“El que come Calafate, siempre vuelve” termina così la leggenda Tehuelche che narra la storia di una curandera che, troppo anziana e stanca per affrontare un simile viaggio, non migrò con il resto della tribù al sopraggiungere dell’autunno. Alla curandera non mancò cibo e legna per riscaldare il suo toldo ma passò l’inverno in completa solitudine perché anche tutti gli animali se ne erano andati. Sopraggiunse la primavera e con essa iniziarono a ritornare gli uccelli: finalmente la donna poteva di nuovo parlare con qualcuno. Ma era arrabbiata, l’avevano lasciata sola per molti mesi e così li sgridò aspramente. Gli uccelli non avevano colpa, le spiegarono infatti che se avessero fatto altrimenti sarebbero morti di fame e di freddo. La vecchia curandera capì e decise che non sarebbe stata mai più sola. Rientrò nel suo toldo e si trasformò in un arbusto di Calafate. Da qual momento in poi gli uccelli avrebbero avuto alimento in autunno e un buon riparo per l’inverno: molti di loro non se ne andarono più, altri tornarono sempre per assaggiare questo dolce frutto. Forse la leggenda narra il vero, come il canto di una sirena la Patagonia continuava a chiamarci, y nos volvimos.
La Patagonia, terra leggendaria di venti inclementi, di natura selvaggia e spazi immensi, di condor e ghiacciai, di piogge e arcobaleni, di fiori e ruscelli. E’ una terra che non lascia indifferenti e se le si permette di catturarvi il cuore, sarà impossibile liberarsi dal suo incantesimo. La Patagonia è picchi maestosi, scalate estreme, sfide all’ultimo respiro tra uomo e natura, ma anche grandi parchi naturali dove è possibile perdersi camminando nei boschi avvolti dal silenzio o nelle steppe frustate dal vento. La Patagonia è Fin del Mundo, ultimo orgoglioso avamposto abitato prima dell’Antartide. E proprio da qui inizia il nostro viaggio, dall’Isla Grande, Malvinas. L’aeroporto di Ushuaia si intravede dal finestrino dell’aereo, lunghi minuti di attesa mentre il pilota compie un ottimo atterraggio su una delle piste considerate tra le più difficili al mondo. Il vento soffia forte, le nuvole grigie si rincorrono permettendo, a volte, al sole di fare capolino. Navighiamo sulle acque del Canale di Beagle e presto ci lasciamo alle spalle Ushuaia avvolta in una grigia coltre di pioggia; sopra di noi invece, il sole sbuca dalle nuvole trasformando in argento il color piombo delle acque del canale. Un sole di sguincio, caldo, che accarezza i colori dei muschi degli scogli attorno a noi. Isolotti di uccelli bianconeri lasciano presto il posto alle colonie di leoni marini che, sonnacchiosi, si lasciano guardare e fotografare, indifferenti all’emozione che provocano a chi li ammira da lontano. Qualche maschio dorato lancia il suo richiamo, una femmina sbadiglia. Non si parla, l’entusiasmo è trattenuto, si resta in silenzio per non disturbare. Il faro Les Eclaireurs, il più meridionale del mondo, ultimo avviso ai naviganti prima dell’oceano selvaggio. Lo scoglio dove venne costruito è coperto da muschi colorati, gialli, arancioni, il cielo azzurro inframmezzato da nubi, l’arcobaleno colori sospesi nell’aria nella luce del tardo pomeriggio australe…. e poco lontane le coste cilene. Ushuaia, case di legno spesso ricoperte da lamiere colorate, di per se non è una bella città, ma basta guardarsi intorno per scoprire che il suo fascino risiede in ciò che la circonda: mare, montagne, boschi ed un imponente ghiacciaio come il Martial. Non manca nulla in questa città senza tempo, non a caso proprio qui si trova la piramide di cemento armato che custodisce la Capsula del Tempo: testimonianza della vita fino al 1992 per le future generazioni. La data di apertura è 2492, chissà se ci saranno ancora le meraviglie odierne. Ushuaia fu anche il penitenziario più duro al mondo, iniziale tentativo di colonizzazione di queste terre seguendo le orme di ciò che avevano fatto i francesi in Africa e gli inglesi in Australia. Indispensabile avamposto per contenere le mire espansionistiche del confinante Cile Ma Ushuaia è anche il piccolo museo Yamana, dove con grandi difficoltà si cerca di non perdere le radici dei naturali abitanti fueghini: gli yamana, un popolo che in questo clima inclemente riusciva a sopravvivere nudo cospargendosi il corpo di grasso, al massimo usava una pelle di guanaco girata dalla parte del vento. Imperdibile per conoscere una piccola parte di storia e non dimenticare gli antichi abitanti sterminati, come al solito, all’arrivo dei bianchi. Qualche fiocco di neve, poi sole, poi pioggia e ancora sole e vento, a Ushuaia si impara presto a non preoccuparsene. Percorrendo RN 3 verso il Lago Fagnano ritroveremo la neve e la pioggia e scopriremo la devastazione causata dai castori, introdotti qualche decennio fa nella prospettiva di creare un’ industria di pellicce e sfuggiti al