Relax ai Caraibi
Eccomi pronta a svernare un po’… dove se non ai Caraibi? Parto da Venezia, primo scalo Londra, poi Maimi e infine ultimo volo con destinazione St. Croix. Qualche problema a Maimi: tempi stretti e volo un po’ in ritardo, Esta e bagaglio, ma con una bella sudata prendo l’ultima coincidenza. Il viaggio è lungo, ma poi mi attende il sole, mare e spiagge dei Caraibi. Meta completamente diversa da come sono solita fare, ma in questo periodo, del dolce far niente, ne ho proprio bisogno. Arrivo alle 21,40 e nel piccolo aeroporto di St. Croix con mia sorpresa aperitivo di benvenuto… già aria di vacanza. Mi vengono a prendere in aeroporto: cena, una bella doccia e pronta per andare a riposarmi, domani inizia la mia avventura ai Caraibi. Le isole Vergini Americane sono tre, io sono stata per la maggior parte della vacanza a St Croix, la più grande e la più romantica. Poi ci sono St. Thomas, definita l’isola “glamour”, e St. John, l’isola parco, tra le più belle, se non la più bella di tutti i Caraibi… scrivono sulle riviste. A colazione conosco una signora, mi offre e accetto un passaggio. Noto subito le targhe colorate delle U.S. Virgin Islands America’s Caribbean con pesci multicolor, il yellow bells al centro e sullo sfondo le tre isole circondate dal colore azzurro. La guida è a sinistra. Si va in direzione sud-est, prima meta la Ha’penny Beach. Assieme passeggiamo lungo più di un miglio di sabbia bianca finissima. Il sole acceca e non si riesce a stare senza cappello ed occhiali, siamo a metà gennaio. In spiaggia ci sono pochissime persone. Conosciuta e frequentata solo dai locali, non ha nessun tipo di servizio. Io mi faccio guidare, lei vogliosa di accompagnarmi in giro, prossima tappa il Divi Carina Bay Resort. Pranziamo qui all’aperto con la magnifica vista sull’oceano. Non lontano, il punto più orientale di St. Croix e di tutti gli US sull’Atlantico: Point Udall. Bella vista da questo promontorio roccioso con alti cactus sul Mar dei Caraibi. Rientriamo a Christiansted, la capitale dell’isola. Ho ancora il fuso orario da smaltire (cinque ore in meno rispetto all’Italia), sono cotta, vado a letto verso le quindici locali e mi sveglio il giorno dopo al mattino.
Dopo la colazione giro la piccola capitale fondata nel 1734 e battezzata col nome dell’allora re di Danimarca. Nelle vie si susseguono edifici coloniali colorati molto belli: rosa, azzurri, verdi, dai tetti rossi. La maggior parte dei negozi sono chiusi, è bassa stagione… una tentazione in meno. Passeggio sul lungomare, il porticciolo in legno, sembra un porticciolo del Mare del Nord, c’è anche un mulino a vento. Pulito ed ordinato, è un susseguirsi di locali e ristorantini dove mi fermo per un drink ed è piacevole guardare la gente che passeggia. Alla fine di questa passerella: l’Old Scale house, la vecchia pesa pubblica costruita nel 1856, dove venivano pesate le merci portate dai velieri, a destra Old Custom House, la vecchia dogana gialla d’impronta danese riconoscibile dai sui sedici gradini e il Fort Christiansvaern. Ben conservato questo forte giallo pastello, anch’esso tipico dello stile coloniale danese dell’epoca. Fu costruito dal 1738 al 1749, progettato per proteggere l’isola dagli assedi dei pirati e rivolte di schiavi, domina il porto della città. Prendo fiato e sole nel prato ben curato. Nel pomeriggio il marito della mia accompagnatrice di ieri è libero, e ci tiene ad accompagnarmi a conoscere un’altra parte dell’isola. Assieme andiamo a mangiare qualche cosa, da un suo conoscente, che ha un localino al porto e poi mi accompagna a Frederiksted, la seconda città dell’isola a circa trenta chilometri. Arriviamo in tempo per vedere il veloce tramonto. Bellissimo, il primo tramonto caraibico di questa nuova vacanza.
