Relax sul Mar Cinese Meridionale
Bus da Kuala Lumpur a Singapore 40 MYR Damai Express preso al volo a Puduraya N. 30A Jalan Padi Ria 13, Bandar Baru Uda 81200 Johor Baru Tel. 03 2142 8077 7-8-9 agosto Singapore Madras Hotel SGD 105 tripla n. 28-32 Madras Street Singapore 208422 tel. 6392-7889 fax 6392-6188 www.madrassingapore.com Mayo Inn SGD 45 singola 9A Jalan Besar, Singapore 208786 Tel. 6295 6631 fax 6295 8218
2.40SGD Causeway Bay Link Bus sino a Johor Baru 8.80 MYR da Johor Baru a Mersing International Express Tel. Johor Baru 07-2226 246 Tel. Mersing 07-7992 246 35 MYR traghetto solo andata da Mersing a Tioman e idem al ritorno Bluewater Express (Speed Ferry) Counter n. 8 Jeti Pelabuhan Mersing 86800 Mersing Johor Tel. 07-7994811 7998518 10-11-12-13 agosto – Tioman 45MYR taxi da Tekek a Juara 40 MYR taxi da Juara a Tekek 30 MYR traghetto Blue Express da Teked a Salang Rainbow Bungalows, Juara 40 MYR Puteri Salang Inn 40 MYR n. 7 Jalan Mawar, Taman Sri Mersing, 86800 Mersing tel. 07-799 3592 http://www.backpackingmalaysia.com/hostel/puteri-salang-inn-chalet/tioman 14 agosto Mersing Country Hotel n. 11 Jalan Sulaiman, 8600 Mersing tel. 07-799 1799 3MYR da Mersing a Endau 4.50 MYR da Pakan a Kuantan Ben Huat Omnibus 12.20 MYR da Kuantan a Jerantut (Ben Huat Omnibus) 15 agosto – Jerantut 50 MYR Town Inn a Jerantut Lot 3748 Jalan Tahan, Bandar Baru, Jerantut Tel. 09-2666811 www.towninnhotel.com 65 MYR bus + barca a Kuala Tahan NKS travels Jalan Besar 27000 Jerantut Tel. 09-2664499 09-2664488 www.taman-negara-nks.com 16-17 agosto – Tahan – Teman Negara National Park Teresek Bungalows, 40 MYR 90MYR bus da Kuala Tahan a Kuala Besut + barca da Besut a Besar (Perhentians) 18-19-20-21-22-23 agosto – Pulau Besar (Perhentians) 70MYR Watercolour http://www.watercoloursworld.com/accommodation.htm 90MYR Barca diretto da Besar a Redang 23-24-25-26 agosto Pulau Redang Beach Villa Holiday http://www.redangholiday.com/ 499 MYR 2 notti pensione completa + escursioni 60MYR barca da Redang a Merang 30MYR taxi da Merang a Kuala Terengganu 2MYR bus da Kuala Terengganu a Marang SP Bumi 40MYR barca da Marang a Pulau Kapas MGH Ferry Services 019-9618755 019-9618757 26-27-28 agosto Pulau Kapas Kapas Island Resort 130MYR superior garden view T-009 Blok Teratai, Taman Sri Kolam, Jalan Sultan Sulaiman, 2000 Kuala Terengganu Tel. 6 (09) 631 6448 28 agosto Kota Bharu 60 MYR barca sino a Marang 30 MYR taxi da Marang a Kuala Terengganu 8.30 MYR bus SP Bumi a Jerteh 5.20 MYR bus MKSK Cityliner per Kota Bharu Azam Hotel 1872 A & B Jalang Padang Garong 1500 Kota Bharu Tel. 609-747 8800 29 agosto da Kota Bharu (Malesia) a Sungai Kolok (Tailandia) Taxi a Pantan Panjang 40 MYR 10 MYR mototaxi a Sungai Kolok 30 agosto – Sungai Kolok Hotel Merlin 40 MYR Bus 1500 THB Siam Transport co Ltd 31 agosto – Bangkok Arrivo a Bangkok ore 5.00 200 THB taxi per Suvarnabhumi Bangkok 14.40 – Istanbul 21.05 1 settembre – Istanbul Ozel Sultanahmet Kiz Ogrenci Yurdu 10 Euro Kucuk Ayasofya Mahallesi Ucler Hamami Sokak nr. 4/6 Sultanhamet Istanbul Istanbul 20.30 – Milano 22.30
Si può dire che, turisticamente parlando, Bangkok possa essere considerato l’ombelico del Sud Est Asiatico. Una miriade di compagnie aeree la collegano con l’Italia, la concorrenza mantiene i prezzi ancora entro limiti ragionevoli, rispetto ad altre località. Dalla capitale tailandese poi, grazie alle neo-nate low cost è possibile arrivare in ogni dove, e, via terra, con poco costo e abbastanza poca fatica, in molti dei paesi confinanti e non. Se decido per le vacanze in Oriente, in genere verso gennaio mi fisso una prenotazione verso Bangkok, e poi soltanto molto dopo, quasi in estate, quando mi sono schiarita meglio le idee, comincio a focalizzarmi su di una meta precisa. Tutto ciò è esattamente quanto successo anche nel 2008. Volo prenotato con Turkish Airlines, time limit fissato a fine giugno (non credo che adesso sia più possibile, se ti trovano un volo in una classe economica pretendono subito il pagamento), partenza il 1 agosto, con rientro al 1 settembre. Dapprincipio pensavo al Vietnam. Verso giugno, visto che mi sento parecchio stanca, desiderosa di rilassarmi, opto invece per la Malesia, e più precisamente per la parte peninsulare, soprattutto le spiagge e le isole del lato est bagnato dal Mar Cinese Meridionale. Tutto ciò assecondando la mia proverbiale pigrizia ed avversione verso le prenotazioni, dato che avrei raggiunto le mie mete via terra. Itinerario ad anello, discesa dal lato ovest, risalita dal lato est: da Bangkok a Hat Yai, Penang, Kuala Lumpur, Singapore, Tioman, Mersing, Jerantut (Teman Negara), Perhentians, Redang, Pulau Kapas, Kota Baru, Sungai Kolok, e ritorno a Bangkok. Spiagge e mare belli, snorkeling favoloso. Commenterò ogni cosa a tempo debito; riassumendo brevemente per chi non avesse voglia di sorbirsi tutta la mappazza: Redang e Perhentians sono stupende, ma troppo affollate, e troppo costruite. Tioman in alcuni punti (Nipah, Juara) si presenta ancora poco contaminata, a Kapas (preciso che ci ho soggiornato nei giorni feriali) ho raggiunto spiagge dove ero l’unico essere vivente senza branchie o piume!! Ho letto da qualche parte su internet che la Malesia è la meta considerata più facile da visitare, per chi è al primo impatto con l’Asia. In effetti, per molti versi è una nazione modernissima, i collegamenti sono veloci ed efficienti, e le condizioni igieniche buone. Mi ha stupito tantissimo la pulizia dei gabinetti pubblici, anche nei punti di sosta nelle autostrade. Cose che qui ci sognamo, in Italia… Prezzi abbordabili, anche se più cari rispetto alla Tailandia. Il clima sulle isole è perfetto, all’interno abbastanza afoso. Basta consumare cibi leggeri, e molta acqua e frutta, per reggere bene l’impatto. Buona esperienza di volo con la Turkish Airlines. 1 agosto – Istanbul Poiché la partenza del mio volo è alle 6.45, passo la notte del 31 luglio all’aeroporto di Malpensa, sdraiata sulle panche del Mc Donald’s. Arrivo a Istanbul in orario, e dopo essermi rifornita di qualche spicciolo, mi dirigo in centro città, con una economica combinazione metro+ tram con cambio a Zeytinburnu (1.4 YTL + 1.4 YTL). Scendo a Sultanhamet. http://www.turkeytravelplanner.com/Maps/ist_metro_map.html Visito la Moschea Blu durante la funzione del venerdì, mi fermo nel cortile interno, sotto le arcate, ascoltando i cori di preghiera. In seguito, mi aggiro nel quartiere fra le varie pensioncine domandando i prezzi. La mia coincidenza dell’andata parte la sera stessa, ma per il ritorno sono obbligata a pernottare. Poiché atterrerò molto tardi, penso sia meglio già cercare un appoggio. Devo ammettere che rimango stupita nel sentire le tariffe, essendomi aspettata un costo della vita tipo Marocco. Quasi tutto oltre i 60 Eu, e se pretendono di meno sono delle vere e proprie topaie. In una via defilata invece riesco a trovare una specie di pensionato per studentesse, al momento vuoto, vista la stagione. Mi mostrano una stanza singola con bagno, e balcone con vista su file di tetti, una moschea, ed il mare, al costo di 10 Eu. Prenoto lasciando una caparra di 5 Eu. Passo qualche oretta ancora seduta in un caffè turistico, assaggiando i tipici spuntini locali, e mi faccio una passeggiata nei dintorni. Le stradine sono in discesa verso il mare, bordeggiate da case costruite in legno. Rientro in aeroporto all’ora di cena. Segnalo che, accanto alla vetrata dell’ingresso “partenze” al piano sottoterra, vicino all’uscita del metrò, si trova un supermercato dove è possibile acquistare generi alimentari e bevande a prezzi molto più bassi che in aeroporto, e si vendono molti dolcetti prelibati (c’è anche un banco di pasticceria fresca). Se li acquisterete alla coincidenza di ritorno, è un’ottima idea regalo. 2 agosto – Bangkok Gli internazionali non atterrano più a Don Muang. Ai tempi, era semplice, oltrechè conveniente (solo 10 THB) raggiungere il centro città, evitando anche un bel po’ di traffico. Bastava passare sull’attraversamento pedonale sopraelevato, raggiungere la piccola stazioncina ferroviara omonima che si trova sul lato opposto della strada, e saltare sul primo treno in terza classe diretto a Hualamphong. Da lì, via metro si poteva andare ovunque, ed in bus a Banglamphu (la fermata del bus è sulla destra, avendo la stazione alle spalle). Dal nuovo scalo di Suvarnabhumi, invece, le uniche opzioni per la città sono i taxi, costo sui 250 THB (ma i disonesti ne pretendono 400 o più), o l’Airport express, 4 linee, dirette a Silom, Sukhumvit, Hualamphong, Banglamphu, dal costo di 150 THB, oltre ai bus pubblici che però consiglierei solo per brevi tragitti in zone già conosciute, e per provare l’ebbrezza quando si è già un po’ avvezzi alla caotica città. Sono sempre strapieni di gente, difficile capire dove si deve scendere, difficile farsi strada fra la massa per raggiungere le porte quando finalmente si capisce dove si deve scendere, difficile sopportare il caldo umido durante le soste ai semafori o i perenni ingorghi. Il minivan per Hualamphong è in fortissimo ritardo, come se si fosse evaporato nel traffico. Balzo quindi sopra a quello diretto a Silom, spiegando all’autista di farmi scendere vicino alla fermata della metropolitana. Vengo quindi scaricata nei pressi dell ‘Hotel Dusit Thani, e, un po’ a fatica, chiedendo a destra e sinistra, riesco a raggiungere uno dei tanti ingressi del subway. Due soldati posizionati proprio alle scale mobili sono incaricati delle perquisizioni, ma devo dire che nei miei confronti si dimostrano piuttosto fiduciosi. Mi fanno aprire sommariamente solo lo zainetto più piccolo. In 3 secondi, e con 17 THB, arrivo quindi a Hualamphong. http://www.thaiwaysmagazine.com/bangkok_map/bangkok_skytrain_metro_map.html Lascio i bagagli al deposito, per liberarmi dalla zavorra. Non sono riuscita a prenotare in anticipo il treno direttamente dall’Italia. Al momento in cui si svolge l’azione ancora si è obbligati a rivolgersi via email al customer care delle ferrovie Thai. http://www.railway.co.th/English/index.asp Arrivati in stazione, si ritira e si paga il biglietto. Il fatto è che il customer service, probabilmente oberato di richieste, non risponde quasi mai, nonostante i solleciti. Ci sono ovviamente delle agenzie di viaggi che, dietro lauto compenso, eseguono la prenotazione e recapitano il biglietto in albergo, ma non è il mio caso. http://www.traveller2000.com/train/reservation.htm https://www.elephantnaturepark.org/ So che ora le cose sono cambiate ed è possibile prenotare on line. http://www.thairailwayticket.com/Default.aspx?language=1 Alla biglietteria c’è uno sportello dedicato ai forestieri, tuttavia anche negli altri non c’è mai moltissima ressa. Ovviamente tutte le cuccette già sono occupate, ma per fortuna riesco a trovare uno degli ultimi posti a sedere sul treno per Hat Yai che parte alle 22,50, al costo di 675 THB. Mi prenoto anche, pagando subito, per il 29 agosto, una cuccetta di seconda classe sull’espresso delle 14.20 da Sungai Kolok a Bangkok. Dedico la parte restante del pomeriggio a gironzolare nei dintorni della stazione, che conosco a menadito, e che non offrono molto, e consumo una pessima cena al ristorante Hong Kong Noodles nella piazza di fronte all’atrio di ingresso. Appena possibile, mi accomodo sul treno, il viaggio scorre senza particolari problemi, se non un po’ di ritardo. 