controllo dell’uomo. Distese di alberi abbattuti da questi animali che non hanno alcun nemico naturale in questo habitat lontano dalle loro terre d’origine. Una devastazione di cui nessuno pare curarsi. Fa freddo al Passo Garibaldi dove ammiriamo dall’alto e per la prima volta il Lago Fagnano ed il più piccolo Lago Escondido. Le nostre esperte nonché folli guide ci conducono, a bordo di un 4×4, per una strada che diventa sempre più sentiero man mano che ci si inoltra nel fitto bosco. Armati di motosega liberano un passaggio ostruito da un albero caduto la notte precedente e proseguiamo la nostra spensierata gincana in mezzo a questo dedalo di alberi. I defender assumono tutte le inclinazioni possibili in questo sentiero spesso fangoso, spesso nemmeno sentiero, ma le nostre guide conoscono ogni sasso che spunta, ogni tronco caduto e guidano sicure e spavalde. La barba di vecchio, un lichene ostinato e resistente, qui cresce abbondante sui tronchi degli alberi e rende fiabesca l’atmosfera di questo bosco. Una breve passeggiata ci permette di godercelo comodamente prima di affrontare l’ultimo tratto in auto. Ultimo tratto, più folle del precedente, durante il quale i nostri defender sfideranno le spiagge ciottolose nonché le acque del lago Fagnano fino all’altezza di metà portiera. Il Lago Fagnano, circondato dalle Ande innevate si perde verso l’orizzonte, verso il Cile. Le sue acque che sfumano dal blu allo smeraldo sono adornate da onde di spuma bianca create dal vento incessante che rende quasi difficoltoso il cammino. E poi il giallo oro dei fiori di Calafate ed il fucsia delle bacche di Chaura, indomiti arbusti che sfidano il clima patagonico.
Le Ande, nome che porta alla mente luoghi lontani, ardue scalate e noi siamo qui, ad ammirarle. Altra breve passeggiata lungo la costa e raggiungiamo un capanno riparato dal vento dove pranzeremo. Il capanno è poco più che un rifugio di tronchi grezzi, con il pavimento di ciottoli, un bidone di lamiera che serve da stufa, ma l’atmosfera è amichevole e rilassata mentre le nostre guide si tramutano in cuochi. Apprezziamo il tepore della stufa e l’assenza di vento, ma per poco, il lago ed il bosco ci invitano ad uscire, ad assaporare il silenzio ed i colori: caldi quelli dei muschi illuminati dal sole che si infila tra i rami, freddi quelli del lago e dei picchi spolverati di bianco. Saggia scelta la nostra, uno zorro (volpe) della Patagonia, probabilmente, attirato dal profumo del nostro pranzo, si avvicina al nostro capanno. Si fatica a vederlo, silenzioso e schivo, perfettamente mimetizzato con il suo pelo color sottobosco ed il musetto aguzzo. Pioviggina alla Baia Ensenada, dove iniziamo, anche questa volta accompagnati da una guida esperta e originale, un breve trekking lungo la Senda Costera, sentiero serpeggiante tra boschi e baie un tempo abitati dagli Yamana. Circa tre ore immersi nella tipica vegetazione patagonico-andina, ci fanno scoprire fiori rossi come il fuoco, bianche orchidee, palline arancioni attaccate ai nodi degli alberi che altro non sono che funghi parassiti e lengas e nires, gli alberi tipici di questa isola. Il terreno ha uno strato di terra piuttosto sottile, per questo moltissimi alberi vengono facilmente abbattuti dal vento. Per quanto possa sembrare un disastro è l’ennesima dimostrazione che la natura sa badare a se stessa; la caduta di grandi alberi fornirà luce a quelli più giovani, i quali potranno così crescere e trovare nutrimento proprio dai loro predecessori. Questi monumenti grigio-biancastri rimangono a terra per anni, in una lenta e solenne decomposizione; non verranno mai rimossi per prevenire il reale disastro che comporterebbe l’alterazione di un ecosistema così delicato. Pranziamo in compagnia dei falchetti in una tenda al campeggio del Lago Roca e subito dopo ci dirigiamo verso il Rio Dulce dove attrezzati di stivali e pantaloni impermeabili effettueremo una pagaiata in canoa. Rio Dulce, nome appropriato per questo tranquillissimo fiume che ci permetterà, in acque a volte fin troppo basse, di prendere confidenza con il nostro ruolo di rematori. Remare immersi nel silenzio nelle acque blu cobalto della Laguna Lapataia, tra isolotti fioriti, sotto un cielo di nuovo azzurro è senza dubbio il modo migliore per godersi il Parco de la Tierra del Fuego; solo a tratti il silenzio viene interrotto dalle risate di noi esperti lupi di mare che tentiamo di spingere in linea retta delle canoe spesso ubriache. A coronamento di una giornata già perfetta spunta un musetto lucido proprio davanti alle nostre canoe, pochi secondi che provocano grande entusiasmo per questo ennesimo regalo della Patagonia. La nostra foca scompare con la stessa velocità con la quale è apparsa e fin troppo presto raggiungiamo la spiaggia dove ci attende il pulmino. Il Parco Tierra del Fuego è un