Shanghai on the Bund

A Shanghai, la sera, si esce per andare a vedere i grattacieli. Sono belli anche di giorno, ma dal tramonto si riempiono di luci e colori e sono fantastici
Scritto da: lorel
shanghai on the bund
Partenza il: 28/06/2016
Ritorno il: 12/07/2016
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
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A Shanghai, la sera, si esce per andare a vedere i grattacieli. Sono belli anche di giorno, ma dal tramonto si riempiono di luci e colori e sono fantastici. A Shanghai, la sera, i grattacieli sfilano. Per le migliaia di persone che partono da People Square, sciamano lungo la via pedonale Nanjing Road, arrivano sul Bund, si sparpagliano nelle piazze, nelle terrazze, lungo la riva del fiume Huangpu. Se la serata è limpida i grattacieli scintillano e si propongono spavaldi. Se invece il cielo è grigio, sfoggiano una bellezza eterea, impalpabile, immateriale. Si alzano flessuosi e sembrano fatti di niente, o forse solo “della materia di cui son fatti i sogni”. Siamo sul Bund, il viale di Shanghai che costeggia l’ansa del fiume Huangpu, una distesa di grandi alberghi ed edifici europei, anche loro illuminati la sera. Di vari stili, dal neoclassico all’art déco, austeri ed eleganti, sembrano dire “voi di là ammaliate i turisti, ma noi, da questa parte, abbiamo fatto la storia”. La storia della ricchezza economica della città e della sua complicità con l’Occidente.

Basta solo la passeggiata per godere del contrasto ma si apprezza al massimo prendendo il battello sul fiume. Una cosa assolutamente da fare a Shanghai. Lo dico perché noi, tendenzialmente pigri, non l’avremmo fatta se non fosse stata organizzata dal convegno di mio marito Antonio, motivo per cui siamo arrivati fino qua. Scivolare lentamente sull’acqua scura, sospesi tra i simboli del colonialismo da una parte e quelli della modernità estrema dall’altra, è elettrizzante. Il salto temporale ti fa sentire al centro delle cose, al centro del mondo, protagonista. Con una fermata di metropolitana si va dall’altra parte del fiume, a Lujiazui, dove abbiamo en face i grattacieli che ci hanno fatto sognare sull’altra riva.

Anche così vicini danno la sensazione della leggerezza, dell’immaterialità. Per ammirare il panorama dall’alto scegliamo la Jin Mao Tower, anche se il tempo quel giorno è pessimo e non vediamo quasi niente, ma al piano 88 della Jin si fa una cosa molto turistica e molto simpatica, segnalata dalle guide: si comprano e si spediscono le cartoline. Mi è sempre piaciuto scrivere cartoline, trovo che sia un’ attività zen, rilassante, sedersi a un tavolino e trovare una frase carina per ognuno, anche se adesso, al tempo di whatsapp, non si usa più. Il giorno dopo mi rendo conto che le cartoline sono state spedite senza la firma di mio figlio Paolo. No! Che lapsus, mi dico, e spero non freudiano. Perché Paolo è stato con noi, per ben due settimane. Nonostante l’irrequietezza dei suoi sedici anni ha parlato, riso, discusso, litigato con noi, anche se eravamo consapevoli che questo sarebbe stato l’ultimo viaggio importante fatto assieme. Perché siamo come il Bund, lui è proiettato nel futuro, e noi, ahimè, siamo il vecchio del 900.

Naturalmente, Shanghai non è solo uno scintillio di grattacieli. Ci sono anche i templi, il Tempio del Buddha di Giada, il Tempio Jing’an, proprio sopra la stazione della metropolitana, il Tempio Longhua, con di fronte la Pagoda di sette piani, con gli innumerevoli Buddha dorati e le costruzioni giallo ocra. E’ in questo tempio, il più grande centro buddista di Shanghai, che assistiamo ad una funzione, si chiamerà così, tenuta dai monaci vestiti d’arancione.

Ci piace ascoltare e lasciarci cullare dalla cantilena ipnotica, di nascosto faccio anche qualche foto; è bella la macchia arancione dei monaci quando se ne vanno, uno sprazzo di colore nella giornata grigia e piovigginosa. Se Shanghai non è comunque da ricordare per i templi, ne abbiamo visti di più significativi in Giappone e Corea del Sud, può vantare però la splendida vecchia città cinese, eco della città originaria, con gli antichi edifici ben conservati. All’interno si trovano i famosi Yuyuan Garden, progettati da una ricca famiglia di funzionari della dinastia Ming, labirinto di laghi, stradine e le tipiche costruzioni con il tetto a pagoda. Città e giardini sono un incanto, noi ci torniamo due volte, ma il luogo meritava più visite, preferibilmente la mattina, quando il caldo è meno intenso e la folla meno compatta.

