Siberia occidentale

Dopo un viaggio che ha incluso due giorni a Bruxelles e preceduto da un mese ad Anversa, arrivo giovedì tre luglio a Mosca, perdo due ore al controllo passaporti, e trovo Sergei, l’autista di MSF, che è venuto a prendermi. Mi porta in un appartamento in centro, carino e in ordine, ma l’ingresso e la scala condominiale sono stati puliti per...
siberia occidentale
Partenza il: 03/07/2003
Ritorno il: 15/10/2003
Dopo un viaggio che ha incluso due giorni a Bruxelles e preceduto da un mese ad Anversa, arrivo giovedì tre luglio a Mosca, perdo due ore al controllo passaporti, e trovo Sergei, l’autista di MSF, che è venuto a prendermi. Mi porta in un appartamento in centro, carino e in ordine, ma l’ingresso e la scala condominiale sono stati puliti per l’ultima volta nel 1962. Sogno una lunga doccia calda, ma di acqua calda non ce n’è. Cerco disperatamente un boiler, un rubinetto nascosto, che so, niente. Scoprirò più tardi che con l’eccezione di qualche condominio moderno di lusso, l’acqua calda manca in tutta Mosca, e nelle principali città russe, perché è centralizzata per quartiere, e in luglio la chiudono per tre settimane per pulire le tubature. Che gioia lavarsi con l’acqua fredda. Arrivano Olivier e Franck, due colleghi dell’ufficio MSF di Mosca, e mi portano in un ristorantino dove scopro l’ottima birra russa e mangio un arrosto con salsa di prugne. I giorni seguenti sono stati passati in ufficio, e il week-end Anna, la corrispondente de La Stampa mi ha fatto scoprire Mosca e dintorni, incluso il monastero di Nuova Gerusalemme. Lungo la strada vediamo una piramide in vetro resina con una folla che ci entra; si tratta di un furbacchione che l’ha costruita, ne vanta le proprietà taumaturgiche e vende acqua e gadgets.

Lunedì sera parto per Kemerovo, l’aereo è vecchio e stipato, l’attesa prima del decollo soffocante senza aerazione, ma poi il servizio a bordo buono, cibo pure e arrivo dopo un volo di quattro ore, e altre quattro di fuso orario, a Kemerovo. A prendermi c’è Fred, il logista, e mi portano nel mio appartamento. Una sana dormita, una doccia fredda, poi in ufficio. Arrivo mentre è in corso una riunione con tutto il personale, pare pochi giorni prima l’assistente di un collega abbia trovato uno scarafaggio nella minestra e, benché vari testimoni affermino si trattasse di una cipolla un po’ bruciata, lei si ostinava ad affermare che era una mancanza di rispetto contro di lei non prendere sul serio la sua lagnanza. La sera, tutti in un ristorante con un dehors. Oltre a Fred, c’è la sua fidanzata Ilse, medico, Yvon, laboratorista, Dominique, medico e responsabile regionale, Jean-Yves, sociologo, e Carlos, medico. Ho così passato alcuni giorni a Kemerovo, capoluogo regionale del “Kemerovo Oblast”. E’ una città abbastanza bella, tutto il centro è composto da viali alberati che si intersecano ad angolo retto con condomini di quattro piani che noi diremmo “fine ottocento” ma sono anni trenta. Ci sono teatri, cinema, negozi, mercati, supermercati, un fiume, gruppi di giovani in giro. Per la prima volta in vita mia ho fatto la sauna, che qui chiamano “bagna”, con tanto di spalmatura del corpo con miele e sale e frustate con frasche di quercia. Sto per conto mio in un appartamentino, e la vita sociale ha incluso anche un pub irlandese e la festa d’addio per Yvon in cui ho tentato di fare una carbonara. Yvon mi fa un “briefing” completo, e mi porta in giro per ospedali, dove mi presenta allo staff del laboratorio. Gli ospedali sono un disastro se confrontati con i nostri standard, e se ci sono servizi igienici in ordine è perché MSF è intervenuta. Il week-end arrivano i miei colleghi di Mariinsk, Silje, infermiera