posto dove montagne, laghi, fiumi e boschi si fondono in un tutt’uno con la costa marina, offrendo uno spettacolo unico al mondo; sarebbe bello avere tempo in abbondanza per perdersi tra i suoi innumerevoli sentieri e scovare ogni volta nuovi angoli suggestivi. Il Parco Tierra del Fuego è strettamente legato anche all’antico carcere. Fu, infatti, riserva di legna che i condannati del bagno penale dovevano andare a tagliare per alimentare le stufe e le cucine della prigione. Venivano trasportati fino al bosco con l’ormai famoso ed estremamente caratteristico Tren de la Fin del Mundo, oggi grande attrazione turistica. I ceppi dei tronchi tagliati oltre 70 anni fa giacciono ancora nella pianura, un tempo bosco, e le diverse altezza indicano l’epoca del taglio: più vicino alla base in estate, più in alto, in base all’altezza della neve, in inverno. Questi testimoni del passato punteggiano di bianco la pianura circostante insieme a gruppetti di cavalli che pascolano tranquilli. Il percorso costeggia il Rio Pipo, la cascata della Macarena e la rugginosa torbiera prima di inoltrarsi in una parte più boscosa ed autentica. Il Canal Beagle rimpicciolisce sempre più nel finestrino dell’aereo mentre noi salutiamo Ushuaia, i suoi colori, la sua natura rigogliosa conservando negli occhi e nel cuore le tante emozioni vissute. I boschi fueghini lasciano posto alla ventosa e deserta steppa grigioverde nella quale è immerso l’aereoporto di Calafate. La sera passeggiamo per Calafate, ritroviamo subito il nostro ristorante preferito ed i ricordi degli incontri di qualche anno fa e dei bei momenti passati. E’ piacevole curiosare senza fretta nel mercatino artigianale, fare provviste al noto supermercato sentendosi quasi a casa. Pianura, colline, montagne ricoperte da una vegetazione faticosa, piccoli arbusti che resistono al feroce vento patagonico e recinzioni interminabili, sempre identiche, immutabili ci accompagnano lungo la strada che ci porterà a El Chalten, cittadina di frontiera isolata nel cuore della Patagonia. Man mano che ci avviciniamo alla meta, lontano nella pianura, inizia a profilarsi la frastagliata sagoma dei famosi picchi andini del Cerro Torre e del Fitz Roy. Sull’autobus nessuno parla, chi dorme, chi invece lascia i pensieri liberi di correre nella vastità che ci circonda. Abbiamo fortuna, arriviamo a El Chalten accolti dalla maestosità del cerro Fitz Roy sgombro da nubi. Tappa obbligatoria all’ufficio del Guardaparque per una serie di raccomandazioni volte a tutelare al massimo la natura circostante. Il vento, in molti punti pressoché costante ed il clima secco favoriscono gli incendi, allo stesso modo impediscono una veloce decomposizione anche di un torsolo di mela, pertanto, questa tappa importante ha lo scopo di evitare di alterare, magari anche inconsciamente, il delicato paesaggio circostante nonché la purezza dei corsi d’acqua. Allontanandoci un poco da EL Chalten, in un paio d’ore di strada sterrata un pulmino ci porta ai piedi del Glacier Huemul e della sua deliziosa laguna turchese. Il cielo è cupo, il sentiero si snoda in lieve pendenza nel bosco silenzioso e umido. Manicotti di muschio spesso due dita avvolgono parte dei tronchi delle piante, mentre l’unico rumore che si ode è lo scorrere del fiume. Raggiungiamo agevolmente la laguna in meno di un’ora, il silenzio qui è assoluto e le montagne intorno a noi, ricoperte da fitti boschi, mettono quasi timore nel loro essere totalmente selvagge. Ritorniamo a El Chalten ninnati dalla strada sterrata che dopo questa giornata tanto serena non manca di farci addormentare beati. EL Chalten è ancora un piccolo paese meta di trekker, scalatori, amanti della montagna, l’ambiente è assolutamente montano ed informale, ci vuole poco per sentirsi immersi in questo clima dove è superfluo tutto ciò che non è pratico. Tanti i cani, grossi meticci di tutti i colori, che gironzolano e dormicchiano indisturbati per il paese; assolutamente socievoli sono felicissimi di ogni carezza che gli si voglia regalare. L’accoglienza nei locali è schietta e semplice: l’ultima sera il cameriere del locale dove abbiamo cenato tre volte e con il quale abbiamo scambiato qualche parola in italiano, ci accompagnerà alla porta salutandoci con un abbraccio; lo stesso trattamento ci verrà riservato dalle due ragazze che gesticono l’hotel Aldea dove abbiamo soggiornato. Percorrere almeno la Senda Laguna Torre è quasi un dovere per chi si reca a El Chalten. Il sentiero inizia ripido per poi proseguire molto più comodamente in saliscendi poco faticosi e un buon tratto piano. Imbocchiamo la salita e dopo circa un’ora raggiungiamo il Mirador Cerro Torre che, in lontananza, ci appare in tutta la sua bellezza. Abbiamo fortuna, poche nubi corrono veloci e la cima è solo leggermente velata. Il cammino da percorrere è ancora