3 agosto – da Hat Yai (Tailandia) a Georgetown (Malesia) Non so se Hat Yai possegga argomenti tali da poter affascinare un viaggiatore. Il reticolo di vie perpendicolari che si estende nei dintorni della stazione è paurosamente brutto e squallido, così come i pochi alberghi della zona. Il punto di partenza dei minibus per Penang secondo la Lonely Planet dovrebbe essere non molto distante, ma non riesco a trovarlo. Finalmente un tuk tuk driver, con 40 THB mi fa raggiungere una piccola agenzia, mentre si scatena un temporale di dimensioni bibliche; si tratta del tipico acquazzone tropicale, con una portata d’acqua portentosa, e scariche di tuoni che lacerano i timpani. Prenoto il mio posto su un minivan, per 300 THB, lascio i bagagli in custodia in un bugigattolo e vado in cerca di un posto ove mangiar pranzo, inzuppandomi completamente. Non faccio in tempo ad asciugarmi prima di partire, anche perché continua a piovere. Per fortuna l’autista non accende il condizionatore. Gli altri occupanti del mezzo sono tutti malesi, non so che ci siano venuti a fare, in questo angolo triste di Tailandia, probabilmente i puttanieri, o a giocare d’azzardo, o a comprare sigarette, visto il cambio favorevole. Il passaggio della frontiera non è niente di che, l’unico problema è che essendo l’unica farang del gruppo, costringo gli altri ad attendermi perchè le registrazioni dei miei dati personali impiegano molto più tempo delle loro. Arriviamo a Georgetown, capoluogo di Penang all’imbrunire. Il paesaggio che scorgo dal ponte che la collega alla terraferma non è molto attraente: ciminiere, fabbriche, pozzi di petrolio, Comunque, sarebbe troppo tardi per proseguire altrove. L’autista accompagna tutti a casa propria, tenendo me per ultima. Gli dico di portarmi in un luogo dove ci siano pensioni economiche. Sono le ore 20. Mi lascia in Chulia Street. C’è un po’ di movimento, e parecchi stranieri; abbandonata la via principale ed addentrandomi nei vicoli antistanti l’ambiente diventa improvvisamente buio e completamente tranquillo. Mi accorgo che la zona è piena di alberghetti. Il primo dove mi fermo è, francamente, allucinante, e vogliono 20 dollari americani!! Una mansarda caldissima è stata suddivisa in decine di cubicoli, dalle pareti di compensato, piccoli ventilatori ronzanti sui comodini, e squallido linoleum ai pavimenti, tutto sbrecciato. Gli occupanti di una tetra sala comune hanno l’aria depressa, oltrechè sudata. Sembrano le stanze da 50 THB di Kao San Road, a Bangkok. Bisognerebbe essere fessi, per pagare 20 dollari una catapecchia simile.. Sono più fortunata al secondo tentativo, e meno male, visto che sono stanca, ed affamata. Finalmente un posto decente, La SD guesthouse, 22 MYR. Anche qui la metratura è del genere “cabina telefonica”, ma le stanze sono dotate di ventilatore a soffitto, intonacate e piastrellate di fresco, ed i bagni in comune pulitissimi. Davvero, faccio a fatica a girare attorno al letto, che per fortuna è matrimoniale. Nella piccola hall si trova una postazione internet, e sulla veranda sono seduti alcuni stranieri a godersi un po’ di fresco, con un’espressione felice e rilassata. Chiedo informazioni per un luogo dove cenare, e raggiungo una food court nei paraggi. Qui c’è veramente un mare di gente, soprattutto malesi. Si tratta, appunto di un grosso spiazzo, pieno di tavoli. Le cucine dei numerosi stand ai bordi rappresentano ogni angolo d’Asia. I bar di karaoke diffondono musica. Cena a base di pesce per 11 MYR. In strada la temperatura è piacevole; nella stanza, con un’unica finestra che dà sul corridoio, fa ovviamente più caldo, ma con il ventilatore acceso dormo benissimo. 4 agosto – Georgetown (Penang) Non mi interessa particolarmente Penang, questa non è la stagione migliore per la balneazione sul lato occidentale della penisola malese. In ogni caso, anche d’inverno, le ciminiere costituirebbero un ottimo deterrente. Tuttavia, non ho voglia di ripartire subito. In veranda incontro un australiano che è qui stanziale da circa 4 mesi; se lui è riuscito a trovare una buona ragione per sostare così tanto, sicuramente scoverò qualcosa che mi intrattenga almeno 24 ore.. Vado nel quartiere indiano, poco distante, a bermi un thé, il classico thé al latte zuccheratissimo che si consuma tipicamente in India, costo 80 centesimi. Noto che in zona ci sono parecchi ristorantini, tutti molto economici, sempre gestiti da indiani, come pure gli altri negozi. Piantina della Lonely Planet alla mano, opto per il consigliato tour a piedi fra le bellezze del centro in stile coloniale, casette in legno variopinto, alti edifici postmoderni dalle pareti in vetro, un paio di musei, ed alcuni alberghi di lusso. Arrivo sul lungomare e rimango delusa nel constatare che in città non c’è spiaggia, ed il mare è di un tremendo colore verde palude. E’ interessante che mi venga alla mente in questo frangente, che già Herman Hesse, ai suoi tempi l’avesse definito “verde cupo” nei racconti. Faccio una pausa pranzo al Blue Sky Restaurant, un locale all’aperto, gestito da cinesi, ed affollatissimo. Poiché i tavoli sono già tutti occupati, mi fanno accomodare accanto ad una signora americana. Il menu del giorno consiste in una sola pietanza, e qualche variante: riso, pollo, verdure non bene identificate, ed una saporita salsa all’aglio, 6.60 MYR. La mia compagna di tavolo si rivela molto simpatica; ha viaggiato per mezzo mondo, e vissuto a lungo in Cina. Mi racconta che ci ha allevato i figli. Nonostante le difficoltà, è riuscita con prole al seguito a visitare ogni angolo del paese, Tibet incluso. Parla correntemente cinese, e non appena gli altri avventori si accorgono di questo particolare, diventa l’attrazione del locale, bombardata a raffica da milioni di domande. Mi dilungo nella piacevole conversazione sino a metà pomeriggio. Nei dintorni di Love Lane ci sono alcuni templi cinesi, gironzolo un po’, e per il desinare ritorno a Little India; una buonissima cena in uno dei dhaba notati in mattinata mi costa 3 MYR, ed una papaya acquistata da un ambulante 60 cent. Rientrata alla SD, mi fermo in veranda a filosofeggiare con un backpacker neozelandese 61enne, che campa non ho capito bene come. Secondo lui, il peso del mio bagaglio (12 kg) è eccessivo rispetto al mio (52 kg). Secondo la sua teoria, lo zaino ideale è quello che ti permette di fare almeno 5 km a piedi, evitando taxisti e conducenti di tuk tuk. Un purista, insomma.. 5 agosto – da Georgetown a Kuala Lumpur Il gentilissimo proprietario della SD Guesthouse è prodigo di consigli con chiunque lo interroghi, non solo su Penang ma su qualunque località malese. Quando è il mio turno, mi spiega con dovizia di particolari come raggiungere la stazione dei bus, che si trova dall’altra parte del ponte, sulla terraferma, a Butterworth. Ci vado in taxi. Il mio pulman, bellissimo, con poltroncine enormi e ultra-comode tipo prima classe sugli aerei, partirà verso mezzogiorno. Il prezzo è 30 MYR. La cosa curiosa, che sperimenterò spesso, è che allo sportello di vendita ti annotano sul biglietto il numero di targa dell’autobus, e poi sono cacchi tuoi di andartelo a cercare, setacciando palmo a palmo tutta l’autostazione. Arriviamo a KL, alla delirante maxi stazione Puduraya, verso le 16.30/17. Durante il viaggio mi sfoglio con distacco la guida, per vedere in che zona dirigermi, non appena giunta nella capitale, senza però riuscire a venirne a capo. Sarà meglio l’esotica Chinatown, l’avveniristico Golden Triangle, la colorata Little India? Mah.. Distratta dal paesaggio che mi scorre davanti, penso che forse non è poi così importante, sicura come sono che troverò qualcosa anche senza affannarmi troppo.. Non appena scesa sul marciapiede a Puduraya e recuperati i miei bagagli, vengo immediatamente assaltata da un gruppetto di taxisti; per sottrarmi, mi incammino a casaccio. Una ragazza che era sul bus con me mi ferma e mi chiede gentilmente dove stia andando. Rispondo che sono diretta verso la monorotaia, realizzando che, per arrivarci, dovremo passare anche da Chinatown. In effetti, attraversiamo proprio Petaling, in un casino indescrivibile. Mi fermo a visionare alcune guesthouses, il quartiere sarà sì esotico, ma le sistemazioni economiche sono delle vere fetecchie, per cui decido davvero di tentare con Bukit Bintang. Giunte a Maharajalela, insisto per offrire alla giovane una bibita, un gelato, una birra, una fetta di torta, un thè, qualsiasi cosa per sdebitarmi, lei rifiuta cortesemente e si