I giorni successivi prima di andare a St. Kitts e Nevis ho girato quest’isola definita l’isola gentile e romantica, il giardino delle Antille. E’ circondata dal Mar dei Caraibi e dall’ottimo clima ventilato tutto l’anno. Il suo segreto sta nella diversità, un mix perfetto: di pittoresche cittadine coloniali, spiagge paradisiache, piantagioni di cotone e canna da zucchero, verdi montagne e lussureggianti foreste pluviali ed è anche la terra del famosissimo Cruzan rum. Un giorno sono passata per Cane Bay, tanto decantata nella guida, ma io a vedere questa striscia sottile di sabbia bianca con la strada vicina, anche no. Ok, dall’altra parte della carreggiata c’è un bar-ristorante, ma ho preferito proseguire; più avanti c’è Davis Bay. Questa spiaggia di sabbia bianca finissima ospita il Renaissance Carambola Beach Resort, un’oasi di tranquillità nella foresta pluviale, circondata da colline verdeggianti… una poesia. Ho mangiato qualche cosa e poi sono rimasta a prendere il sole sotto le palme senza nessun problema. Questo angolo di paradiso terrestre non è riservato solo alle persone che pernottano nella struttura, ci può andare chiunque, offre anche diverse attività sportive. Un’altra mia meta è stata la spiaggia di Rainbow: non molto larga, ma molto lunga, dove non serve l’ombrellone, alle spalle palme e mangrovie. Si possono fare escursioni a cavallo e affittano varie attrezzature tra cui i jet ski e jet lev. C’è un bar-ristorantino, ho mangiato un ottimo pollo con patatine, unico neo… non è pulitissima. Più a nord, tappa obbligatoria il Salt River, dove sbarcò Cristoforo Colombo nel 1493, nel suo secondo viaggio verso il nuovo mondo. Ho camminato nella stessa spiaggia circondata da una foresta di mangrovie. Girando l’isola ogni tanto incontro uno dei più centocinquanta intoccabili mulini a vento, patrimonio nazionale, e le mucche Senepol, autoctone color rossastro. Pastorizia ed agricoltura sono l’economia di quest’isola e la rendono indipendente. Un bel tramonto sulla spiaggia incontaminata di Ham’s Bay dove ho raccolto alghe colorate sugli scogli. Oggi mi preparo anch’io, dopo moltissimi anni di distanza rispetto a Cristoforo Colombo, a scoprire Saint Cristopher e Nevis. Il volo per Nevis dura circa un’ora. Sono proprio piccole queste due isole quasi sperdute ma con molta storia e formano il paese più piccolo dell’Emisfero Occidentale. In volo, St kitts assomiglia ad una mazza da cricket stesa sul mare, Nevis più rotonda, sembra un sombrero. Dall’alto si nota: l’origine vulcanica, pendii di fitta vegetazione, abitazioni vicino al mare, poche spiagge e nemmeno affollate, circondate però da molte imbarcazioni. Quanto mi piace vedere la terra dall’alto! Ottimo atterraggio anche se pista breve e vicino all’acqua. Poi prendo al volo un taxi. Sfrecciamo nell’unica strada per raggiungere il porto ed in dieci minuti riesco a prendere al volo l’ultimo traghetto del giorno per St kitts. Nei quaranta minuti di traversata non riesco a stare seduta da quanto sono contenta. Continuo andare avanti e indietro per scegliere il punto migliore per vedere e fotografare Nevis che si allontana e che visiterò fra qualche giorno. Lì spicca la montagna lussureggiante del Nevis Peak coperta da una nuvola, sembra un vulcano in eruzione e la mia prossima meta. St Kitts mi ha dato subito una bellissima impressione. Il