Ricordi di un viaggio in Germania

Ricordi di un viaggio in Germania durante un corso di formazione (Norimberga, Dresda, Monaco di Baviera)
Scritto da: cappellaccio
ricordi di un viaggio in germania
Partenza il: 14/03/2005
Ritorno il: 20/03/2005
Viaggiatori: 10
Spesa: 500 €
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Ricordi di un viaggio in Germania durante un corso di formazione (Norimberga, Dresda, Monaco di Baviera) Kandler “Guten tag”. Mi frullano in testa suoni aspirati, dentali e gutturali. “Morgen”=”(buon)mattino”, “Hauptbanhof”=stazione ferroviaria, “pfandflashe”=bottiglietta (era scritto su uno dei succhi di frutta che si trovavano sul tavolo a cui eravamo seduti, lunedì mattina, alla scuola di Glauchau), “Zwanzig” = 20. E’ il numero della mia stanza al Landhotel di Kandler, una località nei pressi della città di Chemnitz (già città di Carlo Marx, “Karl Marx Stadt”, ora tornata alla primitiva denominazione), dove siamo giunti, dopo varie traversie, domenica sera. La prima di queste vicissitudini fu che, domenica pomeriggio, a Norimberga -dove c’eravamo fermati sabato notte, per la prima tappa del viaggio in Germania-, una volta calpestate in lungo e in largo le vie del centro cittadino, le piazze, gli interni delle chiese, i ponti sul fiume, i giardini che attorniano, come una cintura verde, le vecchie mura della città, ci ritrovammo tutti e 18, con i piedi massacrati, alla Hauptbanhof, la stazione FS (da loro DB), eccetto il nostro autista e il nostro mezzo di trasporto. L’autista sta schiacchiando un pisolino e sogna di viaggiare verso sterminate spiagge di sabbia bianchissima e fine, bagnate da un mare cristallino… Non si sveglia… Ma no, non è possibile, sono già le tre e mezzo, in teoria l’appuntamento era alle 15.00, va be’ che avrà mangiato pesante, ma ronfare a quest’ora poi! Sì, ecco, sicuramente ci aspetta alla stazione degli autobus e non a quella dei treni. Qui non c’è nessun parcheggio, dove si metterebbe, poveretto, ad aspettarci? No, no, alla stazione è già stato inviato un drappello a controllare, non c’è. Neanche l’ombra. E allora? E’ in panne, l’autobus ha un guasto, lui non sa come avvertirci, non vuole lasciare il suo “Bonelli” incustodito e adesso, non v’è dubbio, si trova in compagnia di qualche meccanico tedesco che gli sta portando ausilio…Macché, non spiccica una parola di tedesco, come fa a spiegarsi? E’ andato a donne, il porco! Se la sta spassando con la bionda tettona che abbiamo visto prima alla finestra del vicolo che corre tutto all’interno delle mura di cinta. Che visione! Balzava fuori dalla cornice della finestra come un ritratto, pronto a sorridere non appena scorgeva qualche passante. Ma certo! L’autista è rimasto anche lui accecato dal biancore dei suoi seni opulenti, che l’invitavano, prorompenti, debordanti dall’enorme decolleté del vestito rosso fuoco! No, dai, non è il tipo; non diciamo sciocchezze! E’ morto. Come morto? Sì, gli è preso un colpo. (Risolino incerto, come davanti all’ipotesi della congiunzione carnale con la biondona cotonata di mezza età: morte e sesso accomunati dal tabù). Se non è crepato lo facciamo fuori noi, appena ricompare. Quello str… Ha il telefonino che non funziona. Sennò potremmo chiamarlo e sapremmo dove si è ficcato. Dico io, come si fa ad avere il cellulare spento quando viaggi all’estero con un gruppo! Meglio chiamare la polizia. Con la nostra Elena, di Piacenza, l’unica che mastica un po’ di tedesco, abbiamo tentato di spiegare a una delle guardie, qui della stazione, che abbiamo smarrito l’autista. Ehm, il tipo sembrava il leader dei Queen ai tempi migliori! Non gliene poteva fregare di meno del nostro autobus rubato, del nostro autista rapito e violentato! Vedrete che presto ricompare. Non è il caso di allarmarsi, parola di Freddy Mercury. Dio, tutte le nostre valige! Le mie relazioni che ho finito di stampare venerdì notte! Il mio walkman! L’hotel, telefoniamo all’hotel di Norimberga dove abbiamo pernottato, forse ha chiamato là, l’autista. Niente da fare. Allora è scemo. XXXXXXX (censura: altri improperi all’indirizzo dell’autista) Va be’, adesso in tre prendiamo un taxi e torniamo alla fortezza, dove siamo arrivati