norvegese, Osman, medico sudanese e Isaias, medico etiope. Lunedì partiamo con loro e Fred per Novokuznesk, a sud, quasi tutta autostrada, paesaggio di campi coltivati verdissimi. Novokuznesk è meno bella di Kemerovo, ci sono più fabbriche e ciminiere, anche lì dormiamo in appartamentini in vecchi condomini, e la sera andiamo con dei colleghi dello staff locale a mangiare degli spiedini di maiale e agnello (“sashlick”) che sono la fine del mondo in un ristorante all’aria aperta. Tornando a casa, di fronte al teatro, veniamo fermati da un tizio che indica Isaias e gli dice che finora aveva visto i neri solo in televisione, era veramente affascinato. Aveva l’aria giovane, eppure ha detto che era appena uscito dopo quindici anni di prigione. Abbiamo anche incontrato un bambino di strada che voleva parlare. Grosso problema, i bambini senza famiglia. Il giorno dopo visito il laboratorio dell’ospedale della prigione, poi dopo un’ottima colazione preparata in ufficio ripartiamo per Kemerovo. Il giorno seguente, finalmente, Mariinsk! Dopo 150 km di strada tra campi e boschi, arriviamo in quello che sembra un grosso paese con casette sparpagliate, mucche e pecore. Mi piace subito. Mi presentano lo staff dell’ufficio, c’è Nastia (Anastasia), la mia assistente, ci sono Lena, Marina, Irina, e non ricordo gli altri nomi. Dopo il lavoro propongono di andare a cercar fragoline, non ne troviamo molte, ma la campagna intorno a Mariinsk è verdissima e tutta un fiore e finiamo la giornata con un bagno nel fiume. Poi finalmente andiamo a casa, io vivo con Silje, in una casetta con salotto e camere a pian terreno, cucina e bagno nell’interrato. Vicino a casa ci sono tre botteghe che vendono alimentari; per chiedere cosa voglio devo indicare la merce e dire “niet” e “da”. Giovedì arrivano Fred e Jean-Yves da Kemerovo, e Nicolas, il capomissione, con Olivier, e Marc Walsh, l’addetto stampa, da Mosca. Per l’occasione viene organizzata una gran festa con sashlick davanti all’ufficio, con il direttore della prigione come ospite d’onore. L’invito era per le otto, arrivo alle otto meno un quarto, ed erano già tutti a tavola. Mi fanno sedere di fianco al direttore, e sono obbligato a brindare alla russa, tracannando d’un fiato bicchierini di vodka. Con la scusa di far foto e vedere come si fanno gli spiedini, mi affretto ad allontanarmi. La festa è un gran successo, tra gli ospiti ci sono quattro tedeschi incontrati in paese che fanno Francoforte-Vladivostock in moto, e Jean-Yves insegnava ai russi a fumare il narghilè (ma si può? Si è portato dietro un narghilè e una scorta di tabacco profumato alla mela). Il mattino dopo continuiamo la riunione di lavoro iniziata il giorno prima, ma il gruppo di Mosca non stava in piedi a causa delle libagioni del giorno prima e del fuso orario. Venerdì pomeriggio, partenza per un week-end nella natura siberiana. Imbarchiamo armi e bagagli in un furgone, e con due pulmini raggiungiamo il villaggio di Makarakskii sulle rive del fiume Kia, e ci fermiamo mezzo chilometro più a valle, il furgone scarica la nostra roba, e se ne va coi pulmini. Montiamo il campo, comincia a piovere, e noi siamo tutti lì come pere, sotto la pioggia, senza riparo, cercando di arrangiarci con un telo di plastica tenuto su da due rami. La guida accende un fuoco, ci mette sopra un secchio pieno d’acqua, peliamo patate, le mettiamo nel secchio, e poco a poco prende forma una minestra alla quale viene aggiunta pasta, e il contenuto di scatolette di pesce e di maiale. Sembra strano, ma era abbastanza buona. Per mangiarla, siccome non avevamo ne piatti ne scodelle, abbiamo usato le scatolette vuote o i cartoni di succo di frutta tagliati. Più tardi viene