Road trippin’
Per mancanza di tempo per il bus e soldi per l’aereo, abbiamo a malincuore escluso il Red Centre, sperando di rifarci in una prossima occasione.
Se qualcuno volesse vedere alcune foto, cerchi l’utente medialuna1966 nella pagina “community” di www.Webshots.Com (casella in basso a destra).
Ringrazio le guide TPC Eloisa, che mi ha aiutato a razionalizzare l’itinerario e consigliato sui posti da non perdere, e Federico, che mi ha mandato una serie di siti web da visionare, fra cui lo strepitoso www.Bugaustralia.Com, una guida completa a tutti gli effetti.
CONSIDERAZIONI GENERALI Volendo, si può spendere poco.
1 Aud = 0.57 Euro L’Australia ha un costo della vita nettamente inferiore al nostro per quanto riguarda cibo ed alloggio.
Abbiamo dormito principalmente negli ostelli; il costo di una camera doppia in una sistemazione del genere è 50 Aud al massimo, in un dormitorio dai 12 ai 20 Aud.
I bagni e la cucina sono in comune, spesso nelle doppie frigo e microonde sono a disposizione, offrendo così completa autonomia dalla cucina pubblica che in certi casi è abbastanza pulita ed ordinata, e dotata di tutte le amenità, altre volte (ma poche) lascia un pò a desiderare.
Una stanza in un motel costa a partire da 60 Aud, spesso è di grandi dimensioni con più letti, e permette ad una intera famiglia di pernottare quindi a prezzi molto contenuti.
Per quanto riguarda i pasti, abbiamo consumato soprattutto ai tavoli dei take aways, nei bistrots e nelle food courts dei centri commerciali. In queste ultime, oltre ai soliti Mc Donald’s, KFC, pizza/kebab, e cinese, spesso si trovano anche chioschetti che offrono una scelta di 2 o 3 favolosi arrosti con contorno di patate al forno e altre verdure lesse, e la zuppa del giorno.
Massimo speso, a testa, 15 Aud, ma spesso ce la si cava con 7-8 se si ripiega sull’ “all you can eat” cinese, e ci si compra l’acqua da bere al supermarket.
I trasporti sono in genere abbastanza cari. La linea principale di autobus che percorre tutto il paese è la Greyhound/Mac Cafferty’s, prenotabile via telefono, internet, agenzia di viaggio, ufficio del turismo. Si può acquistare da tratta a tratta, oppure, più economicamente, una percorso complessivo, dove ogni 50 dollari spesi è concesso uno stop di max 6 giorni. Per il Queensland, ci sono altre compagnie tipo la Premier, che ha costi inferiori di 6-7 Aud sulle distanze più lunghe.
Se si è in 3 o 4, e si ha voglia di guidare, penso sia molto conveniente affittare un camper, credo si parta dai 100 Aud al giorno. Ho visto molti campeggi in giro. Non ho dubbi circa la perfetta organizzazione e pulizia dei campeggi australiani.
Sono rimasta sconvolta nel constatare quanto siano linde, immacolate e prive di odori pestilenziali le toilettes pubbliche in questo paese, anche nelle zone a più intenso passaggio, tipo stazioni degli autobus, o in quelle più disperse, tipo area di sosta delle strade statali. Alcune hanno anche un dispenser di liquido disinfettante per l’asse del gabinetto! Parlando di autonoleggi, una specie di leggenda metropolitana che aleggia nei forum di LP racconta che sia possibile strappare tariffe favolose in alcuni casi particolari. Data l’estensione del territorio, normalmente quasi nessuno restituisce il veicolo dove lo ha preso. Poiché le compagnie si ritrovano quindi il problema di dover ritornare al punto di origine le vetture, ecco che le offrono a prezzi stracciati, tipo 1 Aud al giorno, esclusa ovviamente la benzina, al primo che si offre volontario di fare il percorso inverso. Di fatto, avevo anche provato prima di partire a chiedere dettagli più precisi, tipo siti web o qualche nome, ma non ho ricevuto una gran soddisfazione. Un tizio che si vantava appunto di aver fatto il Sydney-Perth alla cifra sopra citata, chiamato direttamente in causa, mi ha risposto che lui lo aveva fatto anni fa, adesso non sa se esiste ancora, e che comunque sono cose che su internet non si trovano, devo contattare direttamente le compagnie, bla bla, ecc ecc. Insomma, una bufala, mi sa….
Per quanto riguarda gli aerei, la Qantas è molto cara negli spostamenti interni, a meno che questi non siano acquistati in abbinamento ad un intercontinentale, che però, in genere, è caro pure quello! (per lo meno paragonato ad altre compagnie tipo China, Gulf , ecc.). Quindi, io ho usato la Virgin Blue, una no-frills.
INGRESSO NEL PAESE – DOGANE Da sempre, in Australia è proibito introdurre ogni tipo di genere alimentare fresco, piante, animali, medicinali, ecc.
Ultimamente, sono diventati ancora più severi.
E’ meglio dichiarare tutto quello che si ha, evitando multe, cazziatoni e perdite di tempo. I cani fiutano e trovano tutto, anche i pezzi di pane smangiucchiati che magari ci si è dimenticati nello zainetto.
CLIMA Agosto è inverno. Secondo la maggior parte della gente, è il periodo migliore per il Queensland, in quanto più freddo e secco.
C’è comunque da dire che il North Queensland, ossia da Townsville in su, anche in questa favorevole stagione il tempo è piuttosto nuvoloso e piovoso.
Dopo Townsville, invece, abbiamo trovato tempo splendido, mediamente 23-24 gradi di giorno. Invece, la notte fa freddo e la temperatura scende parecchio. A Brisbane già si trovano stanze con il riscaldamento, ma verso Rockampton e dintorni abbiamo davvero battuto i denti se non era disponibile una coperta di lana.
PERSONALI CONSIDERAZIONI DI CARATTERE ESTETICO Non è stata una sorpresa la magnifica Great Ocean Road, da Torquay a Port Campbell, perché già me la immaginavo così. Assolutamente da non perdere. Per certi versi può ricordare la Garden Route sudafricana. Personalmente, preferisco la Great Ocean Road. La costa da Townsville verso nord è una vera delusione, il mare è marrone. Le foto sui depliants, di posti tipo Trinity Beach o Port Douglas non so quando le abbiano fatte, forse hanno cambiato i colori. Le stesse spiagge tanto decantate, tipo la Four Miles Beach, niente di che. Mission Beach idem. Non che siano orrende, ma se uno deve sorbirsi quasi 24 ore di volo, avendo anche magari poco tempo a disposizine, per andare a finire in un posto del genere, beh, l’Australia ha di meglio da offrire! Assolutamente fantastica Whitsunday Island, il panorama che si vede dal belvedere del Peak credo sia da catalogare fra le meraviglie del mondo. Stupenda anche la Whiteheaven Beach. Un’altra isola molto carina, di fronte a Hayman, è Langford Island, ha un mare con bellissimi colori. Fortunata intuizione quella di fermarmi tre giorni a rilassarmi a Great Keppel Island, sulla Capricorn Coast, scelta quasi a caso fra molte altre. Bellissima, selvaggia, poco frequentata (pare comunque che in alta stagione le cose cambino), un paio di strade asfaltate, qualche lampione qua e là sulla via principale, molti sentieri scoscesi per andare da una spiaggia all’altra, lidi immensi e deserti, acqua cristallina, isolette contigue raggiungibili via canoa, ecc ecc.
Nei dintorni di Cairns, devo dire che Green Island e Fitzroy non sono granchè. Meno sfruttate le Frankland Islands. Carini alcuni keys, tipo Michealmays, ma troppo strapieni di gente. Queste ovviamente sono le opzioni abbordabili, certo che se uno si può permettere Lizard la musica cambia….. Un’alternativa potrebbe essere Lady Elliot Island (www.Ladyelliot.Com.Au), nel Queensland del Sud, di fronte a Bundaberg. E’ un piccolo atollo corallino, quindi come le carissime Heron, Hayman e Lizard, ma a differenza di queste, può essere raggiunto con le gite di un giorno, anche in barca, mi pare che l’escursione costi sugli 80/100 Aud, senza dover per forza essere obbligati a soggiornare nel carissimo resort, 145 Aud al giorno a testa per stare in una tented cabin, ma siamo scemi??????? Ho anche sentito parlare di una certa Lord Howe Island, al largo di Sydney, che pare essere l’unica isola in Australia ad avere un aspetto polinesiano, dalle foto su internet infatti ci assomiglia. Purtroppo è molto caro arrivarci. (www.Lordhoweisland.Info) 23/7 CAIRNS Atterriamo alle 2 del pomeriggio, mica alle 2 di notte, e la sezione Arrivi dell’aeroporto è un mortorio assoluto, non uno straccio di chiosco aperto dove comprare qualcosa da mangiare, non un bus che ti porti in città ad un prezzo decente (la Lonely Planet qui ha ciccato). Se tu hai prenotato in anticipo ci sono i minibus dell’ostello che ti vengono a prendere, se ne hanno voglia, altrimenti sono cacchi tuoi e ti tocca prendere un taxi. 14 Aud.
Ci rifocilliamo in una food court del principale shopping centre di Cairns vicino alla stazione ferroviaria. Approfitto per comprare la Lonely Planet del Queensland. Una volta nella libreria, noto che la guida dell’Australia globale, quella per intenderci con la foto dell’Uluru in copertina, che in Italia costa 35 Euro, qui è venduta a 40 Aud.
Via internet sarebbe costata 16 sterline inglesi, ossia 23 Euro…..
Il mio sguardo incrocia quello di un Aborigeno, il primo della serie, un ragazzo che raccoglie i vassoi sporchi dai tavoli. Penso alle foto sui libri che ritraggono gruppi di uomini pronti per la caccia, con i corpi seminudi dipinti con i colori naturali della terra, ed immagino che la divisa che indossa debba fargli alquanto schifo, per cui i miei occhi gli sorridono, i suoi si abbassano subito. Mi ricordo di aver letto da qualche parte che gli Aborigeni, nelle relazioni con altri esseri umani, sono soliti toccarsi spesso, ma mai si guardano dritto negli occhi, in quanto per loro è una forma di non-rispetto. Mi assento un attimo a pensare alle vicende di questo popolo di cacciatori-raccoglitori, arrivato sino a due secoli fa senza nemmeno conoscere la lavorazione della pietra, quindi fermo al paleolitico, che ha sempre catturato la mia immaginazione. Mi intrigano le loro credenze, le loro usanze, i loro culti ancestrali, quelli di iniziazione maschili e quelli femminili legati al parto, alle erbe per la contraccezione e gli aborti, i miti e leggende, l’epoca del sogno, ecc. Non hanno senso di proprietà, ma appartengono essi stessi alla Terra, che è la loro madre. Hanno un’organizzazione, nella maggior parte delle tribù, ugualitaria, nessun capo, non hanno leggi, piuttosto una serie di codici di comportamento legati più che altro al buon senso, uomini e donne hanno compiti ben distinti. Non costruiscono capanne né tende, si riparano in rifugi occasionali. Da quanto si evince dalla tradizione orale, non hanno mai fatto guerre. Non sanno conservare il cibo, vivono in totale simbiosi con la natura che li circonda. La cerimonia di cui ho letto che mi ha più colpito è il walk about, un rito erratico che costringe l’Aborigeno a mettersi in cammino per molto tempo, mesi ed anni, al solo scopo di incontrare altre persone che spesso nemmeno conosce. Durante questi incontri, poi, ci si scambia molti oggetti di uso comune o personale, a volte il cordone ombelicale (come narra Chatwin).
Non si sa esattamente quanti ce ne fossero quando in Australia arrivarono i primi bianchi, sta di fatto che oggi ce ne sono circa 160mila, e qualche decennio fa si era pensato addirittura che sfiorassero l’estinzione.
