Sette giorni a New York City

Da Central Park al Moma... una settimana alla scoperta della grande mela
Scritto da: Stefyy87
sette giorni a new york city
Partenza il: 02/03/2013
Ritorno il: 09/03/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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1st day in NYC – Sabato, 2 marzo 2013

Premetto che sono esattamente le ore 3:54 a.m. ed è già da un po’ che tento di riaddormentarmi ma niente, sembra che non funzioni. A parte il fuso orario, c’è il rumore della gente che rientra dal lungo sabato newyorkese a tenermi sveglia (noto invece che mia sorella ha gradito molto questo fuso :-). Io invece mi sono arresa, così ho pensato di fare un riepilogo di quello che è stato our first american day.

Indice dei contenuti

Il viaggio in aereo devo confessare che non è stato affatto pesante come qualcuno ci ha voluto far credere; in realtà abbiamo fatto in modo che il tempo passasse senza che ce ne accorgessimo tenendoci impegnate con la visione di diversi film (eravamo in 2nd class su un volo Alitalia e avevamo a disposizione un monitor che ci consentiva di ascoltare musica di ogni genere, scegliere tra un’infinita lista di movies, giochi… insomma tutta una sfilza di intrattenimenti che ci avrebbe accompagnato durante le ben 8 ore di volo!). Tra i vari film scoviamo ‘C’era una volta in America’; era trascorsa una vita da quando l’avevo guardato l’ultima volta, quindi, data l’occasione, ne ho approfittato per immergermi nuovamente in quell’America degli anni ’20. Certo un bell’effetto vedere quanto sia cambiata da allora, soprattutto quando oggi, intorno alle 4 p.m. finalmente abbiamo fatto il nostro arrivo nella grandiosa City, sbucando fuori dalla subway e trovandoci davanti Times Square. Ancora ricordo mia sorella che è addirittura sobbalzata alla vista di quei grattacieli. Stava portando un bagaglio da 20 kg sù per le scale all’uscita della metro (povera, io non ce la facevo più e lei si è offerta di portarlo ma quella valigia era più grande di lei… la mia sorellina piccina!) ed era talmente concentrata e stremata dal peso della valigia che non si era nemmeno accorta che, finalmente, dopo gli innumerevoli tunnel, avevamo appena messo piede fuori, che c’era finalmente luce, (freddo naturalmente) e che eravamo approdati nella mitica Big Apple! Ecco che partono gli ‘wow’, ‘guarda là, ‘madonna quello’, ‘o Dio, non posso credere ai miei occhi’ e tutta una sfilza di altre frasi-stupore. Beh, perché è davvero questa la sensazione che si prova… improvvisamente ci si sente così piccoli e lo stupore per quello che ci circonda e’ indescrivibile. Ci si sente in parte anche emozionati, commossi per tutta la bellezza che ci si ritrova davanti agli occhi, proprio come nel film American beauty (ricordo sempre con tanto affetto questo film di cui conosco tutte le frasi a memoria)….” è difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo, a volte è come se la vedessi tutta insieme ed è troppa e il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare”. Ci lasciamo abbandonare un po’ dall’emozione e ci avviamo verso il nostro albergo, il St.James hotel, nella 45th street per liberarci finalmente di tutto quel peso and going ouuuuut! Ben presto però l’eccitazione e la curiosità sono state sostituite da stanchezza e fame.. Dopo una breve passeggiata, un po’ di foto e ovviamente un gustosissimo hot dog da 1000kal (perché oltre al prezzo nelle targhette sono riportate anche le calorie che vai a introdurre nel tuo corpo… XD) a malincuore ci lasciamo alle spalle quel fulcro di vita a cui faremo ritorno con più energie addosso. Ma eccoci ancora qua, manca ancora un po’ prima che sorga un nuovo day in NY… che faccio: vado a svegliare quella dormigliona della mia sorellina! Buona giornata Mondo!

