Sinai in libertà di seconda parte

Da El Tarabin (Nuweiba) a Santa Caterina. La strada per S.C. È molto bella, offre scorci molto suggestivi, uno dei quali, forse il più bello, è dato dalla splendida terrazza naturale che si apre sul Wadi Gazala. E' impressionante. Si avvicina una bambina con due occhi di una dolcezza incredibile. Si siede accanto a noi senza dire nulla, ed...
Scritto da: Fiorenzo Poli
sinai in libertà di seconda parte
Partenza il: 02/03/2002
Ritorno il: 10/03/2002
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Da El Tarabin (Nuweiba) a Santa Caterina.

La strada per S.C. È molto bella, offre scorci molto suggestivi, uno dei quali, forse il più bello, è dato dalla splendida terrazza naturale che si apre sul Wadi Gazala. E’ impressionante. Si avvicina una bambina con due occhi di una dolcezza incredibile. Si siede accanto a noi senza dire nulla, ed insieme a noi rimane ad ammirare, in silenzio, quello splendido panorama, come se, anche lei, non lo avesse mai visto.

Riprendiamo il viaggio, per fermarci, dopo qualche chilometro, in prossimità di un luogo che sulla nostra cartina è identificato come Observation Point. Mi guardo intorno, non c’è nessuno. Abbasso lo sgardo per controllare meglio la piantina, lo rialzo e mi trovo circondato da una famigliola beduina. Superata in fretta la sorpresa, ne approfittiamo, per chiedere informazioni. Non ci intendiamo, ma in realtà è il capofamiglia che ci invita a visitare, per pochi dollari (comunque trattabili), un luogo, non segnalato, che si trova a pochi chilometri di distanza. Guardo Clementina, lei guarda me, oramai basta uno sguardo per capirci, per capire, che forse era una buona occasione per un fuori programma. Prendiamo posto sul cassone del suo Pick Up, e già dopo pochi chilometri capiamo che la scelta era stata giusta; l’ auto precede adagio tra pareti di roccia piene di stupende pitture rupestri. E non è tutto. Di colpo ci fermiamo, Abdul (lo chiamerò cosi, in quanto non ricordo il suo nome) scende e ci fa cenno di seguirlo. Inforco il mio inseparabile zaino, Abdul mi consiglia di lasciarlo. Perchè?. Faccio finta di non sentire e lo porto con me. Camminiamo per circa mezz’ora in mezzo ad un paesaggio desertico da brividi, da quanto è bello, fino a quando le pareti di roccia non cominciano a stringersi in un canyon strettissimo. Ora capisco perchè Abdul mi aveva consigliato di lasciare lo zaino sull’auto. E io che avevo subito pensato male. Comunque addesso sono cavoli miei. Si passa a stento tra pareti liscie, levigate dalle acque, che in un passato, non so quanto remoto, scorrevano tra quelle pareti. Abdul, dai nostri occhi, capisce di avere fatto centro, e ne è altrettanto contento. Continuo a ripetergli: è bellissimo.

Al ritorno, ci invita per il classico te, all’interno della sua tenda, dove ci attende tutta la famiglia. Ne usciamo con l’ennesima collanina. Ci vuole ancora circa un’ora per salutarli definitivamente, in quanto la Polo, insabbiata, sembra non farcela.Poi con l’aiuto e l’allegria di tutta la famiglia, bambini compresi, riusciamo a ripartire.

Prima di raggiungere il Convento di S. Caterina, ci fermiamo nel villaggio per fare provvista di acqua e di cibo: è nostra intenzione passare la notte sul monte. Lasciamo l’auto in un parcheggio adiacente il convento, è giorno di chiusura e non c’è nessuno. Prepariamo gli zaini con sacchi a pelo e quantaltro ci potrà servire per la notte. Ci incamminiamo. Veniamo subito circondati dai cammellieri, che ci invitano a farcela a dorso di cammello; gli zaini pesano, la salita è lunga, cosi decidiamo di prenderne uno per portare, per l’appunto, gli zaini. In realtà dopo qualche centinaio di metri, anche Clementina è, con “loro”, sul dromedario.

La salita si snoda su di un largo e comodo sentiero, ed a poco a poco il panorama che si apre sotto di noi si fa splendido. Ma la pacchia, per Clementina, finisce a qualche centinaio di metri dalla vetta, la parte sicuramente più dura. In prossimità della cima, in uno dei tanti capanni che costeggiano il sentiero, noleggiamo alcune coperte e ci informiamo se sanno di altre persone intenzionate a passare la notte all’addiaccio come noi. Sembra di si. In cima, infatti, vi sono, per il vero, pochi ragazzi, insieme ad alcuni locali che dall’inerno dei lori capanni vendono bevande calde. La compagnia per la sera, sembra comunque assicurata. Potrei cercare di descrivere il tramonto, ma sicuramante non renderei giustizia a tanta bellezza. Sorpresa. Cosi come cala il sole, anche tutti i presenti, ad uno ad uno, calano a valle, adducendo che è da pazzi passare la notte all’aperto in questa stagione. Siamo soli, noi e quattro ragazzi egiziani, che dormono in un paio di capanne.