lungo e ci mettiamo presto in marcia. Il bosco lascia presto spazio ad una vegetazione di arbusti spinosi che sarebbero la gioia degli appassionati di tecnica jin: piccole foglie di verde intenso accanto a rami completamente morti, cenerini, quasi pietrificati. Ciò che l’uomo fatica non poco a riprodurre, qui è ovunque; l’inclemenza del clima crea in grande abbondanza questi contrasti così apprezzati dagli appassionati di bonsai. La pianura alluvionale, tinteggiata di giallo dalle migliaia di fiori di tarassaco, sembra non finire mai, ma appena ce la lasciamo alle spalle ci imbattiamo in bosco dall’aspetto spettrale: centinaia di piccoli alberi bianco cenerino innalzano i loro rami ormai completamente morti al cielo. La furia degli elementi deve essere stata particolarmente violenta per creare un paesaggio tanto desolato. Dopo poco rientriamo in un bosco più dolce, morbido, più riparato dove ritroviamo i grandi alberi maestosi, tronchi contorti in sculture naturali ed il fiume che scorre ci annuncia che non siamo troppo lontani dalla meta. Superato un ultimo pendio inizia la zona morenica, pochi minuti dopo raggiungiamo finalmente la Laguna Torre, mirabile postazione per ammirare il Cerro Torre in compagnia dalle altre due vette minori. Il tempo è buono e possiamo godere di questa magnifica vista concessa a pochi. Le nubi, infatti, spesso ricoprono tutta o parte della montagna anche per parecchi giorni di seguito, lasciando inutilmente in attesa importanti spedizioni nel vano tentativo di effettuare l’ascesa con un tempo a favore. C’è parecchia gente ma regna un silenzio ammirato per questa vetta impossibile la cui cima è sempre coperta da un fungo di ghiaccio che aggiunge difficoltà ad una salita già di per sè ai limiti. Le pareti lisce e verticali ci rendono increduli pensando che, nonostante tutto, l’uomo ha osato sfidare questa cima, vincendola quasi 40 anni fa; non senza un po’ di orgoglio, pensiamo che le prime ascensioni, la discussa di Maestri e l’indiscussa dei Ragni di Lecco, portano i colori italiani. Affrontiamo il ritorno con molta più calma, godendoci la primavera patagonica che mescola il caldo del sole alla brezza fresca delle montagne, i colori dei fiori appena sbocciati ed il bianco di cime e ghiacciai. Molti sentieri di sicura bellezza circondano El Chalten, come quello per la Laguna Capri, ma non siamo sufficientemente allenati per intraprendere e, soprattutto goderci, un’altra camminata di circa 4 ore con un dislivello maggiore di quello alla Laguna Torre, così optiamo per il più tranquillo sentiero che porta al Mirador de Los Condores e Mirador de Las Aguilas. Facciamo un’ottima scelta infatti, la giornata di sole ed il cielo senza nuvole ci offrono un’indimenticabile vista d’insieme dei picchi circostanti: Il Cerro Solo, il Torre il Fitz Roy si stagliano in tutto il loro splendore davanti ai nostri occhi. Impossibile non ringraziare il cielo per essere tra i fortunati che hanno la possibilità di ammirare queste bellezze e, ancora di più, in una giornata come questa. Il Mirador de Los Condores è appollaiato proprio sopra El Chalten, da qui la vista spazia sulla piccola cittadina adagiata tra le pareti rocciose delle montagne circostanti che paio racchiuderla e proteggerla nonchè sul fiume che raccoglie le acque dei vari ghiacciai. Purtroppo riusciamo ad avvistare due soli condor molto lontani. Percorriamo con calma il sentiero che ci porta al Mirador de Las Aguilas godendoci ogni angolo, ogni macchia rossa, arancio, violetta dei cespugli in fiore, ogni passo che rilassa le nostre gambe un po’ indolenzite.
Regna la calma assoluta, in molti tratti non c’è nemmeno un filo di vento ed anche il traffico di persone è nettamente minore di quello su altri sentieri. Immersi in questa pace avvolgente, riusciamo anche a scorgere il nido di un uccello scavato nel tronco di un albero ed il via vai del proprietario che pare lo stia ancora sistemando. La vista dal Mirador de Las Aguilas è mozzafiato. Sotto di noi una grande piana dove lo sguardo si perde senza una meta, i pensieri si dissolvono gettati a manciate nel vento che qui fa sentire la sua voce feroce. Il grigio verde della pianura sfuma all’orizzonte mescolandosi con il pallido azzurro del cielo mentre questo “nulla” che ti circonda ti riempie l’anima. Come ogni volta, è difficile lasciarsi alle spalle questi spazi ed intraprendere la via del ritorno senza già un po’ di nostalgia. Un’ennesima giornata di sole accompagna il nostro minitrekking sul Glacier Viedma. Iceberg di un azzurro elettrico ci accompagnano durante la navigazione sulle acque verde ghiaccio del Lago Viedma fino alla base dell’omonimo ghiacciaio. Siamo in primavera, il caldo facilita il crollo delle pareti; una, infatti, si stacca proprio di fronte a noi scoprendo venature di ghiaccio di incantevoli sfumature