Seattle inaspettata

Per le vacanze estive, anche se sarebbero state a metà settembre (dal 7 al 21), Marco ed io abbiamo scelto gli Stati Uniti: una settimana a Seattle ed una a New York. Il biglietto l’abbiamo comprato ad aprile, approfittando di quello che ci sembrava un buon prezzo. L’itinerario è stato: Milano Linate – Londra Heathrow – Seattle....
Scritto da: miticalu
seattle inaspettata
Partenza il: 07/09/2008
Ritorno il: 12/09/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Per le vacanze estive, anche se sarebbero state a metà settembre (dal 7 al 21), Marco ed io abbiamo scelto gli Stati Uniti: una settimana a Seattle ed una a New York.

Il biglietto l’abbiamo comprato ad aprile, approfittando di quello che ci sembrava un buon prezzo. L’itinerario è stato: Milano Linate – Londra Heathrow – Seattle. Trasferimento interno Seattle – New York JFK (American Airlines: pessimo aereo, terribile volo, hostess quasi dell’altro secolo, cibo a pagamento). Ritorno: New York JFK – Londra Heathrow – Milano Linate. Il tutto alla cifra di € 1.700 e rotti in due, compresi di tasse, con British Airways.

Molti si chiederanno come mai, con tante possibilità che offrono gli States, la nostra scelta è ricaduta proprio su Seattle. La spiegazione è molto semplice. Circa 6 anni fa ho conosciuto questa coppia di signori ultra sessantenni durante un mio soggiorno da quelle parti. In tutti questi anni siamo sempre rimasti in contatto, sono venuti ospiti un paio di volte e l’ultima a gennaio per il nostro matrimonio, quindi ci sembrava carino e doveroso ricambiare la loro visita. Inoltre, avremmo risparmiato il costo dell’albergo…! Quindi, per alloggiare a Seattle, non siamo in grado di darvi indicazioni.

L’essere loro ospiti ha limitato di molto i nostri spostamenti, ma ci ha permesso di fare delle cose che probabilmente da soli non avremmo mai visto. Innanzitutto loro abitano a Puyallup, un piccolo comune a circa 70 miglia dalla città, in quella che è la tipica zona residenziale da film. Tante case basse, massimo a due piani lungo una strada larga. Prato verde con l’erba corta. Ogni casa ha la sua bella bandiera americana che sventola orgogliosa. Garage con accesso diretto alla casa. Giardino sul retro. Tipicamente americano. L’interno della casa, fatto salvo per il bagno e la cucina, è tutto in moquette. Spessa più di 2 cm. A nostro parere l’antitesi della pulizia! Le case sono tutte di legno e il bagno era di plastica, compreso i pavimenti e le pareti!! Di mattoni c’era solo il muretto decorativo all’esterno del garage. Ma io dico: tifoni, uragani, terremoti ed altre catastrofi del genere non insegnano proprio niente a questi americani??? Una folata di vento e si porta via tutto! Siamo stati molto contenti di rientrare a Bologna, tra le nostre 4 MURA. Frank & Sheila, i nostri ospiti, avevano preparato già un programma per la settimana e siamo stati ovviamente sempre con loro.

