Sicilia, San Vito Lo Capo
ore 10.30 eccoci in aeroporto a Caselle – Torino. Finalmente si parte! L’aereo per Palermo spiccherà il volo alle 11.30. Federico, Leonardo e Adelaide (rispettivamente 5 e mezzo, 5 e mezzo e 7 anni) sono emozionantissimi, le mamme Francesca e Cecilia anche. I mariti sono preoccupati, un po’ invidiosi e parecchio gelosi, visto che rimarranno a Torino a lavorare mentre figli e mogli se la spasseranno a San Vito Lo Capo. Mio marito ci ha provato fino all’ultimo (e quando dico fino all’ultimo intendo in tangenziale mentre mi accompagnava all’aereoporto, fino a pochi attimi prima) a farmi cambiare idea, o perlomeno a insinuarmi nell’animo un angoscioso senso di colpa. Le motivazione addotte spaziavano dalle economiche (spendete troppo, abbiamo un mutuo sulla casa!), alle emotive (ecco, mi lasci solo a Torino e non vedo mio figlio per 2 settimane) a questioni di sicurezza (due donne sole con bambini in Sicilia!), alle minacce velate (non so se quando torni mi trovi…), per arrivare alle minacce dirette (al ritorno ci separiamo) e agli insulti (sei una moglie degenerata e ingrata). Devo ammettere lo scarsissimo risultato di tutto ciò. Primo, in 10 anni di matrimonio mi sono fatta furba e mi sono anestetizzata dai sensi di colpa. Secondo, il volo è prenotato dal mese di febbraio e l’hotel da fine marzo ed ho già pagato una cospicua anticipazione tramite bonifico. Terzo, è da 4 mesi che rimpinzo di vitamina c e uncaria mio figlio per innalzargli le difese immunitarie e incrocio le dita affinché non si verifichino le 1.000 variabili in gioco che possono impedire la partenza. Arriviamo a Palermo Punta Raisi con 5 minuti di anticipo. Ad attenderci fuori dall’aereoporto c’è già il taxi della Sicil Driver, prenotato da Torino per 20 euro a testa (ma ho strappato un bimbo gratis) che ci porta fin sotto l’hotel b&b Auralba a San Vito Lo Capo.
I circa 100 km di percorso sono un tripudio di luce, colori, profumi, sole caldo e mare blu intenso sotto un cielo di un azzurro così vivo che in trenta secondi netti mi cancellano dalla memoria le nuvole basse e spesse che incombono da marzo su Torino, alternando la pioggerellina smoggosa a quella bassa pressione che ti uccide… Ironia della sorte l’autista è un ragazzo siciliano gentile e abbronzantissimo, che mi racconta di essere in attesa di una chiamata dalla società dei trasporti tranviari di Torino per un colloquio perchè vorrebbe vivere in una città “vera” e trascorrere solo le vacanze nella sua Sicilia. Sta lavorando saltuariamente come autista da anni ma solo per i mesi estivi e sembra impossibile avere un lavoro fisso e ben retribuito qui, mentre lo zio, i cugini, etc sono tutti ben sistemati al nord.
L’ingresso a San Vito è anticipato dallo spettacolo di una roccia montuosa che si staglia sul blu intenso del mare, Egittarso o Egitale, che qui chiamano “le 2 monache che si baciano”. In effetti noto con sorpresa che, proseguendo verso il paese, la roccia si scinde in due parti che paiono due figure velate nell’atto di chinarsi una verso l’altra e con un po’ di fantasia sembra di vedere persino le mani congiunte nell’atto di una preghiera. Il b&b è bello, supera le aspettative e l’unica foto presente sul sito non gli dà giustizia.
Devo riconoscere che la motivazione della scelta è stata condizionata solo dal prezzo abbastanza contenuto e dalla gentilezza al telefono del responsabile, era plausibile quindi qualche timore.
Il piccolo hotel si trova al fondo del paese, vicino al piccolo porto ma non è sul mare. E’ situato a ridosso della collina rocciosa, dopo una salita che ti toglie il fiato. Dietro non c’è che un bosco di pini marittimi profumatissimi e dalla terrazza si gode di una splendida vista sul mare, oltre i tetti della piccole case allineate al di sotto. Più di una volta, stupiti e divertiti, Federico ed io abbiamo assistito dal balcone della nostra camera al passaggio delle caprette che si fermavano solo un attimo a darci una occhiata furtiva e curiosa per riprendere subito i loro salti incredibili e sparire nel bosco.
