Ritorno a Nosy Komba
E’ la prima volta che torniamo per le vacanze in un posto che avevamo già visitato, e prima di partire avevamo anche un po’ paura; in genere i ritorni non sono belli ed intensi come la prima esperienza. Ma sono bastati pochi istanti per capire che quel timore era infondato. Gli occhi della gente, il saluto caloroso di Berenice e Jean all’aeroporto. Siamo tornati, in un luogo magico popolato da gente meravigliosa.
Avendo già descritto nel nostro precedente post buona parte delle cose che abbiamo rivissuto, ci piacerebbe soffermarci maggiormente sulle sensazioni che questa nuova esperienza ci ha dato. Cambiano gli attori; a parte Filippo, il nostro “capo” e la sua Claudia, le altre due coppie erano alla loro prime esperienza in Madagascar, e ci siamo conosciuti in aeroporto. Persone carinissime e splendidi compagni di viaggio; Laura e Gianmario, Paola e Piergiorgio. I 4 bungalow di Berenice rimangono un posto splendido dove trascorrere un po’ di tempo…Bastano pochi attimi per renderti conto che non sei in un luogo di vacanza, ma che quel luogo, per un paio di settimane, è casa tua. Te lo fanno capire Berenice, elegante, bella e sorridente padrona di casa con un cuore grande così, e le immancabili Beatrice e Nenè, che non ho mai visto dimenticare un sorriso o un attenzione in tutto il tempo in cui si sono dedicate a noi. E ci pensa Remo, a cominciare dalla sua prima frase “allora ragazzi, una birra? Chiedete quello che volete!”, a confermarlo…Benvenuti a casa. Quest’anno la novità era che nella spiaggia a fianco, Berenice ha costruito per suo figlio Hubert una casetta tutta in legno deliziosa, e Hubert si diverte a portare in giro con la sua piroga bellissima la sua coppia di ospiti, che stanno insistendo per comprare un terreno e tirar su una casetta di legno anche loro; insomma la struttura cresce, e adesso c’è anche una dependance! Hubert è un pezzo di ragazzo di 22 anni che sta per trasferirsi a Parigi per continuare gli studi di giurisprudenza, e ci ha accompagnati nei tre giorni di bivacco. Dalla madre Berenice ha preso la simpatia, la bellezza e l’attaccamento alla terra, che lo facevano dormire e mangiare con gli altri assistenti, e non con noi, come era suo diritto da “padrone di casa”. Questo aspetto dei malgasci è bellissimo; non abbiamo mai intuito un segno di classismo, di conflitto, tra persone il cui divario sociale è a volte abissale, e dove pochi guadagnano qualcosa ed altri tirano a campare. Eppure mai un gesto, mai un ordine, mai un sottolineare “qui io sono il capo”. Di questa seconda esperienza malgascia portiamo a casa, nitido ed inconfondibile, l’impatto con la gente, così come nel primo viaggio avevamo portato l’inevitabile meraviglia della terra, della natura e dei luoghi.
Eppure i posti che conoscevamo hanno continuato a stupirci. Tanikely è come immergersi in un documentario del National Geographic, Ambariobe (la piccola Nosy Iranja) è ancora più bella della volta scorsa.
Il clima tra l’altro ci ha aiutati; Agosto è un mese ideale per il clima perfetto, caldo e secco, con meno zanzare (che tanto beccavano solo me, eletto zampirone vivente già alla prima sera!), e con serate piacevolissime e mare sempre calmo.
Se non fosse che viaggiare in Agosto può essere un delirio per i prezzi e per l’impossibilità di volare direttamente dall’Italia, sarebbe il mese da consigliare (ma in realtà va bene sempre tra Aprile e Novembre).