Il lunedì ci hanno portato a vedere Ballard Locke. Per loro fa parte delle attrazioni turistiche principali, ma alla fine si tratta semplicemente di un sistema di chiuse per il passaggio delle barche da una zona all’altra e di un punto di osservazione della risalita dei salmoni. È stata una mattinata simpatica, niente di eclatante. Per pranzo ci hanno portato alla tipica e famigerata “The Old Spaghetti Factory”. Non era proprio quello che volevamo mangiare di tipicamente americano, ma finalmente Marco è riuscito a mangiare gli spaghetti con le “meatballs”, le polpette! Allora esistono anche questi, non si vedono solo nei film!!! Gli spaghetti non erano neanche troppo scotti, ma il sugo di pomodoro era qualcosa di allucinante: un barattolo di pomodoro aperto e semplicemente sbattuto sugli spaghetti. Da brivido!!! Nel pomeriggio abbiamo visitato l’Experience Music Project, museo dedicato alla musica e agli strumenti musicali, con un’ampia sezione riservata a Jimi Hendrix, artista nato a Seattle. Quindi verso le sei siamo saliti sullo Space Needle. Alcune foto del paesaggio e poi a cena, all’interno del ristorante panoramico! I prezzi del menù sono abbastanza elevati e c’è la consumazione minima di $ 35. L’atmosfera del locale è molto soft, ma non c’è obbligo di un tipo di abbigliamento particolare. La scelta dal menù non è ampia, ma piuttosto raffinata (per i gusti americani, s’intende). Alla fine Marco ha preso il filetto con patata arrosto e io il pollo con una specie di salsa agrodolce (mista funghi e mele) e purè. Il dessert è stato scelto da Frank & Sheila e sono arrivate due coppe di gelato enormi e fumanti. Ma era tutta scena! Infatti la quantità di gelato era piuttosto esigua, il grosso era la coppa che conteneva forse del ghiaccio e sul quale la cameriera versava forse dell’acqua, per creare quell’effetto scenico! Proprio americani nel profondo! Il martedì era LA GIORNATA. Alla sera infatti saremmo andati al Safeco Field per la partita di baseball dei Seattle Mariners! Al mattino abbiamo visitato il Pike Place Market, il mercato di alimentari, fiori, abbigliamento, varie ed eventuali. Come avremo modo di constatare durante il nostro soggiorno americano, qui tutto è GRANDE. Quindi questo mercato pubblico si sviluppa su 3 piani di altezza, i salmoni e i granchi dell’Alaska sono giganti, le ghirlande di peperoncini multicolori enormi, il biscotto che Marco ed io abbiamo comprato e mangiato (a metà) spropositato. Non avremmo potuto inzupparlo nel latte perché il diametro sarebbe stato più grande della tazza!! Prima di pranzo abbiamo visitato il Seattle Aquarium (interessante, ma eravamo già un po’ stanchi), quindi abbiamo pranzato lì accanto, al Crab Pot. La particolarità di questo ristorante è che se ordini alcuni tipi di menù, ti portano il pesce, te lo rovesciano sul tavolo, dopodiché ognuno si serve liberamente e mangi con le mani. Purtroppo, questo non è successo perché né Marco né io eravamo ben disposti per questo, e ciò ha fatto infuriare la nostra ospite col suo povero e succube marito. Ma alla fine io mi sono gustata il mio salmone alla griglia con riso e verdure bollite, Marco il suo semplice cestino di fish ‘n chips. Prima della partita abbiamo “subìto” la visita underground di Seattle. È durata un’ora e mezza e si è svolta in americano (badate, non inglese) stretto, veloce e infarcito di doppi sensi e giochi di parole che solo loro potevano capire. Non ci siamo addormentati solo perché eravamo in piedi! Quello che si visita è praticamente l’ex primo piano dei vecchi edifici che furono inondati dall’acqua del mare e sui cui resti hanno ricostruito. Quindi, adesso, è come se si entrasse al secondo piano. Niente di eclatante, in vero. Direi che in Italia ne sappiamo qualcosa di sotterranei con un certo valore storico… Quindi è arrivata l’ora di andare allo stadio! Zainetto sulle spalle pieno di junk food, magliette, cappellino e giacca d’ordinanza, biglietti in mano e via verso l’ingresso. Ogni singolo spettatore, giovane o vecchio, uomo o donna, indossa un capo di abbigliamento con impresso il logo della squadra. L’attaccamento alla maglia, qualsiasi essa sia, è straordinario. I nostri posti sono molto buoni, abbastanza vicini al campo, dietro la casa base. Entrando nello stadio dal livello alto della terrazza, il colpo d’occhio è davvero impressionante. Il verde ben definito del campo attraversato dalle righe di terra rossa. I tabelloni pubblicitari tutt’intorno. Gli spettatori che lentamente arrivano e si posizionano, il brusio, l’odore di cibo. La partita alla fine dura 3 ore e i Mariners perdono. Ma noi abbiamo goduto appieno di questo spettacolo così inusuale per noi e abbiamo mangiato schifezze a volontà: Marco un hot dog gigante lungo almeno 30 cm e io pollo fritto e patatine. Ah, che sballo per il fegato! Mercoledì è dedicato al museo del volo. Ricordo che Seattle è patria della Boeing (oltre alla Microsoft) e nel museo sono esposti un numero incalcolabile di aerei a grandezza naturale di varie epoche e paesi. Riusciamo a salire sull’Air Force One che fu di Kennedy, ma il Concorde non è visibile perché lo stanno pulendo.