2nd day in NYC – Domenica, 3 marzo 2013

Gli americani corrono in continuazione, la loro è una corsa contro il tempo che li divora per cui devono correre ancora più velocemente, è una vita frenetica quella che amano vivere, si va di fretta, si fa tutto più veloce della luce, e anche la domenica quando necessiterebbero di un meritato riposo, loro corrono… a Central Park. Costeggiamo la 79th street, ad Uptown, la zona nord di Manhattan in attesa di raggiungere il famoso “American Museum of Natural History” che alle ore 8:45 è ancora chiuso (noi super mattiniere grazie al fuso, non per altro 🙂 così ci addentriamo in quella spoglia Central park nell’attesa. Attesa che ci comporta una bella ghiacciatina di mani, piedi (in particolare il mio alluce destro era ormai immobilizzato, non reagiva più alle continue roteazioni), viso ( guance alla Heidi ); e pensare che avevamo optato per il museo proprio per stare in un luogo chiuso, viste e sentite le temperature appena messo piede fuori dall’albergo ( -2° ). Siamo nel polmone verde di NY, dal lato West, all’altezza del “Giardino di Shakespeare” e ci sentiamo circondate da Poesia; troviamo ai nostri lati, sulle aiuole, diverse targhette che riportano alcuni passi di Romeo & Giulietta…“What’s in a name? That which we call a rose. By any other name would smell as sweet”.

Il nostro mattino inizia con un tocco di dolcezza. Cominciamo a fare la fila per farci rilasciare il blocchetto del City pass che avevamo già acquistato dall’Italia, comodo perché ci consente di poter visitare le 7 attrazioni più suggestive e importanti di NY ad un prezzo ridotto ed evitando di fare quelle interminabili file. Le pareti della hall del museo sono impresse dal pensiero di Roosvelt sulla concezione di Nature, State, Manhood, Youth; riporto una parte di quest’ultima, la Giovinezza “I want to see you game boys, I want to see you brave and manly, and I also want to see you gentle and tender. Be practical as well as generous in your ideals. Keep your eyes on the stars and keep your feet on the ground”. Si tratta di uno tra i più importanti musei di storia naturale al mondo in cui è possibile ammirare la ricostruzione di habitat di mammiferi nordamericani, asiatici e africani, di uccelli di ogni parte del mondo ed è inoltre dedicato all’uomo e alla sua evoluzione in cui di particolare interesse ho trovato le sezioni dedicate al continente americano. Sono davvero rimasta colpita dalle varie rappresentazioni, dalla perfezione con cui sono state riprodotte, in particolare hanno attirato la mia attenzione le esposizioni sui popoli e i loro modi di comunicare attraverso i gesti e anche l’area dedicata all’antropologa statunitense Margaret Mead, allieva di Franz Boas ( ricordo di averlo studiato in linguistica ) che per un periodo lavorò presso il museo come etnologo svolgendo anche ricerche e studi dedicati ad analizzare la questione se i ruoli maschili e femminili sono risultati di influenze biologiche o culturali. Davvero interessante anche se richiede parecchio tempo per essere visitato a fondo, ma vi assicuro che ne vale la pena; quindi se doveste fare un salto da queste parti, questa deve essere una tappa obbligatoria, mi raccomando! Next step: fine della visita al museo, finalmente dopo svariate ore vediamo la luce del sole, eh si, perché nel frattempo a NY era apparso il sole che adesso ci riscaldava ( mai abbastanza però ) e ci accompagnava lungo la Central park west alla ricerca di qualcosa di decente da mangiare. Non che io voglia essere la solita italiana presuntuosa e ottusa che crede che la propria cucina ( e in generale tutto ) sia la migliore al mondo in assoluto.. ma da quando sono qui devo ricredermi! Devo confessarlo che mi mancano tanto quei piattoni di pasta, i nostri profumi e tutto quello che la nostra terra ci offre; non c’è niente da fare: si è sfortunati a nascere italiani, siamo dipendenti dal cibo buono e non riusciamo mai a trovarci bene altrove. Quanto mi piace mangiare! E il mio Sergiolino lo sa (e anche la mamma)! Dunque proseguendo, vorrei tralasciare la pausa pranzo per non farvi passare l’appetito per l’intera giornata, e ci troviamo sulla famosa 5th avenue, tanto amata dalla mia cuginetta Katia, una sorta di Via Condotti di Roma. Non ci azzardiamo a comprare nulla, anche perché troveremmo il doppio dei prezzi che abbiamo in Italia. Ci limitiamo ad assaporare il tutto attraverso il senso visivo, indossiamo il paraocchi e… flash: ci ritroviamo al 70esimo piano di Top of the rock da cui ammiriamo tutta Manhattan e oltre… anche la Statua della libertà (che non vedo l’ora di vedere da vicino!): insomma, vi lascio immaginare il panorama da lassù, da togliere il fiato! Anche a NYC è calata la sera, ci concediamo una pizza in un ristorante italiano al costo di 15,00 dollari per un formato small, una pinta all’irish e a nanna !!! Adesso andiamo, qui è un nuovo giorno, sono le 8.36, ed è già tardi per iniziare una giornata in America. Dobbiamo scapparee! Ciao Mondoo!

