Sensazioni d’Oman
Giovedì 9 aprile, golfo d’Oman Profumo di incenso e di sandalo nel suq di Mutrah, l’antico porto di Muscat, dal tetto in legno intarsiato, vociante di un’umanità araba di uomini in bianco e donne in nero. Fuori, il sole si riflette sulle chiare costruzioni della Corniche. Tranquillità e ordine. Il sapore delicato e gustoso dell’harmour rimanda ad un tempo passato in cui era pesce solo per ricchi, perché andava scovato faticosamente tra gli scogli. Oggi lo si trova anche in questo locale di poche pretese a fianco della porta di accesso al suq, e di quegli anni resta solo l’esclamazione “harmour guy” che gli omaniti usano riferendosi ad un giovane benestante.
Marina di Muscat. Faraglioni, rocce calcaree dalle forme bizzarre, roccaforti portoghesi e torri di guardia a cingere il Sultan Qaboos Palace, la spuma bianca che frange le acque verdi del golfo d’Oman. Bedar conduce sicuro l’imbarcazione fino ad insenature tormentate, dove il rosso, l’arancio ed il bianco delle rocce sovrastano solitarie cale di sabbia intonsa.
Notte araba di luna piena, fermi sotto l’Orsa Maggiore a tentare di pescare pesci astuti, l’aria dolce e calda, Bedar rivede nel mio volto quello del suo più caro amico Alì, scomparso 10 anni prima in un incidente. Come due amici di sempre, ci intendiamo sulla vita che per forza deve continuare, di qua e oltre. Inshallah.
La spiaggia illuminata dal falò, una tenda con cuscini, semplici tavoli dove ci accomodiamo a parlare con gente straniera, mentre ci viene servito pesce fresco dal mercato di Mutrah, arrostito su una brace nella sabbia. Tutto pare lontano ed il tempo fermo, in questo spicchio di mondo nascosto dai profili scuri di monti aguzzi e selvaggi.
Venerdi di Pasqua 10 aprile, Hajar Mountains Silenzio, intagli di luce e odori antichi di dattero tra le pareti di fango e calce del Rustaq fort, elaborata geometria di archi, porte, scale e spalti merlati ai piedi dei misteriosi profili delle Hajar Mountains. C’e’ un che di primordiale nei wadis dell’Oman, che riporta al tempo di Noè e dell’Eden perduto. I Sumeri chiamarono l’Oman Magan, la “Città del Rame”, le sue tonalità verdi ancora oggi si alternano con il nero dei basalti e con il rosso dei cristalli, baratri e vertigini convivono come opposti assoluti e complementari. Mangiamo riso e king fish all’ombra di una palma all’imbocco della fenditura dello Snake Gorge, a fianco di un placido falaj che trasporta le acque a villaggi sconosciuti, mentre la nostra guida Saif si apparta per recitare la preghiera del Venerdi.
L’ascesa al Jebel Shams, la Montagna del Sole, è come una misteriosa ricerca dell’undicesimo comandamento. Ma Dio non è solo sopra, è ovunque qui intorno, nel maestoso Grand Canyon d’Arabia, nei cedri e nelle acacie, nei bambini intimiditi che sotto un’improvvisata tenda vendono pietre, umili braccialetti e tappeti tessuti a mano con lana di pecora e capra.
Il sole tramonta su questo Venerdì Santo, sacro ai Cristiani e ai Musulmani insieme, fragile magia di un giorno.
Sabato 11 aprile, jinn Le disabitate costruzioni di fango di Al-Hamra, vecchie di 400 anni e dall’architettura yemenita a più livelli, con le loro porte intarsiate sconnesse ed i loro buchi neri, sono oggi abitate dagli jinn, gli spiriti che nelle leggende hanno reso Bahla la città più magica dell’Oman.
Il colore del fango ha un che di magico già di per sé, è la Terra stessa che si fa edificio, e l’uomo torna ad essere creatura vivente parte di essa. Jabrin castle, dedalo di architetture, nicchie e passaggi. Tra le morbide pareti di una vellutata malta che ha ricoperto dolcemente pietre, paglia, foglie di palma e datteri, ancora riecheggiano le poesie, le preghiere e gli studi di stelle dell’Imam.