Dopo il museo andiamo a Renton perché Marco aveva fatto espressa richiesta di cercare un negozio che vendesse abbigliamento e accessori in stile western, ed è stato accontentato. I potenziali acquisti sono tanti, ma dobbiamo comunque metterci dei paletti, e alla fine compriamo solo qualche camicia e dei bolo. All’interno non manca nessun tipo di gadget, dal cappello cow-boy col velo da sposa ai famigerati Stetson bianchi chiusi a chiave in una vetrina e dall’abbordabile costo di $ 800 cadauno! Ma te lo consegnano con la sua valigetta… Come dice Frank, per quella cifra me lo possono pure portare a casa! A questo punto, con le nostre borse piene e il portafoglio più vuoto, andiamo alla “Puyallup Fair”. Si tratta di una delle 10 fiere più importanti del nord-ovest. Siamo molto eccitati di vedere questo tipico spettacolo, ma soprattutto siamo affamati! Sono le 16.30 e non abbiamo ancora pranzato: qui gli orari sono sballati ai massimi livelli. Ovviamente seguiamo fedelmente Frank & Sheila perché hanno già previsto che mangeremo all’”Earthquake hamburger”. Il nome serve a dare l’idea di quello che ci aspetta: oltre a due porzioni giganti di “curly fries”, unte e tutte compattate in un unico blocco, ci gustiamo un meraviglioso e a dir poco gigantesco hamburger. Sarà stato almeno 15 cm di diametro, e non vuole essere un’esagerazione! La carne all’interno non è assolutamente da meno, così come le salse e il formaggio. Insomma, ci vogliono stomaci ben allenati per affrontare un mostro del genere ma, un po’ l’orario, un po’ che stiamo cominciando ad abituarci alle loro porzioni, ci sbarazziamo del panino fino all’ultima briciola e ci lecchiamo soddisfatti i baffi. Rimane anche un po’ di spazio per una mela caramellata… Dopo il pranzo-merenda riusciamo a fare un giro per la fiera in autonomia. Tutt’intorno a noi un tripudio di colori e soprattutto ODORI. Cibo ovunque: gelati, frutta caramellata, hamburger, caramelle gommose. Grossi e grassi americani che vagano ghermendo una bibita gigante. Assistiamo per pochi minuti alla performance musicale di un gruppo country, anzi, “blue grass”, chiamati “Billy and the Hillybillies”. Indossano tutti una salopette di jeans e una camicia colorata: rossa, gialla, arancione. Sono molto bravi e ci sentiamo avvolti da questa atmosfera western. Sarà che sentiamo anche puzza di stalla? In alcuni capannoni, infatti, sono esposti alcuni animali: mucche, capre, cavalli. Siamo esaltatissimi! Marco riesce anche a comprarsi il tanto agognato cappello da cow-boy, alla modica cifra di $ 55 dollari circa più le tasse. Il giovedì, in tarda mattinata, partiamo col camper in direzione di Mount St. Helens. Piccola nota folcloristica: anche nel camper c’è la moquette, compreso nel bagno e nella cabina di guida! Meglio non pensarci… Il viaggio dura circa due ore e quando arriviamo nel punto di osservazione, siamo veramente impressionati. Si tratta di un vulcano che ha eruttato il 18 maggio del 1980. Il guaio è stato che, anziché esplodere, la montagna è collassata verso il basso e la lava ha cominciato a scorrere in un immenso fiume che ha travolto case, alberi e quant’altro fosse sul suo cammino. Ora il panorama è uno spettacolo quasi lunare, tutto grigio e brullo, e dalla cima del vulcano escono ancora alcuni fumi. All’interno del punto di osservazione, oltre all’immancabile negozio di souvenir, c’è anche una sala cinema dove proiettano immagini di repertorio, inframezzate da ricostruzioni al computer, che ripercorrono gli attimi subito prima e dopo l’eruzione vulcanica. Molto drammatico.