di blu. Il Glacier Viedma è uno dei due giganti di ghiaccio della Patagonia ed anche se di dimensioni maggiori, è meno famoso del Perito Moreno che tanto ci incantò nel nostro precedente viaggio. La sua immensa lingua di ghiaccio si perde dietro la montagna per molti chilometri, tuttavia anche questo ghiacciaio non sfugge agli effetti del riscaldamento globale che continua a scoprire nuovi tratti di morena rossiccia. Il punto dove attracca il catamarano era, fino a pochi decenni fa, ancora parte del ghiacciaio, che ora si raggiunge solo dopo un quarto d’ora di cammino. Indossati i ramponi, inizia il trekking in questo bianco paesaggio lunare: avallamenti, picchi, azzurre trasparenze, rigagnoli, piccole pozze d’acqua blu si susseguono nel nostro lento incedere. Non può mancare il brindisi con crema al whisky e ghiaccio: brindisi con la preistoria o giù di lì, se si pensa che questi ghiacciai sono antichi di millenni. Di ritorno a El Chalten, una gentile sosta dell’autista, ci offre la possibilità di scattare una di quelle foto tipiche, immancabili in Patagonia: la strada dritta e deserta che si perde nel nulla con il corollario degli ormai “nostri” picchi che si stagliano in un cielo dal blu intenso e senza nubi. Una nota a parte meritano le nuvole di questa zona della Patagonia, o meglio alcune nuvole. Naturalmente le nuvole sono qualcosa di estremamente mutevole, ma mai ci era capitato di vederne di così particolari. Accanto alle nuvole stiracchiate, frastagliate, allungate dai venti di alta quota, in cieli anche tersi abbiamo trovato nuvole dai contorni netti ed arrotondati, come delle basse pagnottelle morbide e bianche apparse dal nulla per movimentare la monotonia di un cielo forse troppo azzurro. Il giorno della nostra partenza il cielo è grigio, i picchi nascosti dalle nuvole, il paesaggio è ostile senza il sole che attenua con la sua luce la rabbia del vento. Ripercorriamo la strada verso El Calafate mentre cerco di imprimere il più possibile nella mente questo paesaggio così desolato e ventoso di arbusti bassi e recinti, che tanto mi incanta senza che io riesca a spiegarne il perché. Pare che anche l’illustre Darwin, tra le tante terre visitate, subì il medesimo incanto di questo “arido deserto”, senza riuscire peraltroa darsi una risposta. Per descrivere questo incanto mi devo affidare alle parole di W. H. Hudson, un naturalista argentino, il quale scrisse che “chi percorre il deserto scopre in se stesso una calma primitiva (nota anche al più ingenuo dei selvaggi), che è forse la stessa cosa della Pace di Dio”. Aeroporto di El Calafate, il nostro volo diretto per Bariloche è stato cancellato; poco male, senza alcun problema, veniamo reimbarcati sul volo per Ushuaia e da lì, ci imbarcheremo per Bariloche. Ecco di nuovo Ushuaia dall’alto, ecco di nuovo il Canal Beagle ed i suoi isolotti, il Glacier Martial e la pista di atterraggio quasi sul mare. Qualche ora di attesa e finalmente, a notte fonda, sotto un meraviglioso cielo stellato, atterriamo a Bariloche. Bariloche si affaccia sul Lago Nahuel Huapi e, salvo il centro civico costruito in legno e sassi sullo stile svizzero, è una cittadina di scarsa attrattiva. Ritiriamo la nostra auto e presto ci lasciamo Bariloche alle spalle, per dirigerci verso Villa La Angostura. La strada, dopo un breve tratto nella tipica steppa, costeggia il grande Nahuel Huepi in un tripudio di giallo intenso. Il clima più mite permetta la crescita di una rigogliosa vegetazione che costeggia la strada e che in questi giorni è in piena fioritura e crea un magnifico contrasto con il blu intenso del lago. Netta la linea tra la steppa arida e secca e questa zona così ricca di piante e fiori, a pochi chilometri dal lago, infatti, l’amato grigioverde si stende a perdita d’occhio. Villa La Angostura è una graziosa e tranquilla cittadina che si affaccia sul lago ed è circondata da boschi, anche il luogo del nostro pernottamento seguirà questo binomio; alloggeremo, infatti, in una casetta di legno, con il bosco alle spalle ed il lago in bella vista dalla nostra camera da letto. Una breve passeggiata a cavallo ci porta fino al Mirador Belvedere sul Lago Correntoso. Prima di inoltrarci nel bosco, percorriamo, accompagnati da due gauchos del maneggio e da 5 cani di taglie diverse ma tutti ugualmente neri, una strada sterrata verso la montagna, superando di volta in volta bellissime casette in legno immerse nel verde e cespugli fioriti. Il cielo grigio impedisce di apprezzare appieno la vista sul lago e le montagne circostanti, tuttavia i nostri gauchos si rivelano ben presto due persone squisite, “tomando mate” passiamo con loro dei momenti veramente piacevoli. Di ritorno al maneggio, i nostri nuovi amici ci faranno un regalo quanto mai gradito: un invito, per l’indomani, ad un asado in loro compagnia. L’asado