Entrare a Misfah è come un lento scoprire l’elaborata armonia rurale di terrazzamenti fatti di palme, alberi da frutto, aflaj, vasche, bouganville e case di pietra arroccate, dove il filo sottile e prezioso dell’acqua tesse la vita quotidiana e prepara alla preghiera nella frescura dell’umile moschea.
Domenica 12 aprile, Pasqua omanita Quale posto più mistico e silenzioso per pensare alla Pasqua delle solitarie e antiche tombe di Al-Hayn, che da 3500 anni, come dandosi la mano, guardano con speranza di eternità la mole divina del Jebel Misht, il monte del pettine.
L’Ibri fort sorge ancora dalla montagna come un miraggio di pietre e fango, ma presto sarà portato a nuova vita dalla perizia dei restauratori. Gioisco nell’averlo vissuto così, perché ho potuto ascoltare la poesia del tempo. La stessa che permea il fango e le pietre sconnesse di Birkat-Al-Mawz, la “polla dei banani” che crescono ai piedi delle palme. Il tempo qui scorre come l’acqua del falaj, fenditura scura su cui si riflettono i secoli. E, intorno, in cima a colline e vette, solitarie torri di guardia a far da ormai muta sentinella.
Lunedì 13 aprile, notte beduina Il cielo del deserto lo puoi sfiorare, ed è talmente carico di stelle da schiacciarti. Persino all’orizzonte, interrotto solo dai profili scuri delle dune delle Wahiba Sands, vedo sorgere e tramontare costellazioni boreali. Gente beduina, un campo di poche capanne barasti, la luce fioca di lanterne ad olio, tappeti e cuscini, un fuoco nomade che si staglia nello scuro di questa tiepida notte araba, appena rinfrescata da una pioggia passeggera.
Lontani dal quieto suq di Nizwa, dai suoi argenti, caffettiere, tappeti, verdura e animali, il tempo sembra fermarsi e, forse, andare al contrario, rovesciato come l’Orsa Maggiore al Tropico del Cancro. In questo deserto rosso ritrovo la vera condizione dell’uomo, nomade errante in un mondo dove tutto è di passaggio, alla ricerca del vuoto e dell’interiore silenzio.
Martedì 14 aprile, dune Deserto, paesaggio astratto, lasciati attraversare fino a Ras-Ar-Raways, dove le dune si bagnano nel mare Arabico. Per poterti portare dentro.
E viene la notte dei quattro elementi, l’acqua, la terra, l’aria ed il fuoco.
L’acqua è il mare, il cui fragore si ode misterioso oltre l’alta duna bianca ai cui piedi siamo accampati. La terra è il deserto di Al-Kholuf, le sugar dunes, sabbia finissima e densa come farina, di cui solo la luce del mattino rivela il candore abbacinante.
L’aria è un vento leggero che dona refrigerio, sfiorando i profili delle dune e celando lentamente le orme delle volpi del deserto.
Il fuoco è un braciere improvvisato entro un vecchio cerchione arrugginito di fuoristrada, recuperato nel nulla del deserto, che arrostisce la carne di pollo e toglie l’umidità alla legna che abbiamo raccolto, per far fronte al buio di una notte di immensità perfetta e affascinante solitudine.
Tempi in cui l’uomo seguiva il ritmo dettato dal sole, e la sera inventava poesie, canti e storie davanti alla luce serpeggiante del fuoco, unico ostacolo al velo scuro della notte del deserto.
La distesa bianca perfetta delle dune dopo l’alba è interrotta solo in un piccolo punto dalla superficie dorata della grande teiera, che Saif ha sistemato sulle braci per la frugale colazione del mattino.
Mercoledì 15 aprile, Sultanato Millesettecento km di coste, ovunque umili villaggi di pescatori sparsi per spiagge deserte, in attesa che l’illuminato Sultano Qaboos Bin Said termini la costruzione delle nuove case popolari a loro destinate in dono. L’Oman, terra uscita da un medioevo recente, ha oggi il suo Rinascimento. Le scuole si incontrano oggi nei luoghi più inaspettati, al centro del deserto o nel nulla di una strada.
I forti si ristrutturano, si costruiscono strade, l’istruzione e la sanità sono gratuite. Ed i Ministri dell’Istruzione e della Sanità sono gli stessi da 30 anni.
Ogni anno, nell’anniversario della sua ascesa, il Sultano percorre il suo Paese, accampandosi di terra in terra per ascoltare ed esaudire le richieste accorate della sua gente.