Attualmente, sono per la maggior parte disoccupati, alcolizzati e totalmente emarginati dalla civiltà moderna occidentale, con poche speranze di integrazione, visto che i loro ideali non hanno nessun punto in comune con quelli della cultura che ha occupato i loro territori. Ho sentito dire che spesso rifiutano di vivere nelle case che il Governo ha loro assegnato, in quanto l’unico stile di vita che considerano è all’aria aperta, e la loro concezione del corpo e dello spazio attorno ad esso fa sì che non sopporino la costrizione di vivere racchiusi fra quattro mura. Per lo stesso motivo, gran parte di quelli che finiscono in carcere, per lo più per reati minori, tipo resistenza a pubblico ufficiale o ebbrezza molesta, finiscono per impazzire o suicidarsi. Negli anni 80, anche Amnesty International si occupò della vicenda, denunciando al mondo l’alto numero di suicidi di neri nelle carceri australiane. Sono l’1% della popolazione totale, ma rappresentano più del 10% della popolazione carceraria. Tendono a non rispettare le leggi dell’uomo bianco, leggi in cui non si riconoscono.
Ritorno cosciente, e finalmente mi preoccupo di dove andare a dormire.
Molti ostelli sono al completo, ma non la Floriana Guesthouse, a nord dell’Esplanade, quindi con una bella vista sul mare, ma piuttosto lontana dal centro. Quest’ultimo, è proprio come me lo ricordavo, 4 anni fa.
Unica differenza, e non da poco, hanno costruito una laguna artificiale, con tanto di bagnini e sabbia bianca; a Cairns, infatti, non c’è spiaggia.
Ceniamo al night market, 12 Aud per una piramide egizia di riso fritto, involtini, noodles, pollo, maiale, frittata, broccoli e cavoli, che non riesco neppure a finire, più un piattino colmo di frutta.
24/7 CAIRNS – KURANDA – CAIRNS La proprietaria della guesthouse si rivela di una scortesia mostruosa quando gli chiedo se e dove passano gli autobus per il centro (You just have to use your eyes, mi dice). Probabilmente, appartiene a quella categoria di albergatori che è gentile soltanto se prenoti da loro le escursioni.
Comunque, riusciamo ad usare bene gli occhi ed il bus 1X, che passa 2 isolati dietro all’Esplanade, ci porta vicino alla stazione, dove compriamo i biglietti del trenino per Kuranda.
Prezzi: solo andata 32 Aud a testa, andata e ritorno 48. Con la funicolare va anche peggio.
In autobus, invece, costa 1 Aud.
Secondo me, al ritorno conviene prendere l’autobus!!!! Sappiate inoltre che, partendo da Kuranda, c’è un sentiero con cui si possono raggiungere le stesse zone dove passa la ferrovia.
Il mercatino di Kuranda è piuttosto una delusione, stessa roba che nei negozi di Cairns e prezzi maggiorati.
Poi ci sono dei mini- zoo dove si possono osservare koala e farfalle, ma l’ingresso è piuttosto caro.
Non ci restano che le passeggiate nella circostante foresta pluviale. Passiamo davanti ad un centro dove ospitano enormi pipistrelli e ci fermiamo incuriositi. Sul luogo lavorano soltanto dei volontari, mi pare di capire; la ragazza che ci intrattiene con la sua volpe volante appesa al braccio spara a raffica informazioni una più interessante dell’altra. Beh, che questi “cosi” siano più intelligenti dei cani mi lascia un po’ scettica… ma una piccola donazione se la sono meritata! Alle 14 si torna indietro in bus.
Il tempo di passare nella nostra stanza a prendere i costumi, nostra intenzione sarebbe infatti quella di trascorrere un po’ di tempo a rilassarci in laguna, che il tempo, che fino ad allora era stato sereno, diventa improvvisamente nuvoloso. Che sfiga. Beh, sarà il leit motiv della nostra permanenza all’estremo Nord.
Altra inesattezza di Lonely Planet. La linea di bus Coral Coaches, che dovrebbe curare il trasporto da Cairns a Mossman, Cape Trib e Cooktown per chi non vuole comprare i pacchetti viaggio, non esiste più.
Al terminal degli autobus, al Trinity Wharf, nessun impiegato di altre compagnie di bus ne sa qualcosa. Mi rivoglio dunque ad un ufficio turistico che mi fissa il viaggio con una compagnia privata, la Sun Palm Buses, nel prezzo del biglietto è già inclusa la traghettata sul Daintree River che costa 20 Aud.
25/7 CAIRNS – CAPE TRIBULATION Alle 7 si parte. Un grosso autobus ci porta fino a Port Douglas, scaricando gitanti qua e là. Il mare, sulla costa, come già detto è marrone. Già 4 anni fa, facendo questa strada, avevo pensato “ma che schifo è???, boh, ci sarà stata recentemente una mareggiata”, ora mi rendo conto che il mare rimane ancora marrone, e questo quindi deve essere il suo colore abituale, per lo meno d’inverno.
A Port Douglas io e Hannu siamo gli unici rimasti e ci trasbordano su un pulmino.
L’autista, un ex musicista, molto cordiale, ci porta prima a casa sua a salutare la moglie; durante il tragitto, si informa sui nostri gusti musicali, rispolvera una vecchia cassetta dei Dire Straits, poi si improvvisa guida raccontandoci storie varie sull’Australia e fermandosi addirittura qua e là per farci fare foto nei punti più panoramici (impressionante l’Alexandra look-out) . Devo dire che gli Australiani sono un popolo piuttosto gentile e simpatico. Forse non saranno raffinatissimi, almeno buona parte di loro, ma in compenso sono molto easy, ed alla mano. Particolare forse buffo, per una nazione in cui gli abitanti sono discendenti di galeotti, qui non ho mai riscontrato la tendenza dei commercianti a fregare gli stranieri o i turisti, come invece sono soliti fare in molte altre parti del mondo. E’ capitato spesso che, magari prenotando un servizio e pagando quindi in anticipo, mi abbiano alla fine restituito dei soldi perché all’inizio si erano sbagliati a fare i conti. Si trattava spesso di somme modeste, tipo 3 o 4 Aud, ma è comunque una cosa che fa piacere, ti dà un senso di accoglienza e sicurezza.
….E così, ascoltando “Sultans of swing”, traghettiamo il fiume Daintree, e penetriamo nella foresta pluviale. Vediamo parecchi cartelli che segnalano la presenza del casuario, un uccello corridore molto raro delle dimensioni di uno struzzo. Durante questa stagione è abbastanza usuale vederlo sul ciglio della strada a nutrirsi di susine selvatiche che cadono dagli alberi circostanti. Noi non siamo fortunati.
Il Cape Trib Beach House è la sistemazione che ho scelto, piuttosto isolato, infatti lì la strada non è neanche più asfaltata. Sapevo che sarebbe stato difficile trovare posto, e ho prenotato via internet con due settimane di anticipo, e, nonostante questo, per la prima sera ci piazzeranno in un bungalow di lusso (105 Aud) e per la seconda nella doppia spartana da 70 che avevo in mente.
La struttura è direttamente sulla bianca spiaggia di Cape Tribulation. Il sole è molto pallidino. Il ristorante ha prezzi abbordabili. Chiedo il primo fish and chips della serie, aspettandomi la mattonella impanata di londinese memoria, ed invece mi arriva un vero fish, una sberla da 30 cm cotta alla brace e buonissima. Al pomeriggio il sole fa capolino, perlustriamo la zona, un paesaggio di una bellezza primordiale, una foresta fitta che sembra inghiottirti come una pianta carnivora. Le attività possibili, se uno ha voglia e soldi, sono molteplici, gite sul reef (120 Aud), passeggiate notturne nella giungla (40), galoppate sulla spiaggia (75), gite sul fiume a puntare i coccodrilli, ecc ecc.
Una tizia svedese, parlando in svedese, quindi devo fidarmi della traduzione, dice ad Hannu che la passeggiata notturna non è niente di che, e se si staziona di notte accanto alla cucina si vedono più animali lì. Fra l’altro, cartelli ovunque raccomandano di lasciare ogni genere di cibo nel frigo o negli appositi scaffali in cucina. Io, che me lo ero dimenticato sulla veranda del bungalow, quando ci torno la trovo piena di topi, bei topolini grassi, con la pelliccia folta e marrone e gli occhi furbi, che si sono intrufolati nelle mie borse della spesa e banchettano spensieratamente. Che idiota sono stata! Provo a scuotere i sacchetti di plastica, e loro non accennano minimamente a schiodarsi da dove sono. E’ buio pesto, ovunque io faccia scorrere il fascio di luce della pila, vedo topi che corrono.
Qui ci vuole l’uomo. Hannu, help!! L’uomo arriva in soccorso ed i topi non fanno una piega, anzi lo guardano come per dire “cacchio vuoi, lasciaci mangiare in pace”. Hannu, con piglio da antico vichingo, tira loro una randellata con la torcia, l’unica cosa abbastanza grossa che gli capita di avere in mano. Scacciati gli invasori, corro a mettere in salvo in cucina il cibo rimasto intatto, ma il pane e le torte sono rosicchiati e li devo buttare. Sigh, addio colazione! Siamo intenti a cucinarci la nostra cena cinese liofilizzata quando ecco che una creaturina a metà fra un marsupiale ed un roditore, della taglia di un grosso gatto e saltellante come un coniglio, fa il suo ingresso fra i tavoli, con il suo muso da tapiro che funge da aspirabriciole. Dopodichè è la volta di alcuni maiali selvatici, rosa e marroni, che però scappano non appena li rincorriamo per fotografarli. Poiché il tempo non promette bene, per l’indomani decidiamo di scartare la gita al reef, e decidiamo di darci all’ippica.
26/7 CAPE TRIBULATION Piove che Dio la manda. La galoppata è annullata. Troppo pericoloso per i cavalli, ci dicono. Mica per noi!! Giornata inutile, la trascorriamo un po’ dormendo e un po’ leggendo seduti nel ristorante, che è all’aperto, per cui sentiamo il rumore lieve della pioggia sugli alberi, ed osserviamo le gocce d’acqua imprigionate nelle tele tessute da enormi ragni fra un cespuglio e l’altro. 27/7 CAPE TRIB – CAIRNS – MISSION BEACH Lo stesso autista di due giorni fa viene a ripigliarci per portarci indietro. Stavolta il minibus è pieno. Mi invita a sedermi davanti vicino a lui. Tempo di merda come ieri.
Arriviamo a Cairns e vado al bus terminal a prenotare posti e biglietti per Mission Beach. Non ci fermiamo oltre, qui. Poiché so che ho molte probabilità di beccare cattivo tempo, il che pregiudicherebbe la vista sia fuori che dentro l’acqua, decido che il reef sia meglio vederlo più sud, tipo alle Whitsundays o verso Bundaberg.
Scelgo e prenoto a caso sulla Lonely Planet il Backpackers Lodge a Mission Beach. Partiamo alle 6 pm da Cairns ed arriviamo alle 8pm a destinazione, un autista fuori di testa ci viene a prelevare. L’ostello si aggiudica la palma del più schifoso della vacanza. La cucina è inguardabile, ed inannusabile, nelle aree comuni c’è catttivo odore, le stoffe delle poltrone sono sporche e bucate, la nostra stanza, delle dimensioni di una cabina telefonica, ha la moquette che puzza di muffa e le lenzuola di Pocahontas sono tutte strappate. I bagni sono la parte migliore, e non sono comunque granchè. Devo ripetere due volte alla tipa della reception che mi servono coperte e asciugamano (da contratto disponibili nelle doppie, manco li dovesse poi lavare lei a mano…).