in Argentina è pressoché un rito. La carne grigliata, una parrillada, si trovano ovunque, ma ciò che rende differente un vero asado è la compagnia. In questo nostro viaggio è la seconda volta che godiamo del privilegio di un vero asado grazie ai nostri amici di Buenos Aires ed ora grazie quelli di La Angostura. La RN 234, la Ruta de los Siete Lagos, diventa presto un’ampia strada sterrata e polverosa che si snoda in un paesaggio di boschi e piccoli e grandi specchi d’acqua, di mucche che pascolano libere sul ciglio della strada e di pic-up che sfrecciano veloci. Ne percorriamo solo una parte perché, purtroppo ormai, il nostro tempo in Patagonia sta giungendo al termine e non vogliamo perderci il bosco de Los Arrayanes, celebre per i suoi alberi color cannella. A bordo di un catamarano raggiungiamo il bosco, che si trova quasi sulla punta della penisola Quetrihue, godendoci il lago e le montagne circostanti. Gli Arrayanes, specie di araucaria, svettano verso il cielo blu nei loro abiti colorati, alcuni di un uniforme color cannella quasi aranciato, altri maculati con chiazze che vanno dal bianco al bordò; alberi pluricentenari dal legno duro come la pietra che qui hanno una delle loro ultime dimore. Se non fosse per la quantità di gente che frequenta questa meta facendo un gran chiasso, potrebbe benissimo essere il bosco della favola di Bambi, con casetta di legno annessa. Pare proprio che Walt Disney ambientò la favola di Bambi in questo bosco, ispirato anche da un piccolo cerbiatto autoctono, il pudù-pudù. Un asado in Argentina, non inizia prima delle 9 quando ci ritroviamo con i nostri nuovi amici. Raggiungiamo una piccola baita molto rustica e spartana e cominciamo con l’accendere il fuoco. Nel frattempo si prepara l’insalata, si sorseggia malbec e si aspetta pazientemente, prima che venga pronta la brace e poi che venga pronta la carne. Nel frattempo si aggiungono altre persone ed alla fine il nostro gruppetto sarà formato da 7 adulti, un bambino ed un cane. E’ una di quelle serate che ti riempie il cuore, passata in allegria, parlando di libri, di musica, mescolando idiomi ed abitudini, quasi si fatica a credere che poco più di un giorno prima non ci si conosceva affatto. Non ce ne accorgiamo, ma purtroppo il tempo vola e rientriamo alla nostra cabana alle 4 del mattino. Ci lasciamo alle spalle Villa La Angostura, con le sue casette di legno incastonate nel bosco, con il Nahuel Huapi circondato da picchi innevati ed il bosco de los Arrayanes sotto un cielo plumbeo e percorriamo il Circuito Chico sotto una leggera pioggerella che toglie splendore alle vedute dall’alto ed ingrigisce il paesaggio circostante. Un ultimo malinconico saluto, che non riesce ad essere un addio, alla Patagonia dei cespugli grigioverde e dei recinti e presto giunge l’ora di tornare a Buenos Aires. Il rumore, la folla, il caldo e la puzza degli scarichi delle auto ci schiaffeggiano non appena arrivati in città. Dopo parecchi giorni passati in mezzo all’aria pura ed al silenzio è, soprattutto per me, davvero faticoso immergersi nel caos di una città come Buenos Aires. Dopo un po’ di shopping ci imbattiamo nella settimanale sfilata delle Madri di Plaza de Mayo o meglio “las abuelas”, perché persa la speranza di ritrovare almeno i corpi dei loro figli scomparsi durante la Guerra Sucia, lottano ancora sia affinchè venga fatta giustizia sia per ritrovare i nipoti, strappati alle madri spesso subito dopo il parto per essere dati in affido a famiglie legate al regime. Sono passati oltre trent’anni, eppure queste nonnine con il foulard bianco non disertano questo appuntamento doloroso qualunque tempo faccia. La gente scatta fotografie, forse è utile perchè si sappia e non si dimentichi, ma pare che in molti scordino la tragedia che ancora portano sulla spalle. Passeggiamo per San Telmo, tangheri ballano in piazza, la statua di Mafalda siede sulla sua panchina e noi ci infiliamo a El Zanjon, un museo che fu un conventillo. Oasi silenziosa, questa antica dimora borghese venne costruita agli albori della nascita della città e conserva uno stile architettonico italiano con legami con i tipici mattoni rossi della toscana. Abbandonata dagli originari proprietari durante un’epidemia divenne alla fine un conventillo, alloggi a poco prezzo per gli emigranti. Vi si ritrovano antichi canali, cisterne in mattoni per la raccolta dell’acqua, un tuffo nella storia antica di questa città davvero interessante. Sulle note di uno splendido spettacolo di Tango Porteno, dove agili ballerine in costumi d’epoca intrecciano complicatissimi passi con i loro cavalieri, termina purtroppo, il nostro secondo viaggio in Argentina. Nella nostra valigia un souvenir irrinunciabile, una marmellata di Calafate … porque “El que come calafate siempre vuelve”.