ferry arriva direttamente nella baia, in città, Basseterre la capitale, dove vive quasi la metà della popolazione dell’intera isola, una tra le più belle città dei Caraibi, dicono. Chi arriva come me via mare è subito accolto dai colori sgargianti dei muri, soprattutto verde e mattone, panchine sempre verdi, rasta maturi e soprattutto la musica. Faccio un giro a piedi, prima lungo il porto: i ragazzi puliscono e vendono direttamente il pesce appena pescato, uccelli bianchi dalle lunghe gambe ti attraversano la strada e passeggiano fianco a fianco, sfrecciano auto super colorate, solo negozi e ristoranti. Nelle strette vie in salita: fili della luce che penzolano, bimbi che giocano liberi per strada, qualcun altro fa il meccanico sul ciglio, inferriate su porte e finestre, signore che chiacchierano sulla soglia di casa e tutti ti regalano enormi sorrisi. Gran parte degli edifici storici della città furono distrutti da un incendio nel 1867, ci sono ancora case in stile georgiano. Al centro Independence Quare. In questa piazza, un tempo luogo del mercato degli schiavi, ora c’è una fontana nel mezzo circondata da panchine e alti alberi. Di fianco all’arco d’ingresso c’è una cabina telefonica rossa stile inglese e dall’altra parte la prima chiesa cattolica di Basseterre: la Concattedrale dell’Immaculate Conception. Vicino campeggia il Berlely Memorial, la fontana-orologio vittoriana di ferro, che è simbolo della città. Prendo un taxi per andare in albergo. Il mio autista si ferma lungo la strada da un signore che sta cucinando della carne su delle griglie di fortuna e molto vissute. Acquista spiedini e pane all’aglio avvolto nella stagnola. Mi fa assaggiare, è tutto squisito. Mi accompagna a Frigate Bay, la più lunga spiaggia dorata dell’isola. Zona piena di hotel, bar e ristoranti, vicino alla penisola, al mio albergo il Royal. Appartamento molto grande con angolo cottura ed un bel terrazzino. Deposito la valigia, esco e vado a cena in uno dei diversi localini lungo la spiaggia. Ho preso un’ottima (e pure abbondante) zuppa di pesce. Assieme mi hanno portato del pane all’aglio caldo. Ho scoperto che questo mi piace molto. Un altro straordinario tramonto è il benvenuto che mi dà St Kitts e più tardi serata illuminata di stelle.
Taxi di buon mattino per fare il periplo dell’isola e vedere il più possibile. Quest’isola non è solo bella in apparenza, ma ha anche dei tesori tutti da scoprire. Parto dalla zona sud. La prima sosta è Timothy Hill per ammirare la strada che attraversa la lingua di terra, alla cui destra vi è il Mar dei Caraibi ed a sinistra Oceano Atlantico. E’ la foto che si vede per fare pubblicità all’isola ed è in tutte le copertine dei cataloghi viaggi. Da quassù noto che stanno costruendo un sacco di ville… fra poco spariranno tutte queste belle palme. La prossima sosta per scattare le foto è la penisola di Cove. Si trova a sud est di St Kitts, una delle zone più esclusive dell’isola: zona collinare, ripide scogliere, baie nascoste e spiagge. E’ una bellissima giornata di sole e molto calda, meno male che ogni tanto ci copre una nuvola e così io riprendo un po’ di fiato. Il mio taxista sceglie di fare il giro antiorario, perché ha visto che a me piace fotografare e così nel limite del possibile avrò sempre la luce a mio favore. Direzione costa nord-orientale. Vista spettacolare: da un