In ogni caso, il paese offre innumerevoli soluzioni per il soggiorno, dai b&b a poco prezzo (anche 20 euro a notte) gestiti dalla gente cordiale del posto, agli hotel a 4 stelle. Non conviene però trovare una soluzione a pensione completa, si comprende dopo il perché.
Dalla terrazza ci godiamo la vista del mare e del paesaggio. Tutto il paese è composto di piccole casette, come se fosse costruito con i mattoncini del lego. Tutte bianche, tutte quadrate, quasi tutte senza balconi e con i tetti piatti. Hanno un che di arabeggiante ma a ben guardare ricordano anche le piccole abitazioni delle isole greche.
Alle 16 e 30 siamo già in costume, cappello e crema protettiva n. 30 nella spiaggia convenzionata con il b&b, a10 minuti di distanza a piedi, 8 euro il costo di ombrellone e lettino. Alle 16.35 siamo in acqua. Gelida! Inoltre un venticello fresco, direi quasi freddo, non ci invoglia a rimanere a lungo a mollo. Il mare è azzurro trasparente e pulito, la spiaggia è di sabbia bianca e spaziosa e pur essendo un sabato pomeriggio di metà giugno, non è gremita come in Liguria. Ci accorgiamo che i turisti sono soprattutto belle coppie di giovani e famiglie di Palermo. Scoprirò poi che San Vito è una nota località turistica soprattutto per i Palermitani che hanno acquistato casa qui o si recano in paese per il week-end. I Trapanesi invece hanno le loro residenze estive di preferenza a Favignana. Le ragazze palermitane o del posto sono appariscenti, alte, more con capelli lunghissimi e curati, hanno fisici mozzafiato e spesso occhi verdi e azzurri. Anche i ragazzi sono atletici e molto alti ma le ragazze siciliane sono davvero belle, per intenderci, sul tipo della Cucinotta. Penso a quando la seconda settimana mi raggiungerà mio marito, come da accordi, devo preparami in tempo psicologicamente.
La sera, dopo una doccia veloce, riusciamo anche a fare un giro veloce in paese. Via Savoia è la via principale che è anche pedonale e qui si affacciano ristoranti, gastronomie, cremerie e negozi aperti fino a tardi la sera. Sulla via si trova anche il Santuario di San Vito Martire, risalente al XVI sec. Imponente e maestoso, ha le sembianze di un castello medioevale. E’ possibile visitarlo anche nelle ore serali.
La via è addobbata con luci colorate e palloncini, si festeggia infatti in questi giorni il patrono della città, San Vito appunto e avremo la fortunata sorpresa di assistere alla sfilata di coloratissimi carretti siciliani, allo sbarco notturno del santo e ai fuochi d’artificio in posizione privilegiata, dal terrazzo del nostro b&b.
Decidiamo di fermarci a cenare allo Stagnone, una gastronomia in una via secondaria del paese. Il posto è semplice e l’arredamento lascia un po’ a desiderare ma la qualità del cibo è ottima, la cucina casalinga e i gestori gentili, inoltre i prezzi sono modici (riusciamo a mangiare antipasti, primi e secondi con 60 euro in 5, compresi due dolci e bevande per tutti). Sarà il nostro posto fisso per tutta la vacanza. Tranne poche altre volte in cui abbiamo scelto di cenare con una pizza o abbiamo fatto una puntata in altri ristorantini più chic nel centro pedonale, siamo ritornati sempre allo Stagnone sia a pranzo che a cena. Con tre microbi chiassosi e affamati di piatti semplici come la pasta al pomodoro fresco, cotolette impanate, tranci di pesce spada o capresi, non era conveniente scegliere ristoranti ricercati. Qui abbiamo fatto incetta delle famose panelle fritte fatte con la farina di ceci, di spettacolari macedonie e di un semifreddo di mandorle che ci serviva personalmente il cuoco.
Devo riconoscere che si mangiava bene ovunque, anche nelle semplici gastronomie del posto che offrivano tutte un’ampia scelta. La mia amica ed io ci siamo poste l’obiettivo di assaggiare ogni giorno una specialità diversa.