dilegua. http://www.johomaps.com/as/malaysia/kualalumpur/klmetro.html Traumatizzata dallo sbalzo termico, approdo finalmente a Bukit Bintang. Le scale mobili mi conducono al piano terra, mentre tutto attorno a me sembra appartenere ad un altro pianeta. Alti edifici, un fiume di macchine, locali alla moda e relativa fauna con vestiti adeguati, shopping centers, le Petronas sullo sfondo. Non sono abituata a frequentare, turisticamente parlando, contesti urbani così sviluppati! I miei precedenti, negli scorsi 18 mesi sono stati India e Cambogia… Ero già stata a Kuala Lumpur una decina di anni fa, due giorni di stop in attesa di una coincidenza. Era stata la mia prima vera sosta in Asia, ed ero rimasta scioccata. Partita senza informarmi, pensavo a Salgari, ed invece i malesi indossavano jeans, e ascoltavano “living la vida loca”. Vorrei raggiungere un alberghetto in zona che riscuote buoni consensi in rete, e chiedo indicazioni ai passanti. Quando lo trovo, nel traffico e nel caldo appiccicoso, la mia attenzione viene attratta da un’insegna sul lato opposto della via, Combo Guesthouse, inchiodata ad un edificio giallo. Poiché il palazzo è fresco di ristrutturazione, mi ci precipito dentro, e mi accaparro una stanza sul retro, nuova di pacca. Qui scopro che anche a Bukit Bintang non è tutto oro quel che luccica. L’altra faccia della medaglia sono i cortili interni, fetidi, e pieni di immondizia. Il pianerottolo della camera confina, attraverso una grata, con quello del condominio adiacente. Se non ci fosse questo diaframma, varcando la soglia per accedere al bagno che è di fronte sullo stesso ballatoio, praticamente capiterei sul balcone dei vicini. Sento le loro voci, i loro passi, e gli odori della loro cucina. Sulla stanza, ad ogni modo, nulla da eccepire, e costa solo 80 MYR!! I gestori sono indiani. Gentili, cordiali e curiosi proprio come gli indiani dell’India. Per cena scendo in strada, in una via trasversale si sono animati decine e decine di food stalls, mi sembrano tutti uguali e infatti ne scelgo uno a caso, spendendo circa 17 MYR per lo stesso cibo già assaggiato nel ristorante di Georgetown. Per smaltire la sbobba, decido di camminare sino alle Petronas, zigzagando fra gli alti edifici, la zona mi sembra tranquilla e mi sento sicura a girare a piedi. Arrivo alle torri nel momento in cui i grandi magazzini stanno per chiudere, un giro veloce all’interno, e rientro alla pensione. 6-7 agosto Kuala Lumpur I momenti più piacevoli sono gli intervalli mangerecci. Compro alcuni biscotti e yogurth in un Seven Eleven proprio sotto casa, e per il rito del thé mi sistemo sulle seggiole all’aperto di un chiosco in una viuzza nei paraggi. Sono circa le 8, e la temperatura è ancora gradevolissima. Tutti i clienti sono cinesi, gasatissimi per l’inizio delle Olimpiadi. Un bicchierone di thé nero costa 1 MYR. Una ragazza si siede al mio tavolino, mi mette davanti al naso un giornale scritto in cinese (penso) ed inizia a parlarmi in cinese (penso). La scena è surreale, non capisco come non riesca a rendersi conto che non sono assolutamente in grado di captare nulla di quello che dice. Un po’ troppo semplicemente si potrebbe arrivare alla conclusione che sia un po’ svitata senza considerare che spesso la voglia di mettersi in contatto con chi è straniero è più forte di qualsiasi barriera. Allo stesso modo, mia madre riversava fiumi di italiche parole alle povere orecchie del mio ex fidanzato finlandese, pur di parlargli. Le Petronas le avevo visitate 10 anni fa, senza peraltro trarne particolare piacere, il panorama non è niente di che, e non ho nessunissima voglia di ripetere l’esperimento, visto anche le code che mi dovrei sobbarcare per la prenotazione. La prima giornata mi sfuma praticamente fra le dita, dedicata al disbrigo di alcune pratiche all’ambasciata di Singapore, che riesco a raggiungere piuttosto agevolmente con la metropolitana ed una lunga camminata, e nella ricerca di una fantomatica stazione di autobus, la Putra, indicata erroneamente dalla Lonely Planet (prima cantonata) come alternativa a Puduraya quale terminal di partenza per i bus diretti alla costa est. Ne approfitto comunque per sondare l’efficienza dei mezzi pubblici, sperimentando un inconveniente che non si nota dalle mappe: i passaggi alle stazioni di interscambio non sono agevoli. Non è come a Cadorna, ad esempio, che si riesce a passare dalla linea rossa alla verde semplicemente salendo una scala. Sembrano vicini, ma non lo sono. In metropolitana, che fuori dal centro scorre in superficie, raggiungo le periferie di questa sconfinata capitale, i cui palazzoni non si differiscono molto dai nostri. Non ci sono slums, e sullo sfondo campeggiano formazioni calcaree dalla linea tondeggiante, ricoperte di vegetazione. Alla fermata di Putra, anziché la stazione dei bus citata dalla guida, trovo poco più che un parcheggio, e pendolari stanchi ed annoiati desiderosi di rientrare a casa. Ritorno quindi al KLCC per dare un’occhiata veloce allo skyline, ed alla moschea nelle vicinanze. Il centro commerciale vende articoli di stra-lusso. Fra i clienti intenti ad aggirarsi fra le merci con aria molto più interessata della mia, noto molte signore (alcune malesi, altre turiste dei paesi del Golfo) completamente coperte da un drappo nero. La stoffa svolazzante lascia a volte intravedere alcuni centimetri di quanto si trova sotto, rivelando frammenti di abbigliamento sexy che mi lascia sorpresissima. Per il giorno dopo, invece, decido di seguire gli itinerari a piedi consigliati dalla Lonely Planet nei quartieri cinese ed indiano. Il mercato di Petaling è affollatissimo di turisti, pieno di bancarelle dove fanno brutta mostra di sé tutti i tarocchi possibili ed immaginabili. Nella zona alimentare, sezione macelleria, l’odore del sangue accentuato dal caldo, e le precarie condizioni igieniche colpiscono la mia fantasia. Il quartiere indiano consiste in una serie di edifici bassi, in alcuni casi dotati di porticati, ed una miriade di negozi e ristoranti tipici. In uno di questi, scelto a caso, consumerò un’esperienza gastronomica memorabile. L’accoppiata listino prezzi economico/locale pieno è garanzia di successo. L’esercizio è posizionato direttamente all’aperto, al piano terreno, credo che alla sera semplicemente chiudano le saracinesche, ma non ci sono muri o porte o vetri di sorta. Un inserviente mi fa accomodare ad un tavolo già occupato da adolescenti in divisa scolastica, graziosissime, che al mio arrivo si producono in una serie di risatine soffocate tipo i topolini del film “Babe”. Le pietanze sono esposte tipo self service, indico a caso le portate, che poi mi vengono servite, senza piatto, direttamente su una foglia di banano. Tutti mangiano con le mani, con il linguaggio universale dei gesti riesco però a farmi procurare almeno un cucchiaio e forchetta. A piedi raggiungo Merdeka Square e poi, sempre camminando, mi dirigo al mercato centrale, artigianato globalizzato, prezzi molto cari, alcune bluse in stile hippie-chic molto graziose, ma non compro nulla. 8 agosto da Kuala Lumpur a Singapore Mi alzo per tempo e, dopo aver consumato l’ultimo thé dai cinesi simpatici, mi avvio verso la stazione di Puduraya; l’interno è enorme, da un lato file di chioschi vendono biglietti delle più svariate compagnie, dall’altro bancarelle vendono spuntini, giocattoli e frutta. Alcune rampe di scale, contrassegnate da lettere, portano alle varie piattaforme di partenza. Senza sapere bene cosa fare, ritorno all’esterno dove noto un bus extra lusso in partenza per Singapore. Dopo aver verificato la disponibilità mi fanno accomodare a bordo su una poltrona-salotto, al prezzo di 28 MYR. Anche in questo caso, le formalità doganali alla frontiera vengono sbrigate agevolmente, ed il bus attende che tutti gli occupanti riprendano possesso dei loro stessi posti. Specifico questo perché, in uscita da Singapore, con bus di linea urbana della Causeway Bay Link, non accade altrettanto, per cui bisogna portarsi dietro tutti i bagagli, e salire sul successivo. Il torpedone mi scarica nella zona di Beach Street, domando informazioni ed un ragazzo gentilissimo, che addirittura si carica a spalle il mio zaino, mi accompagna sino alla fermata della metropolitana di Lavender, da cui prendo un mezzo in direzione Bugis, nel quartiere indiano, che è uno dei più economici dove pernottare (a parte la zona a luci rosse, Geylang, che però, visti i trascorsi in Repubblica Dominicana, vorrei evitare come la peste)… http://www.johomaps.com/as/singapore/singaporemetro.html Da subito la città mi pare molto ordinata. Mentre mi faccio strada tra i vari isolati, aiutata dai premurosi passanti, ecco il secondo acquazzone degno di nota della vacanza (a KL stranamente ero stata graziata). Seguo un tipo dai capelli rossicci, in tipica divisa da backpacker, sino alla sua tana, la Fragrance Guesthouse, una delle più quotate sulla Lonely Planet, ma non hanno letti neppure nelle camerate. Idem per altri posti economici sulla Dunlop Street. Il torrente d’acqua che si sta rovesciando in strada frena i miei slanci per cui, strisciando contro i muri tipo Pantera Rosa per bagnarmi il meno possibile, approdo dapprima al Perak Lodge, elegante e fuori budget, e successivamente al Madras Hotel che gli sta di fronte, 105 SGD, molto rinomato anche questo, ma purtroppo sempre di una categoria superiore a quello che le mie finanze consentono. In ogni caso non ho molta scelta, mentre una ragazza cinese registra i dati del mio passaporto la mia attenzione e le mie carezze sono tutte dedicate ad un gatto completamente bianco che pigramente è disteso sul monitor del pc. La camera è enorme, e silenziosa, i materassi morbidi, le lenzuola odorano di detersivo. Dopo essermi messa un po’ in sesto, all’ora di cena esco in esplorazione. Pasteggio in un ristorante pakistano in Campbell Lane, appena svoltato l’angolo, non ricordo l’insegna, circa 7 SGD 9 agosto – Singapore Diventa di