Scartata l’ipotesi cucina fai-da-te, viste le condizioni della struttura, non ci resta che il ristorante. Il problema è che Mission Beach non è un paese vero e proprio, bensì una serie di quattro agglomerati urbani di piccole dimensioni sparpagliati su una spiaggia di 14 km. Noi siamo a Wongaling, un po’ arretrati rispetto al lungomare, su una strada non illuminata, dove vedo soltanto due ristoranti, uno italiano e l’altro già chiuso (sono le 21). Non abbiamo scelta. Fra l’altro è vuoto e non c’è l’ombra connazionali. Scoraggiata, chiedo una bruschetta, pensando a che razza di roba mi arriverà nel piatto. Sorpresa, la bruschetta è fatta come Dio comanda, il pomodoro è fresco ed abbondante ed il pane è una specie di focaccina croccante.
28/7 MISSION BEACH – CARDWELL – TOWNSVILLE L’autista schizzato ci riporta alla fermata del bus per Townsville. Il cielo non promette niente di buono nemmeno oggi. Vado a dare un’occhiata alla spiaggia. La sabbia è rossiccia, ossido di ferro, immagino, il mare marrone, as usual. Di fronte alla spiaggia, incombe Dunk Island, verde e minacciosa. In aggiunta, nuvoloni grigi. Una discreta tavolozza cromatica, direi. Ma il paesaggio è piuttosto inquietante, e non fa per niente caldo, ho la felpa addosso.
Il pulman fa una sosta di un’ora a Cardwell. Mangiamo in spiaggia. C’è bassa marea. L’acqua è sempre marrone, ma, di fronte a noi, troneggia Hinchinbrook Island con le sue colline, i verdi boschi, ed un bell’anello di acqua turchese attorno. Qui spunta il sole e si comincia a ragionare. Alle 2 pm arriviamo a Townsville. Andiamo al Reef Lodge, veramente pulito e grazioso, le stanze sono dipinte di fresco, sui toni azzurro e verde, i letti e i mobili bianchi e le coperte piene di pesci colorati. Sembra di galleggiare in un acquario. Townsville, nonostante nessuno ci si fermi perché tutti vanno a Magnetic Island, è una città carina, molto più di Cairns, ha una bella spiaggia, finalmente un mare discreto ed una bella collinetta rocciosa che domina la città, Castle Hill. I negozi, malauguratamente, chiudono alle 5, ma per fortuna non i grossi centri commerciali.
Entriamo quindi in un supermercato per comprarci roba da mangiare. La zona alimentare ha un assortimento tale da soddisfare ogni etnia. Almeno uno scaffale è dedicato a paste e pommarole di tutti i tipi, marche conosciutissime tipo De Cecco ed altre mai sentite che forse producono solo per il mercato straniero. Lo stesso è nel settore messicano, greco, cinese, indiano, hanno pure sfumature vietnamite o thai. Inoltre, poiché gli Australiani hanno la cultura del cibo facile e veloce da preparare, ecco che c’è una enorme scelta di piatti pronti, quasi pronti, liofilizzati. Su queste asettiche bustine decido di buttarmi a pesce. Insomma, non è che ho tempo e voglia di girare con lo zaino pieno di lattine di pelati, mazzetti di basilico, parmigiano, olio e kili e kili di spaghetti!! Nella cucina dell’ostello incontro un ragazzo, sinceramente impressionato dalle mie penne alla puttanesca liofilizzate. Attacchiamo a parlare in inglese e poi scopro che è napoletano, ecco perché era inorridito alla vista del mio cibo. Un suonatore di didjeridoo che è diretto nel Northern Territory per il festival aborigeno di Arnhem Land. In questa zona vivono ancora molte tribù, l’inospitalità della loro terra ha frenato l’invasione dei bianchi e li ha salvati dal genocidio. Mangiamo insieme. Le mie penne alla puttanesca fan schifo, per la cronaca.
Più il tipo di Napoli parla e più io e Hannu pensiamo che non sarebbe male partecipare a questo festival, almeno si vedrebbe qualcosa di autentico. Sinora, da questo punto di vista, abbiamo visto poco. Purtroppo, però , per essere ammessi bisogna pagare una forte tassa, più il volo aereo che non è gratis propriamente e quindi nisba. Peccato, però.
Io mi sto lamentando che non sono riuscita a stringere contatti con nessun Aborigeno, e che mi pare che loro comunque non ci tengano affatto, e vogliano in qualche modo tenere le distanze. Il musicista invece afferma che, in più occasioni, lui ha attaccato bottone per primo, e loro si sono rivelati molto affabili, anzi sostiene che abbiano anche un buon senso dell’umorismo.
29/7 TOWNSVILLE – CHARTERS TOWERS Affittiamo una macchina da Billabong car rentals. Toyota Yaris, 157 Aud, per due giorni, da restituire ad Airlie Beach. Il prezzo iniziale era 49 Aud al giorno, poi c’è una sovrattassa in quanto non la restituiamo nello stesso punto in cui l’abbiamo presa, (alla faccia di quello che diceva 1 Aud al giorno!!!), inoltre altri 18.90 Aud per una ulteriore assicurazione che non era necessaria ai fini legali australiani ma che noi abbiamo preferito versare per essere più tranquilli. Della serie, mai avuto incidenti ma non si sa mai.
Partiamo alla volta di Charters Towers, cittadina situata a 135 km a ovest, in quello che la Lonely Planet già definisce principio di outback, fiorita ai tempi della corsa all’oro e nota ai turisti per la presenza di alcuni edifici in legno originali dell’epoca e ben conservati e ristrutturati.
Lungo la strada, è una strage di canguri. Ne troviamo a pacchi distesi ai bordi della strada, perfino uno rosso, la specie più grossa. Sono terrorizzata all’idea di investirli e guido con mille precauzioni. Tutta questa mia apprensione è in parte immotivata, in quanto sono già le 11, fa caldo, e loro sicuramente sono imboscati da qualche parte all’ombra. Gli incidenti avvengono infatti dal tramonto all’alba quando questi marsupiali si rianimano e brucano ai lati della strada; i fari delle macchine, anziché allontanarli, hanno un effetto ipnotizzante. Questo è anche il metodo che utilizzano i fattori per ammazzarli. Ogni anno, 2 milioni di canguri vengono uccisi in Australia con il permesso della legge, poiché, in soprannumero, rubano al bestiame pascoli preziosi, ed almeno altrettanti vengono uccisi illegalmente dai proprietari terrieri. Che pensano che il limite posto dalle autorità non sia sufficiente ad arginare la minaccia. La tecnica preferita per gli agguati è proprio quella di sorprenderli al buio puntando loro addosso i fari abbaglianti delle macchine: non riescono più a scappare, e sono quindi preda dei feroci umani.
L’Italia è fra i maggiori importatori di pelle di canguro. Pare che sia molto più morbida di quella di vitello, e quindi più facile da lavorare nella produzione delle calzature, soprattutto per le scarpette da calciatore (!!) Charters Towers è quello che è, un paese piccolo con qualche vecchia casa in legno dalla veranda merlettata, dipinta e ben tenuta, bei parchi fioriti dove è piacevole stendersi mezz’ora a prendere il sole, abitanti cordiali, e nulla più.
Torniamo a Townsville prima che sia buio, sempre per via dei canguri. Facciamo un giro sulla passeggiata ed in centro, e poi saliamo su Castle Hill per vedere il tramonto. La salita è ripidissima, la macchina tiene appena la seconda e, anzi, dopo un tornante mi tocca addirittura la prima. Nonostante la pendenza, è pieno di gente che fa jogging. Gli Australiani sono davvero un popolo che ama lo sport all’aria aperta. D’altra parte, con questo clima… 30/7 TOWNSVILLE – BILLABONG SANCTUARY – BOWEN – AIRLIE BEACH Prima tappa, 16 km a sud di Townsville, il Billabong Sanctuary, una specie di zoo dove vivono tutti gli animali australiani possibili ed immaginabili. L’ingresso costa 22 Aud. Il tutto è strutturato attorno ad un grosso stagno, appunto billabong in lingua aborigena.
La visita può essere libera, oppure seguendo uno schema prestabilito, della serie 9.00 hold a koala, 9.30 feed the dingoes, ecc.; ci sono alcuni esemplari di canguri grigi che saltellano liberi per il parco. Sono bellissimi, si lasciano accarezzare. Ovviamente, questa è una situazione atipica, in quanto, in condizioni normali, non si avvicinano all’uomo. Rimbalzano sul terreno con una velocità ed una grazia che non mi aspettavo proprio, silenziosi ed eleganti come dei gatti.
Per la prima volta nella mia vita vedo un wombat, simile ad un cricetone, poi finalmente un casuario, e posso entrare in un recinto dove alcuni graziosi wallabies vengono a mangiare dei semini dalle mie mani.
Inoltre, coccodrilli sdraiati al sole e dingoes sdraiati all’ombra. I koala si potrebbero anche prendere in braccio, ma mi rifiuto di procurare loro questo stress, anche se tutti gli altri lo fanno. Gli Aborigeni credono che i koala siano le reincarnazioni delle anime dei bambini morti, in quanto il verso che i cuccioli emettono se spaventati è simile a quello dei neonati umani.
Certo, sarebbe bello vedere il tutto libero in natura, e non in un contesto forzato dall’uomo, per quanto abbastanza rispettoso dei diritti degli animali.
Ridendo e scherzando usciamo da lì alle 13.30 e, guidando guidando, verso le 16 arriviamo a Bowen, paesino di mare che ci è stata raccomandato dall’impiegata della Billabong Car Rental. Ci guardiamo in faccia pensando che forse è meglio non ascoltare i consigli di tutte le persone che incrociamo sulla nostra via. Ancora un piccolo sforzo, ed eccoci finalmente ad Airlie Beach, punto di partenza per la crociera alle Whitsundays. Cittadina veramente carina. Alcuni ostelli di fama mondiale, tipo il Waterfront Backpacker sono già pieni, altri fan schifo, per cui dobbiamo ripiegare sul Whitsunday Wanderer, 86 Aud, una stanza enorme, letti per 5 persone, una cucina annessa ed un bagno quasi grande quanto il mio appartamento in Italia.
31/7 AIRLIE BEACH – WHITSUNDAYS ISLANDS Giornata passata in spiaggia, in attesa.
Questa sera si parte per la crociera in barca a vela, che abbiamo prenotato qualche giorno prima, a Cairns. Il timore, molto fondato, era quello di arrivare qui e di dover aspettare giorni prima di trovare un posto libero, cosa che noi non possiamo permetterci, dati gli stringati tempi di marcia. Così abbiamo giocato d’anticipo.
Ci sono parecchie compagnie che organizzano crociere di questo tipo. Noi abbiamo scelto Oz Sail, soltanto perché era l’unica che aveva una barca che parte il giorno che serviva a noi. Altra compagnia molto in voga, e leggermente più cara, è Pro Sail. Poco raccomandabile, a detta di molti, la Tallarook. Poi Next Sail, Southern Cross Sails, Aussie Adv Sails, ecc. In any case, per tutti, la tipologia è del genere 2-3 notti di navigazione. Ci sono anche diversi tipi di barche. I catamarani sono più stabili, ma Hannu sostiene che quelli non sono vere barche e non danno la stessa sensazione, poi ci sono le barche da corsa, molto veloci e spartane, senza nessun riparo all’esterno e con le cuccette come tanti loculi senza spazio per le cose personali e la privacy. A noi tocca Madison, un due alberi di 19 metri che divideremo con altre 10 persone, più lo skipper ed il cuoco. Hannu, che è abbastanza appassionato in materia, avrebbe voluto la barca da gara, meno male che non ne ha trovate. Madison, rispetto alla maggior parte dei natanti disponibili, ha dei posti a sedere dietro al timone, sistemati a ferro di cavallo attorno alla scaletta per scendere sotto, ed una specie di “capottina” sopra questa zona, che permette di ripararsi dalle onde e dal vento freddo senza scendere sotto coperta.