acceso un secondo fuoco un po’ più in là, si canta, si beve, alcuni colleghi si ubriacano abominevolmente, giochiamo al gioco del palloncino (bisogna tenerlo fra le ginocchia e farlo risalire fino al collo), poi li saluto e vado a dormire, l’interno della tenda è asciutto e il sacco a pelo pure, e dormo come un sasso. Mi sveglio tra i primi, è tutto fradicio fuori, la guida cerca di accendere un fuoco con la legna bagnata, ci riesce pure, e riesco a bermi un caffè caldo. Dopo lunghi preparativi, smontiamo il campo, montiamo gli zatteroni, ma io sono in un canotto per due con Nicolas, che purtroppo si è ubriacato brindando con un pescatore russo che sembrava una montagna di muscoli e che voleva a tutti i costi sgonfiare il canotto perché secondo lui avrebbe tenuto l’acqua meglio. Il fiume è un incanto: ha smesso di piovere, c’è il sole, fa caldo, l’acqua è limpidissima, e si passa tra colline e montagne coperte da foresta lussureggiante. Ci sono aquile e altri uccelli, e gli unici rumori che si sentono sono i loro canti, oltre al fruscio del vento e dell’acqua, e le urla di Olivier che si diverte ad apostrofare Marc che ha ancora i postumi della sbornia: “WALSH! WALSH!”. Non ci sono mai vere rapide, ma solo alcuni punti in cui l’acqua è un po’ movimentata. Facciamo alcune soste per fare il bagno, e ci fermiamo vicino ad una cascata. Sarebbe tutto paradisiaco non fosse per i tafani estremamente aggressivi. Alle otto di sera siamo ancora lì che pagaiamo, il cielo si copre e ricomincia a piovere. Finalmente, sono le nove, troviamo un posto adatto per passare la notte, c’è persino una sorgente. Montiamo le tende, per fortuna smette di piovere, facciamo un fuoco, cuciniamo di nuovo la stessa sbobba e la mangiamo allo stesso modo, per fortuna stasera nessuno si ubriaca, il giradischi è sempre (per fortuna) rotto, deve aver sofferto dell’umidità, io purtroppo sono molto umido perché l’acqua è entrata nel mio zaino, ma tenda e sacco a pelo sono asciutti e dormo di nuovo benissimo. Il mattino dopo sono il primo sveglio, e provo ad accendere il fuoco. Ci riesco con l’aiuto di Natalia, l’organizzatrice del week-end, e presto mi ristoro con un caffè caldo. E’ incredibile quanto il nescafé con il latte condensato, che normalmente considererei una schifezza, sia buono in questi frangenti! Ripartiamo, questa volta Nicolas è in piena forma, e dopo una navigazione in un paesaggio sempre bellissimo arriviamo alla fine della gita, smontiamo gli zatteroni, furgone e pulmini ci vengono a prendere, e ci portano lì vicino al villaggio di Chumsai dove vive la madre di Natalia. Un vero e proprio banchetto è organizzato in nostro onore: in una vecchia casetta in legno, senza acqua corrente ma con la pompa in cucina, c’è una tavola imbandita con un piatto incredibilmente buono a base di agnello (pecora? montone?) “ucciso il mattino stesso” e dei pelmeni, ravioli russi. Poi visitiamo l’orto, che è un vero e proprio campo che produce sufficienti patate per la famiglia per tutto l’inverno; ci sono anche carote, barbabietole, cetrioli, pomodori; e pure maiali e galline. Il padrone di casa è molto simpatico, e per chiamare Isaias, grida “Africa! Africa!” e poi gli regala una statuetta in legno rappresentante un orso. Finalmente torniamo a casa, cotti, stanchi, bruciati, doloranti e punti, ma felici. Non prima, però, di essere andati all’altra casa, dove vivono Isaias e Osman e portato a passeggiare Taiga, un enorme, bellissimo, simpaticissimo pastore caucasico che purtroppo dovrà essere dato via perché pochi giorni fa era riuscito a uscire e in un raptus di follia omicida aveva ucciso dodici galline nel recinto dei vicini, e pare non sia la prima volta che succeda.