vitale importanza, subito dopo una frugale colazione, thè al latte zuccherato presso un chiosco indiano, trovare un albergo più economico. Percorro la Jalan Besar, che è perpendicolare a Dunlop Street, sinchè approdo al Mayo Inn, decisamente più spartano. Dopo aver visionato varie camere, mi approprio, dopo aver sganciato 45 SGD, di una singola sul retro, molto silenziosa rispetto a quelle luminose che si affacciano sulla assolata e trafficata Jalan Besar. La stanza, dal pavimento moquettato, è comunque piuttosto spaziosa, e presenta, oltre ad un lettino morbido, una scrivania, ed una cabina doccia, al posto del comodino. C’è un ventilatore, e per fortuna anche una bella finestra, già spalancata. Mi pare che ci sia un po’ di puzza di umido, e presto capirò il perché. I sigilli siliconati della doccia lasciano un po’ a desiderare, per cui l’acqua tracima sulla moquette. Il wc si trova invece sul pianerottolo, ed è pulito. Decido che la sistemazione va più che bene, e, dopo aver depositato le mie cose, e preparato lo zainetto mini con il minimo necessario per la giornata, mi avvio alla scoperta della città. Mi dirigo, in metropolitana, verso la famosissima Orchard Road, il cuore della Singapore commerciale. Dopo aver curiosato in un sexy shop, che mi attrae più dei lussuosi shopping malls, prendo un bus verso i Giardini Botanici. Il caldo si fa sentire, anche se non è opprimente, ed una passeggiata nel verde è ciò che ci vuole, oltre ad una bella scorta d’acqua. Consiglio a tutti coloro che non vogliono prendersi un accidente di portarsi un golfino da indossare quando si utilizzano i mezzi pubblici, l’aria condizionata non viene certo risparmiata! L’ingresso costa 5 SGD. Il percorso nel parco si snoda attraverso prati, laghetti, cascate, ed una serie di serre con microclimi e flora diversi, oltre alle zone dedicate alle orchidee, per cui i giardini vanno famosi. Sempre in autobus, raggiungo la zona dell’Esplanade e Boat Quay. Qui ci sono altissimi grattacieli, sedi di centri commerciali e banche, e sul lungofiume invece una serie di basse costruzioni dai colori pastello, che ospitano ristoranti, pub ed esposizioni d’arte. Chiatte cinesi trasportano i turisti in crociera sul fiume. Attraverso il Cavenagh Bridge arrivo invece alla Parliament House, ed al Merlion Park, con la fontana a forma leonina simbolo della città. Pranzo con 11 SGD sulla Circular Road Boat Quay, in un ristorante giapponese, Gyoza n. Osho. Cibo ottimo, anche se non riesco ad identificarlo. A metà pomeriggio, decido di visitare l’isola di Sentosa. Potendo tornare indietro, non lo rifarei. Il metodo più economico è arrivarci in metro sino alla fermata di HarbourFront. Da qui un autobus conduce all’isola per 3 SGD (1SGD per il trasporto e 2SGD come biglietto di ammissione). Tutte le attrazioni sono a pagamento. A me interesserebbe solo l’acquario, ma lo vendono in combinazione con lo show dei delfini (SGD 22.90), a cui assisto di malavoglia, un po’ perché il mio posto è in pieno sole (non ho messo la crema solare) un po’ perché detesto questo tipo di spettacoli dove si molestano gli animali. All’underwater world c’è una ressa incredibile, decine e decine di mocciosi agitati e genitori che cercano invano di calmarli, un nastro trasportatore mi guida sotto al tunnel d’acqua dove nuotano svariate specie di pesci. Ritorno nella zona di Boat Quay. All’ingresso dei centri commerciali, all’aperto, si stanno tenendo delle svendite di prodotti offerti a prezzi di outlet. Attratta da profumi di marca confezionati nelle scatole bianche da tester, costano davvero pochissimo, acquisto una fragranza di Versace ed il freschissimo Green Tea di Elizabeth Arden per un totale di 16SGD. Quando è ormai buio, ritorno al Merlin per vedere lo skyline illuminato. E’ bellissimo, e anche molto romantico. Rientro a Little India e ceno in un ristorante vicino al mio albergo, lo Star Inn. Un piatto di riso e verdure costa 3 SGD. Diciamo che mangio quel tanto che basta per campare, senza appesantirmi, preferisco rimanere leggera, soprattutto con questo caldo. 10 agosto – Singapore Dopo una frugale colazione ad un chiosco indiano, come sempre, decido per quest’oggi di fare il giro della città usando i classici bus turistici. Pagando 12SGD è possibile comprare un biglietto che dura l’intera giornata, e salire e scendere a piacimento alle varie fermate. Tornata in Orchard Road, prendo quindi il SIA Hop On Bus. Scendo in Serangoon Road, attratta dalle case coloratissime, senza rendermi conto che è il lato opposto del quadrilatero di Little India rispetto a quello dove solitamente bazzico. Ne approfitto comunque per assaporare l’atmosfera vivace, ammirare la merce nelle vetrine con la luce del giorno, e scattare qualche foto. Consumo un pranzo a base di frutta at Tekka Mall, un enorme mercato coperto dove si può trovare ogni genere di cibo a prezzi economici (è nominato anche sulla Lonely Planet). Riprendo un SIA Op On Bus verso Chinatown. Le viuzze del quartiere, caratterizzate da lanterne e tetti a pagoda sono piene di negozietti turistici, ed un mare di visitatori. Rientrata verso il Clarke Quay vagabondo fra le costruzioni pastello, e mi fermo per il classico thè delle 5 in un locale piuttosto lussuoso, il Cofee Club. Decido di sedermi fuori perché davvero dentro la temperatura è polare. Ripreso il bus, vorrei a questo punto recarmi a Marina Bay, per visitare più approfonditamente la zona e raggiungere la famosa ruota che ho visto la sera prima tutta illuminata in lontananza. Dico vorrei perché, rimasta da sola sul bus, l’autista borbotta delle scuse che non riesco a capire, forse un guasto, e mi obbliga a scendere, dicendo di aspettare il prossimo passaggio. Provo a protestare, ma lui è irremovibile ed inizia a sbraitare. Non ho voglia di litigare, ed acconsento al suo volere. La faccenda però mi sembra strana, ed avrei la tentazione di chiamare la società erogatrice del servizio per chiedere chiarimenti, ma alla fine il “chissenefrega” ha il sopravvento. Non sono molto distante dal quartiere indiano, e decido di rientrare a piedi. Faccio una sosta al Sim Lim Square, che dovrebbe essere un enorme shopping centre, a più piani, tutto dedicato agli articoli elettronici. Noto però che, ai piani superiori, la maggior parte dei negozi è chiusa. In ogni caso, c’è di che intrattenersi, ed i prezzi sono molto inferiori, rispetto all’Europa. Diciamo che il mio punto di riferimento solo le macchine fotografiche, in Italia prima di partire mi ero annotata i costi di alcuni modelli. Una Lumix DMZ18, che da noi avevo visto a 330 Eu, qui costa invece sui 250. Resta però il fatto che non ho voglia di contrattare, ho paura di prendermi delle fregature, tanto più che la garanzia che accompagna non vale nella UE. Molto presto, fra l’altro, con tutte quelle luci, quelle voci, quelle vetrine piene di roba, e i commessi che mi urlano dietro, inizio a provare perfino un senso di confusione e stordimento, per cui sono felice di riguadagnare l’uscita. Ritorno all’affollatissimo Tekka Mall per la cena, 2.50 SGD. 11 agosto Tioman (Juara) Di buona mattina, verso le 7.00, mi reco a piedi al terminal di Queen Street, per prendere il bus urbano 170 che mi condurrà a Johor Baru, al costo di 2.40 SGD. Il nome della compagnia è Causaway Bay Link. All’arrivo alla frontiera, come già detto, è necessario scendere con tutti i propri averi, adempiere alle formalità burocratiche, e poi salire sul prossimo, conservando il biglietto. La stazione dei bus di Johor Baru è “abbastanza” caotica; potrei definirla “caotica” se non avessi visto quelle indiane. Riesco però a fare una colazione decente e piuttosto agevolmente riesco a trovare lo sportello della compagnia di pulman che porta a Mersing. Di nuovo mi annotano la targa sul biglietto (MYR 8.80).Vedendo altri 3 o 4 stranieri, mi sento rassicurata di essere nel posto giusto. Giunti a destinazione, io e gli altri turisti, una coppia di cechi ed un giapponese, veniamo praticamente “sequestrati” dal padrone di un’agenzia di viaggi, che cerca di venderci un biglietto di andata e ritorno per Tioman, unitamente ad una sistemazione. Lo sopporto per un po’ perché nel frattempo fuori si è scatenato un acquazzone, ma non appena la pioggia accenna ad una lieve diminuzione, mi incammino in strada attirandomi i suoi anatemi. Dopo essermi rifornita di contanti ad un bancomat, raggiungo il molo. Il biglietto per la traversata costa 35 MYR. L’andata/ritorno proposto nelle agenzie è esattamente il doppio, quindi non è che ti truffino, il problema è che però per il rientro rimarresti legato agli orari della stessa compagnia anche se non sono comodi per le tue necessità. Inoltre, se per sfortuna il giorno del ritorno la società per qualche ragione dovesse annullare la corsa che a te serve, rimarresti fregato, perché le altre non accetterebbero il biglietto, e saresti costretto a pagarlo di nuovo. Smette di piovere, il traghetto ha solo posti a sedere all’interno, ma la traversata è piuttosto piacevole, insieme ai ragazzi cechi ed al giapponese, con il quale inizio una lunga e divertente conversazione sul tema “consigli per gli europei sul come distinguere le varie etnie asiatiche”. Scambiare un vietnamita per un thai è pur sempre una figuraccia.. Il piccolo traghetto effettua fermate in tutte le principali spiagge. Io decido di scendere a Tekek, la principale, per poi dirigermi a Juara, l’unica località balneare della zona occidentale. Gli altri invece decidono di andare ad ABC, il villaggio più “affollato”. Gli italiani snobbano Tioman. Io sono stata a Salang e Juara. Poiché i traghetti però fermano in tutte le spiagge, posso dire alla fine di avere un quadro abbastanza completo. Diciamo che forse, da cosa ho visto dalla barca, credo che Genting e Nipah siano i posti migliori, i colori del mare sono molto invitanti, e c’è possibilità di fare lunghe passeggiate sulla spiaggia. ABC dalla barca mi è parsa troppo edificata, e con un brutto litorale. Salang ha invece una bella distesa di sabbia bianca, e mare turchese, ma purtroppo molto ridotta, la parte a nord è tutta rocciosa. Per quanto riguarda Juara: la spiaggia è splendida, di colore dorato, lunga, e spaziosa. Vi sono poche pensioni, tutte economiche. L’ambiente è molto tranquillo e rilassante. Il punto forte è anche la sua debolezza. L’isolamento rende difficili gli spostamenti, non ci sono traghetti pubblici, i taxisti e i barcaioli ne approfittano. La strada da Tekek a Juara è pessima, ripida, impossibile da percorrere a piedi con gli zaini, come inizialmente immaginavo di fare, ma anche senza ci penserei due volte, prima di intraprendere la passeggiata Perhentians e Redang sono molto più affollate. Dipende quindi da quello che uno cerca. Sbarcata a Tekek, con due giovani olandesi divido il taxi per Juara. La mia parte è 45 MYR. Qui c’è un un’unica strada, che corre dietro la spiaggia, un negozio, qualche alberghetto, e niente altro. Mi sistemo ai Rainbow Bungalows, capanne in legno dipinte a colori vivaci. 