lato il mare e dall’altra parte il Monkey Hill, come dice il nome… in zona incrociano diverse scimmiette verdi che saltano dagli alberi da frutta e ogni tanto si fermano anche loro e osservano lo straordinario panorama. Attraversiamo più volte il binario della ferrovia panoramica che volevo fare, ma per mancanza di tempo non ho potuto: la Scenic Railway. È tra le più pittoresche al mondo. Fu costruita per trasportare le canne dalla piantagione al mulino della capitale, ora però trasformata a treno panoramico. L’industria dello zucchero qui sopravvisse fino al 2005. Incrociamo diverse spiaggette di sabbia nera ed ovunque io mi giri sulla sinistra domina la presenza del monte Liamuiga, un vulcano spento. Si ferma più volte per spiegarmi delle piante. Mi fa assaggiare il succo della canna da zucchero e frutti tipici di questa terra tra cui dei piccoli fagioli lessi venduti in sacchettini di plastica, molto buoni e noccioline. Superiamo coltivazioni di cotone e canne da zucchero. Entriamo nella Gibilterra delle Indie occidentali… come era nota in passato, Brimstone Hill Fortress. Il colle sul quale sorge la fortezza, costruita da schiavi africani, e piena di cannoni. E’ un cono di origine vulcanica, ottocento metri a picco, questo imponente complesso settecentesco di forma pentagonale di terrazze fortificate, ben conservato è ora parco nazionale e Patrimonio dell’Umanità di interesse storico, culturale ed architettonico. Per arrivare, la strada è tortuosa, stretta e ripida, ma poi si ha una vista superba: sul Mar dei Caraibi, sull’isola stessa, Nevis e isole vicine. Spettacolare da ogni lato. Quanta vita lungo la strada: piccoli che giocano e ti regalano grandi sorrisi bianchi e le mamme che non gradiscono foto, grandi che vendono e chiacchierano. Rientro a Basseterre, vado a fare un po’ di shopping zona porto, ammiro questa baia delimitata da colline verde smeraldo e prima di salutare questo giorno appena trascorso pieno di scoperte e ricco di emozioni ritorno a cena sullo stesso localino in spiaggia.
Il sorgere del sole a St. Kitts dal mare non l’ho ancora visto e stamattina non me lo voglio per niente perdere. Esco alle 6,15, percorro i cento metri che mi separano dalla spiaggia e arrivo giusta in tempo. Dopo qualche minuto mi saluta con tutta la sua forza. Sarà un’altra giornata bollente per via delle temperature. In spiaggia solo qualche pescatore ed un signore arrivato direttamente con il suo macchinone, ora seduto sul cofano. Ho preso al volo il ferry delle otto del mattino perché in ritardo ed io in anticipo. In traghetto siamo quattro gatti, pochissima gente stamattina lascia quest’isola via mare. Al porto: due enormi città galleggianti sul molo ed un veliero, imbarcazioni di tutte le misure lungo la costa. Il mio sguardo rimane fisso su St Kitts. Piccoli aerei atterrano ed altri decollano. La lascio a malincuore, già innamorata anche se è durata poco la mia permanenza. Quasi un’ora la traversata, ritorno a Nevis (si pronuncia Nilves), la regina dei Caraibi. Una chiesetta rossa su una collina fa da “faro”. Quante ce ne sono su quest’isola. Dal porto in taxi… inizia il mio giro dell’isola dove la vita scorre lenta, libera da traffico e rumore. Sul molo uomini sistemano le reti da pesca, passo sotto un arco a mezza luna con scritto Welcome to Nevis e nel lungomare una fila di cannoni