Consigli, note, informazioni utili: L’intero viaggio è stato organizzato con l’agenzia ARGENTINACONNOI di Andrea e Manuela. Sapevamo di andare sul sicuro (e così è stato), visto che è la seconda volta che organizziamo il viaggio con loro. Credo basti ciò per farvi capire che sono un’agenzia assolutamente affidabile, precisissimi ed in loco. Vi potranno organizzare un viaggio perfetto e personalizzato sullo stile che preferite. Quando si hanno, tutto sommato ed in proporzione alle dimensioni dell’Argentina, pochi giorni è indispensabile, secondo noi, organizzare al meglio i trasferimenti e quant’altro e con ARGENTINACONNOI ci siamo trovati splendidamente in entrambi i nostri viaggi.
- USHUAIA: non dimenticate di farvi fare il diploma ed i timbri sul passaporto all’Ufficio informazioni turistiche. Anche a Baia Ensenada potrete farvi timbrare il passaporto con un bellissimo timbro con i pinguini ed un adesivo (a pagamento, circa 10 pesos). Anche all’Ufficio postale potrete guadagnarvi un ennesimo timbro a testimonianza del vostro viaggio a la Fin del Mundo.
– Le escursioni al Lago Fagnano e alla Baia Lapataia le abbiamo effettuate con l’agenzia CANAL FUN (tramite Argentinaconnoi). Ottima! Un modo non convenzionale di visitare i parchi, guide preparatissime ed un po’ folli che ve li faranno vivere, non solo vedere. Dove mangiare: A l’Estancia – piccola trattoria con l’asado bene in vista – in Av. San Martin (la principale per intendersi). Si trova alla quadra 200-300 (se non erro) e comunque di fronte al più rinomato EL Moustacchio e la Casa de los Mariscos. Abbiamo mangiato sempre bene. Ottimi il lomo e la trota. Forse per piatti di pesce più sofisticati meglio altrove, ma noi non abbiamo mai tradito perché ci siamo trovati benissimo. Spesa media 15/20 € a testa. Pagando 85 pesos (bere escluso) è possibile mangiare a buffet tutto ciò che si vuole, asado compreso. Se siete molto affamati ve lo consigliamo! Dove dormire: Noi abbiamo alloggiato all’Hotel Ushuaia, bell’albergo semplice e confortevole. E’ un po’ decentrato perché è sulla collinetta, ma offre una bellissima vista sul Canale di Beagle anche mentre si fa colazione. Il centro si raggiunge a piedi n una decina di minuti (in discesa, al ritorno taxi ;-D, 10 pesos). Noi lo consigliamo. · EL CALAFATE: Dove dormire: Abbiamo alloggiato al Michelangelo, hotel davvero accogliente con e confortevoli stanze. A due minuti dal centro, offre anche la postazione internet gratuita. Dove mangiare: purtroppo, con nostro grande disappunto, il Mi Viejo era chiuso ed alla Tablita c’era un attesa di quasi 2 ore. Abbiamo cenato alla Lechuza. Nulla da dire, si è mangiato bene spendendo come altrove: buon ristorante ma, almeno per noi, mancava l’atmosfera del Mi Viejo. · EL CHALTEN: Ovviamente consigliamo di percorrere la Senda Laguna Torre, ma a chi, per motivi di tempo/climatici/fisici, non volesse impegnarsi in questa camminata di 6 ore e 22 km (a/r) consigliamo vivamente il breve e leggero sentiero al Mirados de Los Condores e Mirador de Las Aguilas. Si avrà una splendida vista d’insieme del Cerro Torre, Cerro Solo e Fitz Roy (che non si vede dal Mirador Laguna Torre), oltre che una panoramica di Chalten. Dal Mirador Las Aguilas il paesaggio si estende verso la steppa deserta e si scorge anche il Lago Viedma. Abbiamo visto un gruppo di persone di un viaggio organizzato che arrancavano tentando di arrivare al Mirador Cerro Torre alle 15:30. Sfacchinata a nostro dire, con poco senso. Con così poco tempo pensiamo sia più bello godersi una passeggiata tranquilla che permette di vedere tutto il corollario di picchi che non un’ora abbondante di salita (seppur non troppo faticosa) per vedere solo il Torre. Non portatevi troppe bottiglie d’acqua per la camminata alla Laguna Torre, l’acqua – come ci era stato detto – è potabilissima e noi l’abbiamo testata per voi senza alcun inconveniente ;-D. Non vi serviranno guide per affrontare nessuno dei percorsi marcati. Sono tutti perfettamente segnalati e sufficientemente trafficati per avere compagnia, per quanto sempre molto discreta. Dove dormire: Abbiamo alloggiato all’Hotel La Aldea, proprio all’ingresso di El Chalten. E’ una struttura davvero accogliente, famigliare, quasi casalingo il salotto con la stufa dove rilassarsi la sera leggendo un po’. Il personale è delizioso e per chi non può fare a meno del caffè …. hanno l’Illy. Due postazioni internet gratuite e veloci. Dalla sala della colazione si vede il Fitz Roy, così come dalla finestre delle camere. Unico “neo” è il bagno davvero piccolino, se si è un po’ troppo fuori forma potrebbe essere problematico girarsi. E’ un albergo che noi, comunque, consigliamo caldamente! Dove mangiare: in assoluto dal nostro amico Rodrigo al Como Vaca. Struttura semplice, prezzi relativamente bassi, il più buon lomo che abbiamo mangiato in Argentina servito su taglieri di