40 MYR. La parte idraulica del bagno lascia un po’ a desiderare, il non perfetto allineamento delle tavole che costituiscono la parete fa in modo di disperdere presto alcuni spiacevoli odori che ogni tanto si vengono a creare, forse per qualche reflusso nel sifone. Non c’è acqua calda E’ veramente un piccolo paradiso, poca gente intorno, un silenzio quasi perfetto. Accanto ai miei bungalows c’è un ristorante, il Bushman, dove consumo colazioni e cene, negli altri esercizi infatti i prezzi sono più cari. Pranzo o cena sugli 8-10 MYR, colazione 5 MYR. Nota dolente: i sand flies. Sono delle specie di zanzare, difficili da notare al principio. Attivi dalle 16 in poi lasciano in ricordo pelle leopardata da bozzi pruriginosi. Tutti ne sono afflitti, in varie misure. Dopo essermi beccata le prime punture, quindi ormai tardi, in definitiva, mi cospargo di citronella, con esiti non del tutto positivi. Desidero enfatizzare che queste bestiacce colpiscono a tradimento zone del corpo difficili da controllare, ad esempio la schiena, ed i ponfi, soprattutto se toccati, (ma sfido chiunque a non scorticarsi, il prurito è intollerabile anche per un monaco zen) durano assai a lungo, molto peggio delle zanzare normali, che pure non mancano, ma per fortuna ci sono le zanzariere ai letti. Il normale prezzo da pagare, se si vuole vivere lontano dalla cosiddetta civiltà!! Un ragazzo indiano incontrato in spiaggia, mi fa desistere dalla brillante idea che mi era venuta in mente di provare a puro scopo deambulatorio il trek fino a Tekek, allertandomi sulla presenza di sanguisughe che copiose si sono attaccate ai suoi arti. Una coppia di bergamaschi giunta in escursione con lancia dal Berjaya mi rassicura invece sulla bellezza incontaminata di questa parte di isola. 12-13 agosto – Tioman (Salang) Dopo due giorni di meditazione su come sfuggire ai sand flies, decido di spostarmi a Salang. Mi reco quindi al punto di incontro convenuto dove un taxi prenotato il giorno prima mi aspetta (40 MYR), in preda a tremiti da febbre ed un fortissimo mal di gola. L’aria condizionata della metropolitana di Singapore non mi ha dato scampo, purtroppo gli antibiotici ad ampio spettro prescritti dalla mia dottoressa non stanno sortendo alcun effetto. Sull’isola non credo ci siano farmacie, ed il termometro l’ho scordato a casa, ma poiché sono in grado di camminare sulla sabbia con lo zaino in spalla sotto una pioggia torrenziale senza stramazzare a terra penso che di medicinali per il momento possa farne a meno. La jeep viene condivisa con una famiglia di tedeschi. Rientrata a Tekek aspetto sul molo il traghetto Blue Express (35 MYR). Sulla strada verso Salang, ultimo villaggio all’estremo nord, sostiamo ad ABC, un’accozzaglia di baracche e bungalow in legno molto approssimativi su una spiaggia ridotta, mi rallegro con me stessa per non averla scelta e fiduciosa attendo il mio approdo. Ivi giunta, sopraffatta dagli acciacchi influenzali, rinuncio al setacciamento capillare delle strutture ricettive e mi fiondo a caso verso le prime capanne che incontro, a sud del molo, dove la spiaggia è anche più carina, candida e soffice, orlata da vegetazione rigogliosa e bordata da mare turchese. Il posto è squallido, la proprietaria subito scende di prezzo notando la mia smorfia di insoddisfazione mentre saggio la consistenza dei materassi, duri come pietre. Con il secondo gruppo di bungalow, al Puteri Salang Inn, va decisamente meglio, me ne aggiudico uno discreto (40 MYR) immerso in un bel giardino, con un prato vellutato tipo campo da golf. Dopo aver immortalato alcune scimmiette, e curiosato sotto una tettoia che funge da reception, e poi come salotto, con divani ed una discreta collezione di dvd e libri, e poi ancora come cucina comune con bollitore, frigo, tavoli e lavandini vado in perlustrazione. Le pensioni, i ristoranti ed alcuni piccoli negozietti si snodano lungo la spiaggia, vegetazione e palme alle spalle, niente altro. Verso nord la spiaggia si fa rocciosa, soprattutto con la bassa marea. Vago in un grosso emporio che vende un po’ di tutto, generi alimentari e souvenir compresi, e poi mi sistemo in un ristorante verandato sul mare, il Salang Indah, affollato di gatti socievoli ed esseri umani oziosi, intenti a trincare birra con il naso incollato ad un televisore che trasmette le prime gare olimpiche. I prezzi sono equi. 19 MYR per un pesce grigliato. Anche però il Salang Sayang non è niente male. Visti i prezzi esorbitanti delle escursioni, tenuto conto del fatto che non ho nessuno con cui condividere i costi, faccio a meno dello snorkeling, e mi dedico a percorrere in lungo ed in largo a nuoto la baia turchese, alternando bagni di sole sulla bianca spiaggetta. 14 agosto da Tioman a Mersing Dopo un ottimo pranzo al ristorante Salang Sayang (14 MYR, curry vegetables + riso, e macedonia), mi imbarco sull’ultimo traghetto del pomeriggio (35 MYR), in partenza da Salang verso le 17.00 e arrivo a Mersing che è già buio pesto. Constato a mie spese la seconda cantonata della vacanza. La Lonely Planet cicca: il Plaza R&R vicino al molo non ospita più il terminal dei bus a lunga percorrenza, e neppure la miriade di ristoranti economici decantati sulla guida. Anzi, a dire il vero è un deserto. Un signore, mi carica sulla sua auto piena di bambini (altrimenti non mi sarei fidata) e mi ci accompagna. Terza cantonata della vacanza, e questa volta è colpa della mia allergia alle prenotazioni anticipate. Il bus rapido della Transnasional verso Kuantan del giorno dopo è al completo, credo ci sia una specie di festività, per cui anche i Malesi sono in ferie. Ascolto affranta l’addetto biglietteria, che, raccomandandomi di partire non più tardi delle 7.30-8.00, mi elenca minuziosamente una sequela di cambi e coicindenze per arrivare a Jerantut, base di partenza per il Teman Negara National Park. Esaurita questa essenziale formalità, ecco che posso dedicarmi al soddisfacimento di piaceri più corporali, nell’ordine: medicine efficaci per i miei malanni, cibo per lo stomaco, un tetto per la notte. Mi introduco con aria esitante attraverso l’uscio della Farmasi Sutera, non so se fidarmi dell’uomo dietro al bancone, poi penso che sicuramente se è lì deve per forza averne la qualifica, e poi comunque si tratta solo di una faringite. Per fortuna parla un inglese comprensibile, vuole vedere il bugiardino dell’inefficace antibiotico sinora assunto, e me ne propina un altro. Alcune compresse, prelevate da un barattolo, e consegnate in una bustina di cellophane, sul cui bordo riporta a biro sia il principio attivo che la posologia. Con la testa piena di punti interrogativi, mi metto alla ricerca di un albergo, in centro al paese, Sicuramente ci sono spiagge e bungalows graziosi fuori città, ma ormai non riuscirei a godermeli, vista la tarda ora, ed in prospettiva dell’alzataccia che mi attende il mattino dopo. Mi infilo in un albergo davvero squallido, il Country Hotel, gestito da cinesi, una specie di casermone biancastro, illuminato da squallidi neon. La stanza è infestata da insetti ronzanti e striscianti, per fortuna ho la mia zanzariera! Provo talmente tanta rabbia e frustrazione da sfogare, per colpa del bus, della schifezza del posto in cui mi trovo, che, complice forse la stanchezza e le non perfette condizioni fisiche, mi passa la fame. 15 agosto da Mersing a Kuantan a Jerantut Una Via Crucis, praticamente. Di buonissim’ora raggiungo a piedi il terminal. Il primo scassatissimo pulman, per 3 MYR, in mezz’ora mi porta sino a Endau. Qui, panico. L’autista mi lascia in una specie di cortile sterrato, e mi dice di attendere. Aspetto almeno un’ora e mezzo, nessuno parla inglese, tutti mi squadrano come fossi un marziano. Finalmente, intraprendo la seconda tratta da Endau a Pekan, e da ultimo, con 4.50 MYR con la Ben Huat Omnibus, approdo a Kuantan, una cittadina piuttosto gradevole costruita sul lungofiume. La strada ora è diventata così larga e così ben asfaltata, delimitata da giardini così curati ed interrotta qua e là da rotonde così ben decorate e piene di fiori, che sembra di essere nelle aree di arrivo di un aeroporto! Il terminal dei bus è sul lungofiume, tutto attorno, sotto a tettoie, chioschi che offrono numerose varietà di cibo e bevande. Sono circa le 16.30. Mentre girovago nel piazzale e già mi vedo costretta a trascorrere qui la notte, passo davanti ad un bus il cui conducente sta gridando a gran voce la località di destinazione, e mi pare di capire che sia Jerantut. Lo stesso nome mi accorgo che è scritto a pennarello su un pezzo di cartone appiccicato sul parabrezza. A riprova ulteriore, sul bus ci sono alcuni viaggiatori che mi confermano che la destinazione è appunto quella. Fra i vari stranieri, riconosco la coppia di cechi già incontrata a Tioman. Il biglietto, sempre con la linea Ben Huat Omnibus, costa 12.20 MYR. Stavolta non ci sono cambi, il torpedone è poco affollato, fa persino una sosta pipì, insomma una favola! Arriviamo a Jerantut per cena, ma è già buio. Effettivamente, mi rendo conto che le mie indicazioni sugli orari sono sempre imprecise, ma non ho l’abitudine di portare l’orologio. Solo in caso di estremo bisogno, guardo quello del cellulare. Alcuni turisti, al terminal bus, vengono presi in consegna da un procacciatore d’affari che li porta ad un rinomato ostello, io preferisco arrangiarmi da sola, giro un po’, domando ai passanti e raggiungo un caseggiato cubico parte di cui è adibita ad hotel. Anche qui, gestione e scritte in cinese, il Town Inn. Le camere però, per quanto semplici, sono davvero graziose, ed il bagno pulito. Ceno con 3 MYR ad un baracchino in strada. 