Particolare interessante, quasi tutte le crociere di 3 notti, inclusa la nostra, promettono sul depliant che andranno a toccare pure il reef esterno, ma in realtà poche lo fanno. Come mi spiegherà poi lo skipper, il reef è molto lontano, almeno 4 ore di navigazione soltanto per l’andata dall’isola più esterna dell’arcipelago, sempre che le condizioni del mare lo permettano. Per cui verificate bene prima di confermare, se il vostro scopo principale alle Whitsundays fosse quello di andare alla barriera corallina. In alcune zone, tipo Border Island, lo snorkeling locale non ha nulla da invidiare a quello del reef. Questo è quanto ci viene detto…..Ovviamente non lo sapremo mai.
Partiamo alle 7 di sera. Gli altri membri dell’equipaggio sono una famiglia tedesca di 5 persone, una ragazza scozzese single, Cinda, credo, e due coppie di inglesi, Sally & Rob e Milla & Dave.
Il nostro skipper, Jason, nativo di Perth, è stato lo skipper più giovane di tutta la Wester Australia. Non ha una casa, vive su una barca. Che bello, penso.
Tutte le coppie hanno una cabina con un letto a castello. Poi ce n’è una quadrupla dove dormono i 3 ragazzi tedeschi e la Cinda. Dopo due o tre ore di navigazione, mentre Jason ci racconta del suo giro intorno al mondo, la barca attracca in una baia riparata e si dorme.
1/8 WHITSUNDAYS Ci fermiamo un secondo al resort di Hook Island. Compriamo generi vari all’emporio ed alcuni approfittano dei bagni. In barca ovviamente ce ne sono ben due, ma non è propriamente un’impresa rilassante l’usufruirne… Il tempo è bello, ma si è alzato il vento. Proseguiamo verso Border Island, dove si sosta per lo snorkeling. Con un gommone ci portano in spiaggia. I furbi, ossia quasi tutti tranne me, hanno affittato una muta, (nel negozio di Ozsail costava 18 Aud per 3 giorni) in quanto l’acqua è gelida. L’isola è collinosa, piena di alberi del genere conifere, molte rocce attorno alla spiaggia, acqua trasparente. Ci sono delle bellissime farfalle di colore scuro con delle macchie turchesi.
Dopo pranzo, eccoci che si prende il mare aperto. Poiché c’è troppo vento, usiamo una sola vela. Per la prima volta nella mia vita, sono a bordo di una barca a vela che usa le vele. Siamo molto inclinati, io punto i piedi contro l’albero per bilanciarmi meglio e mi godo la vita, il vento, gli spruzzi, i cavalloni. Sotto il controllo di Jason, alcuni volontari provano a timonare. Io non ci penso nemmeno! Il primo è Dave. In certi istanti, la barca si inclina ulteriormente e tutti si aggrappano a destra e manca per non cascare in acqua, ma Jason rimette a posto la situazione che si era fatta un poco critica.
Hannu si rivelerà il più esperto. Jason lo lascia addirittura da solo al timone mentre lui va a prua a mettere a posto delle cime, poi gli ordina di assistere Rob, a quanto pare si fida. In effetti, Hannu se ne intende un po’ perché alcuni suoi amici posseggono imbarcazioni a vela, anche se non così grosse come Madison.
Avvistiamo due balene. In questo periodo ce ne sono moltissime in tutti i mari d’Australia. Vengono qui dall’Antartide per riprodursi. La “nostra” ha un piccolo, questo significa che siamo fortunati, in quanto sale più spesso del solito in superficie per farlo respirare. Un’altra barca si è accorta della presenza dei mammiferi e punta loro contro, andando forse troppo vicino. Le balene, il cui dorso guizzava a pelo d’acqua quasi ogni 2 minuti, ora scompaiono. Siamo tutti incazzati verso l’altra barca che le ha fatte scappare. Ed invece no… La pinna dorsale ricompare a pochi metri dalla nostra barca. Che emozione!! Mi domando perché abbia scelto di venirci così vicino, perché sono sicura che non è capitato per caso. Chi guarda chi, mi verrebbe da dire….
La scena va avanti per una mezz’ora, lo spruzzo del respiro delle due balene si staglia nella luce dorata del tramonto. Pace, silenzio, vento, onde, lo sbuffo del fiato dei cetacei. Nessuno osa apri bocca.
Lasciate le due balene, torniamo ad ancorarci per la notte in una baia riparata di Hook Island, dopo esserci fermati per un’altra seduta di snorkeling ad una bellissima spiaggia composta al 100% di coralli bianchissimi. Cala la notte, il cielo è sereno e pieno di stelle. Degna conclusione di una giornata decisamente sopra le righe. Cominciamo a sentirci più uniti agli altri membri del gruppo, soprattutto alle due coppie di inglesi. Dave & Milla vivono da un po’ in Australia, ad Hervey Bay, sono dei giovani medici venuti qui a fare tirocinio. In religioso silenzio, dopo cena, ascoltiamo, via radio, la cronaca della partita di rugby fra Wallabies e Springboks nel torneo delle Tre Nazioni. Siamo tutti rannicchiati sui sedili attorno al timone. Fa freddo. Nonostante ciò, nessuno va sottocoperta, tutti preferiscono guardare le stelle e Marte, luminoso come non mai… 2/8 WHITSUNDAYS Dopo colazione, partiamo per Whitsunday Island, l’isola più grossa dell’arcipelago. Arrivati alla spiaggia dobbiamo percorrere un sentiero di meno di mezz’ora, che ci consenta di arrivare alla cima del Peak, la collinetta da cui si può osservare il famosissimo panorama. L’ora è la migliore, mezzogiorno, quando si è al culmine della bassa marea, che rende visibili alla massima potenza tutte le incredibili sfumature di turchese.
E’ tutto esattamente come nelle cartoline, troppo bello per essere vero. Rimaniamo parecchio a contemplare lo scenario, il belvedere non è enorme, ma per fortuna ci siamo solo noi. Ecco che iniziamo a fare la conta se e quanti posti più belli di questo abbiamo visto nel mondo.
E’ difficile lasciare qualcosa di così incantevole. Scatto fotografie a manetta, per imprimerlo per sempre nei miei ricordi, caso mai un giorno mi venisse l’arterio e la memoria facesse cilecca.
Dopo il pranzo, Madison ci porta a Whitehaven Beach, una spiaggia bianchissima e deserta. La sabbia è composta in altissima percentuale di silicio, non scotta e produce una specie di stridio sotto i nostri piedi, come se stessimo camminando sulla fecola di patate. Torniamo, per la notte, in un’altra baia riparata di Hook Island, e ci affianchiamo a Mango, un’altra barca della stessa compagnia, ma più piccolina. Tutti gli occupanti di Mango vengono da noi a socializzare nel dopocena. Il cuoco di Mango porta una chitarra ed arpeggia benissimo, purtroppo come cantanti non siamo molto ben messi. Jason è stonato ma non si trattiene ed urla a squarciagola, Hannu faceva parte, da piccolo, della scuola cantori della cattedrale di Helsinki e se la cava anche ora che è cresciuto. Come pure Sally. Gli altri vanno dietro come possono. Forse la più bella serata della nostra vacanza. Cantando sotto le stelle.
3/8 WHITSUNDAYS – AIRLIE BEACH – ROCKHAMPTON Eccoci ad Hayman Island, una delle isole più esclusive e costose. Ovviamente, a nessuno è permesso di attraccare nella baia del resort dove ha soggiornato gente del calibro di Nicole Kidman e Lady D. Quindi si va poco più in là.
Dopo un’oretta di snorkelling, si riprende il mare e si arriva in un punto molto pittoresco, una lingua di sabbia nel mezzo del mare che si unisce a Langford , una piccola isoletta-parco nazionale completamente disabitata ma dove è possibile campeggiare, dopo aver pagato l’ingresso/pedaggio ai rangers. Il mare è bello da paura..
Arriviamo appena in tempo per farci l’attraversata, la marea sta salendo velocemente. Procedendo uno dietro l’altro, sulla striscia stretta che ormai va sommergendosi, sembriamo personaggi biblici in marcia, una fila di miracolati cui è stata concessa la capacità di marciare sulle acque.
Nel dopo pranzo, purtroppo, è l’ora di tornare ad Airlie Beach, ed è anche l’ora in cui Mango sfida Madison a chi ci arriverà per primo. Mango ci si accosta ed il suo cuoco ci getta un sacco nero pieno di immondizia nel nostro canotto di salvataggio. E’ l’inizio delle ostilità, il mare del Queensland come il Golfo di Hauraki. Questa volta, vengono issate entrambe le vele, il vento soffia a 35 nodi e Jason si impegna al massimo. Il mare è grosso; sotto coperta, succede un macello, tutto finisce a gambe all’aria. E’ un bene che Jason ci abbia praticamente costretti a fare i bagagli prima di partire, altrimenti tutta la roba nostra se ne andrebbe ora a spasso per la barca, esattamente come le bottiglie ed i meloni che qualcuno aveva lasciato incautamente sul bancone della cucina.
Che dire? Una sensazione di libertà estrema, tutti ora stiamo riparati a poppa, in quanto a prua arrivano certe ondate che ti lavano completamente e rischiano di trascinarti via. Hannu fa l’equilibrista a destra e manca per fare delle foto. A me non passa neppure per l’anticamera del cervello, di muovermi, mica voglio cadere in mare. Durante le virate, davvero ho l’impressione che la barca si capovolga, ma Jason assicura che questo non può accadere. Se lo dice lui… Mango ci dà del filo da torcere all’inizio, poi non c’è storia e varchiamo per primi la soglia d’entrata del porto di Airlie Beach . Grandi baci ed abbracci, un nodo alla gola e qualche lacrimuccia ingoiata.
Cena memorabile da Neptune Food sull’Esplanade. E’ nient’altro che una pescheria, voi vi scegliete quello che volete al banco e ve lo cucinano, servendolo con contorno di patatine o insalata. Io ordino una reef trout, dalla carne un po’ grassa ma molto delicata, adagiata su un spesso strato di chips, totale 6 o 7 Aud. Le patate fritte sono veramente buone, e tante!.
Dopo mangiato, ci ritroviamo con i nostri compagni di vela, a Shute Harbour, un posto a 2 km circa da Airlie Beach, per una birra in un locale, e poi, a malincuore, io e Hannu dobbiamo lasciare la comitiva, in quanto alle 23 ci parte l’autobus che ci condurrà a Rockhampton in nottata.
4/8 ROCKHAMPTON – YEPPOON – ROSSLYN BAY – GREAT KEPPEL ISLAND Visto così, sembra un viaggio della Madonna, ed invece alle 9.30 siamo già a Great Keppel Island. Rockhampton, dove c’è il bus terminal, è la cittadina più grossa. Credo sia famosa per l’allevamento di bestiame, e per le gemme preziose. Ci arriviamo alle 6 di mattina. Il primo bus per Yeppoon e Rosslyn Bay, della Compagnia Young Bus, non passa che alle 7, per cui abbiamo tempo da sprecare… consumando una economica quanto sostanziosa colazione nella caffetteria annessa al bus terminal.
Yeppon è un piacevole paesino di mare, tutto salite e discese, Rosslyn Bay, una dozzina di km più avanti, è il grazioso porticciolo da cui salpano i traghetti per Great Keppel Island.
Qualcuno forse si domanderà come ho scovato questo posto. Non credo compaia nei grandi cataloghi di viaggi organizzati. Beh, non so neanche io come ci sia arrivata, ma ho inizato a leggere questo nome su una guida prestatami dalla Civica di Torino, associato a mare cristallino fra i piu belli della costa est, e sono andata a cercare su Internet.
Il fatto è che volevo fare qualche giorno di relax, e ovviamente non potevo permettermi posti come Heron, Lizard, o Hayman.
Rimanevano cose tipo Dunk, Hinchinbrook, South Molle, Daydream, Long, Hook, e appunto Great Keppel, tutte con prezzi abbordabili (tipo 60-90 Aud a camera); dalle foto, GK mi pareva la migliore. Mi è andata bene; ne piccola né grossa, poche strade asfaltate, molti sentieri che collegano le varie spiagge ed i look out scenici e collinari, parecchi “fuoripista” fra rovi e sand flies, grandi spiagge bianche e deserte, isolotti raggiungibili via canoa, ecc ecc.