A Xintiandi, il quartiere dell’ex concessione francese, con le tipiche case di pietra recentemente restaurate, i ristorantini e i negozi, troviamo un altro pezzo di storia del 900: la Sede del Primo Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese. E qui il cuore mi batte forte, perché mi emoziono sempre quando mi trovo a tu per tu con la storia.

Avrete notato che sto andando veloce. Eh sì, perché voglio che rimanga lo spazio per parlarvi di quella che è stata per me la terza meraviglia di Shanghai, dopo i grattacieli e la vecchia città, e cioè la Nanjing Road, “No. 1 Commercial Street of China” com’è definita, la via pedonale dello shopping e dei trenini, sempre affollata, dalla mattina alle undici di sera, quando chiude la metropolitana. Se venite da queste parti, prendete l’albergo sulla Nanjing Road, perché, in una metropoli di cinquanta milioni di abitanti, è molto, molto gradevole poter bighellonare, senza fretta, mangiando gelati al mango e guardando le vetrine. Le vetrine sono solo da guardare, appunto, perché questa è la strada dello shopping di lusso. Solo Zara e H&M per le mie tasche. Però, questi Gucci, questi Lancôme, questi Vuitton, li vedo spesso vuoti; lo shopping dei cinesi si svolge altrove, nelle strade laterali, dove hanno i loro negozi, i loro magazzini. I ristoranti ai primi piani sono invece sempre affollati, e si mangia in tutti discretamente bene, a volte con meno di venti euro in tre. Gli abitanti di Shanghai usano la strada in maniera creativa, la mattina fanno tai chi, la sera ballano e suonano. Ballano in maniera armonica ed elegante, con un bel movimento delle mani. Una sera tardi li ho beccati che ballavano fuori la fermata della metropolitana. Avrei voluto dire “Posso venire anch’io? Mi insegnate?”

La Nanjing parte da People Square, la grande piazza con il teatro lirico, i musei, le fontane e l’aiola con la falce e il martello. Il museo più importante è il Shanghai Bowuguan, interessante anche dal punto di vista architettonico, che raccoglie una magnifica collezione di arte e antichità cinesi. Da People Square prendiamo l’autobus per la nostra unica gita fuori porta, a Zhujiajiao, cittadina risalente all’epoca della dinastia Ming che si sviluppa sull’acqua e offre un panorama di vicoli stretti e ponti ad arco. La mia guida dice “incantevole panorama” ma ho omesso l’aggettivo perché questa è la parte del viaggio che ho apprezzato di meno. Non ero in vena di pittoresco, di barchette sul fiume, di negozietti bui dove si preparano i ravioli, di bancarelle di cianfrusaglie. Dicono che Shanghai non sia la vera Cina. E’ probabile. Ho letto un romanzo di Ma Jian di recente e ho capito cosa è stata e cosa può essere ancora, specialmente nelle campagne, la vera Cina, mentre a Shanghai si può avere una proiezione, un’istantanea, di quella che sarà la Cina del futuro.

E così, questa è Shanghai; quando non si passeggia sulla via pedonale o sul Bund ci si muove continuamente su e giù per la metropolitana; si bevono molti tè con ghiaccio da Starbucks, dove c’è la connessione e si può smanettare un po’ col telefonino. Come dicevo, si mangia bene; alla Yummie House, al numero 300 della Nanjing, fanno pure gli spaghetti al ragù, al dente. I cinesi sono tantissimi, non proprio perfettamente educati; i giovani, ma non solo, sono sempre appiccicati al cellulare, le ragazze sono graziose e hanno buon gusto nel vestire; non ci si capisce, il poco inglese che parliamo noi e il pochissimo che parlano loro spesso non coincidono, però sono gentili e sorridono; i cinesi parlano a voce alta e fanno discussioni animate ai tavoli dei ristoranti, cantano con passione canzoni melodiche, saltano tranquillamente la fila e, se non fai attenzione, sulle strisce ti stendono. A volte, sembra quasi di essere in Italia.



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