E’indimenticabile il gusto delle “busiate” (una pasta lunga di farina arrotolata su se stessa con una specie di ferro da calza) al nero di seppia con pinoli e pesce spada. Per non parlare delle profumate insalate di mare con il pesce fresco, delle insalate di polipo, sedano e patate, dei calamari ripieni di uvetta e pan pesto, delle melanzane fritte che si sciolgono in bocca, delle insalate di riso, degli arancini, che bontà, con il ripieno di ragù e piselli o di mozzarella di bufala e pomodoro, del cous cous freddo con il pesce. A proposito, abbiamo visto la scuola di cous cous, lo giuro. Scoprirò in seguito che a settembre si tiene a San Vito la festa internazionale del cous cous e in questa occasione i turisti affluiscono qui da tutto il mondo. Anche le semplice cipolle hanno un gusto diverso, i pomodori pachini sono così zuccherosi che sembra esca il sole da dentro quando li mastichi, la mozzarella e le olive sono speciali. Mio figlio di soli 5 anni e mezzo stava gustando una caprese accompagnata da pannelle, quando mi ha detto tutto serio”Quando torno a Torino, rompo il salvadanaio e mi compro la casa qui in Cicilia a San Vitolo lo Capolo (come diceva lui)”.
Per la cronaca: non c’è stato verso di farglielo dire bene il nome di sto paese! Tornando all’argomento che più mi sta a cuore, cioè il cibo, il paese è un tripudio di forni e di pasticcerie dalle vetrine coloratissime che fanno bella mostra di dolcetti e torte di ogni tipo, in particolare di ricotta e pasta di mandorle. Prevedete in ogni caso al termine della vacanza di mettervi a dieta… Nei giorni successivi abbiamo fatto un’escursione in barca lungo la costa Gaia per vedere dal mare il Parco Naturale dello Zingaro e Scopello e un’altra gita in barca alle isole Egadi: Marittimo, Favignana e Levanzo. Attenzione alla scelta dell’associazione per l’organizzazione delle gite in barca. Per risparmiare pochi euri abbiamo rischiato un naufragio nell’arcipelago delle Egadi su una bagnarola dove tutto era fuori norma, dalle sedie di plastica che oscillavano sul ponte e ad ogni ondata si ribaltavano, rovesciando il malcapitato che sedeva sopra, alla presenza di un solo giubbotto salvagente, per di più rotto, con circa 50 persone a bordo, alla totale mancanza di appigli cui tenersi, pericolosa situazione soprattutto in caso di mare mosso, come è successo a noi… Dopo 7 ore di navigazione subite in condizioni precarie, i bimbi ci hanno detto chiaro e tondo che se avessimo organizzato ancora delle gite sarebbero venuti a patto che non fosse in barca! Nonostante la disavventura, le cale viste dal mare sono in ogni caso uno spettacolo indimenticabile, i colori dell’acqua spaziano dal verde smeraldo al blu di prussia. Lungo il tragitto siamo stati inseguiti da giganti gabbiani chiassosi e abbiamo addirittura navigato fianco a fianco con un branco di eleganti delfini che si divertivano a superarci. Tra loro persino una mamma con il piccolo si è avvicinata tanto alla nostra barca da farsi quasi toccare. L’isola di Marittimo è la più lontana da Trapani ed anche per questo è rimasta un vero paradiso naturale. Pittoresco il porticciolo, con le piccole barche coloratie dei pescatori adagiate su un’acqua a dir poco cristallina. Abbiamo circumnavigato l’isola per vedere le grotte preistoriche dove alcuni di noi hanno sfidato l’acqua gelida con un bagno veloce. Levanzo è la più piccola delle Egadi e non siamo scesi a terra. E’ stato un peccato, perché ho poi scoperto che si poteva visitare la cosiddetta Grotta del Genovese, che conserva graffiti preistorici. Consiglio però, per la visita in particolare di Favignana, di recarsi fino a Trapani in taxi o in bus e da qui prendere i velocissimi aliscafi che in circa 30 minuti ti recapitano sull’isola sano e salvo per una modica cifra. Sull’isola è possibile poi affittare i motorini oppure le biciclette, altrimenti è funzionale un sistema di navette che fa tappa nelle calette più belle, dove con tutta calma si può fare il bagno e prendere il sole. La seconda volta che ci siamo recati a Favignana, io, il mio bimbo, questa volta con il papà che ci aveva raggiunti per la seconda