Dopo pranzo (sandwich freddi mangiati in camper alle 4 del pomeriggio) ripartiamo in direzione dell’oceano, Ocean Shores. Anche per questa destinazione ci vogliono più di due ore di viaggio ed è previsto il pernottamento in campeggio. Arriviamo che sono quasi le otto di sera. È tutto buio e fa freddo. Marco ed io proviamo a fare due passi per sgranchirci le gambe, ma con la torcia, in mezzo al bosco, non ci sentiamo molto a nostro agio. Di cenare non se ne parla e non c’è vicino a noi un punto dove poter acquistare qualcosa. In camper non c’è nulla. Siamo nervosi e anche un po’ arrabbiati. Il top del top, per sti’ americani in campeggio, è fare i giochi di società. E quindi ci tocca… Passiamo così un altro paio d’ore, sgranocchiando qualche caramella al cioccolato, mentre Frank ne mangia una dietro l’altra, come fossero noccioline… Il venerdì mattina ci svegliamo sotto un cielo grigio e una leggera pioggia. Dopo colazione attraversiamo a piedi il tratto di boscaglia che ci separa dall’oceano, ma lo spettacolo che ci troviamo davanti non è per niente esaltante. Questo perché è tutto grigio e non si distingue l’orizzonte. Ritorniamo in camper e ci rimettiamo sulla strada di casa. Per pranzo (ore 14.30) ci fermiamo da Pizza Hut dove veniamo praticamente costretti a mangiare due pizze. Non sono grandi, ma sono molto grosse e spugnose, quindi non scendono molto facilmente. Infatti, ci riempiamo subito e saremmo pronti per fare un pisolino, ma non si può. Arrivati a casa, abbiamo poco più di un’ora per rilassarci un attimo e cominciare a fare i bagagli, che alle 17.30 usciamo per andare a cena!!! Siamo esterrefatti, oltre ad essere pieni e non avere nessuno stimolo della fame. Andiamo in un buffet, con il fratello e la cognata di Sheila. Due persone sulla settantina molto carine e dall’inglese molto comprensibile. Ci sforziamo di mangiare qualcosa, per non essere scortesi visto che comunque hanno pagato, poi alle 19 di corsa a casa perché arrivavano due figli con le famiglie, apposta per conoscerci. A fatica ci alziamo dalle sedie, i pantaloni ormai non si allacciano più neanche in vita… A casa ovviamente ha preparato degli snack: tacos con salsa piccante, frutta fresca, patatine, M&M’s ed altre prelibatezze. Non abbiamo la forza, né lo spazio, per introdurre altro nei nostri stomaci. Ma loro sono senza fondo ed accompagnano il tutto dall’immancabile Coca Cola o altra bibita gassata. La pelle del mio viso reclama a gran voce un’insalata verde… La serata scorre piacevolmente, i famigliari sono interessati a sapere da dove veniamo, cosa facciamo, cosa pensiamo degli States. Hanno sempre sentito parlare di noi e visto delle foto, ora finalmente possono associare dei volti ai racconti.

Verso le undici salutiamo l’allegra compagnia: dobbiamo finire di chiudere le valige perché il giorno dopo abbiamo il volo al mattino presto per New York e stiamo avendo qualche difficoltà nel farci stare tutto. La tentazione di abbandonare qualche vestito è molto forte. Alla fine riusciamo a chiudere tutto. Speriamo solo nel peso!!! Sabato mattina la sveglia suona alle 4: veloce toeletta poi siamo pronti a partire. Fuori c’è la nebbia: speriamo non venga pregiudicata la regolarità della partenza. L’aeroporto di Seattle è immenso: ci sono vari terminal e fuori sono indicate le compagnie che partono. Abbiamo un leggero inghippo al check-in perché una delle valige è troppo pesante e dovremmo pagare un extra di $ 50. Ma l’addetto ci lascia la possibilità di travasare alcune cose, così possiamo riequilibrare il tutto. Adesso siamo veramente pronti per la Grande Mela!!! NOTE FINALI Per quanto riguarda il clima, benché lo Stato di Washington sia noto per essere uno dei più piovosi degli Stati Uniti, noi siamo stati molto fortunati e abbiamo preso sole e sereno tutta la settimana. Il cielo è sempre stato terso e quindi il contrasto con le colline verdi circostanti molto suggestivo. Marco è rimasto affascinato dal Mount Rainier, che sembra stagliarsi dal niente. La cima è innevata, supera i 5000 metri d’altezza, e la sua particolarità è che è visibile, nell’arco dell’anno, per circa 90 giorni in tutto. E noi l’abbiamo visto per tutti e sei i giorni che ci siamo stati! Gli americani mangiano. Tanto. E a tutte le ore del giorno e della notte. Non hanno il senso della misura. Dopo una settimana trascorsa qui, l’immagine che ci rimanda lo specchio dei nostri corpi non è assolutamente rassicurante. Ma siamo in vacanza, alla dieta penseremo al nostro ritorno!



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