Ogni due anni viene assegnato il Sultan Qaboos prize, sotto il patrocinio dell’Unesco, alle organizzazioni internazionali che più si sono distinte nella tutela e valorizzazione dell’ambiente.
Solo un risultato scontato della ricchezza del petrolio ? L’off-road costiero verso Sur è una pellicola in cui si susseguono fishing villages, stormi di gabbiani e granchi in corsa. Le carcasse di un delfino dagli occhi spenti e di una grande tartaruga, arresasi ad una malattia o alla vecchiaia, giacciono come un monito su spiagge solitarie.
Sostiamo ad Al-Ashkharam, nella family room di in un ristorantino dimenticato da Dio, dove servono tonno appena pescato con riso e verdure fresche.
Non lontano, il capo di Ras-Al-Hadd, riserva naturale delle tartarughe verdi di mare, segna il limite tra le acque agitate del Mar Arabico e quelle calme del Golfo d’Oman.
Giovedì 16 aprile, dolina Quando lasciamo la pacata atmosfera di Sur e del suo faro centenario innalzato dai portoghesi, ho ancora negli occhi il colorito disordine dei dhow in costruzione, e addosso l’odore forte del mercato ittico, coacervo di uomini, tonni, squali, pesci spada, king fish, calamari e pesci di ogni genere.
Terre che hanno conosciuto eserciti, commerci ed esploratori…Qalhat ancora riecheggia delle imprese di Marco Polo e di Ibn Battuta, il grande viaggiatore arabo che, al pari del primo, fece della sua vita un andare verso l’ignoto, e che nel XIV secolo sostò qui per rendere omaggio alla tomba di Bibi Miriam, la santa, unico segno tangibile di una città un tempo potente, rasa al suolo dall’invasore portoghese.
Un buco verde nel calcare bianco, un piccolo abisso di pesci ciechi di ignota profondità. E’ il Bimah sinkhole, la dolina di Bimah, attorno al cui mistero scorre pacatamente questo giorno prefestivo di famiglie numerose sotto gazebo costruiti a debita distanza l’uno dall’altro, nella cui ombra gli uomini sorridenti scherzano con i figli davanti alle mogli avvolte nell’imperturbabile cortina nera del burka.
La veloce highway, realizzata in pochi mesi al pari di quasi tutte le strade omanite, ci riporta a Muscat, dove la memoria dei passati splendori di porto millenario convive con la modernità incalzante del progresso.
Venerdi 17 aprile, green sea turtles Non si può dimenticare la leggerezza e la grazia di due tartarughe verdi di mare che mi nuotano accanto nelle acque tiepide del golfo d’Oman e che, con rapidità inaspettata, scompaiono nel profondo.
Queste sensazioni si compongono con l’emozione notturna della schiusa delle uova di Ras-Al-Jinz, dove decine di piccoli di tartaruga arrancano speranzosi verso il mare che sentono dentro, prima ancora di vederlo fuori. Salutiamo la nostra preparatissima guida Saif e gli altri amici del tour operator omanita che ci ha assistito nell’organizzazione del viaggio. Partiamo verso il Sud, il leggendario Dhofar, crocevia millenario del commercio dell’incenso, e verso la sua capitale Salalah, città natale dell’amato Sultano Qaboos.
Sabato 18 aprile, la voce del mare Addormentarsi la notte con la possente voce del mare davanti alla finestra fa dimenticare in un attimo l’aspetto un po’ trascurato della pensioncina, che deve di certo aver vissuto tempi migliori, ma che, forse anche per questo, conserva il fascino nostalgico dei posti lasciati a sé stessi, silenziosi e vuoti, dove inservienti indiani puliscono con scarsa convinzione una piscina senza nessuno.
Qui a Salalah tutto pare in costante stato di attesa, tutto è come fermo aspettando il Khareef, il monsone estivo che dona l’acqua ai wadis asciutti e il verde ai monti spogli, vera passione di folle provenienti da tutta la penisola arabica.
Il mare è pescosissimo, e le reti lanciate da riva ritornano gonfie di pesci, come in una antica parabola recitata sul lago di Tiberiade. Dalla finestra si scorgono uomini e gabbiani ugualmente indaffarati. Lontano, il lussuoso profilo del Crowne Plaza, ritrovo di tutti gli stranieri amanti delle comodità.