allineati e bandiere al vento. Vedo anche quella italiana, vicino il monumento con tutti i nomi delle 233 vittime del naufragio per sovraccarico dell’agosto 1970. Oggi è domenica, è presto, e i bar sono tutti chiusi a quest’ora. Unico locale aperto è nella struttura del campo da golf. Colazione in mezzo a uomini e donne molto facoltosi. Scelgo buffet vegetariano, più di trenta dollari… ogni tanto si può fare. Che figo correre su questo tratto di strada solo in mezzo a sola natura, con il mare davanti e sullo sfondo l’isola di Montserrat. A un tratto ecco le pale eoliche che stonano un po’. Si ferma lungo la strada in un banchetto di frutta. Faccio qualche assaggio e mi disseto. Pinney’s Beach, la spiaggia più famosa, con sabbia bianca sulle acque cristalline e mare turchese è, per quasi tutta la sua lunghezza, circondata da palme da cocco. Si trova alla mia sinistra, mentre a destra ci sono piccoli agglomerati di chattel houses, le casette in legno con i tetti in lamiera e ampie verande gingerbread. Molti vivono ancora lì, ora però sono fornite di elettricità, acqua corrente e tv. Concludo il periplo dell’isola, poi ritorno a Charlestown e la giro un pochino. È il più grande centro abitato dell’isola. Pittoresca cittadina con edifici coloniali dominata dai resti di Fort Charles e belle case in pietra vulcanica o in legno, in stile gingerbread. Con pochi minuti a piedi arrivo al villaggio di Bath, famoso per le sue terme, niente di che. Queste due splendide isole tropicali devono la loro fama soprattutto alle tartarughe marine che fanno bella mostra di sé su uno dei due lati delle monete locali. Alle 16 volo di rientro a St Croix. La solita oretta che passo veloce con il pilota che mi indica le altre isole dall’alto e dà consigli, per un’eventuale ritorno alla scoperta dei Caraibi. Rimango ancora quattro giorni a St Croix, d’altronde è l’isola più grande delle tre Vergini Americane, un po’ più piccola dell’Elba e la più varia: foreste pluviale e candide spiagge, fertili pianure e campi coltivati, villaggi che sembra di essere in Inghilterra e due cittadine coloniali dall’atmosfera danese, patrimonio culturale protetto.
In questi giorni più volte sono andata a prendere il sole a Protestant Cay, l’isolotto di soli quattro acri nel porto di Christiansted, di fronte al forte. Davanti alla pesa c’è il punto d’incontro dove un barchino ti raccoglie e porta sulla spiaggia dell’Hotel on the Cay. Fa il viaggio anche se sei sola (a/r cinque dollari). Bar in spiaggia con personale non molto preparato e la signora alla cassa non troppo disponibile, però c’è una spiaggia borotalco. In questi giorni il mare è calmo, ci sono molte stelle marine, conchiglie giganti e qualche pesce e sei circondato da palme che ti riparano dal forte sole. Si possono affittare anche ombrelloni e lettini. Quanti bagni… sapore di sale sulla pelle. Per andare alla Mermaid Beach si entra al Buccaneer Resort. Sono in una bellissima posizione. Ho steso il mio pareo sotto una delle tantissime palme che fiancheggiano la sabbia. Servizio in spiaggia. Ho preso un’insalata di frutta, un po’ cara. Mi appisolo ascoltando il rumore delle onde del mare. Qualche goccia d’acqua e un forte vento. Recupero le mie cose e decido di andare a fare un bel giro attorno alle diciotto buche del campo da golf. Che vista spettacolare del Mar dei Caraibi da qui!