Sbarchiamo senza alcuna prenotazione, lascio Hannu in spiaggia e mi incammino in cerca di una dimora. Hanno costruito pochissimo, c’è un unico complesso alberghiero di un certo tenore, con tanto di piscine e campi da tennis, che però non turba l’armonia del posto, qualche bungalow in affitto qua e là, poi un resort di medio livello, il Bowen, con annesso campeggio ed ostello della YHA, ed il mio prescelto, il Great Keppel Island Holiday Village, che, a dispetto del nome, non è affatto un villaggio turistico. Ci sono delle tende, bungalows, dormitori e qualche camera doppia. Non hanno doppie libere, ma ci danno una cameretta con un letto a castello, costo 27 Aud a letto.
La cucina è decente. Il nostro errore è stato quello di pensare che sull’isola ci fosse un negozio vero e proprio. In realtà si trovano dei generi alimentari soltanto all’YHA, pochi e costosi, e al villaggio di lusso.
Poiché non ci siamo portati dietro quasi niente, dovremo arrangiarci.
Al pomeriggio, sulla Putney Beach vediamo due delfini che arrivano vicinissimo a riva. Io sono la prima a vederli, e prima li scambio per due snorkelers in muta. In tutta la spiaggia ci saranno si e no 15 persone. I delfini guizzano fra le onde per un po’, poi, troppo presto, mi sa, se ne vanno.
Ora di cena, il nostro magazzino provviste langue. Cerchiamo un ristorante e non è impresa facile. Il Bowen è aperto e vicino a noi. La cosa che costa meno sono le lasagne (per l’astronomica cifra di 15 Aud), mi tappo il naso e le ordino. Mi arrivano deposte su uno strato di patate fritte ed insalata, condita con una salsa vinaigrette dolciastra. Sono quasi immangiabili. Dopo cena, romantica passeggiata in spiaggia, con l’aiuto della torcia, qui veramente indispensabile.
5/8 GREAT KEPPEL ISLAND Noleggiamo un kayak per mezza giornata e pagaiamo verso l’isolotto di fronte. Siamo gli unici. E’ bellissimo. Mentre Hannu fa snorkeling, io mi sdraio al sole. Dopo un po’ di relax, ci viene la malsana idea di salire sulla sommità della collina, per vedere il panorama dall’alto e soprattutto per curiosità di sapere cosa c’è dall’altra parte. Non ci sono sentieri, ma non è nemmeno giungla amazzonica, per cui si riesce facilmente a procedere, a parte qualche graffio di arbusti spinosi.
Raggiungiamo la vetta in 10 minuti. Dall’altra parte vediamo una spiaggia esattamente uguale a quella dove siamo stati finora. Però ci sono ancora altri isolotti, e l’insieme non è male, anzi. Ridiscesi, noto che ho le tibie tutte graffiate e sanguinanti.
In aggiunta a ciò, e cosa enormemente più grave, in cima al poggio mi accorgo che la mia macchina fotografica non funziona più. Il pulsante di scatto è bloccato e non c’è verso di farlo scendere. Rivolgo un’occhiataccia ad Hannu, che la sera prima era stato l’ultimo ad usarla, immortalando un opossum su un albero che, non appena ci eravamo avvicinati, aveva smesso di brucare, si era girato di schiena e ci aveva fatto la cacca proprio davanti al naso, in segno di disprezzo per la nostra invadenza. Lui si difende dicendo che non è colpa sua. E, in segno di distensione, mi offre la sua Coolpix.
Apro una parentesi sulla fotografia.
Non avevo mai usato una digitale. I pro sono che puoi scattare foto a manetta, le guardi subito, ed elimini le schifezze. Non hai spese per lo sviluppo, fai stampare solo quelle belle, ecc ecc.
Uno dei contro, diciamo quello più macroscopico, è che, se stai fotografando qualcosa che si muove, diciamo un delfino, o anche solo un bimbo, è impossibile scattare a ripetizione, in quanto l’apparecchio perde tempo a salvare l’immagine esattamente come un PC (compare proprio la clessidrina classica). Una frustrazione enorme.
E poi, ovviamente, la scocciatura di cercare un posto dove poter scaricare le foto. Che magari a Great Keppel Island non c’è un internet point, ma non appena a Rockhampton ne trovi a pacchi. Ma cosa succede se sei bloccato nella foresta guatemalteca???? E come farò fra 20 anni a guardare le mie foto di Australia 2003, quando sicuramente non ci sarà più nessun computer con la fessura da CD? Immagino che questi faranno la stessa fine dei floppi da 5″…..
Comunque, è inutile che mi lamento. Una Coolpix ho a disposizione, e già grazie che c’è!!! Tornati alla base e restituito il kayak, della serie “facciamoci del male” eccoci a comprare, alla reception della pensione, per 2 Aud, la mappa dell’isola, dettagliata e particolareggiata nell’elenco di banchi corallini, maree alte e basse, scogli, sentieri, e chi più ne ha più ne metta.
Saliamo sul bel vedere. La mappa la indica come una cosa mostruosamente impegnativa, ma non è così. Ci sediamo a dissetarci ed ammirare il panorama, ed ecco che sento delle minuscole punture, guardo, schiaccio l’insettino e mi rimangono delle macchie tipo morbillo. Nei giorni seguenti sarà un inferno, farò in tempo ad arrivare in Italia e lavorare una settimana, prima che il prurito mi passi..
Scendiamo da un altro sentiero fino a Leek Beach, dove non c’è anima viva, soltanto le onde ed il loro fragore. Non sappiamo che ora è, il sole è coperto, al momento, ma lo indoviniamo già abbastanza vicino all’orizzonte, per cui è meglio tornare indietro.
Passiamo allo spaccio dell’albergo lussuoso ed acquistiamo qualche boiata per la cena. Non voglio ripetere l’esperimento lasagne.
6/8 GREAT KEPPEL ISLAND Ultimo giorno in questo paradiso, stasera alle 16 il traghetto ci riporta indietro e ci aspetta un’altra notte in autobus, destinazione Hervey Bay.
Stamattina vogliamo raggiungere Long Beach. C’è un sole fantastico. Non è poi tanto difficile arrivare in questo posto, però resta il fatto che per almeno qualche ora non incontreremo nessuno. L’insenatura è riparata dal vento, la spiaggia è lunga almeno un paio di chilometri o forse più, il mare è calmo e limpidissimo, non c’è anima viva!!! Soltanto noi. Sono cose che capitano raramente, immagino. E’ difficile allontanarsi da un posto così….
Arriviamo a Yeppoon alle 16.45. Problema: il nostro bus da Rockhampton per Hervey Bay parte all’una di notte. L’ultimo bus da Yeppon a Rockhampton passa alle 19. Cosa facciamo di noi in tutto questo tempo? Sull’autobus che da Rosslyn Bay ci porta a Yeppoon, l’autista ed un terzo passeggero, l’unico, oltre a noi, si offrono di aiutarci dando tutta una serie di suggerimenti utili, cinema, bowling, ecc. Il terzo passeggero è una macchietta: sale sul pulmann con uno zaino e 3 o 4 canne da pesca, che puntualmente si impigliano nei miei capelli. Non ha l’aria di avere tutte le rotelle al posto giusto. In più, puzza di pesce da far paura. Hannu, curioso, gli attacca bottone per sapere se è un pescatore dilettante o cosa, e come mai va in giro con tutte quelle canne, ecc ecc. Per tutta risposta il tizio apre lo zaino e tira fuori trionfalmente un pesce enorme dall’aria aggressiva. Teneva il pesce nello zaino, senza avvolgerlo nella carta!!! L’autista, senza nemmeno girare la testa, si mette ad annusare l’aria come un segugio, inchioda, ferma il bus, sequestra la merce e la porta sotto nel bagagliaio, dicendo che è vietato portare cibo sull’autobus… Veniamo scaricati tutti quanti a Yeppoon, dove io e Hannu ci facciamo un giro per la cittadina. Alle 19 ci riprendiamo il bus per Rockhampton che dista circa una mezz’oretta di strada. Dopo circa 10 minuti a velocità sostenuta, il bus ferma e chi sale? Di nuovo il tizio del pesce!! Ma come ha fatto ad arrivare così distante?? E poi che fa, gira tutto il giorno sugli autobus per far passare il tempo? Mah, mistero ….
Al bus terminal ci fermiamo a cianciare con alcuni tizi conosciuti a Great Keppel Island, e nel frattempo tutte le taverne e i ristoranti possibili ed immaginabili nei paraggi fanno tempo a chiudere. Così ci tocca il Kentucky Fried Chicken. Animata discussione per disquisire se siano più buone le crocchette di pollo di Mc Donald’s o quelle di KFC.
Rientrati al bus terminal, troviamo il pavimento allegramente infestato da grilli. Ecco perché tutti avevano messo gli zaini sulle sedie. Solo noi gli unici pirla che siamo andati a mangiare lasciandoli in terra….. Vado nel bagno, e ne conto almeno 20, di questi insetti, tutti aggrovigliati in un angolo uno sopra l’altro. Marò, che schifo… 7/8 ROCKAMPTON – HERVEY BAY – FRASER ISLAND La nottata in bus è un incubo. L’autista è una specie di nazista, a bordo niente cibo, niente acqua, è vietato usare la toilette quando il bus è fermo, vietato spegnere l’aria condizionata, obbligatorio tenere allacciate le cinture di sicurezza, e non schiodarsi dai posti che ci hanno assegnato, ecc ecc.
E che due coglioni!! Ma non è finita qui! Ovviamente, appena il torpedone parte , tutti alla ricerca di un altro posto dove si stia da soli per slungarsi e dormire un attimino più comodi. Non l’avessimo mai fatto!! Ferma il pulman. Lascia il posto di guida e viene nel corridoio più o meno a metà. Cazziatone globale. Lui è lì per lavorare e noi non abbiamo rispetto, non collaboriamo e non facilitiamo il compito. Mormorii di disapprovazione si levano dalle retrovie, praticamente raffiche di “vaffanculo” tradotte in tutti gli idiomi dell’Unione Europea….
Si arriva alle 7 di mattina ad Hervey Bay, meno male. Al bus terminal c’è un piccolo ufficio informazioni con valanghe di depliants dei tours da farsi a Fraser Island.
Fraser è l’isola sabbiosa più grande del mondo, e la si può percorrere soltanto in 4WD. Le soluzioni sono molteplici. Si affitta un veicolo fuoristrada e si va all’avventura. Oppure, ci si rivolge ad un operatore esperto del settore, per un self drive tour, ossia si mettono insieme 8 persone, la jeep, e materiale da campeggio. Le 8 persone, o alcune di esse, devono guidare la jeep. Terza possibilità: il guided tour. Optiamo per quest’ultimo. 2 giorni e 1 notte. Motivazione: non sono capace di guidare un fuoristrada. Il campeggio mi piace. Ma non durante l’inverno australiano, quando la temperatura di notte scende, fa un freddo becco, e rischi di prendere pioggia e star bagnato per 2-3 giorni.
Col senno di poi, abbiamo fatto la cosa più saggia, in quanto è piovuto la notte, è stato piuttosto freddino, ed abbiamo visto parecchi 4WD impantanati in mezzo metro di sabbia soffice.
Confrontiamo un po’ di prezzi. Si aggirano tutti sui 200 Aud, con il pernottamento in un unico resort. Non ci sono grandi differenze di itinerari, ci pare.
Dopo un’oretta, ecco che un tizio viene a raccattarci. Noi abbiamo lasciato il grosso dei bagagli in un deposito automatico, dove si mettono le monete nelle fessure, e ci portiamo dietro solo lo stretto indispensabile. Lungo la strada, il bus raccoglie altri partecipanti che invece si trascinano dietro interi armadi di roba.