settimana di vacanza, abbiamo preferito questo sistema meno avventuroso. La nostra amica e i suoi simpatici bimbi sono purtroppo tornati nella triste e piovosa Torino e da lì ci telefonavano un po’ invidiosi della nostra vacanza che proseguiva soleggiata. Si sono consolati però con circa i tre chili di paste che si sono portati dietro. In questa seconda settimana ci siamo recati ben due volte alla riserva naturale dello Zingaro (rigorosamente via terra, con un’auto presa in affitto all’aereoporto di Palermo dall’efficiente maritino che non regge un’ora in spiaggia sotto il sole cocente ed ha quindi pensato bene di automunirsi per organizzare le gite). Lo Zingaro è uno dei luoghi più spettacolari che io abbia mai visto. Il suo litorale si estende per circa 8 chilometri di costa con tratti di roccia bianca a strapiombo sul mare e calette di pietre bianche e acque limpide. L’interno è montuoso, disseminato di rocce abbaglianti, dove dicono si sia nascosto il famoso bandito Giuliano. Lo Zingaro è rinomato anche per la vegetazione perché nella riserva vivono molte piante rare e tipiche come il fiordaliso di Sicilia e il limonio di Todaro, la palma nana, il timo spinosetto e cosa di cui vado particolarmente fiera, poiché porta il nome di mio nonno materno, originario di Caltagirone, l’Orchidea di Branciforti. Per quanto riguarda la fauna qui nidificano ben 39 specie di uccelli tra cui falchi, aquile, poiane e barbagianni. Abbiamo visitato la grotta dell’Uzzo, un vero monumento naturale, uno dei primi insediamenti preistorici della Sicilia. Nella riserva sono presenti inoltre il museo contadino, che mostra i principali strumenti utilizzati per la coltivazione e il museo del mare, con la spiegazione dettagliata e emozionante della “mattanza” la pesca dei tonni. Inoltre lungo i sentieri che portano alle cale sono esposte le poesie e gli scritti dei maggiori esponenti della letteratura europea che qui si sono recati in passato. Vi assicuro che è impressionante leggere una poesia di Neruda guardando il mare incorniciato da rigogliosi fichi d’india, con alle spalle un’intera famigliola di cinghiali, mamma, papà, nonna e nipoti, che ti osservano incuriositi.
Consiglio a chi desidera effettuare la gita, di scegliere le prime ore del mattino, perché dalle 12.00 alle 16.00 il sole picchia duro e di portarsi cibarie e beveraggi perché non c’è il miraggio di un baruccio. Noi siamo passati prima allo Stagnone e ci siamo riforniti di ogni leccornia… In questa seconda settimana abbiamo visitato anche Segesta, Trapani e Erice, alternado ad ogni visita, una giornata di mare. Purtroppo non siamo riusciti a visitare Mozia e mi rincresce molto.
Segesta è facilmente raggiungibile in auto. Lungo il percorso si alternano vigneti e campi secchi e più di una volta abbiamo visto in lontananza le fiamme alte agitarsi tra i campi oppure la terra bruciata da vecchi incendi. Segesta sorge sul monte Barbaro, a 10 km da Castellammare del Golfo. Sotto un sole cocente che non dà scampo abbiamo visitato il tempio in stile dorico e il teatro in parte scavato nella roccia. Non si conosce la data della fondazione ma risulta che la città fosse abitata dal IV sec. A.C. Secondo lo storico greco Tucidide Segesta fu fondata da Aceste, primo re troiano, figlio della nobile Egesta e del dio fluviale Crimiso. Passeggiando tra le rovine non mi sarei stupita di veder comparire gli dei o gli eroi che, arrivando dal Mar Mediterraneo, giunsero fino in Sicilia a fondare Segesta o Erice. Il luogo infatti ha un che di magico. Un altro giorno decidiamo di visitare Erice. Dopo aver lasciato l’auto al comodo parcheggio ai piedi del monte, è possibile prendere per pochi euri una moderna ovovia che in 20 minuti porta in cima. Secoli di storia e di mito rendono di grande fascino Erice. Qui Enea si fermò per rendere omaggio alla Dea Madre presso il castello di Venere. Greci, Romani, Arabi, Normanni e Spagnoli hanno lasciato il segno del loro passaggio inciso nelle pietre della città: La Chiesa Madre con lo splendido rosone gotico e la adiacente torre di re Federico II di Aragona, il Castello Normanno, San Giovanni Battista.