3rd day in NYC – Lunedì, 4 marzo 2013

Ciò che mantiene in vita New York sono i sogni di chi la vive, di chi da molto lontano vi è giunto per trovare fortuna, per raggiungere a tutti i costi ciò che si desidera di più. Questo è ciò che diffonde la grande mela: la forza e il coraggio di Sognare.. Non ti da tregua finché non vede realizzare i tuoi sogni, ti osserva, è lì pronta a rialzarti anche quando la vita vuole sfidarti e farti credere che non ce la puoi fare. E’ questa New York, e’ combattiva, competitiva, non abbassa mai lo sguardo ma mira sempre più in alto, sempre di più fino a “grattare” il cielo, proprio come fa l’ Empire State Building. Si tratta del grattacielo più alto di New York (e tra i sette più alti al mondo ) che raggiunge i 443 m di altezza se si considera l’antenna radiotelevisiva che sta sulla sua cima, altrimenti 381 m, corrispondenti a 102 piani; era secondo soltanto alle torri gemelle che lo superavano di pochi metri e dal crollo di queste assunse un significato ancora più forte e simbolico. L’Empire State Building sovrasta la città, la scruta e in un certo senso la protegge con quella sua inconfondibile eleganza e classe che trasmettono potenza. Di sera si tinge dei colori della bandiera ricordando sempre ai suoi abitanti che la loro città e’ sempre sveglia e non li abbandona. E’ stata la nostra tappa finale di ieri sera, andare a vedere la città dall’86esimo piano, stavolta però colorata da tutte le sue luci. Di sera sembra ancora più immensa New York, quelle luci sembrano non finire mai ma scorrono fino ad un punto infinito… Si e’ a Midtown, al centro di Manhattan, e l’Empire guarda tutto, rappresenta un po’ lo spirito, il cuore della città. E’ stato interessante venire a conoscenza del fatto che nel realizzare questo edificio, finito nel 1931, sono stati impiegati solamente 14 mesi; addirittura a volte si completavano fino a 4 piani in una sola settimana e per non perdere tempo gli operai ( un totale di circa 3500 operai impegnati nella costruzione dell’edificio ) avevano adibito ogni nuovo piano a mensa in modo tale che non dovessero sprecare troppo tempo nel tornare giù per la pausa pranzo. E’ difficile in una storia come questa, nata come una sfida a chi avesse costruito l’edificio più alto, non rimanere affascinati dai numeri, dalle innumerevoli quantità di materiale ( 60.000 tonnellate di acciaio, praticamente più stabile di una montagna! ), di mezzi, di operai, dall’ingegno impiegati nella sua realizzazione. E ancora una volta, ieri sera abbiamo lasciato alle nostre spalle una città che ci sorprende, giorno dopo giorno, che ci regala emozioni imparagonabili, che sembrano sussurrarci qualcosa… Anche il mattino l’abbiamo trascorso all’insegna di altrettante forti emozioni, quando ci siamo ritrovate a passeggiare lungo il famoso Brooklyn Bridge, baciate dai raggi del sole che ci hanno dondolato su e giù, da una parte all’altra dell’ estuario, da Brooklyn a Manhattan di nuovo, da dove abbiamo potuto ammirare anche il Manhattan Bridge, altrettanto meritevole di attenzioni e tutta la serie di grattacieli che fanno da sfondo e anche la Statue of Liberty (che ci stiamo riservando per gli ultimi giorni proprio per aggiungere emozioni su emozioni!). Ci troviamo a Downtown, nella parte sud di Manhattan ( dove a quanto pare hanno la residenza alcuni tra i personaggi più famosi dello spettacolo come Anna Hathaway, Meryl Streep, Chris Martin, Gwyneth Paltrow, Beyoncè, Calvin Klein, Jennifer Aniston, Julia Roberts, Leonardo di Caprio… e mi fermo qui) e ci addentriamo a visitare i quartieri tanto nominati di Soho, Little Italy e China town, sorti proprio a seguito dell’arrivo di immigrati in America. Chinatown stupisce per i suoi colori cosi vivaci ed esotici, le sue botteghe di frutta e pesce, i suoi mercati che ormai hanno quasi incorporato il quartiere di Little Italy, che devo dire conserva davvero quella atmosfera italiana, con le sue panetterie, i ristoranti e anche i negozi d’abbigliamento; Soho è un quartiere ricco di storia, definito proprio il quartiere storico di NY, sorto inizialmente come una zona di industrie tessili in cui le strutture in ferro custodivano stoffe e altri prodotti ma con la deindustrializzazione, iniziata negli anni ’20, i magazzini vennero man mano trasformati in loft, adesso adibiti a gallerie artistiche, in cui è possibile tutt’oggi ammirare ragazzi alle prese con la propria creatività, nei modi più bizzarri e disparati. Davvero piacevole questa visitina, breve ma intensa.. Si, perché NY è una città da tanti aspetti, in cui ogni quartiere ha una propria personalità il che determina l’immensa diversità e ricchezza di stili di vita. Facciamo una capatina alla 42 street, tra la 7 e l’8 avenue dove scopriamo che si trova il Museo delle cere: favoloso! Da non credere la precisione con cui sono stati riprodotti tante tra le star americane più conosciute, anche di coloro che ci hanno lasciato come la bellissima Marilyn Monroe e tanti altri ancora.. Anche il mio amore Bruceee (Springsteen )! Spero di poter rendere un po’ l’idea e di stimolare la vostra immaginazione attraverso queste poche righe.. che non sono mai abbastanza per raccontare l’immensità di questa città. Rush rush rush! Time to go, it’s already late! Buona giornata Mondo.