16 agosto – Teman Negara National Park Pago 65 MYR per una combinazione bus + barca sino a Tahan, la porta di accesso al Teman Negara. Il bus parte dall’hotel Sri Emas, e ci conduce sino a Kuala Tembeling . La traversata sul fiume impiega un paio di ore, intorno a noi un paesaggio di foresta pluviale piuttosto monotono. Tahan è il villaggio che si trova di fronte all’ingresso del parco, che è sulla sponda opposta, dove è stato edificato anche un hotel di lusso. Diciamo che, per essere una riserva naturale, è piuttosto caotica e rumorosa. Tahan ospita molte opzioni a basso budget, inclusi ostelli. Quasi tutte le costruzioni, eccetto alcuni ristorante-barcone a livello dell’acqua, si trovano in posizione sopraelevata, accessibile attraverso scalinate o ripide salite. Percorrerle con quel caldo e uno zaino non è piacevole, ma è comunque fattibile. La vedo abbastanza dura invece per i trolley e i valigioni di plastica rigida che, al Mutiara, vengono trasportati alla reception da stuoli di facchini. A collegare le due rive ci pensano una miriade di barchette a motore, altri natanti saettano lungo il corso d’acqua, un discreto casino, insomma. La Lonely Planet dice che appena fuori dal villaggio ci sono alcune sistemazioni immerse nella natura, alcune di esse le ho intraviste dalla barca, e mi sembrano splendide, in rapporto a quanto offre Tahan. Ho un appuntamento qui con un viaggiatore che ho conosciuto su internet, e che ho incontrato a Milano, prima di partire. Lui, Antonio, è ospite dell’albergo di lusso, in compagnia della sorella Elisabetta. Arrivare a Tahan senza prenotazione è abbastanza rischioso. Già a mezzogiorno faccio fatica a reperire uno chalet da 40 MYR ai Teresek Bungalows. A partire dal primo pomeriggio incontro giovani backpackers alla disperata ricerca di stanze che mi chiedono se da me c’è ancora qualcosa di disponibile. Antonio è impegnato nelle escursioni al parco che sono comprese nel pacchetto viaggio da lui acquistato, mi spiega una receptionist nell’elegante atrio in legno scuro del Mutiara Resort. Gli lascio quindi un bigliettino con i riferimenti della mia guesthouse, sperando che non si spaventi, quando la vede… Già che ci sono, faccio un giretto nei paraggi. Già tutto attorno al Mutiara verdeggia la foresta con i suoi intricati grovigli vegetali. Ovviamente, per assaporarla in tutta la sua selvaggia solitudine bisognerebbe partecipare a quelle escursioni dove si cammina per giorni e giorni, ma sinceramente non ne ho nessuna voglia, con tutta la stanchezza da smaltire dopo 8 mesi stressanti di lavoro, uno dei quali, per di più, trascorso a riprendermi dall’ultimo viaggio insonne sui bus notturni dell’India. Passo il resto del pomeriggio a rilassarmi (per quanto possibile in un posto come Tahan) ed attendo l’arrivo dell’amico milanese, che si presenta da me verso le 5. Mangiamo insieme al Family Restaurant, uno dei barconi ancorati sulle rive del fiume. Di per sé non sarebbe male, il problema è che le odiosissime longboat continuano a fare anche di sera la spola, appestandoci con il gas dei loro motori a scoppio, e rompendoci i timpani. 17 agosto Teman Negara National Park Per prima cosa, dopo aver fatto colazione di nuovo al Family Restaurant, vado a prenotarmi per l’indomani il trasporto sino a Kuala Besut e Perhentians, 90 MYR. Ho quindi ora l’intera giornata da dedicare all’esplorazione del Teman Negara. La coda per salire sulla Canopy Walkway è mostruosa, e fa caldissimo. Aspetto quasi un’ora, pagando un ingresso di 5 MYR. Si tratta di una passerella costruita in legno e corde ancorata ai tronchi degli alberi, e che si snoda per un percorso di circa 500 mt a circa 40mt da terra. Non si vedono né scimmie né uccelli, immagino che tutto il marasma li disturbi. Non è un ponte tibetano, e non è niente di difficile, in certi punti si riesce a vedere il terreno di sotto, e fa una certa impressione, soprattutto se si è a metà passerella sballottati dal passo pesante di qualche vicino rozzo. Alcuni cerebrolesi, infatti, si divertono mettendosi a saltare procurando vertigine, panico, nausea ed insulti da parte di molti. Ridiscesa a terra, cartina alla mano mi metto a girovagare badando a non allontanarmi troppo e soprattutto a non perdermi. I sentieri principali sono ben visibili, ma deviando un po’ da questi si può riuscire a perdere il senso dell’orientamento. Sudata incommensurabile per raggiungere il Teresek Peak, il cui viottolo di accesso è stato “addomesticato” edificando una serie di gradini. Faccio cena insieme ad Antonio e sua sorella al Mutiara, il costo è 66 MYR ma c’è un buffet con ogni ben di Dio. Stabiliamo di trovarci per il 19 a Pulau Besar, nell’arcipelago di Perhentians. Io parto l’indomani e conto di arrivarci in serata, loro invece hanno un tour auto-organizzato con la Ping Anchorage di cui sono molto soddisfatti, ed un autista privato li accompagnerà a Kuala Besut dove sostano una notte. 18 agosto – Da Tahan a Kuala Besut a Perhantian Besar Questa volta non si passa via fiume. Viaggio piuttosto monotono, (unico paesaggio degno di nota, le formazioni calcaree di Gua Musang) sotto una pioggia piuttosto insistente, che si calma soltanto in prossimità di Kuala Besut, ove giungiamo nel tardo pomeriggio. Riusciamo a prendere l’ultimo traghetto per le isole Perhentians. Chiedo di farmi scendere al Coral View. Il traghetto non tocca riva, ci sono delle piccole barchette che si avvicinano e trasportano a terra i passeggeri, con un sovrapprezzo di 3MYR. Veramente ne chiederebbero di più, ma mi rifiuto di darglieli, per un percorso di 50 mt. Siamo alle solite, siamo su un’isola e gli avvoltoi se ne approfittano. Anche a Besar sarebbe meglio prenotare in anticipo. Fatico infatti pure qui a trovare un posto da dormire, tenendo conto che tutto costa almeno il doppio che a Tioman, con un pessimo rapporto qualità prezzo. Parlo ovviamente delle strutture a basso budget. Il posto economico più bello è il Mama’s Chalet, ma purtroppo non hanno posto. I loro prezzi partono da 60 MYR per i bungalow nel giardino, e poi da 90MYR in su per quelli vicino al mare. Ci consumerò anche parecchi pasti, e mi sento davvero di consigliarlo. Mi devo invece accontentare, per 70 MYR, di un bungalow garden view al Watercolour Resort, ma rispetto al Mama’s è davvero una schifezza. Per fortuna almeno ci sono le zanzariere alle finestre, ma nel mio bagno c’è un vero e proprio zoo, incluso uno scarafaggione. Provo anche ad andare al Coral View, e cerco di mercanteggiare. Le receptionists dono davvero molto gentili, e cercano di venirmi incontro il più possibile, ma resta comunque troppo. Non solo il Watercolour fa schifo come albergo, ma anche al ristorante non si scherza. Consumo una pessima cena, omelette, riso e frutta a 22 MYR e scoraggiata vado a letto. 20-21-22-23 agosto – Pulau Besar (Perhentian) Nei giorni prossimi scoprirò che per fortuna al Mama’s si mangia benissimo agli stessi prezzi del Watercolour, ma ci sono anche altri piccoli baretti che sono più economici, ad esempio il Thai Corner ed il Perhentians Cafè, situati uno accanto all’altro. Spenderò sempre sui 15 MYR, e sui 7.5 MYR per la colazione. Mi compro anche, per 11 MYR, una carta telefonica, la “I talk”, che mi consente di parlare con il mio fidanzato in Italia, ed organizzarmi le prenotazioni per il prossimo soggiorno a Redang. Come già scritto sulla Lonely Planet, ed altri in loco me lo confermano, su Redang infatti non ci sono sistemazioni economiche e si va avanti a pacchetti viaggio. Nel frattempo, ritrovo Antonio e la Elisabetta, e conosco altri amici loro, tutti italiani. Formiamo a questo punto un bel gruppo e, forti del nostro potere contrattuale, siamo in grado di mercanteggiare con i boat taxi, per organizzare delle escursioni. Lo snorkeling lontano da riva è favoloso. Il barcaiolo ci conduce anche in alcune spiaggette bellissime, dove ci siamo solo noi. Visitiamo anche Kecil. La spiaggia qui è grande, e l’acqua molto limpida. Mentre i miei amici si sistemano in un baretto, mi faccio un giro. Qui ci sono molte sistemazioni, ma i prezzi non sono molto più economici di Besar, e le strutture economiche, esattamente come a Besar non sono granchè. Ci sono però dei localini, e quindi alcuni di noi si ripropongono di ritornarci alla sera tanto per evadere un po’. Besar, da questo punto di vista infatti, non ha niente da offrire. Dopo aver passato un paio di notti al Watercolour, ed aver ritentato con il Mama ma senza successo, vengo generosamente ospitata da Antonio ed Elisabetta nella loro stanza al Coral View, che ha un letto in più. Sono alloggiati in una delle suite che sorgono distaccate dal corpo centrale, vere e proprie villettine con doppio ingresso, su una specie di lingua di sabbia con vista mare da entrambe le parti. Al giorno, con la mezza pensione, pagano sui 100 Euro (in due), e non è molto, visto quello che viene loro offerto. Si tratta infatti di un bilocale, camera da letto ed un piccolo soggiorno, con bagno ed antibagno, tutto di legno ed enormi vetrate. Anche altri due ragazzi, Mauro e Laura, sono disgustati dal Watercolour e si trasferiscono al Coral View. Altri, invece, stanno da Abdul, sulla spiaggia accanto, che è raggiungibile via boat taxi ma anche a piedi, con una passeggiata di circa 10 minuti attraversando un promontorio ricoperto di fitta boscaglia, e infestato di zanzare. La spiaggia degli Abdul’s Chalet, che è anche quella del Tuna Bay, è carina, ma la migliore è quella del Perenthians Island Resort (PIR), la struttura più lussuosa dell’isola, che però è molto affollata. Io e gli altri ragazzi, solitamente, ci sistemiamo in una piccola caletta fra l’estremità del Coral View e il molo del PIR. Fra l’altro, gli amici alloggiati da Abdul riferiscono di avere notato che la pratica del lavaggio biancheria pare considerata superflua al cambio di ospiti. Le lenzuola vengono scosse energicamente, e poi spruzzate di deodorante. Per il trasferimento a Redang, anziché tornare sulla terraferma, perdendo un sacco di tempo, riusciamo a trovare un boat taxi che ci porta direttamente; il costo della traversata è 450 MYR da dividere in 5, siamo infatti io Antonio Elisabetta Mauro e Laura. 