e dove c’eravamo visti l’ultima volta. Gli altri: occhi aperti e che nessuno si allontani. Tra poco farà sera, sono le quattro e mezza. Io comincio ad aver freddo. Anch’io. Uffa! E’ arrivato! Sì, è lì sul piazzale, è proprio lui, il Bonelli Bus. Dov’era? Era là, alla fortezza, dove c’eravamo separati al mattino. L’autista pensava che avessimo deciso di prolungare la visita alla città, dato che non tornavamo dove ci aveva scaricato. Un fraintendimento, nulla più. Un malinteso che ci avrebbe fatto ritardare un’oretta, se non fosse stato che a Glauchau il nostro hotel non c’era. Come sarebbe a dire non c’era? Era stato rubato anche quello? O demolito perché filocomunista? O convertito in un ospizio per ex-disoccupati in pensione? No, semplicemente non era a Glauchau. Ecco perché le vecchiette -forse impaurite o sconcertate- che si vedevano abbordare dal nostro autobus, alla fermata del tram, poi scuotevano la testa dicendo di non aver mai sentito parlare di quell’hotel. Te lo credo, stava a venti km di distanza, a Kandler! Nella parte posteriore dell’autobus cominciano i tradizionali cori degli studenti in gita… Irritano l’autista, o forse i due coordinatori, S. Ed E., o forse tutti quelli che non cantano perché non vedono l’ora di disfare i bagagli e lasciarsi uscire un “ah!” di sollievo sotto lo scrosciare di una bella doccia calda. Fatto sta che viene intimato il silenzio. Ancora strade dissestate, sventrate nella corsia di destra o in quella di sinistra, costellate di cavalletti segnalanti “lavori in corso” che bisogna “gincanare”. E infine, dopo altri semafori rossi, ecco brillare la stella cometa sulla nostra capanna: il Landhotel. Atterriamo. La gazza ladra dei miei pensieri si lascia attrarre, ora, da un altro luccichìo: è la luce sfaccettata, multicolore, che rimandano smeraldi, rubini, diamanti e gemme di varia foggia incastonate nelle corone, nei gioielli, nelle else delle spade e dei pugnali, nelle figurine minuscole, negli oggetti rari collezionati dal re Augusto il Forte e custoditi nella Grünes Gewolbe, la famosa Grotta Verde, il cui tesoro è conservato attualmente all’Albertinum di Dresda. S., il coordinatore, Michail Schumacher –che curiosa coincidenza-, l’interprete tedesco ed io sostiamo stupefatti davanti alle teche che contengono pezzi unici, come un nocciolo di ciliegia che, alla lente d’ingrandimento, rivela l’incredibile incisione della sua minuscola superficie convessa con una miriade di volti che si stipano uno accanto all’altro. Ci sono anche posate d’oro e d’argento che immaginiamo abbandonate dal re, svogliatamente, su un piatto altrettanto prezioso; collane e diademi ideati per la vanità di una nobildonna o per quella di una cortigiana: un diamante per ogni notte d’amore… La coppa del Sacro Graal, o un’ottima imitazione… Come avranno fatto quando si accorgevano di aver perso una “perlina” di quelle dell’elsa della spada in battaglia? PPPorca miseria mi si è staccata una madreperla dall’Excalibur! Questo arazzo lo vedrei bene nella mia sala da pranzo… Saltiamo da un epoca all’altra, rivediamo le mani che forgiarono queste meraviglie e immaginiamo coloro che le ostentarono come simbolo di potenza e ricchezza, infine ce ne appropriamo, ne facciamo oggetti quotidiani, le vediamo sul nostro tavolo di cucina, appese alle pareti del salotto di mamma; ci giochiamo, ne facciamo un uso improprio, le inseriamo nei contesti più diversi: in una parola, le riportiamo alla vita. Fuori c’è il sole. Una giornata splendida. Dresda-araba fenice. Un’altra città risorta dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale. Nell’ex DDR le macerie sono ancora visibili, accanto alle pietre già rimesse assieme restano i pezzi del Lego frantumati, abbandonati, perduti. Le statue sui pinnacoli sono annerite dal tempo, dallo smog e addirittura forse ancora dalla fuliggine dell’incendio scaturito dal bombardamento del 1945. Il grigiore poco a poco se ne va, non solo dai putti ‘senegalesi’…