4th day in NYC – Martedì, 5 marzo 2013

Si, è vero che per la maggior parte del tempo, quando si gironzola per NY, la testa è sempre rivolta verso l’alto.. io mi ritrovo a farlo in continuazione, magari anche correndo il rischio di scontrarmi contro qualcosa, ad attraversare le strade senza accorgermene, (immagino la faccia di mia madre mentre legge questa parte) ecco perché tutte le auto, che poi sono per la maggior parte taxi, autobus e camion per la raccolta di rifiuti, (molto particolari dall’aspetto) si muovono ad una velocità davvero ridotta anche quando toccherebbe a loro passare (in realtà a Ny quasi nessuno usa la macchina; è molto più comodo e veloce prendere i mezzi pubblici, in particolare la metropolitana che offre servizio 24 ore su 24!). Come non guardarli i grattacieli! Si osservano da diverse prospettive, da diverse angolazioni per avvertire quella sensazione di maestosità, perché si provano delle sensazioni indescrivibili quando ci si trova in un immaginario simile, ti toglie il fiato, l’aria e la luce, limitandoti la dimensione dello spazio che ti circonda. A NY Tutto e’ Troppo! Ma se abbassiamo un po’ lo sguardo troviamo uno scenario altrettanto travolgente (scusate il gioco di parole) perché al di sotto dei maestosi grattacieli si nasconde la vera vita newyorkese.. quella che ama il blues, il soul, il jazz.. Questo accade ad esempio tra la 7 e l’8 avenue, sulla 42nd street, al BBKing! Dopo una giornata dedita ad aspetti culturali della città abbiamo voluto concederci questo suggestivo show, in un ambiente sotterraneo, proprio come quelli che si vedono nei film che ritraggono l’America, piccolo e intimo ambiente con luci soffuse, un bicchiere di vino (italiano!) e vai col bluessss! E’ stato piacevole assistere a questa esibizione, veniva proprio voglia di alzarsi e ballare; per la prima volta eravamo circondati da soli americani, senza turisti tra i piedi.. volevamo sentirci americane anche noi almeno per quella sera, immergerci nei loro modi di fare, (così goffi) andare a ritmo di musica, battere le mani, i piedi, accompagnare la band nel suo ritornello… ed è stato tutto questo, è stato come vivere una piccolissima parte di un sogno americano. Abbiamo registrato una parte dello spettacolo così porteremo sempre con noi questo bellissimo ricordo. L’intera giornata invece l’abbiamo trascorsa al Met (come lo chiamano loro), il “Metropolitan museum of art” , anche questo è un must quando si fa tappa a NY perché si sta parlando di uno dei più importanti musei del mondo intero! Contiene più di due milioni di opere d’arte (servirebbero giornate intere per visitarlo a fondo!) e corrisponde ad un vero e proprio viaggio nel passato, in quello che siamo stati, in quello che è avvenuto prima di noi, di tutto quello che sono stati in grado di realizzare e che i nostri avi hanno lasciato nelle nostre mani. Inaugurato nel 1872, inizialmente il Met era ospitato da un palazzo sulla 5th avenue e il suo patrimonio consisteva (solo) in un sarcofago romano e alcuni dipinti, ma man mano crebbe molto rapidamente fino a superare lo spazio disponibile e fu così che venne acquistata la sua sede attuale, sul lato est di Central park. Sono opere che risalgono all’antichità classica, all’antico Egitto, vi è anche una notevole quantità di opere d’arte africane, asiatiche, islamiche, bizantine, inoltre dipinti e sculture di quasi tutti i più grandi maestri europei entrando cosi in contatto