Adesso al lavoro, per ora tranquillo finché le autorità penitenziarie (il “GUIN”) non ci autorizzano di nuovo ad entrare nelle prigioni. Il problema è dovuto ad una differenza di opinione tra MSF (che non fa altro che seguire i protocolli medici moderni e le raccomandazioni dell’OMS) e il ministero russo della sanità su come si cura la tubercolosi. Ieri sera ho cucinato per tutti, pasta con salsiccia, pollo e cipolla e insalata di pomodori con uova sode e formaggio, mi hanno tutti fatto i complimenti.

Una settimana dopo la memorabile ed epica escursione in zatterone sul fiume Kia di cui vi ho raccontato, lo staff dell’ufficio ha organizzato un weekend di campeggio in riva ad un lago. Questa volta sono venuti in tanti, alcuni che non c’erano la volta scorsa, come Irina e Natasha, le cuoche donne delle pulizie, Luda (Ludmilla), la nostra amministratrice, e Lena (Elena), la logista. Pioveva da due giorni, ci è venuto qualche dubbio, siamo partiti lo stesso che aveva smesso, dopo un paio d’ore arriviamo, ricomincia a piovere, ci sistemiamo sotto gli alberi vicino alla riva, piove, continua a piovere, montiamo le tende sotto la pioggia, stendiamo un telo tra i due pulmini, improvvisiamo una zona pasto li sotto, riusciamo ad accendere un fuoco, continua a piovere, i miei piedi sono bagnati, ho freddo, Luda mi da della vodka, insiste che bisogna brindare per non prender freddo, poi andiamo tutti a cantare intorno al fuoco, sempre ovviamente sotto la pioggia battente, manca Luda che nel tentativo di far bere me si ubriaca lei, alla fine vado a dormire, mi infilo in una vecchissima tenda di un solo telo di cotone che ho teso tra due alberi perché mancavano i paletti, è complicatissimo entrarci, c’è dentro Irina che mi accoglie con un urlo dicendomi soprattutto di non toccare le pareti sennò entra dentro l’acqua, arriva anche Fred, io cerco di dormire con sotto di me un buco e la radice di un albero, uscire di notte per un bisognino è non solo un impresa ma anche gradevolissimo sotto la pioggia, al mattino continua a piovere, andiamo a mendicare il fuoco di altri campeggiatori per dell’acqua calda (ma come fanno i russi ad accendere un fuoco con tutto fradicio?), e siccome continua imperterrito a piovere, decidiamo di tornare a Mariinsk, dove passiamo un weekend pigro tra mangiate, fumate di narghilé, e passeggiate con Taiga.

La vita a Mariinsk è proseguita tranquilla e un po’ sonnacchiosa, è tornato il bel tempo con un gran solleone. Ho trovato nella cantina dell’ufficio due vecchie biciclette mezze rotte e coperte di ragnatele, me ne sono occupato, e tra le mie manine e il gommista nostro vicino abbiamo due belle biciclette funzionanti, e ne uso una quasi tutti i giorni per andare in ufficio. Ogni tanto invito un po’ di colleghi a casa a mangiare, e procurarsi gli ingredienti per cucinare ciò che vorrei non è sempre facile. Ci sono negozietti ovunque, dove si trovano cose come pasta di cattiva qualità, sale, zucchero, uova, birre, pesce in scatola, salumi vari non molto buoni, pesce affumicato, latte solo a volte, succhi di frutta, poca roba fresca (cipolle, pomodori, banane). Poi ci sono chioschi che vendono pane. Ma il sabato e la domenica c’è un grande mercato, abbastanza bello, dove si trova carne fresca, ogni genere di verdura, vestiti, roba per la casa. E’ abbastanza lontano, e ci andiamo coi pulmini pubblici che passano assai di frequente. Adesso purtroppo la stagione è finita, ma fino a poco fa vendevano mirtilli e lamponi fenomenali, con rischio però di schiacciatura nello zaino con conseguente succo rosso o blu che ti cola sui calzoni. A parte le mangiate, ci riuniamo pure per vedere delle videocassette, e sono serate languide che se è di passaggio Jean-Yves, il nostro psicologo basato a Kemerovo, vengono completate dal Narghilé.