Superate le mura puniche, sembra di venire catapultati in pieno medioevo, nei vicoli rivestiti di acciottolato, nelle piccole piazze su cui si affacciano edifici curati, negozi con i pupi appesi alle vetrine e eleganti pasticcerie. Qui abbiamo preso una granita alle mandorle e una spremuta di arance, abbiamo curiosato nelle botteghe le colorate ceramiche siciliane, abbiamo passeggiato assaporando un tempo perduto, ricco dei segni della nostra storia e di magia. Al ritorno Trapani si svela a poco a poco dall’ovovia, distesa tra il monte Erice e il mare, sotto un cielo azzurro che di più non è possibile, allungata sonnacchiosa fino alle saline di Mozia, che si scorgevano in lontananza e le isole Egadi, che ormai riconoscevamo una per una. Scendendo il monte abbiamo scorto due coniglietti selvatici che si inseguivano correndo e che a un certo punto si sono fermati a guardarci con il musetto simpatico all’insù. Attraversare il centro storico di Trapani è come passare attraverso diverse epoche storiche. Ogni via, ogni angolo, presenta monumenti, palazzi e chiese di vari secoli. Siamo arrivati a Trapani verso le 20.00 e proprio quella sera si disputava la partita del campionato europei tra Italia e Spagna. La città era deserta. Abbiamo percorso il lungomare, costeggiato dai resti delle antiche mura della città, il centro storico pedonale, corso Vittorio Emanuele, via Garibaldi, il “salotto” della città, in un silenzio irreale. Dalle finestre delle case e dei palazzi ci accompagnava la luce intermittente delle televisioni dei trapanesi incollati davanti alla partita con il fiato sospeso. Temevamo ormai di rimanere a stomaco vuoto e di tornarcene tristemente a San Vito, quando improvvisamente in una piccola piazza vicino al porto vecchio abbiamo visto una pizzeria aperta. Non solo, il locale disponeva di un cortile all’aperto dove abbiamo mangiato ottimamente pizza, farinata e pollo arrosto con patate, guardando la partita davanti a una enorme televisione. Ironia della sorte i nostri vicini di tavolo erano una coppia di spagnoli che esultavano quando tutti gli altri imprecavano…E viceversa.
L’ultima sera a San Vito abbiamo impazzato: abbiamo affittato il risciò percorrendo il lungomare avanti e indietro e sgommando per le vie e le piazze, abbiamo fatto una notevole scorta di dolci di ogni forma e colore, abbiamo comprato fichi d’india di ceramica coloratissima e un vaso fatto a mano, tutto intagliato, che nel negozio ci piaceva un sacco e a casa esposto in libreria ci sembra un’urna funeraria, abbiamo portato Federico sui tappeti a saltare fino alla sfinimento, abbiamo mangiato nell’ordine: l’ultima panella, l’ultimo arancino, l’ultima granita ai gelsi e l’ultima granita alle mandorle con panna, l’ultimo gelato spettacolare e infine l’ultimo dolcetto fritto con dentro la ricotta e il cioccolato. Non paga, mi sono comprata un volume intitolato “Cucina Siciliana”.
Voglio per ultimo ricordare la cortesia, la solarità e la simpatia dei siciliani e lo faccio riportando due esempi: 1- la frase scritta a mano su un cartello esposto fuori da una gastronomia: “U cous cous lo cucinu io ma la rietta me la rietti mia zia Antonietta!” (scusate eventuali errori); 2 – il nome di un locale: “Il Cozzaro Nero”. Credo di aver reso l’idea… La mattina del giorno dopo, domenica 29 giugno eravamo sull’aereo da Palermo per Torino, con la valigia piena di regali, il cuore colmo di emozioni, tanti ricordi da riordinare nella memoria, 581 foto spettacolari, le lacrime agli occhi per la malinconia e… 4 kg in più.
Francesca, Luigi e il piccolo Federico