Il vecchio suq è un concentrato di barber shops, venditori di incenso, sandalo e mirra, negozietti d’abiti e tessuti indiani. Sbarbato con maestria da un barbiere pakistano per meno di 1 OMR, trascorriamo questa pacata serata in un localetto con tavoli all’aperto sotto gli alberi, dove servono pollo con riso, spiedini d’agnello alla graticola ed un indimenticabile pane arabo caldo, sotto gli sguardi curiosi degli altri avventori ed i miagolii sgraziati dei magrissimi gatti arabi.
Domenica 19 aprile, incenso Immaginate una città vecchia di 2300 anni, adagiata su un’altura sovrastante l’estuario del wadi Dharbat, alle spalle una cascata imponente di 300 metri, e di fronte una laguna separata dal verde del mare solo da una sottile lingua di bianca sabbia perfetta, chiusa tra impervie scogliere di calcare.
Immaginate una città cinta da mura possenti, ricca dei traffici dell’incenso tra le Indie, Alessandria d’Egitto e Roma, con magazzini e laboratori per la lavorazione del rame estratto dalle Hajar Mountains. Immaginate uno dei porti più importanti del mondo antico, fondato, si dice, quando un marinaio greco scoprì la navigazione monsonica e gli armatori navali romani ebbero bisogno di uno scalo per gli scambi con l’Oriente. Immaginate Samharam, centro del commercio del Frankincense, la varietà più preziosa di incenso, che i Re Magi portarono in omaggio insieme ad oro e mirra, e che la regina di Saba donò al re Salomone.
Samharam è ancora lì, a parlare del suo glorioso passato attraverso le sue affascinanti rovine di pietra chiara, avvolte nel più assoluto silenzio.
Lunedì 20 aprile, verso lo Yemen C’è un che di mitico e misterioso nella sola idea di avvicinarsi alla impervia frontiera con lo Yemen. La strada scavata a fatica nel massiccio del Jebel Qamar sale serpeggiando verso Sarfait, e regala scenari spettacolari verso la inviolata distesa bianca di Mughsail, delimitata da falesie verticali in cui il mare si insinua potente innalzandosi in geyser di vapore.
Alberi di incenso si svelano gradualmente ai nostri occhi lungo le pendici dirupate, protetti forse ancora oggi, come si credeva un tempo, da serpenti volanti. La preziosa resina estratta dal loro tronco andrà a bruciare anche a Mirbat, in quell’incensiere dorato lasciato in silenziosa devozione davanti al bianco candido della tomba di Bin Ali.
Abbiamo pranzato nell’unico ristorantino di Mughsail, dall’ombra fresca e ventosa della sua vasta terrazza si possono scorgere il profilo contorto della scogliera, quasi un’onda di roccia, e gli spruzzi intermittenti dei geyser di mare. Il pesce freschissimo e la tuna fish salad danno sollievo a questa calda giornata d’aprile, al di fuori una spiaggia infinita solo per noi.
E’ la stessa arcaica solitudine che si prova alla Job’s Tomb, in una placida collina fuori Salalah, dove 1600 anni fa il profeta biblico Giobbe visse e morì, pregando verso Gerusalemme.
Martedì 21 aprile, poesia 1970, primo anno del Rinascimento dell’Oman, come riporta una targa nel Museo di Salalah, inizio di una nuova era di modernizzazione, sviluppo, politiche sociali ed educative, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, storico ed ambientale. Il discorso alla nazione del Sultano Qaboos Bin Said, che ha portato un paese fuori dal buio dell’arretratezza, è un esempio di civiltà, lungimiranza e senso del bene pubblico.
Lasciando questo Paese, in equilibrio tra modernità e tradizione, straordinario mosaico di deserti, montagne, wadis, forti, rocce, spiagge, suq, incenso, spezie, beduini ed animali, ho imparato che la vera democrazia non si misura solo su quanti si dividono il potere, ma anche su come questo, anche da uno soltanto, viene messo disinteressatamente a servizio del popolo e del bene comune. Solo un Paese illuminato, del resto, per preservare la bellezza naturale delle scogliere di Mughsail, sa preferire ad un divieto una poesia: “ Take nothing but memories Leave nothing but footprints Enjoy your visit to the Marneef Cave With the compliments of the Ministry of Tourism ”