Ricordi di Bahia
Arriviamo il 25 marzo alle 23.00, e non appena scesa dall’aereo, la sensazione di voler togliermi quegli appiccicosi jeans per via dei 30º di temperatura esterna è davvero “gostosa”.
Salvador: una città con 3.000.000 di anime situata a Nord Est del Brasile, dove tutto ebbe inizio, uno dei primi luoghi in cui approdarono i conquistatori portoghesi e quello che meglio preserva le proprie origini africane. La popolazione è prevalentemente nera e prevalentemente SPLENDIDA. Son tutti/e bellissimi, è stupefacente. Gentili, aperti, anche se il fatto di essere bianca in una terra di neretti credo che faccia la sua parte… beh, più che crederlo, posso affermarlo!
La città è “linda”; si presenta strutturata su due livelli: la “cidade baixa” che comprende la zona costiera e la parte moderna, e la “cidade alta” in cui si trova il centro storico, “O Pelourinho”, esplosione di colori, di stradine acciottolate costellate di botteghe d’artigianato, bande di percussionisti che suonano in piena via, turisti che timidamente scattano qualche foto… e dico timidamente poiché a quanto pare la zona non è del tutto sicura: benché ci siano vari poliziotti appostati qua e la, non è conveniente intrufolarsi in qualsiasi strada giacché alcune, malgrado non siano ufficialmente vietate ai turisti, se hai un minimo di buon senso le eviti.
Gradevoli e movimentate spiagge urbane che diventano spettacolari allontanandosi qualche chilometro dal centro città: Praia do Cristo, Praia do Flamengo e la splendida Praia de Itapuã, famosa per le infinite menzioni nei più bei brani di MPB (música popular brasileira).
Ma al nostro arrivo dedichiamo alla città solo un giorno, intenzionate a raggiungere quanto prima un luogo paradisiaco sul quale mi ero ampliamente documentata, Morro de São Paulo, un incantevole paesino di pescatori sull’isola di Tinharé, rimasto nel passato in quanto a mezzi di locomozione: neanche l’ombra di automobili, moto, persino di biciclette! Dove si cammina scalzi sulla sabbia perché l’asfalto non esiste, dove le giornate cominciano alle sette di mattina, persino con solo due ore di sonno per via del “Luau” (festa in spiaggia) della notte precedente, tanta è la voglia di non sprecare neanche un minuto in questo mondo da favola. Sabbia bianca, spiagge alleviate dall’ombra degli alberi di cocco; verde e blu e ancora verde, barchette colorate che vanno a velocità tartaruga per riportarti in paese perché l’alta marea del pomeriggio non ti permette di ripercorrere il cammino fatto all’andata; caipirinhas sotto la luna al ritmo di samba e dei cerchi di giovani del posto che danzano “capoeira”… è proprio lì che cominciai a pormi la fatidica domanda… “che diavolo ci faccio in Europa?”. Io è così che voglio vivere, con i piedi sulla sabbia, senza nessuno che osservi se la mia borsa si abbina con le mie scarpe, mangiando frutti di cui ignoravo l’esistenza, conoscendo persone sempre nuove e apprendendo da essa cose sempre nuove; essere più che italiana, più che europea, essere del mondo. Voglio essere del mondo.
Il ritorno a Salvador mi ha fatto definitivamente innamorare della città; mi sono liberata di tutte le paure e le seghe mentali che ci facciamo quando si sente parlare del Brasile ed ho solo goduto del posto e della sua splendida gente. È stata la cosa migliore che avrei potuto fare. Adesso ho circa 20 indirizzi e-mail a cui scrivere, una settimana di intensa pratica del mio portoghese un po’ abbandonato, una mente un po’ più aperta e un pezzo di cuore in meno, poiché si è rifiutato di montare in aereo con me. E, chi lo sa, forse un giorno tornerò a prenderlo…