima tappa è Gili Air, che è anche quella che ci è piaciuta di più. Lo snorkelling qui è fantastico. Nell’acqua bassa vediamo pesci di tutte le taglie e coralli coloratissimi. L’atmosfera è rilassata, poca gente tranquilla, ristorantini sulla spiaggia e musica. Ci fermiamo a mangiare in uno di questi sotto un gazebo di bambù. Fra buon pesce, foto, bagni, frizzi e lazzi festeggiamo alla grande il compleanno della Grazia. Pochi ma buoni! Nel primo pomeriggio, cotti e felici, Ni ci riaccompagna al capolinea, non prima di esserci fermati a fare un ultimo tuffo a Malibu Beach. La sera Grazia ci invita a cena al famoso Warung Manega, vicino a Senggigi, dove nelle cucine, fra nuvole di fumo da inferno dantesco, si cucina esclusivamente pesce alla brace di gusci di cocco. Concludiamo degnamente questa bella giornata con aragoste, spiedini di calamaro, gamberoni e pesce arrostito.

19 giugno

Oggi, in compagnia di Kudus, il driver, e Adi, amico del driver, visiteremo il nord dell’isola, saliremo alle pendici del Rinjani, il 2° vulcano dell’Indonesia per altezza, e visiteremo le cascate di Singanggila. Lungo la strada vediamo spiagge deserte di sabbia nera dove si coltivano le perle, campi coltivati a riso e arachidi, alberi di anacardi e splendidi frangipani. E’ una zona molto povera, la gente vive in capanne a dir poco fatiscenti. Qui il turismo non è arrivato e credo che non arriverà mai perché non c’è molto da vedere oltre a quello che ho descritto. Lo scenario cambia quando si comincia a salire, l’aria diventa fresca e la vegetazione rigogliosa. Ci fermiamo in un ristorantino panoramico che guarda sulla montagna verdissima dalla quale, come se fosse un tubo rotto, esce un getto di acqua fortissimo da un’altezza di 40 mt. E’ una delle innumerevoli cascate che scendono dalle pendici del vulcano, invisibile ai nostri occhi, purtroppo, a causa delle nuvole. Il rombo dell’acqua si sente fin da qui. Lasciamo i nostri chaperon a rilassarsi e noi scendiamo a vedere la cascata. Il getto dell’acqua è così forte che fa male. Sono l’unica del nostro gruppo a infilarmici sotto, adoro i bagni nelle cascate e mi godo quest’immersione nella natura fra muschio, felci e goccioline d’acqua. C’è un percorso di trekking che parte da qui e conduce ad altre tre cascate, bisognerebbe noleggiare una guida (200.000 rupie) ma noi ci fermiamo qui perché il trekking nella giungla e le abluzioni sotto le cascate tropicali non attirano i miei compagni quanto me… Piccola considerazione: questo sito è molto conosciuto anche dagli abitanti della zona che qui vengono anche a fare il bucato. Se evitassero di lasciarci plastiche, buste e ogni genere di spazzatura sarebbe molto più bello. Non perdo, naturalmente, l’occasione di farlo notare al sorvegliante al quale avevamo pagato il biglietto d’ingresso. Pranziamo al ristorante dove ci aspettano Kudus e Adi addormentati sotto un gazebo. La strada per il ritorno è lunga, così arriviamo al nostro resort, ceniamo e restiamo in veranda a rilassarci sotto una tiepida pioggerella.