23-24-25 agosto – Kuala Besut La traversata da Besar, in condizioni di mare ottime, impiega meno di 2 ore, il resort in cui sono prenotata, il Beach Villa Holiday è all’estremità nord della spiaggia principale, la mia stanza si trova al secondo piano di una serie di tre palazzine disposte a ferro di cavallo intorno al giardino, ma ci sono anche alcuni chalet costruiti sul promontorio ed incastonati fra le rocce. Qui c’è una vista magnifica. La sabbia è bellissima, ed il mare anche. Alcuni alberghi verso il sud della spiaggia, che risulta molto più affollata della parte dove ci troviamo noi, sono meta di turisti asiatici di varie nazionalità. Contribuiscono a creare parecchia confusione quando si tratta di fare snorkeling nei luoghi più vicini a riva ed attorno ad un agglomerato di rocce. Costoro sono i perfetti rappresentanti della categoria “turista non eco sostenibile”, e nel giro di pochi minuti riescono a fare tutto quello che invece non si dovrebbe mai fare. Per prima cosa non sanno nuotare, perché vedo che indossano tutti i giubbetti salvagente. Seconda cosa, danno da mangiare ai pesci. Terza cosa, camminano spudoratamente sui coralli. In spiaggia vediamo anche delle turiste completamente coperte nelle loro tuniche nere. Fanno il bagno vestite, come tutti del resto, tranne noi occidentali, e per cause di forza maggiore preferiscono starsene all’ombra delle palme. Lo snorkeling è fantastico, un sacco di pesci già si vedono vicino a riva, nei pressi del piccolo agglomerato roccioso già nominato. Inoltre, organizzati dai resort e già compresi nel prezzo ci sono alcune escursioni. Mi ha colpito in modo particolare quella a Pulau Lima, che è una minuscola isoletta rocciosa non molto distante. Poiché mi sono fermata pochissimo, è stata solo una delle uniche due a cui ho potuto partecipare, ma è stata fenomenale. La barca si ferma vicino a degli scogli, l’acqua è limpidissima, e, sotto la superficie, coralli stupendi, e alcune formazioni vegetali, simili a palloncini, di colore viola e giallo vivacissimi. Un sogno. Non mi ricordo purtroppo la destinazione della seconda escursione, comunque è un posto con una spiaggetta, una specie di gabbiotto che funge da ufficio del parco marino, ed un campeggio, se non sbaglio. Il mare è pieno di pesci già a qualche metro da riva, più ci si allontana, e più ancora se ne riescono a vedere, alcuni hanno colori bellissimi, e le squame lucenti come seta. Per quanto riguarda la mia stanza al resort, devo dire che è semplice ma molto pulita. Il vitto invece lascia un po’ a desiderare, ripetitivo e sul genere mensa aziendale. Hanno il coraggio di propinarci dei bastoncini di pesce tipo i Findus. In ogni caso, riesco a sopravvivere più che decorosamente. Le travi del soffitto del ristorante, completamente costruito in legno scuro, nei momenti più tranquilli sono meta delle scorribande di vivaci scoiattoli che, attratti dalle briciole, si avvicinano a noi sino a pochi centimetri. Il tempo sulle isole è stato sempre soleggiato, di giorno, con qualche temporale alla sera. 25 agosto da Pulau Redang a Pulau Kapas Parto verso le 9 per Merang, qui mi apposto sullo stradone poco lontano dal molo di attracco, nella speranza che passi un bus che mi è stato indicato da alcuni clienti di un bar, ma non se ne vede l’ombra per cui in taxi, con 30MYR mi faccio portare a Kuala Terengganu, alla stazione dei bus. Il terminal è piuttosto grande, c’è perfino una palazzina a due piani piena di negozi, ma molti di essi sembrano non essere non attività. Finalmente il mio bus parte e con 2 MYR arrivo a Marang. Poiché non ho assolutamente idea di dove si trovi il punto esatto in cui devo scendere, spiego all’autista che dovrebbe avvisarmi quanto passa al molo per Pulau Kapas. Lui annuisce con fare rassicurante salvo dimenticarsene al momento giusto. Per fortuna io sono attenta, scorgo il cartello che indica la località e, quando oltrepassiamo un ponte sotto al quale si vede una specie di porticciolo capisco che forse lo stordito si è dimenticato di me. Lui inchioda subito, scende in strada con me e attraversa. Notare che il suo bus ora è fermo e nessuno sopra protesta. Dopo qualche minuto, sbracciandosi come un indemoniato ferma un collega che va nella direzione giusta e mi fa salire, dicendomi che non devo pagare niente. Questo non è in servizio, perché rifiuta di far salire altre persone che nel frattempo si sono avvicinate. Quindi, con solo me, ritorna al molo e mi deposita. Sono circa le 14. C’è una specie di passeggiata a mare, ma niente spiaggia, solo scogli. Giro un po’ in un mercato che vende ortaggi e frutta, tra cui i nauseabondi durian., poi mi reco al punto di partenza dei traghetti, acquisto il mio biglietto in un’agenzia per 40 MYR solo andata. Cercano di propormi anche una sistemazione per la notte, ma rifiuto. Attendo su una panchina, conversando con una coppia malese in vacanza. Dopo un po’, in taxi, arrivano due fidanzati italiani, con voluminose valigie rigide. Arrivati sull’isola, che non è molto distante, accompagno i due connazionali nel resort che hanno prenotato telefonicamente, il Kapas Island Resort, chiedo i prezzi, e guardo il loro bungalow. Dopodichè, accompagnata dalla ragazza, che gentilmente in alcuni tratti si offre anche di portarmi lo zaino, mi batto una per una tutte le sistemazioni della costa, che comunque non sono tante, tralasciandone una soltanto perché per raggiungerla è necessario inoltrarsi nella boscaglia. Pulau Kapas nei week end è letteralmente assalita da orde di vancazieri, un po’ come noi torinesi ci riversiamo in Liguria, ma durante i giorni feriali c’è pochissima gente, quasi tutti stranieri. Il Duta Puri Island non sarebbe male, ma ha i bagni all’esterno, e la tizia alla reception è scorbutica. Mi colpisce il Light House, che ha anche stanze a dormitorio. E’ costruito come una long house in legno scuro, ed è carino. Per arrivare invece alla parte opposta, in fronte a Pulau Gemia, ci sono invece una serie di scalinate per rendere più agevole il percorso. In questa area, ci sono spiaggette incantevoli dove non c’è anima viva. Dopo tutto questo affannarmi ritorno….esattamente da dove ero partita, ossia al Kapas Island Resort, e mi prendo un bungalow per 130MYR. Il giardino è bellissimo, verde e molto curato, popolato di gatti ed un paio di varani, nonché alcune scimmiette che però restano prevalentemente a debita distanza, sugli alberi. 26-27-28 agosto – Pulau Kapas Consumo i pranzi ad un warung che si trova all’attracco dei traghetti, la media è sui 12 MYR, per la cena invece mi fermo al Duta Puri Island resort, che cucina cibo migliore del resort dove mi trovo io, in ogni caso il costo si aggira sempre sui 20 MYR. Passeggio su e giù lungo la costa ovest dell’isola, dove si trovano tutte le sistemazioni. Il posto migliore per lo snorkeling è la spiaggetta di fronte a Pulau Gemia, dove si trova una spa di lusso. Al momento in cui ci arrivo la prima volta, ci sono delle barche di asiatici in escursione, sempre con i loro giubbetti salvagente, ma presto se ne vanno, lasciandomi completamente sola. Mi fa un po’ impressione immergermi da unico essere umano in mezzo a migliaia di pesci. Che effettivamente, abbonderebbero già a pochi metri da riva, ma allontanandosi un po’, e raggiungendo delle formazioni coralline si incontra davvero un sacco di roba. Alcuni pesci, di colore marrone, non saprei dire la grandezza perché le dimensioni risultano sempre un po’ falsate in acqua, sono abbastanza aggressivi, uno di essi, forse il capo branco, mi punta, ma con una manata lo allontano. Il furbetto, allora, mentre io già penso di aver vinto la partita e proseguo indisturbata a scrutare il fondale, mi segue quatto quatto, e mi attacca da dietro, colpendomi ad una coscia. Panico! Non è un morso, è qualcosa che assomiglia più ad una botta, come se mi avesse cozzato contro, ma siccome mi ha sorpreso mi spavento tantissimo, come se fossi stata attaccata da uno squalo. Al warung, quando lo racconto, mi ridono dietro. Un posticino degno di nota è il gruppetto di bungalow che non sono riuscita a raggiungere nella prima perlustrazione ancora zaino in spalla, quello che si trova oltre il Light House. Credo si chiami Turtle Cove. Ci si arriva attraverso una ripidissima scalinata fra la vegetazione, e si raggiunge una spiaggetta molto piccola, tutta di proprietà del complesso, che è gestito da nord europei. Gli chalet sono abbarbicati sulle rocce, con grandi vetrate e tendaggi bianchi, pulitissimi, un vero paradiso romantico. A dire il vero, invece, non è che il mio bungalow sia un granchè, e ci sono in giro tantissime zanzare, se non avessi la mia zanzariera protettiva sarebbe un massacro, ma anche così parecchie beccate me le prendo. In ogni caso, questa Pulau Kapas mi è piaciuta tantissimo, il mare forse non è così turchese come a Perhentians, ma in compenso la poca concentrazione di esseri umani gli fa guadagnare un sacco di punti. 