Prendiamo posto sul tetto dell’unica, credo, capanna in sassi, con lo sguardo già rivolto a est, in attesa dell’alba. Comincia però a fare freddo, e cosi bussiamo(si fa per dire) alla capanna dalla quale sentiamo arrivare voci e musica. Siamo accolti come ospiti d’onore e la serata trascorre piacevolissima in loro compagnia, scherzando, ascoltando musica e cercando una difficile conversazione (difficile per me che parlo malissimo l’inglese) sui temi più disparati, dai viaggi all’Italia, all’11 Settembre. Ce ne andiamo a dormire verso mezzanotte, fa un freddo cane, ma tra uno strato di coperte e sacchi a pelo l’affrontiamo, con lo sguardo rivolto a milioni di stelle che sembrano più vicime che mai. Riusciamo anche ad addormentarci. Per poco però, perchè già verso le quattro, cominciano ad arrivare i primi gruppi, saliti fin quassù per ammirare l’alba. Per l’alba vale quanto detto per il tramonto: indescrivibile.

Scendiamo, insieme ad altri ragazzi conusciuti quella mattina e non prima di avere nuovamente ringraziato gli amici egiziani.

Non riusciamo a visitare il convento, oggi è aperto, e la fila per entrare è chilometrica. Peccato ci tenavamo, ma le file di turisti no, quelle proprio non le affrontiamo. Riprendiamo in direzione di El Tur, con sosta al Wadi Feiran. All’ennesimo posto di blocco, dopo i rituali controlli, il comandante si avvicina e ci chiede di dare un passaggio ad un suo amico poliziotto fino a El Tur. Provo a dire che non mi sembra il caso, in quanto il viaggio è lungo e la nostra intenzione è di fermarci più volte lungo il percorso. Non ci sono ragioni. L’ospite, ha già preso posizione sull’auto. Come volevasi dimostrare, è un rompicoglioni, brontola perchè ci fermiamo troppe volte, vuole lui fermarsi dove vuole, ha fame, ha sete, vuole pisciare fino a quando Clementina, notoriamente calmissima, si incazza di brutto e lui decide di scendere. Anche perchè siamo già prossimità di El Tur. In precedenza, avevamo già dato, per nostra scelta, passaggi ad egiziani, ma è quando ti viene imposto che fai fatica ad accettarlo. Comunque puntiamo su Ras Mohammed, ed il poliziotto con cicatrice alla Jak lo Squartatore è già un ricordo.

Ci immergiamo nelle acque, un pò più calde, del parco. Lo spettacolo sottomarino è fantastico, come del resto anche l’ambiente esterno. Giriamo per le strade e le spiagge del parco, fino al tramonto, fino a quando un paio di guardiani ci chiedono un passaggio fino all’uscita; sono simpaticissimi, ed insieme a loro ce ne andiamo verso Sharm, dove passiamo l’ultima notte.

Troviamo un hotel vicino a quello dove abbiamo passato le due prime notti, è più bello e costa anche meno.

La mattina seguente, l’ultima in quanto la sera ci aspetta il rientro in Italia, decidiamo di visitare una delle più belle spiagge di Sharm. E’ incredibilmente piena di lettini e di persone(quasi tutti italiani) che si accalcano gli uni su gli altri. Non sto esagerando. Non ho mai visto na roba cosi, nenache a Rimini d’Agosto. Ve lo assicuro.

Naturalmente non ci fermiamo, ed a piedi raggiungiamo una splendida spiaggetta dove passiamo, soli, l’ultima giornata, alternando sole e mare. E’ oramai sera, stiamo per lasciare la spiaggia, quando un gruppo di ragazzi, saranno stati una decina, pur rimanendo distanti, mi chiamano, invitandomi ad avvicinarmi a loro. Lo faccio, mentre Clementina, un pò in apprensione rimane dov’è. Uno di loro protende verso di me il palmo della mano, piena di piccole conchiglie, che dice di avere raccolto appositamente per noi e di volerle donare a mia moglie. Rimango sinceramnte di stucco. La semplicità di quel gesto mi ha scioccato. Lo invito a farlo personalmente, ed è solo in quel momento che anche gli altri trovano il coraggio di avvicinarci. Clementina accetta, commossa, quel semplice dono. Seguono momenti di grande allegria e poi quasi improvvisamente, cosi come erano arrivati, se ne vanno.

Ritorniamo in Italia, con questo splendido, ultimo, ricordo.

———————————————————– Io non so quali siano le vie della pace; credo comunque che non passino attraverso una guerra. Vorrei che tutti i viaggiatori, potessero regalare i loro ricordi , i loro pensieri, gli sguardi di tutte le genti incontrate, durante i loro viaggi, come piccolo contributo, a sostegno di tutto ciò che, colpevolmente, stiamo perdendo.

Fiorenzo e Clementina.



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