legno e dei tagliolini di tutto rispetto. E’ un ristorante alla buona, ma noi ci siamo trovati benissimo e ci siamo andati 3 sere su 4. L’altro ristorante dove abbiamo mangiato è la Tapera, buono ma più caro. I piatti sono più elaborati, serviti con contorno ecc.. Vale comunque la pena farci un salto per l’arredamento rustico in legno, le pelli di pecora sulle panche, il camino per l’asado in centro, insomma …. L’ambiente è molto particolare ed accogliente. Assaggiate anche la birra a la Cerveceria.E’ prodotta artigianalmente, differente da tutte quelle che abbiamo bevuto, ma davvero buona. Anche il locale è particolare: tappezzeria fatta con ritagli di giornale, lampadari che sono ceppi di legno con ancora le radici. · BARILOCHE: La città è famosa per il cioccolato. Troverete molte cioccolaterie, evitate quella del Turista, perché è più a buon mercato, ma la qualità non è eccellente. Noi abbiamo acquistato a Mamuska, un po’ cara ma ottima qualità. Dove dormire: Abbiamo alloggiato una sola notte all’Hotel Carlo V. Semplice ed a due passi dal Centro civico e dall’Avenida San Martin, la via dei negozi. · VILLA LA ANGOSTURA: Consigliamo di effettuare una cavalcata nel bosco con Cabalgatas Montahue. Noi ci siamo trovati benissimo con questi ragazzi davvero simpatici. Dove dormire: Abbiamo pernottato al Casa Grande Resort. Questa struttura è composta da piccole casette bifamigliari sparse in un prato ben tenuto e tutte con un splendida vista lago. Vi si accede dalla strada principale attraversano circa 500 mt di bosco. Buona sistemazione, pace assoluta, molto consigliata. Dove mangiare: I nostri amici ci hanno consigliato il Loncomilla, locale molto rustico ed originale. Purtroppo, la sera in cui volevamo andarci era chiuso….. ma se vi fidate del consiglio della gente del posto… · BUENOS AIRES: Non perdetevi il museo El Zanjon a San Telmo. Visite guidate di un’ora (solo inglese e casigliano) che vi faranno scoprire un poco di storia di questa città. Non perdetevi nemmeno uno spettacolo di tango alla Equina Carlos Gardel o a Tango Porteno. Spettacolo completo con orchestra dal vivo ed artisti di alto livello! Per quanto in parecchi racconti vengano spesso definiti, un poco sprezzantemente, come “spettacoli turistici” …. Io torno a non condividere questa opinione. Anche alla Scala ci vanno un sacco di turisti e gli spettacoli sono, come ben si sa, di altissimo livello. Dove dormire: Abbiamo pernottato all’Hotel Carsson. Struttura semplice, ma assolutamente comoda per visitare la città. Si trova ad una quadra dalla calle Florida (la pedonale dello shopping), a pochi min dal Teatro Colon, dall’Avenida 9 de Julio e a circa 15 min. dalla Casa Rosada. Dove mangiare: Noi siamo tornati al ristorante Potrillo (Caballeriza nel nostro primo viaggio) si mangia benissimo e il ristorante è davvero bello, tutto in legno con i portelloni tipo ricovero dei cavalli. Letture consigliate: Spesso i libri aiutano ad entrare nell’anima del viaggio ancora prima di percorrerlo … ma a volte per assaporarne appieno la narrazione è meglio leggerli dopo. Io ne ho letti sia prima che dopo … ma molti li ho apprezzati di più dopo, perciò fate voi. · Patagonia Express di Luis Sepulveda: libro breve ma che trasmette a fondo le emozioni dello scrittore. · In Patagonia di Bruce Chatwin: considerato la “bibbia” dei libri di viaggio e soprattutto della Patagonia … a me ha deluso. Tante descrizioni impersonali ed a volte confuse…. Ma questo è il mio parere, ma sicuramente va letto. · Il grande boh di Jovanotti: la parte finale è il racconto del viaggio in bicicletta effettuato in Patagonia. Sebbene lo stile sia davvero semplicissimo è un libro scritto con il cuore. Godibilissimo. · El Jimmy fugitivo de la Patagonia di Herbert Childs: acquistato in Argentina, non credo che ci sia la versione in italiano. Libro che vale davvero la pena leggere (se si conosce un po’ di spagnolo) perché è uno spaccato della vita dei gauchos del primo ‘900, nonché della vita dei tehuelche, popolo con il quale El Jimmy visse a lungo. Purtroppo non ho acquistato altri libri di questa collana….. · Un mondo lontano di W.H. Hudson: per curiosare tra la fauna del luogo · La foresta Ubriaca di Gerald Durrel: idem come sopra…. Godibilissimo. · Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry: beh, non ha bisogno di presentazioni …. Ma per chi non lo sapesse l’autore vi descrive proprio la Patagonia che sorvolò. · Il mio nome è Victoria di Victoria Donda: la protagonista è la figlia di desaparecidos della Guerra Sucia degli anni ‘70/80. Scoprire le sue origini ed imparare a convivere con questa scoperta. Da leggere per comprendere un pezzo di storia di questo paese. · Quando Dio Ballava il Tango di Laura Pariani: racconti che si intrecciano sul tema di fondo dell’emigrazione italiana in questa grande terra.