28 agosto – da Pulau Kapas a Da oggi la vancanza è agli sgoccioli, ed inizia il processo di avvicinamento a Bangkok. Barca per Marang, taxi sino a Kuala Terengganu, (30 MYR), bus SP Bumi con destino Jerteh (8.30 MYR). Qui la coincidenza con la MKSK Cityliner (5.20 MYR) è pressoché immediata, e, nella fretta di accaparrarmi un posto a sedere sull’affollatissimo mezzo, che ha tutta l’aria di un bus urbano, non riesco neppure a fare una pausa pipì. Arrivo a Kota Bharu nel pomeriggio, mi faccio strada tra la folla del terminal bus, che si trova accanto ad un mercato, ed ignorando gli scocciatori, mi metto alla ricerca di un hotel che si trovi nei paraggi, che tanto l’indomani devo subito ripartire. L’Azam Hotel (70 MYR) mi pare abbastanza decente, faccio un giro nei paraggi cercando un ufficio postale dove imbucare cartoline (regolarmente arrivate in Italia), faccio cena piuttosto presto (verso le 18) al ristorante Golden (22 MYR) nominato sulla Lonely Planet, dopodichè vado a visitare il night market di cui Kota Bharu va fiera. A parte le bancarelle, più che altro vestiario, nei paraggi ci sono ancora alcuni supermercati aperti per cui riesco anche a non tornare in camera troppo presto. 29 agosto – da Kota Bharu (Malesia) a Sungai Kolok (Tailandia) Oggi sarà una vera tragedia, ma ancora non posso saperlo, in quanto non ho mai guardato le news in TV, né letto giornali, e quindi non ho la più pallida idea di ciò che sta succedendo in Tailandia. Mi alzo piuttosto presto, c’è un sole splendido, e vado a fare un giro al mercato vicino al terminal dei bus. Il mio treno da Sungai Kolok parte dalle 14.20. La città si trova vicinissima, e poiché ho deciso di servirmi di taxi, anziché dei bus pubblici, che pure ci sono, non è il caso che mi affanni troppo. Faccio colazione in una pasticceria che è uno spettacolo, un salone enorme piastrellato di bianco, affollatissimo di malesi. Un taxi, per 40 MYR mi conduce sino a Pantan Panjang, il punto dove si passa la frontiera. Teoricamente, da qui, camminando per circa un paio di chilometri si dovrebbe raggiungere la stazione ferroviaria di Sungai Kokok. Sennonché, i funzionari Thai che mi mettono il timbro di ingresso mi dicono che oggi c’è sciopero, ed i treni sono tutti bloccati. Inizio a sudare freddo. E’ circa mezzogiorno, mi dicono di sbrigarmi, prendere un mototaxi, ed andare subito alla stazione dei bus. Minchia, proprio quello che volevo evitare. Il bus ci mette una vita, esattamente come il treno, ma è tremendamente più scomodo. Prima di ciò, tuttavia, voglio andare in stazione e cercare di capire che succede, od eventualmente prenotarmi per l’indomani. Meno male che mi ero tenuta un giorno come “cuscinetto” da passare a far shopping selvaggio a Bangkok, eventualità questa che è sfumata e già basta a rendermi triste. L’ingresso alla stazione è presidiato da soldati in tenuta da guerra, con le armi spianate. Sono un po’ intimorita ma anche fermamente decisa a far valere le mie ragioni. Almeno, se non posso prendere il treno, voglio indietro i soldi del biglietto. Mi fanno passare, alla biglietteria un impiegato sgarbato mi sbatte in faccia i miei 900 THB, con zero spiegazioni. Arrivo al bus terminal, che non è niente altro che una viuzza qualsiasi con un’agenzia che vende i biglietti. Troppo tardi: gli ultimi posti sono stati venduti a due inglesi che ricordo di aver visto al confine. Questo pulman parte alle 13.30, e sino all’indomani, alle 12, non ce ne sono altri. Rassegnata, compro un biglietto, 1300 THB. Dovrei essere a Bangkok verso le 5 del mattino, e quindi comodamente in tempo per arrivare in aeroporto. Senonchè, mi dicono, l’aeroporto è bloccato, e così pure quelli di Phuket e Chiang Mai, da ribelli che vogliono le dimissioni del primo ministro, accusato di ogni genere di corruzione. Mi metto alla ricerca di un hotel, e capito al Merlin che, nonostante la menzione sulla Lonely Planet, è niente altro che un bordello. Anche qua, come in altri posti di confine, prostituzione e gioco d’azzardo la fanno da padrone. Accanto alla reception c’è una specie di vetrina, tipo acquario, con ragazze in bella mostra, proprio come in certe zone di Bangkok. La clientela è al 100% asiatica. Addirittura, nell’ascensore che mi porta alla mia stanza, (costo 40 MYR) ci sono due tizi che stanno contrattando i prezzi delle prestazioni con le signorine. La mia camera è luminossima, a parte le grandi finestre è piena di specchi. D’altra parte, visto dove mi trovo, non potrebbe essere altrimenti… In ogni caso è molto pulita, il bagno è perfetto, il materasso comodo. Mi attacco alla televisione e cerco di capire qualcosa dalla CNN, mando sms in Italia ma i miei amici non sanno molto, ed il mio credito sta per terminare. Esco a fare un giro, la città pare davvero squallida. Ci sono un paio di alberghetti da paura, dove scorgo altri turisti occidentali, oltre a me, ma hanno l’aspetto da tossici, per cui mi rallegro di stare in un casino. In una via laterale riesco a scovare un emporio, sembra più un ingrosso che altro, veramente fornitissimo. Ci sono infatti, in un colpo solo, tutti i tipi di souvenirs che ho trovato, e non comprato, nelle diverse regioni della Malesia: cianfrusaglie stampigliate con la scritta “Terengganu”, le stesse cianfrusaglie, uguali identiche, con la scritta “Kelantan”, poi “Pahang”, ecc ecc. Compro dei gatti acciambellati in legno, con collare di peltro, un po’ intarsiato. Sono molto belli. Consumo pranzo e cena nei baracchini in strada, rispettivamente 25 ed 80 THB. Al pomeriggio si scatena un acquazzone biblico, trascorro molto tempo a sonnecchiare e a rimirarmi negli specchi.. Sul pianerottolo vicino agli ascensori incontro una ragazzina di circa 12 anni, che sa un po’ di inglese, e mi intrattengo a conversare un po’ con lei. E’ figlia di una addetta alle pulizie. E’ veramente molto bella, dagli occhi dolcissimi. Aspetta sua madre, leggendo. Vorrei dirle qualcosa tipo “studia, e vattene da questo schifo di posto”, ma non credo di avere il coraggio e neppure l’autorità ed il diritto per farlo. 30 agosto – Sungai Kolok Il mio bus parte alle 12.00, sprofondata in una poltroncina comodissima non vedo l’ora di andarmene. Gli altri passeggeri mi gufano contro dicendo che non solo non riuscirò ad arrivare al mio aereo, ma neppure a Bangkok, io incrocio le dita e spero nella buona sorte. Facciamo una sosta di 20 minuti a Nathon Si Thammarat, in una specie di autogrill dotato di food court (25 THB per una zuppa con noodles e verdure). Qui incontro finalmente altri stranieri, pure loro diretti a Bangkok in un pulmino, che mi dicono di non preoccuparmi troppo. Sarà, ma intanto non è che passi una bella nottata. 31 agosto – Bangkok Arrivo alle 5 ad un terminal enorme di autobus. Faccio veramente fatica a trovare un taxi con tassametro. Pagherò la mia corsa 250 THB. Altri ne avrebbero preteso 400, maledetti.. Tutto attorno pare tranquillo, avrei ancora tempo anche per farmi un giro di shopping in città, ma non voglio rischiare e mi faccio portare direttamente a Suvarnabhumi, senza problemi, e senza incontrare cortei o posti di blocco. L’ultimo colpo apoplettico della vacanza me lo procura un funzionario del controllo passaporti. Risulta che un tizio, maschio, di etnia Thai, con il mio stesso passaporto sia transitato a Phuket intorno alla metà di agosto. E’ lampante che si tratti di un errore dell’impiegato che ha imputato i dati al computer, dato che hanno già notato che il timbro di ingresso nel paese porta la data del 29 agosto, ma mi fanno comunque aspettare un sacco di tempo in attesa di ulteriori controlli, e mi chiedono perfino se io sia stata Phuket. Scusatemi tanto, gli dico, ma come facevo a essere a Phuket se, timbri davanti al naso, sono uscita dal paese il 2 agosto e rientrata il 29? Per rafforzare la mia posizione di innocenza, gli mostro le ricevute degli hotel malesi del 15 e 16 (le conservo tutte). Alla fine pure loro ci arrivano e sono libera di lasciare la zona dei metal detector ed andare in quella franca. All’imbarco, incontro due ragazze milanesi che hanno trascorso gli ultimi due giorni a Bangkok, e non sanno nulla degli scontri che invece io ho visto in TV. Partiamo regolarmente alle 14.40, ed atterriamo a Istanbul alle 21. La nostra coincidenza per Milano parte domani alle 20.30, abbiamo quindi una giornata intera da passare in Turchia. Le due ragazze già all’andata avevano dovuto pernottare in città, ma poiché non erano rimaste affatto contente della loro pensione, piena di ubriaconi, le conduco con me, sperando che possano trovare posto. Scopro con gioia che il gestore si ricorda di me, e della caparra di 5 Euro che gli avevo versato. E’ in grado pure di soddisfare le ragazze, che sono felicissime di poter dormire in un posto pulito e tranquillo. 1 settembre – Istanbul Faccio colazione in un bel baretto frequentato solo da Turchi, a 7 YTL. Mi fiondo quindi al bazar, ma rimango abbastanza delusa. Alcuni locali, soprattutto i caffè, sono splendidi e conservano l’atmosfera di un tempo, con le volte ad arco decorate di blu e le lampade in vetro colorato, ma la maggior parte dei negozietti sono bugigattoli che vendono cianfrusaglie a prezzi carissimi, le cose d’argento, ad esempio sono le stesse che si trovano in India, e costano 10 volte di più. I gestori non vogliono neanche saperne, di contrattare. Ma che ne è stato di questa antica arte, vanto del popolo arabo? Pranzo all’ingresso del bazar a 10 YTL. Il gestore dell’ostello mi ha lasciato tenere in stanza le mie cose senza costi aggiuntivi sino alle 17, e mi permette anche di fare un’ultima doccia. A Malpensa infatti viene ad aspettarmi il mio fidanzato, e ci tengo quindi a presentarmi un po’ in grazia di Dio, per lo meno pulita. Un ultimo giro fra le casette colorate di Sultanhamet, e rientro in aeroporto (1.40 + 1.40 YTL). Mi fermo a comprare gli ultimi dolcetti al supermercato situato il piano interrato. L’aereo parte puntuale, e sempre puntuale atterra.