Raggiungiamo Fraser Island dalla parte est, dove le coste sono paludose e dove è vietato guidare sulle spiagge, poiché c’è il rischio delle sabbie mobili. Procediamo verso il centro dell’isola. Le strade sono sentieri di sabbia, ci sono buche profonde come crateri, si balla così tanto che non riesco nemmeno ad abbioccarmi, anzi corro addirittura il rischio di battere capocciate contro lo schienale davanti. Giungiamo nel mezzo della foresta pluviale, alla cosiddetta Central Station, e camminiamo per una mezz’oretta lungo un facile sentiero. Poi, pranzo al resort.
L’Eurong, formato da alcune palazzine bianche, offre sistemazioni per tutte le tasche (inclusi dormitori). La nostra stanza è già compresa nel pacchetto, ma Lonely Planet afferma che costerebbe circa 80 Aud.
Il ristorante funziona a buffet. Se arrivi presto, hai vita facile. Sennò ti tocca fare code peggio della mensa aziendale.
Non so da dove venga il cuoco, ma la pasta è cotta come si deve, ed il sugo al pomodoro fatto proprio col pomodoro. Inoltre, c’è del barramundi, una specie di pesce locale, fritto in pastella, che è la fine del mondo.
Noi arriviammo alla 1 al ristorante, ed alle 2.30 già dobbiamo di nuovo partire per un’altra escursione. Peggio che in caserma!! Ecco perché odio i viaggi organizzati.
Il Lake Wabby lo si raggiunge scarpinando per 1.8 km, la metà dei quali in salita su dune di sabbia, sembra di essere in pieno deserto. Quello che ci voleva per smaltire il barramundi! Le sponde sono per metà coperte di sabbia come il resto, e per metà orlate di foresta pluviale verdissima. Chi lo desidera, può nuotare nelle cristalline acque color smeraldo del lago.
La costa ovest di Fraser è un immenso spiaggione, formato da sabbia stabile, per cui ecco che le jeeps possono sfrecciare in tutta sicurezza, senza eccedere gli 80 Km/h.
La balneazione è vietata per via dei grossi squali in circolazione. Ci viene proprio fatto notare di non prendere sottogamba le cose, non sono squaletti da barriera corallina, bensì i parenti di taglia maggiore. In pratica, a Fraser si può nuotare soltanto nei numerosi laghi.
Il mare, a parte la zona settentrionale, Indian Head, è quasi sempre agitato, ma ha colori bellissimi.
Indian Head non è purtroppo previsto nei circuiti di 2 giorni. Grr, certo che se evitassimo di tornare al ristorante a pranzo, ci sarebbe stato spazio anche per quello … altro motivo per cui odio i tour organizzati. Però avrò modo di vederlo lo stesso, dalla barca, nei prossimi giorni. Peccato che adesso io non lo sappia ancora, e quindi mi senta come se dovessi rinunciare a qualcosa di preziosissimo che invece è molto a portata di mano..
Un’altra particolarità della spiaggia ovest è un relitto di una nave giapponese risalente al 1936 o giù di lì, parzialmente insabbiato.
Poco più in là, dune di sabbia di colore variegato, dal panna al rosso, per via della composizione chimica del terreno.
Piccolo particolare, io mi perdo discreta percentuale delle spiegazioni della guida, che tende a biascicare le parole senza nemmeno muovere le labbra. Eh, il fantastico accento australiano…..
Ritornati in albergo, ci viene comunicato che la cena viene servita alle 18. Arriviamo alle 18.30 e ci ritroviamo in una coda di fantozziana memoria.
La tendenza della gente è quella di farsi riempire il piatto all’inverosimile mescolando tutto. Se mangiassero una cosa per volta, ognuno punterebbe soltanto alla cosa di primario interesse e non ci sarebbero ingorghi.
Vaglielo a spiegare, ai tedeschi!! Ho come il sospetto che, se abbandono la fila e mi fiondo alle carni, che è quello che mi fa gola, mi linciano. Già mi hanno guardato con disprezzo oggi pomeriggio quando mi sono presentata al bus alle 14.32 anziché alle 14.30. Sei in ritardo!!!, ha tuonato la guida.
Al ristorante ci sono solo vecchie cariatidi o famiglie, per cui, dopo cena, andiamo alla ricerca di un po’ di movimento. La gioventù abbonda nella zona dei dormitori, riversandosi in un bar vicino alla spiaggia, con piscina, musica ad alto volume, biliardi, ecc ecc.
Anche qua, passeggiata al chiaro di luna, che è quasi piena, e sottofondo di “Rock this way” in lontananza.
8/8 FRASER ISLAND – HERVEY BAY Questa mattina si percorre in modo più approfondito la costa ovest , che in parte abbiamo già visto ieri. Chi vuole e può permetterselo può fare la scenic flight. Ci fermiamo ad esaminare e squadrare per benino il relitto e le terre colorate che ieri abbiamo soltanto sfiorato, e poi ci conducono ad Eli Creek, una specie di torrentello color acquamarina, trasparentissimo, in mezzo ad un boschetto, dove si può fare il bagno facendosi trascinare dalla corrente. Ed eccoci di nuovo come tanti soldatini in fila alla mensa, dopodichè si torna a Hervey Bay, sostanto alla “perla” di Fraser Island, il lago Mc Kenzie.
Probabilmente lassù qualcuno mi ama. Sarebbe stato magnifico anche con le nuvole, sia chiaro, ma quando arriviamo, sbuca un sole deciso.
Che meraviglia. Sabbia di un bianco accecante, fa male a guardarla, col sole, sembra neve, ed acqua dai colori caraibici.
Un sacco di cartelli segnalano la presenza di dingoes, pregando di fare attenzione, tenere sott’occhio i pargoli, ed avvisando che è proibito nutrire questi animali, o lasciare rifiuti o avanzi in giro, pena multe severissime.
I dingoes sono cani selvatici, ma a Fraser sopravvive la razza più pura, che non si è imbastardita accoppiandosi con i cani domestici come sul resto del continente. Possono essere pericolosi, attaccano in gruppo con la stessa modalità dei lupi, e due anni fa hanno sbranato un bambino. In caso di incontri fortuiti, si raccomanda di allontanarsi senza mostrare paura e ignorandoli il più possibile, senza dar loro la schiena, per non far scattare in loro l’istinto alla predazione.
Abbiamo incontrato dei campeggiatori (ragazze conosciute a Cape Trib) che li hanno incrociati di notte andando alla toilette, e dicono che non è stato divertente. Dopo la sosta in questo luogo incantato, eccoci ritornati ad Hervey Bay.
Sorpresa, un black out dovuto ad un temporale durante la scorsa notte ha messo fuori uso gli armadietti dove avevamo lasciato la nostra roba. Sono le 17.30, e noi abbiamo appuntamento alle 18 con il padrone del Woolshed Hostel che ci viene a prendere. Un biglietto adesivo pubblicizza un numero verde in caso di guasti. Telefono e, caso strano, rispondono, anzi rispondono subito!!. Spiego il problema. Mi invento che devo prendere un bus stasera, tanto per drammatizzare un pò. Mi assicurano che entro 10 minuti arriva un tizio a sbloccare il disguido.
Sì, figuriamoci….Penso scoraggiata.
Lasciandomi a bocca aperta, nel giro di 10 minuti arriva davvero un omino, che ci sblocca le serrature automatiche, resetta il tutto, e si scusa per l’inconveniente.
Ma questa è pura fantascienza!!!! Pure Hannu è sorpreso e si complimenta col tipo, assicurandolo che un servizio così impeccabile non si trova nemmeno nei paesi scandinavi, che pure hanno fama di essere mondo civile.
Il pick-up del Woolshed arriva puntuale, ed eccoci qua, in questo grazioso ostello tutto di legno, con un sacco di gingilli appesi alle pareti, pelli di mucca, segnali stradali, composizioni di fiori secchi, finimenti per cavalli. Un po’ freddo di notte, però. Abbiamo richiesto coperte supplementari e ci hanno accontentati con dei sacchi a pelo.
9/8 HERVEY BAY Finalmente una mattina dove non c’è niente da fare. Io prima cerco un fotografo, dove mi confermano che la mia macchina è kaputt (tragedia), e Hannu si scarica la memoria della digitale.
Per il pomeriggio, prenotiamo, per 70 Aud, un whale watching. Le balene già le abbiamo viste alle Whitsundays, e gratis, per giunta, ma non sappiamo che fare… In effetti, ne è valsa la pena. Prima di tutto, abbiamo costeggiato il famoso Indian Head. E già solo per questo sarei stata soddisfatta di avere pagato il biglietto.
Secondo, una balena ha visto noi. Ha tirato fuori il muso per almeno due metri dall’acqua. Prima di ciò, ha nuotato in ogni posizione sotto e di fianco la barca, vicinissimo a noi. Terzo, un magnifico tramonto ha accompagnato il rientro al porto.
Milla & Dave, i nostri compagni di barca a vela ci aspettano a casa loro e ci vogliono ospitare per la notte. In realtà non ci sentiamo di disturbarli, infatti domani vogliamo prendere l’autobus delle 10 am per Brisbane. La loro casa è lontana dal bus terminal, e noi non vorremmo obbligarli ad accompagnarci in macchina a quell’ora oscena del mattino.
Alla sera, esperienza gastronomica da sottolineare. Se vi trovate a Torquay, (uno dei paesini di cui è composto Hervey Bay, insieme a Scarness, Ungara, e Pialba), andate al Pepper Bistro del Torquay Hotel. Normalmente si dice, “ho mangiato bene, peccato me ne abbiano dato poco”. Qui non succede, anzi… Prezzi: un petto di pollo impanato, piatto enorme di patatine, sugli 8 Aud. Più un garlic bread che me lo sogno ancora adesso 4 Aud. Hannu è così pieno che non riesce nemmeno a finire la birra. Il che è tutto dire….
Rotoliamo, è proprio il caso di dirlo, fuori dal ristorante.
10/8 BRISBANE L’autista del bus è un tesoro, mi lascia portare a bordo tutti i miei spuntini, non mi scaccia quando vengo a sedermi in prima fila per godermi il panorama, non mi sgrida quando gli sbriciolo sui sedili i muffin ai mirtilli. Brisbane mi pare una gran bella città. Parchi fioriti dove un sacco di giovani bivaccano ascoltanto musica, giocando a rugby e prendendo il sole, le famiglie passeggiano, il clima è invidiabile, c’è un fiume, il mare, i grattacieli hanno un che di aggraziato che non stona col paesaggio circostante, mi dà l’impressione di essere un posto dove è facile vivere. Allo skyline di stampo nordamericano si aggiunge una certa trasandatezza tipica dei tropici. E’ possibile vedere già qualche fighetto vestito all’ultima moda, e poi il personaggio tutto sbracato che scende dalla macchina a piedi nudi per fare la spesa, od il teen-ager che viaggia in City Cat con il suo surf… Il centro ha un paio di vie strapiene di negozi, ma, alla chiusura di questi ultimi si dice diventi un mortorio. Perché qui la vera vita si trova nei sobborghi, in particolare a New Farm e la Fortitude Valley.
Troviamo una sistemazione a New Farm, piuttosto vicino alla fermata del City Cat. Questo è il nome del ferry che fa servizio lungo le sponde del fiume. Edward Lodge, un bel posto, una camera con bagno moderno appena ristrutturato al costo di 60Aud. La zona, Sydney Street, è veramente molto carina. Tutte casette basse di legno, nello stile tipico del Queensland, giardini molto curati, erba perfettamente rasata tipo campo da golf. Alla sera, andiamo a vedere un po’ di movimento nella Fortitude Valley, a piedi camminiamo per circa 15-20 minuti, fino a raggiungere una zona pedonale con tanta gente, ed alcuni bar davvero notevoli, come design, luci ed ambientazioni. Nel quartiere noto che ci sono un sacco di negozi da parrucchiere, chiropratici, e di arredamento etnico raffinato. Questo non è il Queensland buzzurro di Rockhampton!! 11/8 BRISBANE – MELBOURNE – GEELONG Gran parte della giornata viene trascorsa passeggiando nei parchi della città. Ieri, che era domenica, lungo le rive del fiume avevamo visto un sacco di gente nei dintorni di Kangaroo Point, e numerosi free climbers intenti ad esercitarsi sulle rocce a strapiombo. Torniamo nella zona ma putroppo oggi è pressochè deserto.