con svariate tecniche artistiche (abbiamo visto alcuni tra i più famosi e bei dipinti di Van Gogh, uno dei pittori che amo di più in assoluto.. il suo autoritratto, i paesaggi di campagna che trasmettono quella sensazione di pace e di libertà, con il vento che si intrufola tra i campi di grano e sembra accarezzare anche il tuo viso…Sublime! ). Attraverso il supporto di un audio guida abbiamo praticamente ripercorso tanti periodi ed epoche della storia, un lungo viaggio nel tempo e nello spazio, facendo l’incontro di tante culture e religioni, gettando così un ponte tra epoche e luoghi lontani tra loro scoprendo legami tra popoli e idee che sembrano distanti, ma che in realtà riconducono tutti allo stesso significato e senso della vita. Affascinante tappa! Ovviamente nel frattempo ci eravamo anche fermate per la pausa pranzo, all’interno del museo che offre un servizio di ristoro.. Quanto è buffo vedere i camerieri servire cercando di assumere un atteggiamento elegante, atteggiamenti che proprio non appartengono agli americani, perché loro sono goffi nei modi, rozzi, anche un po’ cafoni ma pur sempre belli così! Ieri nella fretta ho dimenticato di scrivere che durante la mattina la nostra prima visita è stata dedicata al Memorial delle vittime dell’11 settembre. Ci siamo trovate lì, il quel luogo in cui adesso sembra essere tornato tutto normale, ma non lo è e non lo sarà mai perché si legge negli occhi degli americani, si legge ogni giorno, passeggiando e incrociando il loro sguardo la tristezza della perdita e quel senso di libertà a cui sono stati sottratti. Abbiamo accarezzato dolcemente tutti i nomi delle vittime incisi su quelle grandi lastre che abbracciano una profonda cavità , un vuoto, una ferita che non si rimarginerà mai. But today is a new day. Buona giornata Mondo!

5th day in NYC, Mercoledì, 6 marzo 2013

Sono gli odori che prima di ogni cosa distingui quando ti trovi in un luogo diverso dal tuo; quegli odori a cui piano piano fai l’abitudine e che riconosceresti anche da lontano; quegli stessi odori che rimarranno impressi nella tua memoria olfattiva, che ti ricondurranno a quel luogo visitato tempo addietro. Come gli odori di New York, inconfondibili, sempre uguali, giorno dopo giorno. A partire dal primo mattino, quando tira quell’aria fresca che ti accarezza la pelle, l’odore proveniente dai numerosi furgoncini che puntualmente prendono postazione in ogni angolo di ogni street vendendo una specie di ciambelloni dolci (in realtà sembrano più che altro una sorta di taralli pugliesi di dimensioni notevoli) dall’odore alquanto sgradevole ma “americano”, per poi passare all’odore, già in tarda mattinata, dei primi hot dog e delle sue diverse dressing che puoi scegliere a tuo piacimento e gusto… dei numerosi fast food, degli starbucks (ormai divenuta nostra tappa fissa per la colazione) perchè più si avvicina ad una colazione decente 😉 anche se la mitica traditional irish breakfast non è per niente da scartare (l’abbiamo fatta il secondo giorno, proprio sotto il nostro albergo ed è una carica energetica unica ;), io lo sapevo gia’: tropppo buona). Insomma, ci ricorderemo di ogni singolo odore che ha accompagnato le nostre passeggiate lungo queste vie, ci ricorderemo anche del fumo che esce dai tombini, della Old Glory che svolazza da ogni grattacielo, in ogni angolo delle strade, della gente americana, del loro modo di parlare così squillante, della loro simpatia…