Per quanto ne sappiamo, a Mariinsk c’è un unico locale, “Il Caffè”. Si tratta di un bar – ristorante – sala da ballo, si entra in un orrido palazzo di quattro piani, e dietro la scala condominiale pulciosa, c’è una porticina per la quale si passa in questa sala rettangolare, decorata da pannelli di legno scolpiti, con dei tavoli sui lati, un grande bancone bar con sopra un’insegna luminosa della Marlboro, e una bella ragazza che serve. Si può bere e mangiare, e mi sono rifocillato con una stupenda foglia di cavolo farcita di riso e carne. Con una birra, mi è costata ben tre euro. Isaias, il mio collega etiope, fa come al solito sensazione, e le ragazze si alzano dai tavoli per invitarlo a ballare. Una di loro era lì con le sue amiche, tutte molto scure di pelle con l’aria da belle beduine, le credevo kazache o uzbeche, invece pare siano zingare siberiane.

Un pomeriggio siamo stati tutti invitati a una festa alla colonia penale (leggi gulag) per il pensionamento di due infermiere veterane della prigione. Dapprima in una specie di sala polifunzionale per dei discorsi e un concerto tenuto dall’orchestra dei detenuti, poi tutti dietro il penitenziario per una mangiata, balli e libagioni. Io che ero dovuto tornare in ufficio, ci vado a piedi da solo, e mi perdo tra i maiali. Finalmente trovo il posto, c’è un tavolo lungo lungo stretto stretto riparato da un tetto che fa pensare a un ponte coperto come quello di Lucerna, con sopra ogni ben di Dio. Mi fanno posto a un’estremità, subito un medico mi riempie il bicchiere di vodka e vuole brindare. Ho dovuto stare estremamente attento a non incrociare sguardi, sennò sbornia assicurata. Poi hanno tirato fuori la musica, e tutti a ballare sotto al sole. Un infermiera un po’ brilla e dall’aria arrapata ha adocchiato Isaias e ballava scatenata in maniera provocante davanti a lui tirandosi su la gonna. A me è venuta per invitarmi a ballare una ragazza biondissima, bianchissima e con le labbra rossissime; ho ballato con lei ma non mi ha ispirato altre idee. Tornato a tavola, sono stato concupito da una delle due infermiere che andavano in pensione, e c’è mancato poco che mi divorasse crudo. Immaginate la scena: una vecchia, brutta, con tutti i denti d’oro, ubriaca, mai vista prima, che ha voluto mangiare un cetriolo insieme a me dalle due estremità, e alla mia spiegazione sull’odio dei cetrioli lo ha voluto fare con una polpetta. Sono riuscito a scappare non prima che mi schioccasse un bacio sulle labbra, e ho trovato Isaias che non apprezzando troppo neppure lui l’atmosfera eccessivamente caliente, è stato contento di andare via con me.