Questa sera, ci si separa. Io parto per Melbourne in aereo. Hannu, che non vuole venire con me perché dice che al sud c’è troppo freddo, non ha ancora piani precisi, ma da Brisbane arriverà a Sydney in autobus, facendo qualche tappa intermedia. La mia intenzione, invece, è quella di percorrere in macchina a noleggio la Great Ocean Road in due giorni, e raggiungere Sydney con autobus notturno. L’apputamento è a Sydney per il 14 agosto mattina, alle ore 8, alla stazione centrale.
Nel pomeriggio facciamo un po’ di shopping in Roma street, la via principale.
Io, nel frattempo, mi sto industriando per organizzarmi la vita nei prossimi due giorni. Parto stasera alle ore 19.15, ed arrivo a Melbourne alle 21.45, e voglio raggiungere subito via treno Geelong, che è la citta più prossima ai luoghi di mio interesse con l’ultimo treno delle 23.35. Dall’aeroporto di Melbourne ci sono autobus ogni mezz’ora per il centro città e, considerando che non ho ancora il biglietto del treno e devo cercare la stazione, non avrò tanto tempo da perdere! Fra l’altro, non ho una guida, in quanto non mi pare il caso di spendere altri soldi per una Lonely Planet del Victoria per 2 giorni di permanenza soltanto. Per la sistemazione della prima notte, considerata l’ora tarda a cui arriverò, contatto quindi l’ufficio turistico di Geelong per sapere se c’è un hotel che costi poco vicino alla stazione ferroviaria. Mi consigliano l’hotel Carlton. Insisto che ne voglio uno che costa poco, dal nome non mi pare… La signorina mi conferma che una singola costa 49 Aud e mi lascia il numero di cellulare del proprietario, Bill. Lo chiamo per prenotare informandolo che arriverò molto tardi, verso la mezzanotte e trenta. Lui propone di nascondere la chiave della mia stanza da qualche parte vicino alla porta della reception, ma io non riesco a capire dove, ha un accento incomprensibile, alla fine capitola e dice che mi aspetterà, per cui io non devo far altro che suonare il campanello. Saluto Hannu e mi avvio. In aeroporto, nell’attesa, scovo in una edicola una guida del Victoria e riesco a leggere notizie del mio hotel. Non molto confortanti. Pare che sia situato sopra un club di dubbia fama, ma le camere sono OK, rassicurano.
L’aereo parte in ritardo, e arriva con mezz’ora di ritardo. Maledetta sfiga, la faccenda si complica. Perdo per un soffio il pulman delle 22.20, devo aspettare un’altra mezzora, e sperare in un miracolo. Notare che il treno per Geelong parte alle 23.25!! Il tragitto non dovrebbe essere lungo, circa una mezz’ora. L’autobus delle 22.50 arriva anche in anticipo, ma purtroppo c’è un sacco di gente e l’autista perde un molto tempo a fare tutti i biglietti.
Alle 23.25 veniamo scaricati in un piazzale buio, con tanti palazzi altrettanto bui e senza insegne tutto attorno, quello della stazione dovrebbe essere uno di questi, ma come fare a trovarlo al primo colpo? Un ragazzo mi viene in soccorso, mi chiede dove devo andare, per fortuna fa un pezzo della mia stessa strada. Corro come una disperata, entro in stazione da un sotto passaggio e, manco a farlo apposta, il mio binario è il più distante di tutti. Riesco ad acciuffare il treno con l’ultimo fiato che mi resta. Sono sconvolta.
Arrivo finalmente a Geelong. Ora che ho smesso di correre, mi rendo conto che fa molto freddo, ci saranno 5 o 6 gradi. Come degna conclusione di una serataccia, ecco che uno dei passeggeri scesi con me cerca di rimorchiarmi. Sto davvero per farmi prendere dallo sconforto , quando ecco che un tizio, che fino allora era stato fermo in disparte ad aspettare chissà chi, mi chiede se sono Cristina. E’ Bill, per fortuna! Che carino, è venuto ad aspettarmi invece di farmi fare la strada a piedi. Però, mi rendo conto presto che è pesantemente ubriaco. O Madonna! L’hotel Carlton è vetusto, nella reception riesco a vedere parte del pub, con le pareti foderate di velluto rosso, tipo bordello.
Ovviamente, non c’è riscaldamento. Ma ecco che Bill ancora una volta dimostra di essere una persona squisita, nella stanza mi ha portato una stufetta elettrica, che deve avere acceso qualche ora fa, per cui adesso c’è un discreto calduccio. I bagni (in comune) invece sono gelidi, rimando la doccia a domani mattina. Ridendo e scherzando, si è fatta la una. I miei piani prevedevano la sveglia alle 8, e non voglio cambiarli. Devo cercare un autonoleggio e partire subito.
Mi metto a letto. Gli infissi della finestra sono vecchi e malridotti, l’aria gelida penetra nella stanza. La stufetta non è sufficiente. Dormo malissimo per via del freddo.
12/8 GEELONG – GREAT OCEAN ROAD – PORT CAMPBELL Mi sveglio con il naso ghiacciato. Rabbrividisco al pensiero della doccia che mi aspetta, ed invece riesco anche in questa difficile impresa. Nella cucina non c’è nessuno. Bill mi ha informato che la colazione è free, ma non devo aspettarmi troppo. Pane, burro, un sacco di marmellate e molte varietà di bustine di the, latte, cornflakes. Oltre all’immancabile vegemite. Forse non sa che, per noi italiani, questo è più che sufficiente. Dopo essermi abbuffata, imbosco due o tre confezioni di vegemite. Voglio portarle a casa e farle assaggiare a mio fratello, che è notoriamente una fogna. Sono curiosa di sapere se riesce a ingoiare anche questa schifezza. Poi esco e scovo un ufficio turistico in un supermarket dei paraggi, dove un signore anziano, un pensionato che fa volontariato, si dimostra esperto agente di viaggi e mi riempe di cartine. E mi spiega la strada per trovare gli autonoleggi. Da Budget non hanno macchine piccole, Europcar mi propone una Yaris, un’occasione specialissima a prezzo specialissimo. Dopo mi accorgerò che non ha nemmeno il pianale per coprire il bagaglio… Eccomi in autostrada, piuttosto agevole uscire dalla città. Mi fermo al primo paesino che incontro, Torquay, perché è la capitale del surf australiano. Una delle sue spiagge, Bells Beach, nominata anche nel film Point Break è sede, durante il week end pasquale, di una famosissima gara internazionale, la Rip Curl Pro. Noto, in giro, alcuni spacci di abbigliamento ed attrezzature da surf. Mi fermo in qualche negozio a curiosare. Ovunque, tavole a noleggio, 15 Aud per mezza giornata. Non c’è molta gente in giro. Decido che Bells Beach la vedrò al ritorno.
Proseguo, da adesso in poi la mia macchina correrà stretta fra la scogliera e l’oceano. Che ha dei colori stupendi, acque purissime, sfumate dal turchese al blu profondo. Mica come a Wongaling e a Port Douglas!! Attraverso paesini deliziosi, Anglesea, Lorne, Aireys Inlet e il suo faro, Wye River, Kennet River, Skenes Creek, tutto è così curato, ordinato, pulito. I prati sono di un verde abbagliante, il cielo parzialmente sereno, il vento frizzante, ma si sta bene senza la giacca. Praticamente ogni mezzo chilometro c’è uno scenic look out, fermo la macchina, scendo e contemplo il panorama.
Mi fermo ad Apollo Bay per il pranzo in un take away turco e consumo il pranzo nell’area picnic della spiaggia, e compro delle cartoline in un emporio che vende di tutto un po’, come da noi una volta. Assaporo il silenzio e la pace del mare d’inverno. Da Apollo Bay sino a Port Campbell la strada fa una deviazione all’interno, attraverso l’Otway National Park con boschi pieni di mimose in fiore.
Il tempo, purtroppo, cambia e volge al pessimo.
Arrivo ai Gibson’s Steps, che segnano l’inizio dell’aerea dei Dodici Apostoli. Sono solissima e piove. E’ l’unico posto dove sia possibile scendere in spiaggia affidandosi ad una ripida e scivolosa scalinata. Penso che questo sia uno dei luoghi nel mondo dove l’essere umano si rende davvero conto di essere piccolo ed insignificante di fronte all’imponenza della natura. Ed io mi sento meno di una pulce su questo lembo di sabbia rossa, fra le onde impetuose e l’altissima scogliera dietro di me, che sembra tagliata con un rasoio affilato. Proseguo verso i Dodici Apostoli, che non riesco a scorgere dalla strada. Qui il parcheggio è un po’ più affollato, sono ormai le 16.30. Stranamente, non si paga niente, che strano… C’è tutta una stradina bella piastrellata, con tanto di sottopassaggio, centro informazioni , bagni pubblici, che conduce al belvedere. Qui, non c’è verso di scendere in spiaggia. Ecco quindi il momento tanto sognato, ora sono qui davvero, questa è la realtà, non più la foto del mio screensaver in ufficio. Mi domando dove cacchio sia Hannu in questo momento, e cosa stia facendo. Ovunque sia, e per quanto sia bello il posto dove lui sta adesso, non può raggiungere questo livello. Mi viene quasi voglia di chiamarlo per dirgli “pirla, ecco cosa ti sei perso!” Bene, è quasi tutto per me sola! Poche anime in pena mi gironzolano attorno, sembrano più attente a non bagnarsi che non a lasciarsi rapire da questa bellezza quasi innaturale. Io invece ho l’ombrello appeso al polso e mi sono perfino dimenticata di aprirlo.
Come se Hannu mi avesse letto nel pensiero, ecco che arriva l’SMS “What are the rocks like”. “I’m speechless” devo ammettergli.
Spero qualcuno mi crederà quando racconterò che questa è una delle cose più belle che abbia mai visto nella mia vita. E chissà cosa sarebbe stato con lo sfondo di un infuocato tramonto….
Di malavoglia, riprendo il mio cammino, lungo la strada dovrebbero esserci altre perle. Faccio una sosta al Loch Ard Gorge. Qui le scogliere formano una specie di semicerchio attorno ad una baia molto riparata, e con un’acqua incredibilmente turchese. D’improvviso mi ritrovo a Port Campbell e mi rendo conto che mi sono persa l’Arches National Park!! Ripercorro mentalmente gli ultimi tratti di strada, e sono quasi sicura di non aver visto nessuna deviazione. Mi fermo allora al Loch Ard Motel, all’inizio del paese, con vista spiaggia e scogliera. 60 Aud per una bella doppia dal letto enorme. C’è pure la TV, poiché sono sola, il tempo è uno schifo e non ci sono locali dove incontrare gente, penso che non mi dispiacerà. Aggiudicato.
Il padrone del motel mi rassicura che sono sana di mente, per ora. Gli archi sono a qualche km di distanza in direzione di Warrnambool, cioè quella opposta, ecco perchè non li ho visti!! Un’altra cosa da fare domani mattina. Dopo aver curiosato un po’ nel negozio di fronte che vende di tutto, compro qualcosa da mangiare in camera, delle cartoline, e mi ritiro, spaparanzata sul letto a fare progetti per l’indomani. Che giornata piena di impegni che mi aspetta. Il ritorno ai 12 Apostoli nella speranza di vederli col sole, poi Bell’s Beach per vedere i surfisti con la S maiuscola in azione, il treno per Melbourne, se ci scappa, breve corsa in centro città, e, dulcis in fundo, il bus notturno per Sydney.