Di questo e di molto altro ancora. Il 5th day l’abbiamo trascorso a visitare l’ultimo museo della nostra lista City pass, il famoso Moma, Museum of modern art che espone video interattivi, installazioni elettroniche, una estesa collezione di opere pittoriche che vanno dall’impressionismo all’arte astratta.
Ovviamente in questo museo si va oltre il concetto ristretto di arte, che include pittura, scultura e disegno abbracciando tutti i campi dell’arte visiva; in realtà è un tipo di arte che non concepisco, forse semplicemente perché non la capisco, non saprei; darei infinite interpretazioni a questo tipo di opere ma di sicuro non la considererei arte. E’ pur vero che in ognuno di noi si racchiude della creatività ma la vera arte a mio parere è vera capacità di fare arte è quella che deve ritrarre la realtà, non è qualcosa di astratto, almeno non in modo eccessivo. Ad ogni modo abbiamo avuto l’occasione di trovarci davanti a ‘L’urlo di Munch, ‘ La notte stellata’ di Van Gogh, innumerevoli opere di Picasso, di Monet.. La collezione inoltre comprende anche stampe, fotografie, oggetti di design.. Insomma, NY ancora una volta si può davvero considerare il centro artistico del mondo, perché è proprio la città stessa ad essere a misura d’arte, ecco perché da sempre ha attratto artisti di tutto il mondo.
Ci concediamo una lunga passeggiata, ci stiamo avvicinando al giorno della partenza quindi vogliamo assaporare sempre più tutto ciò che ci circonda, fotografare con gli occhi ogni piccolo particolare che ci era sfuggito… Decidiamo di dirigerci verso il Greenwich village, quartiere di cui avevamo sentito parlare ma che fino ad allora non avevamo preso in considerazione. Ci ritroviamo in mezzo a strade pittoresche e si avverte quella presenza di scrittori, musicisti, artisti che l’hanno abitata come Edgar Allan Poe al numero 137 di Waverly street per poi ritrovarci, poco dopo, in Stonewall St. dove il 27 giugno del 1969 nacque il movimento di emancipazione gay. E’ una zona ricca di creatività e stimoli, che servì come trampolino di lancio ad artisti come Barbra Streisand, Woody Allen e Bob Dylan… Insomma un quartiere magico che fa immergere in una dimensione totalmente differente che stupisce per la sua unicità che solo una città come New York può possedere. Grazie ancora New York. Ci aspetta una nuova giornata. Ciao Mondo!