20 giugno

Anche oggi il tempo non è bellissimo, ma almeno non piove. Kudus ci accompagnerà a Kuta Beach (da non confondere con l’omonima spiaggia di Bali), la perla dell’isola, a quanto pare. Dopo aver attraversato la zona molto caotica di Mataram, ci inoltriamo nella splendida campagna coltivata a riso, dove il tempo sembra essersi fermato nei gesti quotidiani dei contadini e nei sorrisi dei bambini. Kudus ci accompagna in un villaggio dell’etnia Sasak (alla quale appartiene anche lui) dove si producono i tessuti “ikat” fatti a mano al telaio dalle donne. Ci fermiamo nel punto vendita della cooperativa del paese. I prezzi ci sembrano carucci, ma le stoffe sono veramente molto belle e non resistiamo, anche perché i Sasak ci sembrano molto poveri e non hanno grossi introiti oltre all’agricoltura e l’artigianato. Non riusciamo a staccare gli occhi dalle stoffe coloratissime a disegni geometrici, fatte di cotone, seta e fibra di ananas, così diverse da quelle balinesi. Lasciamo le pianure coltivate e, dopo una serie di colline basse, arriviamo su una delle spiagge di Kuta, Moonlight Beach, che non sembra vera per quanto è bella. Due promontori verdissimi delimitano la spiaggia di sabbia chiara fatta di microscopiche palline sferiche nelle quali si sprofonda coi piedi, il mare è pulitissimo e calmo, lontano si vedono le onde formate dal reef. A riva pochi ragazzini fanno il bagno e giocano. Dopo aver respinto l’assalto delle piccole insistenti venditrici di tessuti ikat riusciamo a rilassarci un po’ anche noi con un bel bagno. Proviamo a fare una passeggiata sul bagnasciuga, ma è veramente faticoso camminare su questa sabbia. Le ragazzine ci chiedono di farci le foto insieme coi loro telefonini, delle turiste in bikini qui sono una rarità, come sono piccoline! Ciliegina sulla torta di questa giornata è il pranzetto che ci preparano al chiosco dove ci siamo sistemati, l’unico della spiaggia: un tonnetto di 4 kg che divoriamo beati sotto il gazebo di bambù e foglie di palma. Peccato che la bellezza selvaggia di questo posto sia destinata a durare poco. Investitori arabi hanno acquistato i terreni migliori lungo le spiagge e c’è un progetto da 800 milioni di dollari per fare di Kuta un paradiso per turisti danarosi. Lontano si intravedono già i cantieri dove sorgeranno gli esclusivi resort. Speriamo che almeno lo sviluppo turistico di questa zona sia rispettoso dell’ambiente e dia agli abitanti del posto l’opportunità di migliorare le loro condizioni di vita e non tolga ai bambini la possibilità di giocare in queste meravigliose spiagge, che al momento è l’unica ricchezza che hanno. Per ora la speculazione degli stranieri viene fieramente ostacolata dai Sasak, che appiccano il fuoco ai cantieri. Dopo una mezzoretta di relax per digerire, Kudus ci accompagna a vedere la spiaggia accanto, dove sorge un albergo della catena Novotel, l’unica struttura ricettiva di un certo livello. Sembra bello, anche se lo vediamo solo dall’esterno, e non disturba l’ambiente. Meno male. Ci vengono incontro anche qui dei simpatici ragazzini che vendono cocchi, conoscono tutti i nomi dei calciatori del campionato italiano, anche se li pronunciano a modo loro! Ripartiamo nel primo pomeriggio e prima di Mataram ci fermiamo vicino a un gruppo di negozi di perle. Alcune sono bellissime, quelle di Lombok sono di un giallo dorato molto bello. Il prezzo è caro, ma costano sempre un terzo di quanto costerebbero in Italia. Peccato che le montature non siano belle come le perle. Tornati al Beach Club, andiamo a vedere il tramonto (l’ultimo, sigh!) dalla spiaggia e i venditori di oggetti artigianali ci fanno sbellicare dalle risate con il loro strano modo di pronunciare le poche parole in italiano che conoscono. Sbagliano tutti gli accenti! (trottòlaaaaa). Adi ci coinvolge in un falò sulla spiaggia con cena a base di pesce arrostito. Così trascorriamo l’ultima serata a Lombok con pesce e rice wine in compagnia di questi ragazzi simpatici, allegri e gentili che ci hanno accolti nel loro gruppo senza farci sentire dei “turisti”.