Mi sono recato altre due volte a Novokuznesk, nome che significa qualcosa come “nuova fucina”. E’ un importante centro minerario e siderurgico, e le ciminiere che emettono nell’atmosfera grandi volute di fumo bianco, nero e rosso ce lo ricordano bisogno ci fosse. L’appartamento dove dormiamo è in Viale della Metallurgia. Nel laboratorio dell’ospedale della colonia penale tutto quello che c’è, o quasi, è stato fornito da MSF. Cominciamo ad essere seccati, l’economia in Russia e nella regione si sta lentamente raddrizzando, possibile che non siano in grado di comperare niente? In laboratorio gli mostro un’incubatrice, vecchia ma in ordine, e dico: “ecco, quella non ve la abbiamo fornita noi”. Risposta: “risale all’epoca sovietica”. Allora gli chiedo: “ma non c’è proprio niente che possiate fornire voi?” E mi indicano gli sgabelli, fabbricati dai carcerati nella falegnameria della prigione… Comunque Novokuznesk, a parte la puzza vicino alle fonderie, è una città abbastanza gradevole, ci sono pure lì vecchi condomini in pietra, certi hanno balconi verandati con colonne, e c’è un bel fiume. Ma l’insieme è meno omogeneo che a Kemerovo, dove tra l’altro sono finalmente riuscito a passare un sabato sera mangiando sashlick sul lungofiume, c’è un atmosfera piacevolissima, la birra è fresca, il ballo all’aperto e il luna park subito dietro danno la musica, la luna si riflette sull’acqua, e passano belle ragazze in minigonna. Non so ancora com’è la Siberia in inverno, ma d’estate è proprio un piacere. Anche Mariinsk nelle lunghe serate estive è sbrodolosa. Una sera che Fred era di passaggio, abbiamo fatto una lunga passeggiata da casa fino al centro, passando per delle vie interne. La maggior parte delle case è in tronchi di legno, quello che gli americani chiamano “log cabin”, in pino o abete, con le finestre in betulla scolpita dipinte di blu. Davanti alle case oltre a cani, ci sono capre, pecore, e tante oche. Ogni tanto passano dei cavalli, spesso con un piccolo, apparentemente senza padrone. Ci siamo fermati a fare le feste ad una capra che si comportava con noi come un cane. Io spingevo una bicicletta, e quando Irina l’ha provata si è staccata la catena. Sono intervenuti due signori, che l’hanno smontata e rimontata tutta, e non hanno voluto niente. Mentre lavoravano, ho osservato un gruppo di oche, che animali affascinanti che sono! Siamo finalmente arrivati in centro, e c’è un negozio con la birra alla spina, ne comperiamo qualche bicchiere più due bottiglie di spumante, e ci sistemiamo sulle panchine dei giardinetti. Fred, Nastia e Irina bevono troppo, e hanno cominciato a fare una battaglia con l’acqua di una pozzanghera. Marina e io li abbiamo trattati di “svinià”, cioè maiali.

Ilse, dottoressa belga del progetto tubercolosi nella società civile a Kemerovo, se ne va, e siccome non aveva potuto partecipare alla prima discesa del fiume, ne abbiamo organizzata un’altra due settimane fa. Questa volta eravamo solo in sei, Ilse, Silje, l’infermiera norvegese, Jean-Yves, Nastia e Marina, due nostre assistenti, più Oleg, la guida. Riusciamo a sistemarci tutti con i bagagli, le provviste e gli zatteroni nella vecchia Land-Cruiser, e partiamo alla volta del fiume, in un punto più a monte dell’altra volta. Dopo quasi tre ore di guida, quasi tutte su uno sterrato, e dopo aver attraversato un paese minerario abbandonato, arriviamo che ormai è buio alla partenza della gita. Sistemiamo il campo su un bel prato, accendiamo il fuoco, facciamo la minestra, e abbastanza rapidamente andiamo a dormire. La notte diventa decisamente fredda, cosa che non impedisce a Nastia e Marina di dormire fuori, e a Jean-Yves di provarci. Al mattino c’è la nebbia fitta, e fa decisamente freddo. Ma presto sorge il sole, la nebbia si dirada, e facciamo colazione sotto un sole sgargiante. Mi offro come volontario per lavare i piatti, e quando tolgo dal secchio che ci è servito come pentola i resti di pasta e li butto in