6th day in NYC- Giovedì, 7 marzo 2013

Stamattina ci hanno accolto i primi fiocchi di neve, sotto quel grigiore NY sembrava ancora più affascinante, più intima anche se il freddo penetrava fin dentro le ossa! Ma gli americani sono abituati a questo, la loro temperatura corporea sembra essere adatta ad ogni tipo di sbalzo climatico. Camminano a passo svelto per le strade indossando abiti leggeri, mostrandosi completamente indifferenti al freddo e i loro visi arrossati dall’aria gelida si vedono lontano un miglio. Per loro è indispensabile un caffè per iniziare la giornata, un caffè americano naturalmente, di quelli lunghi e acquosi :-), o un ‘capuccino’ , o un ‘frapuccino’… è così divertente sentirglieli pronunciare! Non amano perdere troppo tempo a sedersi in qualche bar e a godersi la colazione con comodo, loro vanno sempre di fretta, fanno la fila per il proprio caffè (a volte lunghissima per cui alcuni rinunciano sentendogli pronunciare ‘oh shit, I gotta go’) e poi spariscono. poi li ritrovi per le vie sorseggiando mentre si dirigono a lavoro, oppure a volte ne prendono più di uno e se li fanno incastrare in una sorta di vassoio di cartone in modo tale da poterli trasportare tranquillamente senza il rischio che se li versino addosso. Non mi è capitato di vedere che gli americani amino prendere il tè, nemmeno il pomeriggio, di gran lunga preferiscono ordinare una bevanda che contenga caffeina, per mantenerli sempre concentrati durante l’intensa giornata di lavoro. Lungo il nostro percorso assistiamo alla registrazione di una trasmissione tv ” Good morning America”, lo studio è visibile a chiunque si trovi a passare da lì e ciò di cui parlano si può ascoltare dalle casse disposte fuori… Che forte! Insomma la nostra tappa di oggi è riservata a ciò che più aspettavamo con ansia di vedere, finalmente la Statue of Liberty. Ci avviciniamo verso la 12 avenue, all’altezza della 42nd street da cui prendiamo il battello che per ben due ore ci accompagnerà dalla ‘Lady’ e ci mostrerà NY da una prospettiva ancora differente. Purtroppo a causa delle condizioni provocate dall’uragano Sandy la Statua della Libertà e l’Ellis island sono temporaneamente chiuse al pubblico così ce la siamo potuta godere da lontano, con il maltempo, con un vento freddo che tirava che non ci consentiva nemmeno di scattare una fotografia decente. Quindi diciamo che in verità questa visita, tanto attesa, non si è vissuta come avremmo sperato. Beh, significa che ritorneremo, anche solo per Lei. Posso assicurarvi però che anche solo guardarla da una certa distanza non ci ha impedito di provare una forte emozione. L’abbiamo ammirata, piano piano, girandole attorno, e poi tornandoci un’altra volta ancora. Ci hanno confessato che in realtà raramente viene visitata dai new yorkesi, ma come si fa a stancarsi di un simbolo così imponente! Anche le parole di Emma Lazarus, iscritte alla base della statua, hanno mantenuto la loro forza espressiva: ” A me le stanche, povere e confuse genti che anelano a respirare libere “.

La Signora è stato un regalo che la Francia fece all’America nel 1886 per celebrare l’alleanza tra i due Paesi nella conquista dell’indipendenza da parte degli Stati Uniti, infatti la tavola che tiene sul braccio sinistro rappresenta proprio la dichiarazione di ciò; è alta circa 46 metri e pesa 225 tonnellate: Wow! Dal battello intravediamo anche Ellis island National monument che aveva rappresentato un centro per le procedure d’immigrazione: nel 1907 gli immigrati che passarono per Ellis island furono ben 1.044.756, il 75 percento dei quali provenienti da Italia, Russia e Austria-Ungheria.

Emozionante ritrovare il nome del nostro trisavolo tra la lista di coloro che emigrarono in America tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, trasferitosi nel 1922. Ci spiegano che il servizio cessò nel 1954 e che dal 1990 divenne Museum of Immigration in cui sono state ricreate le esperienze degli immigrati al loro arrivo e il loro contributo apportato all’America. Se ne ripercorrono i passi dall’ingresso ai controlli sanitari, il dormitorio, la mensa (inizialmente venivano selezionati in base al loro stato di salute, poi venivano registrati con il luogo di provenienza, data di nascita, disponibilità economica; i vecchi, i ciechi, sordomuti, chi soffriva di malattie mentali era escluso dal suolo americano e rispedito indietro). Addirittura all’esterno, sul Wall of Honor sono incisi migliaia di quei nomi che i parenti tutt’oggi ancora trascrivono (Peccato non esserci potuta andare, sarebbe stato davvero suggestivo!). La nostra tappa si conclude con un leggero dispiacere, per non essere riuscite a vivere appieno questo fatidico giorno… ma we will come back. E’ stata piacevole e in compagnia di buona musica la serata trascorsa all’Hard rock café a Times square soprattutto quando il barman si improvvisa batterista sulle note di “Bangarang, Skrillex”, con coltelli, piatti e bicchieri: é stato sensazionale! É riuscito ad attirare l’attenzione di tutti là dentro, una scarica di adrenalina pazzesca che coinvolgeva tutti a suonare e cantare insieme a lui. Credo vivamente che questa sarà la colonna sonora della nostra visita a New York City. Si, decisamente si 🙂 Non ha ancora smesso di nevicare a NY, la sera ci lascia facendoci brillare i capelli.. Volgiamo un ultimo sguardo all’insù e auguriamo la buonanotte alla nostra City!