21 giugno

Di buon’ora siamo sull’auto di Kudus diretti all’imbarco per Padangbai, ci scorrono davanti le spiagge splendide di questo tratto di litoranea che non ha niente da invidiare ad altre molto più conosciute, siamo malinconici, Lombok già ci manca. Al molo inganniamo l’attesa prendendo il sole, io compro un paio di orecchini di perle da un ragazzo che le coltiva lì vicino con la sua famiglia. La speedy boat parte alle 11,20. Con 1500 cv a poppa e un mare che mette a dura prova lo stomaco di tutti, un caldo pazzesco coi finestrini sbarrati per gli spruzzi e la puzza di carburante veramente fastidiosa, dopo un’ora e mezza arriviamo a Padangbai. Dopo lo sballottamento in barca veniamo caricati su un combi scassato, e finalmente all’ora di pranzo arriviamo a Sanur un po’ rintronati con Maurizio che mi domanda come arriveremo all’isola di Nusa Lembongan e io che gli rispondo sull’orlo di una crisi di nervi ;”in barca, no?” Qui comincia, bagaglio al seguito, la ricerca di un alloggio. La prossima volta non partiremo senza un portatile per prenotare in anticipo i pernottamenti. Il b&b consigliato dall LP, il Flashbacks, veramente carino, è pieno. Ne visitiamo altri 4-5 lungo la via principale la Jr Tremblingan. Sono tutti abbastanza carini dall’esterno, in stile balinese, immersi in bei giardini, con la piscina, dal prezzo accessibile, ma all’interno sono una delusione: camere senza finestre, bagni orribili, puzza di muffa e il letto per il terzo ospite è sempre un semplice materasso buttato sul pavimento. Ritorniamo quindi al primo che avevamo visto che ci convinceva in tutto tranne che per il prezzo che ci sembrava un po’ caro (320.000 rupie a notte): Il Sayang Sanur Terrace. E’ di nuovissima costruzione, le suite sono bilocali spaziosi arredati con gusto con cucina, frigo e lavatrice in un residence in stile moderno semplice ma molto elegante con una piscina in pietra enorme. Stanchi, accaldati, decidiamo che questa sarà la comodissima base per i nostri ultimi giorni di vacanza. Andiamo a mangiare in un ristorante cinese nei paraggi, il Seven Stars. Mangiamo bene, però il conto ci fa rimpiangere Lombok. Qui siamo in una località turistica rinomata ed elegante per gli standard balinesi e tutto costa il 20-30% in più. Dopo un pisolino rigenerante e un tuffo nella piscina che da sola vale tutto il resort, andiamo a dare un’occhiata in giro. A un primo sguardo Sanur non ci fa impazzire. E’ troppo turistica, un po’ finta, il mare non è niente di speciale, soprattutto per noi salentini abituati a ben altri standard. Ceniamo al Warung Steak House, sulla strada principale. Mangiamo bene e il conto è onesto.

22 giugno: Relax day

La mattina andiamo a fare una passeggiata sul percorso pedonale che costeggia la spiaggia, dove si affacciano i resort più belli con piscina e ristorante vista mare. Sono tutte strutture di buon gusto, in armonia col paesaggio. Sulla spiaggia ci sono le famose barche balinesi coloratissime con la prua con occhi, naso e bocca dipinti. Il solito mantra “massage-massage” ci segue per tutto il percorso. Nella parte più a sud, Sindhu Beach, vediamo dei resortini semplici ma molto carini e dal prezzo abbordabile, forse se ieri avessimo fatto un giro da queste parti avremmo scelto uno di questi. Oziamo un po’ fra un balinese coffee e la spiaggia, poi io e Maurizio torniamo in camera a riposare mentre l’instancabile Grazia si cerca un autista per andare a visitare il tempio di Tanah Lot. Mi godo la piscina tutto il pomeriggio in relax mentre Mau dorme. La sera ci ritroviamo con Grazia che, stanchissima ma felice, ci racconta entusiasta della sua gita. La receptionist di un hotel sulla spiaggia l’ha aiutata a trovare un autista che, per 300.000 rupie, l’ha accompagnata al tempio giusto per l’ora del tramonto, quando la luce rende l’atmosfera di questo posto veramente magica. I ristoranti sulla spiaggia sono tutti vuoti perché c’è molto vento, così andiamo a cena al Three Monkey (versione Sanur). La struttura è bellissima, dalle linee moderne, realizzata con una mescolanza di materiali tradizionali e hi-tech. La cucina è ottima come a Ubud, buona musica jazz dal vivo, l’ambiente internazionale. Recommended.