Italia, sabato Che tunnel interminabile abbiamo appena passato! Aspettavo che l’autobus uscisse di nuovo alla luce del giorno per scrivere. Mi trovo sulle alpi, al confine con l’Austria. Le cime delle montagne sono immerse nelle nubi. Oggi è stato praticamente l’unico giorno nuvoloso di un’intera settimana rallegrata dai raggi del sole e soprattutto senza la nebbia della Pianura Padana. La mia gazza saltella ora verso l’ampia distesa della scintillante Monaco, avvolta nel suo abito da sera. La contemplo in tutta la sua vastità, in un panorama a 360 gradi, dall’alto del campanile della chiesa di St. Peter. Ecco laggiù Marienplaz e le sue torri: di fronte a me si erge quella del Neues Rathaus, tutta pinnacoli e archi gotici, col suo carrillon animato; più lontano vedo quelle gemelle della Frauenkirche, coronate dai loro berretti verdi; si vedono i muri della Residenz su cu è proiettata una scritta luminosa, per l’esattezza, un numero: 2001, a cui ne segue un altro: 2002, la continuazione della sequenza è fin troppo nota… Si ferma all’AD corrente. Sarà per disorientare un eventuale marziano che atterri col suo disco volante proprio sulla piazza della Residenz? Ma in che anno siamo capitati? Si chiederanno. Ah, non ho detto che sono giunta in cima al campanile proprio nel momento in cui suonavano le campane: per un attimo ho temuto di avere un capogiro, ma non ho mai sofferto di vertigini, poi ho capito che era il campanile a oscillare, un po’ per le vibrazioni del suono e il movimento della campana, un po’, sicuramente, per l’altezza elevata. Ora ridiscendo i trecento e passa scalini del campanile su cui sono salita e mi ritrovo in una Marienplatz ormai completamente notturna, gremita di gente. Sotto i portici un fisarmonicista dà un concerto, applaudito da un nutrito gruppo di persone. Mi dirigo verso la Residenz per vederla da vicino. Attraverso le enormi finestre del piano superiore, prive di tendaggi, si vedono scintillare gli enormi lampadari di cristallo a goccia, come se un grande ballo vi si stesse svolgendo. S’intravvedono, nei saloni, i sontuosi affreschi dei soffitti. Il portone d’entrata è ben chiuso, per non turbare l’intimità affollata della festa. Attacca un valzer viennese… No, io non posso sentire nulla, sono qui fuori, sul marciapiede; mi sfrecciano accanto due ragazzi urlanti, dotati di rotelle ai piedi: anche loro si divertono come possono, come hanno fatto tanti anni fa quelli lassù, nei saloni aristocratici della Residenz, fra le note giravoltanti della serata di gala. Da un palazzo all’altro, da un salone da ballo della Residenz al parco di un’altra dimora reale: mi trovo davanti alle fontane dei maestosi giardini della reggia di Nymphenburg, nella stessa Monaco di Baviera, ma a qualche chilometro dal centro cittadino in direzione nord-ovest. Sono le tre del pomeriggio e sono in compagnia di una coppia australiana di mezza età, John e Felicity. Di fronte al generale disinteresse del mio gruppo nei confronti del patrimonio artistico di Monaco mi sono dissociata e mi sono diretta prima in metropolitana e poi in tram verso la residenza estiva dei Ludwig, una sorta di Versailles bavarese. In tram ho attaccato discorso con i due turisti di Sidney per non essere totalmente sola nel mio percorso turistico (senza di loro avrei sicuramente sbagliato fermata del tram al ritorno). Le sale del palazzo, comunque, non erano di certo deserte: un folto gruppo stava ad ascoltare le spiegazioni di una giovane guida tedesca, che però ripeteva le sue preziose informazioni anche in inglese, così mi erudivo sulle peculiarità delle sale che stavamo ammirando. Fra le più famose c’era la galleria dei ritratti delle dame più belle di Ludwig I (non quelle che si era “fatto”, ma quelle che, per diversi motivi, aveva reputate degne di essere immortalate dal suo pittore di corte…Qualcuna, è vero, se l’era anche scopata, e ci aveva pure perduto la testa, o meglio, il trono, come per l’avventuriera Lola Montez). Un bianco cigno reale si faceva una crociera nelle chilometriche fontane di Nymphenburg, tuffando di tanto in tanto il becco nell’acqua, mentre John, Felicity ed io passeggiavamo per i viali ghiaiati raccontandoci rispettivamente le nostre storie. E’ giunto il momento delle separazioni. Dai miei due nuovi conoscenti, dai compagni del gruppo e anche da voi, purtroppo. Ma per poco…



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