7th day in NYC – Venerdì, 8 marzo 2013

La nostra visita è quasi giunta a termine, ormai ci resta poco più che mezza giornata da vivere qui, dopo di che abbandoneremo il suolo americano e devo ammettere che sarà triste già il solo pensiero di dover lasciare la nostra ormai cara Big Apple. Perché in poco tempo questa grande città è riuscita a trasmetterci quella sensazione di appartenenza, come se volesse non essere lasciata… Ma ve lo siete mai chiesti perché viene soprannominata proprio così, la Grande Mela? A quanto pare se poneste questa domanda ad un americano non sarebbe in grado di darvi una risposta. E in effetti sembra essere piuttosto sconosciuta l’origine di tale definizione, nessuno ne conosce con assoluta certezza il motivo e il significato. Una versione abbastanza accreditata (ieri, prima di lasciare il battello lo sentivo spiegare ad un gruppo di liceali incuriositi) sarebbe quella legata ad un saggio risalente al 1909 scritto da Edward S.Martin nel quale paragonava lo stato di New York ad un melo, le cui radici provenivano dalla valle del Mississippi. Il termine venne poi dimenticato fino agli anni ’20 e riproposto dal cronista sportivo Fitzgerald che lo sentì pronunciare ad alcuni stallieri afroamericani nel definire proprio l’ippodromo di NY. Nel corso del tempo acquistò sempre più il significato di successo e più avanti, intorno agli anni ’30 iniziò ad essere utilizzato anche dai musicisti jazz che suonavano nei club di Harlem e Broadway: quando si suonava lontano da New York si suonava “sui rami” , al contrario suonare a New York significava suonare nella “Grande Mela”. Quindi metafora del successo legato alla musica. Questo rappresenta New York. E d’altronde come negarlo! Lo è, eccome! E come lo era già allora, Patria del jazz nel mondo, adesso lo è più che mai. E noi ne abbiamo avuto la prova quando ieri sera ci siamo ritrovati al “Fat Cat” ed abbiamo assistito, a soli 3 dollari, ad una performance di assoluto jazz americano. Non avevo mai vissuto un’esperienza simile, ci si trovava davanti a un’improvvisazione e quello che sono riusciti a tirare fuori era qualcosa di sensazionale. Erano in quattro, tutti accumunati dallo stesso colore nero della pelle e soprattutto dall’amore per il jazz…sembrava scorgere tra quelle luci soffuse la musica che gli scorreva nelle vene, si capiva da come appoggiavano le dita sul proprio strumento, dal sudore che si produceva sulle loro fronti, dalla carica passionale da cui erano ispirati. Ho chiuso gli occhi per ascoltare più profondamente, per cercare di sentire quello che sentivano loro. La fine di ogni pezzo improvvisato era seguito da un forte applauso, interminabile, quanto lo era stata l’emozione vissuta. Sono le 3 a.m. e ci auguriamo che questa notte duri eternamente…

Last day in NYC – Sabato, 9 marzo 2013

“It is in all of us to defy expectations, to go into the world and to be brave, to want, to need, to hunger for adventures, to embrace change and chance and risk, so that we may breathe and know what it is to be free”. Una frase di Chevrette che stamattina, tra una cartolina e un’altra, in un negozio di souvenir, ha attirato in modo particolare la mia attenzione ed ha atteso l’ultimo giorno per sbucare fuori e… sussurrarmi qualcosa. Meravigliose esperienze come questa fanno accrescere in noi il senso e il valore di ciò che Siamo e ciò che desideriamo. Per me il viaggio è questo. È un continuo conoscersi e scoprirsi attraverso ciò che i nostri occhi vedono e i nostri sensi percepiscono. Ma ricordiamoci che il viaggio non è necessariamente dall’altra parte del mondo… si trova dietro l’angolo, è quel posticino che dedichiamo e riserviamo a noi stessi, in solitudine a sognare, magari in compagnia di un buon libro. Non dimentichiamoci quindi di trovare sempre un po’ di tempo per ‘Explore, Dream, Discover’. Grazie ai nostri ‘pipo e mimi’ senza i quali non avremmo potuto vivere questo emozionante viaggio

Goodbye New York!



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