Scoprendo Oporto
Si racconta che un Paese altro non è che il sentimento da noi provato mentre lo visitiamo.
Orbene, Oporto (“Porto” per i locali)… Lo era davvero; era davvero quello specchio nostalgico, e nel contempo vivido, che traduceva con perfezione chirugica i miei sentimenti di allora! Si potrebbero spendere ore ed ore, pagine e pagine, a narrarne le componenti architettoniche e a ripassarne le nozioni cultural-demografiche (dopotutto il Portogallo ha un nome di primo rilievo tra le pagine delle storia), ma rimanderei ad altra sede tale resoconto.
Il 29 di ottobre 2010, venerdì, alle ore 10,00 ca. Il mio piccolo velivolo atterra sulla pista bagnata dell’Aeropuerto “Francisco Sá Carneiro”. Piove. Piove e continuerà a farlo, quasi senza sosta, per i prossimi 2 giorni. Perdipiù tira un vento del diavolo che accompagna in ogni direzione gli spruzzi d’acqua provenienti dal plumbeo cielo portoghese. Maledizione. Nelle immediate vicinanze dell’area “arrivi”, mi appresto a ritirare i biglietti utili alla corsa in treno (direzione Estadio do Dragau), che mi accompagnerà sino alla Rua Santa Catarina, nel pieno centro di Oporto. Il mezzo impiegato si rivela di una efficienza sbalorditiva: treno comodo, pratico, pulito e funzionale. (ah, dimenticavo… All’uscita di quasi ogni stazione non è raro incontrare dipendenti del Servizio ferroviario, itineranti, a completa disposizione del passeggero!). Rua Santa Catarina, raggiunta dopo circa una buona mezz’ora, costituisce per la città la via dello struscio… Shopping e ristoranti di ogni tipo sono ivi collocati. Continua a piovere. I miei poveri abiti sono già zuppi e grondano acqua da tutte le parti. Lo zainetto (unico bagaglio con me!) non è da meno! Ai margini della strada, alcune signore mal vestite, con zoccoli in legno e calze di spugna ai piedi, vendono ombrelli, invitando all’affare, con urla imploranti, gli eventuali acquirenti! Il Grand Hotel do Porto (scelto da me come sistemazione per il viaggio) è un buon albergo in pieno centro, dotato dei servizi basilari e di una calda accoglienza. (oltretutto, pranzo a buffet e colazione decisamente ricchi in termini di varietà!). Assaggio le cozze… Mitili piuttosto impegnativi per dimensioni, dal sapore ottimo. Un rapido cambio d’abito si rivela inutile, il tempo non concede clemenza e i nuovi jeans si bagneranno di nuovo. Gran parte degli edifici, ed in maniera particolare quelli collocati nelle immediate vicinanze del fiume Douro, evidenzia facciate decadenti, scrostate, esposte per anni alle intemperie ed al calore del sole, senza che nessuna manovra di manutenzione vedesse mai quei muri. Il fiume impetuoso scorre accanto, incessante, quasi indifferente. Indifferente testimone di un destino ineluttabile. Una triste speranza. Qualche anziana signora ritira i panni, stesi forse qualche ora prima affinchè si asciugassero, invano, ai raggi del sole. Tutto ciò è superbamente ROMANTICO. Supremo. Quel concetto, forse ora passato di moda, ma tanto declamato dal Leopardi! Quel “romantico” che ti stringe il cuore, quel sentimento profondo e costrittore che ti rende consapevole di come il tempo passi, con il suo lento incedere, ovunque…sulle persone, sulle case, sui ponti….. Una malinconia di fondo sembra impadronirsi per un attimo di me. La lascio fare. In lontananza la Torre de Clérigos svetta sul panorama sottostante. E poi la Cattedrale. Qualcuno grida, nel vento. Oporto è una cartolina. Il Ponte Luiz I (abile, imponente, costruzione in ferro ad opera della scuola di Eiffel) collega la città con Vila Nova de Gaia, sulla sponda opposta . V.N.de Gaia ospita celebri cantine entro le quali degustare “il Porto”. I cartelli affissi sul lungo fiume lo confermano! Oporto è il segno lasciato da un bicchiere, poggiato su tavolo di legno.
E’sabato. E piove ancora. Come era prevedibile. Gli azulejos, accarezzati dalle gocce, luccicano sulle facciate delle chiese dalle architetture pesanti. Devo acquistare una mantellina ed un nuovo paio di scarpe. Visito la chiesa di San Francesco e le relative catacombe. DI nuovo, il concetto di “temporaneità” umana torna ad imporsi. Ma è un attimo. Oporto è monito. Un brivido. Sono le 13.00; un timido sole sembra affacciarsi su di me. Ne approfitto e confido nella sua benvolenza. Prendo un bus alla stazione centrale e da poche monetine ricavo un biglietto per Foz do Douro, ridente località poco distante, sull’Oceano Atlantico, con una bella passeggiata rialzata da cui ammirare la furia del mare. L’Astro di fuoco ha accolto le mie preghiere. Splende sulla sabbia e sulle onde. Onde alte, minacciose che si infrangono sugli scogli e sul faro. Qualche gabbiano consuma un rapido pasto sulla spiaggia; poi, assorto, sembra fissare il mare, per ringraziarlo di averlo nuovamente sfamato. C’è vento. Come ieri. Ma qui sulla spiaggia è ancora più insistente. (Constaterò poi la congiuntivite che ne è derivata). Tutt’attorno casupole di fattura più o meno moderna vengono affittate per le vacanze estive. Quale anacronismo pare ora tale azzardo! Siamo in ottobre. Ottobre, mese truffaldino. Al rientro in città, commetto l’errore di cenare in un ristorante di improbabile derivazione “italiota”. Che peccato! Non avrei dovuto. Con tanto altro a disposizione. Ho delle cartoline che devono essere scritte. Ne scelgo una, in particolare, che raffigura la città come era un tempo: rabelos carichi di botti di Porto e giovani uomini alla loro conduzione.
Domenica. Giorno di rientro. Gli occhi dolgono e la congiuntiva è orribilmente arrossata, dopo la nefasta esposizione di ieri. Non rimane che verificare, per l’ultima volta, se anche oggi Oporto è veramente quel capolavo dell’anima. Piove, è inevitabile. E la città non ritratta il suo biglietto da visita: le costruzioni vecchie e fatiscenti che si addossano l’una all’altra, i vicoli che si organizzano in stretti ed ampi, poi ancora più stretti, saliscendi, sono davvero quel sublime assaggio di vita. Praça da Ribeira, notoriamente fulcro di vita e colore, adesso altro non è che seggioline accatastate alle pareti dei locali e tavolini capovolti, segno di un autunno crudele come un amore non corrisposto. Non so, oggigiorno, se mai avrò occasione di ritornare in questa città. Forse una parte di me si è fusa con essa, saldandosi proprio lì, ai piedi di quel colossale ponte, o alle chitarre di quei musicisti di strada, non so. Forse i mesi sono trascorsi, ma i fotogrammi sono ancora nitidi. Perchè Oporto è ricordo. Il mio profilo sull’Oceano. E’ rinascita. E’ quel biglietto che si paga al terminal della vita.