C’era qualcosa ancora da scoprire, e ci siamo tolti la curiosità. A cominciare dal tour dell’interno di Nosy Be, isola ricchissima e mutevole a dispetto di un’area che è circa 4 volte l’Isola d’Elba, ma che offre, fiumi, laghi e addirittura una cascata (ma non ditelo troppo in giro, perché i turisti spesso non sanno nemmeno che esiste) dove abbiamo fatto un improvvisato picnic, nuotando e tuffandoci in una pozza d’acqua dolce e verdissima, con l’acqua che scrosciava docciandoci e l’eco delle nostre voci e degli schiamazzi dei bambini a cui non pareva vero che ci fossero dei turisti che giocavano con loro. La “sucrerie” dell’isola, in cui per oltre un secolo si è raffinata la canna da zucchero, ha chiuso i battenti un paio di anni fa, ma ancora in molti distillano il rum, che i malgasci consumano abitualmente, e che si può comprare, come abbiamo fatto noi, a casa di qualche ex lavoratore della sucrerie, a patto di portarsi dietro la bottiglia da riempire. C’è da sottolineare che in teoria è vietato esportare il rum (così come ogni pezzo di conchiglia e coralli), ma alla fine basta non esagerare e portarsi via il giusto. Il rum malgascio è molto scuro e dal sapore forte, e viene abitualmente aromatizzato con stecche di vaniglia, o con cannella o bucce d’arancio, e crea una sottile dipendenza nel dopocena…O forse era solo che a pancia più che piena, col mare a due metri, sotto il tetto di foglie nel patio, come si fa a stare a chiacchierare senza un bicchierino di rum in mano??? A Nosy Be abbiamo provato a contattare Manina Consiglio, una ex insegnante napoletana che tutti conoscono ed amano, e che in meno di 10 anni di vita malgascia, ha aperto oltre 100 scuole, che si vedono ovunque e danno istruzione di base ad oltre 6000 bambini. Abbiamo provato a chiamarla, ma nulla da fare.
Come al solito abbiamo alternato l’ubriacante mare dai colori fantastici sia sopra che sotto il pelo dell’acqua, alle nostre visite nei villaggi, come TamTam, il villaggio delle piroghe a Nosy Komba, dove sulla spiaggia ci ha accolti Robert, il rispettatissimo principe del villaggio. No no, niente uniformi e corone, aveva una camicia lisa ed era scalzo, ma Berenice giura che lui è davvero il principe! Seguire la costruzione delle piroghe è bellissimo, c’è una manualità che sfiora la perfezione, ed è pazzesco vedere queste lame sottilissime di legno scivolare sul mare leggere e veloci con una bava di vento e vele che sono un patchwork di rammendi e tessuti rimediati alla meno peggio. Ed in piroga abbiamo attraversato lo stretto canale che proprio di fronte alla nostra spiaggia ci porta ad Ankify, un villaggio sulla “Grand Terre” (così i malgasci chiamano le coste del Madagascar) con case sorprendentemente ricche e la solita insegna di un hotel che ti chiedi quanti clienti avrà in un anno! Abbiamo finalmente visitato Nosy Iranja, il posto (a ragione) più pubblicizzato del Madagascar, un incantevole scherzo della natura che rende due isole un unico corpo ogni sei ore, e che ti fa credere che camminare sulle acque sia possibile. Nosy Iranja merita le due ore di viaggio, soprattutto se la barca è quella di Carlos, il nostro mitico caronte capace di attutire le onde appena il mare si increspava e di riportarci a terra con la schiena ancora intera. Se siete a Nosy Iranja e vorreste restare per tutta la vita tra le onde che stereofonicamente si infrangono su due lati, non mancate di fare la breve passeggiata che porta in alto al faro abbandonato sopra il villaggio. Da lì la vista della lingua di sabbia che appare e scompare è ancora più suggestiva.
La domenica dopo ferragosto avevamo in programma di seguire la messa nella piccola chiesetta dal tetto in lamiera del villaggio di Anjabè, il villaggio vicino ai nostri bungalow.
Ad officiare la funzione religiosa (un misto tra la nostra messa cattolica e le funzioni battiste dell’America nera, con tanto di canti, cori e sermoni improvvisati dai fedeli) è Rambo, uno dei tanti tuttofare di Berenice, sempre sorridente e con due figli che sono due bellissime pesti.
Rambo l’abbiamo sempre visto in canottiera e pantaloncini, tutto muscoli (da qui il soprannome) e l’impressione che sappia fare davvero tutto. Impressione confermata, perché sa fare anche il diacono, e vederlo in camicia bianca (omaggio di Gianmario), e con lo sguardo serio, sereno ed intenso, è stata un’esperienza toccante.