acqua, vedo arrivare una miriade di pesciolini che si precipitano per l’abbuffata. Ci mettiamo ore a montare e gonfiare gli zatteroni, e finalmente partiamo. Il paesaggio è ancora più bello dell’altra volta: una foresta verdissima copre le montagne che seguono il fiume, e dei faraglioni rocciosi scendono a picco sull’acqua, limpidissima. La corrente è veloce, e sotto di noi vediamo sfrecciare pietre e piante acquatiche. Delle aquile pescatrici si alzano in volo al nostro passaggio, e degli strani uccelli, simili ad anatre, corrono sull’acqua, non c’è altro termine per descrivere questo loro modo di muoversi. Non c’è traccia della presenza dell’uomo, è uno dei posti più belli che abbia mai visto. Abbiamo avuto il sole tutto il giorno, tranne un acquazzone improvviso che ci ha costretti a fermarci e a ripararci sotto i teli. Il sole riappare, e la sera ci fermiamo dove dei roccioni piatti formano una specie di approdo, e sistemiamo il campo un po’ più su, nella foresta. Facciamo il fuoco, è pazzesca la loro abilità per fare fuochi anche dopo la pioggia e cucinarci sopra, altroché i nostri fornelletti a meta. E solo in Russia ho visto la sega tascabile, si arrotola su se stessa, diventa piccolissima, pesa al massimo un etto, ma permette di tagliare grossi rami di alberi morti in pochi minuti. La notte è molto meno fredda, al mattino niente nebbia, e facciamo tutti il bagno nel fiume, ma accidenti, che eroi che siamo, l’acqua è gelida! Ripartiamo, il paesaggio è sempre di una bellezza sconvolgente, ma ogni tanto c’è una tenda e incrociamo qualche pescatore. Finalmente arriviamo là dove eravamo partiti l’altra volta, e torniamo a Mariinsk felici, esausti, cotti dal sole e purtroppo coperti dalle punture dei pappataci, minuscoli moscerini che provocano violenti pruriti due giorni dopo.

Concludo raccontandovi la serata di ieri: con Osman e Isaias, i due medici, sono andato al Caffè. Uno dei tavoli era preparato per una decina di persone, e coperto da cibi e bevande. Arrivano i convitati, e abbiamo notato che le ragazze si erano vestite come per andare a un ballo a corte o quasi, erano elegantissime e tutte in tiro, i ragazzi invece erano in tuta da ginnastica. Al tavolo di fianco al nostro c’erano due ragazze che bevevano in pace, quando si alza uno da un altro tavolo, non stava in piedi da quanto era ubriaco, ma si fionda su una delle due e non le da più pace finché quella accetta di ballare con lui. A un certo punto lei si scoccia e torna al suo posto, lui si siede al suo tavolo, e vomita per terra, davanti a tutti. Le due ragazze si alzano e se ne vanno. Però poi tornano, e l’ubriacone non contento ritorna alla carica e non le dà più pace. Intanto nessuno pulisce, credo che la padrona non lo abbia visto e i clienti non si sono lamentati. Intanto ad un altro tavolo c’è un gruppo di ragazzi agitati, uno di loro continua a venire al nostro tavolo per parlare e forse brindare, purtroppo non ci capiamo. Lui sta in piedi, chinato su di noi, e io devo spostare la mia birra per evitare che la cenere della sigaretta cada dentro. Intanto gli amici dell’ubriaco si rendono conto che quello esagera, e fanno di tutto per portarlo via, ma lui torna indietro tre volte sempre con lo stesso chiodo fisso. Va a finire che le due ragazze se ne vanno per davvero, a quel punto il tizio non torna più, e a quel tavolo si siedono tre ragazze più giovani. Al che si fondano due amici di quello con la sigaretta, ma interviene la padrona che abbaiando li caccia via. Fino a quel momento se ne era fregata del comportamento dei clienti, ma Osman mi ha spiegato che una delle tre ragazze è sua figlia; infatti più tardi è andata ad aiutare dietro al bar. Che mamma protettiva.

Sul che, buon autunno a tutti. Qui continua a fare caldo, ma i boschi cominciano a colorarsi di giallo… Adesso non sono più in Siberia, ma a Mariinsk, il 19 Novembre, il termometro era già sceso a -20°.



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