Devo proprio sbrigarmi. Poiché odio correre, programmo di alzarmi parecchio presto, diciamo verso le 7 e poiché alle 21.30 non so più cosa fare delle mie ossa e decido di dormire, di certo le ore di sonno non mi mancheranno.
Ed invece, tutto va storto… 13/8 GREAT OCEAN ROAD – GEELONG – MELBOURNE – SYDNEY Ore 1 di notte, mi sveglio di soprassalto, come se avessi avuto un incubo, con una nausea quasi insopportabile. Il che è strano, dato che ho mangiato una zuppa di verdura e un po’ di frutta e biscotti secchi.
Mi ributto sotto le coperte e mi riaddormento. Ore 4 sveglia nuovamente, fitta ai fianchi: colichetta d’ordinanza. Non che me lo aspettassi, ma sono ben consapevole che nei giorni trascorsi ho bevuto molto poco. Passo le due ore seguenti a bere litri d’acqua e fare pipì sperando che i dolori mi passino. Sono incazzata nera. Non ho paura. Se le cose van male non devo far altro che alzare il telefono e chiamare il 118. Dopotutto, sono in Australia, capiterò in un pronto soccorso che in Italia me lo sogno… No, sono incazzata nera perché fra tre ore ho un sacco di cose da fare e chissà come farò. Chissà se ce la farò a guidare, a correre se sono di fretta, chissà se ce la farò a stare una notte intera in un bus senza possibilità di sdraiarmi, ecc ecc. La sveglia è postposta alle 8.30, sono riuscita a sonnecchiare dopo le 6.30, i dolori sono in parte passati, ma non mi sento molto in forma.
Non so nemmeno bene io come, ma alla fine ce la faccio a mettermi in macchina, prendere la direzione per Warrnambool, vedere gli Archi ed il bridge, ritornare ai Dodici Apostoli e ai Gibson steps e fare fotografie decenti. Non c’è traccia del maltempo di ieri, un bel sole limpido si sta facendo strada fra parziali strati di nubi. Ottima luce.
Ripercorro a ritroso la strada fatta ieri, con una certa malinconia. L’Oatway National Park, con il tripudio di giallo delle mimose oggi esaltato dai caldi raggi del sole, Apollo Bay, Skenes Creek, Kennet River, ecc ecc. Cerco di sbrigarmi, anche se vorrei trattenermi ancora, perché voglio vedere la mitica Bell’s Beach. Il surf è uno sport che mi ha sempre affascinato, attesa, pazienza, equilibrio, sfida al pericolo. Point Break è un film che mi colpì moltissimo, ai tempi. Un po’ di azione, ma non da cerebrolesi, ritmi serrati, continue sorprese e poi quel gran figo di Keanu Reeves, meno che trentenne, che ancora oggi ha i suoi perché e quindi figuriamoci allora. Apparentemente, la spiaggia deve essere enorme, in quanto ci sono almeno un paio di uscite dalla statale che la indicano. Io prendo la prima, che indica Bells Beach South.
Arrivo ad un belvedere a picco su una scogliera dove stazionano alcuni curiosi. Sotto di noi si alternano calette di sabbia e rocce, il mare è calmissimo ma, da un certo punto in poi, probabilmente il fondale si deve alzare bruscamente perché dal nulla si formano delle belle ondone. Coloro che si esecitano a cavalcarle sono molto bravi, i più bravi che abbia mai visto in giro, uno addirittura è ai livelli di quelli che si vedono in TV. Mi sembra un posto pericoloso per fare surf, con tutte quei massi attorno.
Al posteggio, ecco che un surfista ha parcheggiato la sua sgangherata station wagon vicino alla mia Yaris. Lo osservo durante il rito della vestizione. E’ un bel ragazzo biondo. Vorrei chiedergli se posso fotografarlo con i suoi ferri del mestiere, ma non mi oso. Magari, per una turista straniera che fa gli occhi dolci potrebbe forse acconsentire, ma mi vergogno troppo. Faccio un salto di qualche ora ed eccomi a Melbourne alla ricerca del terminal degli autobus. Altro salto nel tempo ed eccomi sul bus, in prima fila, placidamente addormentata per buona parte del viaggio, e sveglia e vigile alle prime luci del mattino, verso le 7, quando rimaniamo impantanati nel traffico della tangenziale di Sydney. 14/8 SYDNEY L’appuntamento con Hannu è alla Central Station alle 8, entrambi diamo per scontato che ci incontreremo nella zona dedicata a bus terminal. Di lui non vedo traccia, ma non mi preoccupo più di tanto, conoscendolo. Sono ferma vicino al banco del check in Greyhound e lui mi piomba addosso all’improvviso, strapazzandomi, scompigliandomi, spettinandomi. Le impiegate ci guardano come fossimo due idioti.
Mi racconta che è stato prima a Surfers Paradise, che, come gli avevo predetto, è un postaccio, troppo turistico e per niente affascinante. Ha colto l’occasione per provare l’ebbrezza del surf, ha affittato una tavola, un insegnante improvvisato gli ha spiegato brevemente come fare a stare in piedi almeno per un nano secondo, e poi ha tentato la fortuna e si è divertito parecchio. Più che l’equilibrio, lo preoccupava il fatto di non beccarsi la tavola in testa quando cascava in acqua. Dopodiché si è recato a Byron Bay che passa per essere una delle località più suggestive della costa fra Sydney e Brisbane. Per non perdersi nulla del panorama, ha pensato bene di fare deltaplano. Ovviamente insieme ad un istruttore. Mentre si dilettava in questa occupazione, è anche riuscito a scattare delle fotografie con una usa e getta, e poi le ha fatte subito sviluppare. Le guardo immediatamente, il panorama del promontorio di Byron Bay, che è la punta estrema orientale d’Australia, visto dall’alto è mozzafiato.
Chiacchierando animatamente, ci dirigiamo in metro a Kings Cross, la mia intenzione è trovare una sistemazione in Victoria Street, una via attigua molto tranquilla. La Kanga House, che avevo scelto consultanto il sito www.Bugaustralia.Com, è al completo. Peccato, ma non faccio fatica a crederlo. Questo ostello infatti, è l’unico struttura ricettiva per turisti che si trovi sul lato a sud della strada, quello “buono”, dalle cui finestre dei retri degli edifici si ha una vista superba sullo skyline cittadino. Il resto sono tutte case private. Visto che ha stanze doppie carine a 50 Aud, ovvio che faccia il tutto esaurito.
Anche l’Original Backpackers, sul lato sfigato della strada, che, nonostante ciò, ha vinto il premio di miglior ostello dell’anno, è al momento pieno, e ci invita a tornare verso mezzo giorno per vedere se qualcuno se ne è andato. Sempre accanto, scoviamo il Victoria Lodge, un alberghetto senza troppe pretese gestito da un simpatico maori, che ci dà una stanza mansardata un po’ andata ma che troviamo romantica a 50 Aud. Non ci riposiamo nemmeno molto. Siamo presto di nuovo in cammino, questa volta verso il cuore di Sydney, raggiungibile a piedi in tempo piuttosto breve. Attraversiamo di fretta e senza fermarci i giardini botanici, ed eccoci al Circular Quay, davanti alle vele dell’Opera House, l’Harbour Bridge, ed i grattacieli della City.
Poiché siamo abbastanza stanchi, visti i trascorsi, optiamo per una crociera della baia. La meno costosa è 22 Aud e dura almeno un paio d’ore. La barca è il modo migliore per ammirare i panorami cittadini e le belle abitazioni della zone residenziali, Manly in particolare. Purtroppo, e lo sperimentiamo sulla nostra pelle addormentandoci come sassi sulle dure poltroncine di plastica, complice anche la nottata non proprio comoda in autobus, la crociera è troppo lunga e noiosa. Tanto vale prendersi il traghetto, dal wharf nr. 3 del Circular Quay, che va nella stessa direzione e costa 5 o 6 Aud al massimo. La pennichella però ci ritempra abbastanza. Rientrati, passeggiamo nella zona commerciale, George Street, Pitt Street, eccetera, e ci facciamo un giro in monorotaia (8 Aud). Bei panorami. Verso sera siamo ovviamente distrutti e, dopo aver comprato cibo take away in Durlinghust Road, torniamo in camera.
15/8 SYDNEY Alla stazione di Kings Cross, acquistiamo un biglietto particolare per 13 Aud, il Day Tripper, che ci consente l’uso illimitato, per tutta la giornata, di bus, metro e traghetti.
All’alba delle 11 am, eccoci lanciati verso la Bondi Junction, e poi in autobus di linea verso Bondi Beach. La trovo piuttosto deludente, nonostante la bella giornata ventosa.
Tutto attorno, i soliti negozi che vendono surfwear. Ci stufiamo presto, ed eccoci di ritorno in centro, decisi a raggiungere ed eventualmente attraversare l’Harbour Bridge, per vedere l’effetto che fa. Spulciano fra i vari forums della Lonely Planet, ero venuta a conoscenza che è possibile fare bridge climbing. Poiché era descritto dai più come una cosa pericolosa, da fare soltanto se si è in perfetta forma fisica, senza problemi di cuore ecc., chissà perché mi ero fatta l’idea che l’impresa consistesse in una scalata con corde tipo sport estremo. Quando raggiungo il punto di partenza per l’arrampicata mi accorgo invece che l’operazione consiste nel camminare, opportunamente imbragati per ragioni di sicurezza, sull’arco del ponte, che è largo almeno come un marciapiede e protetto da ringhiere come un balcone, e non nell’arrampicarsi fra i tralicci. Una passeggiata, in buona sostanza, basta non soffrire di vertigini. In realtà, quello che mi paralizza non è la paura ma il prezzo stratosferico, sui 150 Aud (non sono del tutto sicura sulla cifra, ma comunque non molto di meno), per cui mi blocco e rinuncio. Ad ogni modo, è possibile raggiungere tramite alcune rampe di scale una terrazza posta a discreta altezza da cui si gode un ottimo panorama, anche se ovviamente non è la stessa cosa che stare in punta al ponte. Ma ci accontentiamo.
Ridiscesi, torniamo indietro e passeggiamo lungo i Rocks, il borgo del vecchio porto, la parte più antica della citta, frequentata, ai tempi della fondazione, da avventurieri, ladri e puttane. Le ex taverne, bordelli, edifici e magazzini sono stati ora restaurati e trasformati in moderni pub, negozi, qualche albergo ed abitazioni alla moda. Un quartierino non troppo trafficato e con piacevoli spunti per fare belle foto. Osservando un nero che suona il didgeridoo al Circular Quay per guadagnare qualcosa, faccio mente locale e considero che, in tutta la vacanza, non ho visto nessun Aborigeno, dico nessuno, che mi abbia dato l’impressione di fare una vita normale, normale per lo meno per il concetto che noi abbiamo di questo termine. Forse un giorno una coppia a spasso con un bimbo nel passeggino, entrambi sobri e vestiti in modo da dare l’idea di essere un po’ benestanti o per lo meno non emarginati. Però forse, ripensandoci bene, erano di etnia Maori… All’ora del tramonto, ecco che una lampadina si accende nelle nostre menti per regalarci la geniale idea di salire sulla Torre (22 Aud a testa).
Rientriamo a Kings Cross, e, tra tossici e sexy shops, ci facciamo la vasca nella zona a luci rosse.
15/8 PARTENZA DA SYDNEY Ci svegliamo troppo tardi per fare qualunque cosa. Il padrone della nostra guesthouse ci propone un economico (7 Aud) pulmino per l’aeroporto. Noi, memori del traffico che già alle 7 attanagliava la tangenziale, optiamo per la più costosa (11 Aud) ma rapida metropolitana.
Non avendo avuto il tempo di fare un’ennesima puntatina in centro, il celebre profilo cittadino mi accontento di vederlo ancora una volta dalle vetrate dell’aeroporto, che è molto vicino alla città. Lo immortalo nell’ultima fotografia, insieme all’effigie stilizzata dei canguri sulla coda degli aerei Qantas.
Il mio walkabout termina qui.