E toccante è stato l’incontro con i bimbi della scuola avventista, che accompagnati dalle loro insegnanti, sono venuti a trovarci un pomeriggio in spiaggia da noi. Berenice ci aveva preparati, e noi avevamo messo in ordine su un tavolo tutte le penne, i quaderni, che avevamo portato dall’Italia. Ma non ci aspettavamo di vedere sbucare dalla vegetazione un groppone di bambini che cantavano, si tenevano per mano, e che accompagnati dalle volontarie della scuola avventista, avevano preparato per noi un vero e proprio spettacolo…E il cuore fa splash! In questa occasione abbiamo conosciuti meglio bambini dolcissimi, che sono tornati poi a trovarci prima di partire, e che abbiamo adottato emotivamente. Gli ultimi tre giorni li abbiamo dedicati al bivacco alla isole Mitsio. Memori del precedente bivacco, eravamo esaltati ed ansiosi, e le 3 ore di barca fino all’isola di Ankarea, dove avremmo bivaccato, sono stati meno pesanti del previsto, nonostante sia mancato l’avvistamento delle balene, che ogni tanto capita di incrociare da quelle parti.
Come al solito hanno pensato a tutto loro, trasporto di tende, materassi e vettovaglie compreso. A noi restava il compito di pescare, o alla traina, o in immersione, e con due maestri come Jean e George, che vanno in apnea anche a 15 metri ed escono fuori con aragoste che sembrano portaerei, il problema cibo non si pone. Anche Remo ed Hubert sono abilissimi in apnea, ma tanto non c’è bisogno di scendere per vedere pesci di tutti i tipi e divertirsi.
Ad Ankarea eravamo davvero soli, almeno di sera, e isolati dal resto del mondo, il che dobbiamo dire, non è affatto una sensazione spiacevole. Unico contatto col mondo resta la piacevolissima gita a Tsarabanjina, unica isola dell’arcipelago in cui è stata creata una (bellissima) struttura turistica di livello internazionale. Tsarabanjina resta l’isola dalle spiagge e dal mare più belli che abbiamo visto nel nostro viaggio, ed un’ora di snorkeling in quelle acque può valere la vacanza.
L’esperienza del bivacco è divertentissima, non ci mancava nulla, e la sera il cielo era finto per quante stelle aveva. La seconda sera abbiamo notato un accampamento di pescatori venuti da Grand Mitsio (l’unica isola abitata dell’arcipelago) a pescare i Dinga Dinga, i cosiddetti cetrioli di mare, che pare siano una prelibatezza per i cinesi che li importano da molti anni.
Il rito della pesca di questi curiosi cetrioli è molto suggestivo, in quanto si svolge di notte con la marea bassissima, e consiste nell’entrare nelle acque basse che vengono illuminate da fascine di foglie di palma fiammeggianti che i pescatori tengono sulla testa, e che danno l’impressione di un rito religioso più che di una antichissima tecnica di pesca.
Il bivacco è stato il degno fiore all’occhiello di una vacanza ancora una volta troppo breve e tanto intensa.
Al ritorno c’è un’ultima sosta di rito. Abud è il negozio di souvenir migliore di Nosy Be, ed è gestito da Abud e dall’incredibile sorella Afifa, che parla un buon italiano, che ama infarcire di parolacce e imprecazioni che lasciano sbigottiti quelli che non la conoscono. Afifa, oltre ad essere simpatica, ha una varietà incredibile di oggetti, e c’è il rischio di lasciare lì centinaia di euro tra bracciali d’argento bellissimi, oggetti semi preziosi e souvenir. Attenti solo a non comprare oggetti ingombranti, perché di solito alla dogana si rischia di doverli lasciare a terra, come è successo a noi con una Tridacna, una conchiglia gigantesca che avevo trovato in mare e che mi hanno fatto lasciare in aeroporto (sigh!). Ma prima di imbarcarci nel piccolo aeroporto di Nosy Be, un’ultima piacevole sorpresa; Jean riconosce per strada Manina Consiglio, e quindi ci fermiamo e la conosciamo. Era in giro a comprare tessuti per la nursery che sta aprendo a Nosy Komba. E’ davvero una persona speciale, e ci fa piacere che a novembre tornerà in Italia per il solito giro di serate a scopo benefico che sovvenzionano la sua attività a Nosy Be. Speriamo davvero di incontrarla qui, e di dare se possibile il nostro minuscolo contributo, così come speriamo di tornare in Madagascar…Non c’è due senza tre!