23 giugno

Oggi coroneremo la fine di questo splendido viaggio con una bella giornata in barca a vela. Ieri sera abbiamo prenotato un tour alla vicina isola di Lembongan su un ketch di 17 metri (550.000 rupie a testa). Alle 8 viene un combi a prenderci e ci lascia all’imbarco al vicino porto di Benoa. Quando arriviamo all’ufficio della compagnia dalla quale abbiamo prenotato la signorina prova a convincerci a cambiare barca e a salire su un megabarcone a motore iperveloce e con la musica unz-unz a tutto volume. Orrore! Noi ci dimostriamo irremovibili. O la barca a vela o vogliamo i soldi indietro. E vela fu. Per farla breve, noi siamo gli unici 3 passeggeri che hanno prenotato questo tour per oggi, e abbiamo la barca e l’equipaggio tutti per noi. Molliamo gli ormeggi verso le 9,20 e con randa, tormentina e motore al minimo facciamo rotta per Nusa Lembongan con un bel vento e qualche nuvola che dipinge sul mare strisce d’argento. I ragazzi dell’equipaggio sono simpatici, uno di loro, soprannominato dagli altri Uàio (lupo) si appiccica alla Grazia, stregato dai suoi capelli biondi, gi suoi occhi azzurri e la sua simpatia. Fra un caffè, un muffin, una foto e lazzi vari, in circa 3 ore siamo a Lembongan. E’ un’isoletta splendida, con spiaggette di sabbia bianchissima, scogliere, fondali pieni di corallo e breaks per il surf. L’atmosfera è rilassata, sull’isola ci sono 2 automobili in tutto e pochi motorini. I resort, alcuni dei quali molto eleganti, non sono sbarrati ai visitatori, così curiosiamo qua e là e ci facciamo l’idea che quest’isola sia un posto ideale per coppie in luna di miele o ragazzi (e non) amanti del surf. Facciamo snorkeling, un giretto in kayak e due passi nel minuscolo paese, dove l’attività principale, oltre al turismo, sembra quello dell’essiccazione delle alghe. Alle 14,30 puntualissimi veniamo recuperati da una barchetta (non esiste un molo d’ormeggio sull’isola) che ci riporta alla nostra barca. Salutiamo con un filo di malinconia quest’isoletta splendida, ma ci consoliamo presto con una bella veleggiata senza motore fino al porto di Benoa. Che bello pisolare col rumore del vento, le onde, la musica e le chiacchiere fra amici… Al momento dei saluti con l’equipaggio ci prende un groppo alla gola perché ci rendiamo conto che il viaggio volge al termine. Torniamo al resort, sistemiamo i bagagli e usciamo per cenare e per fare gli ultimi acquisti.

24 giugno

Una deliziosa colazione a base di frutta tropicale, brioches calde, toast con burro e marmellata, the al gelsomino e latte è quello che ci vuole per cominciare una lunga giornata di viaggio. Un po’ di sole e un ultimo tuffo in piscina per non perderci neanche un minuto di vacanza e alle 10,30 viene a prenderci l’autista che ci accompagnerà all’aeroporto di Denpasar. Ciao Bali!



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