Un altro giorno caldo, il sole picchia, ho trovato un passaggio e ho fatto l’ottima scelta di entrare nella Rain Forest. Ho percorso la spettacolare Route 76, conosciuta come la Mahogany Rd. Ho ritrovato un po’ di respiro in mezzo a questo tesoro dell’isola. Gli alberi sono alti e la vegetazione è fitta. La strada ha qualche buca e ci sono diversi sentieri in questo patrimonio forestale protetto. Noi abbiamo girato a destra verso la spiaggia di Rainbow e poi abbiamo proseguito fino alla Butler Bay Plantation. L’ex fabbrica di zucchero è circondata da antichi baobab. Da qui si ha una vista panoramica incontaminata. Ritorno a Frederiksted, affacciata su una stupenda baia. È un insieme di edifici coloniali che sonnecchiano accanto al mare, l’aria che si respira e l’atmosfera è rilassante. Non c’è anima viva in giro, ma cambia sicuramente appena arriva una nave da crociera al molo nell’unico porto dell’isola. Ora ci sono solo dei ragazzi che si tuffano e dei signori che stanno pescando. Il lungomare è orlato di palme, ha panchine dove ci si può sedere ed avere una vista libera del mare e cielo. Il cuore storico della città è il rosso Fort Frederik, con i suoi immancabili cannoni tirati a lucido che vigilano ancora l’ingresso del porto. Costruito fra il 1752 e il 1760, nel 1776 venne riconosciuta la per la prima volta la bandiera americana. Fu qui, data da non dimenticare, che il 3 luglio 1848 il governatore Peter Von Scholten proclamò l’abolizione della schiavitù. Dal 1998, per la commemorazione dei centocinquant’anni, c’è posizionato un mezzo busto con tutte e due le mani alzate: nella mano destra tiene una grande conchiglia vicino alla bocca, invece con la sinistra alza un machete. Il più bel tramonto si vede sempre da qui. Un giorno mi sarebbe piaciuto andare a Buck Island, riserva naturale e disabitata. Mi informo, leggo e dicono che se uno ha intenzione di andare a St John, “può fare a meno”. Spendendo un po’ meno (ho fatto la scelta con trentacinque dollari), sono andato al largo per due ore a vedere il tramonto con aperitivo in catamarano, il Big Beard. Niente di che. Sicuramente un po’ di colpa ce l’ha il tempo: mare mosso e cielo nuvoloso. Serata sbagliata. Il mio locale preferito per il pranzo a Christiansted è Harvey’s restaurant, noto e ottimo posto dove assaggiare l’autentica cucina locale. Caratteristiche anche le pareti, decorate con ritagli di giornali locali. Non riesco mai a finire il mio piatto.
Oggi vado a St Thomas. Salgo davanti con il pilota in calzoncini corti ed infradito e in venti minuti arrivo alla meta. Non è una bellissima giornata. Il mare è un po’ increspato, le onde si infrangono sui pochi scogli e rende meno scuro il colore dell’acqua, rendendolo meno impressionante. L’ombra del “mio” piccolo idrovolante sul Mar dei Caraibi. Prendo la stanza vicino al piccolo aeroporto, al Lindbergli Bay Hotel And Villas. È una bella camera ampia e con balcone vista spiaggia e baia. Cerco un taxi per girare quest’isola. Inizio a scoprirla dall’aspetto culinario. Mi porta in un ristorante sopra un colle, con una stupenda vista del porto dove abbiamo pranzato e poi partiamo da lì. All’inizio del lungo molo una coppia di grosse iguane fanno da guardia alle due enormi città galleggianti ormeggiate sulla banchina. Turisti che scendono e salgono. Grandi taxi colorati aperti sono pronti a scorrazzare chi ha solo poche ore per assaporare la bellezza di questo angolo di Caraibi. Un cartello ovale dice: “Come Bach Again Soon! St. Thomas Thank you for visiting”, saluta e ringrazia tutti i turisti. L’isola è montagnosa, le sue strade s’inerpicano ripide nei villaggi così come nella capitale. Parecchio traffico di auto, taxi e fuoristrada, tutti di grossa cilindrata. Ville ed alberghi lussuosi con piscine a strapiombo. Prima e doverosa sosta alla Drake’s Seat, punto esatto in cui la storia mista a leggenda racconta di sir Francis Drake, il corsaro inglese. Lui era solito fermarsi ad ammirare il canale di passaggio tra le isole, che navigò per primo nel 1500, il Drake Passage… gli scontri navali e la sua flotta. Un panorama mozzafiato, ma le parole non possono far giustizia a questo posto. Si affaccia sulla famosa e bellissima Magens Bay, una delle più belle viste dei Caraibi. Magens Bay ha sabbia bianca e sottile, lunga più di un chilometro. Alle spalle c’è una fitta vegetazione, mangrovie, palme di cocco e acque cristalline. Non a caso il National Geographic l’ha inserita tra le dieci spiagge più belle al mondo. Per entrare si paga. C’è poca gente. Cosa chiedere di più? La vedo metà con il sole e l’altra metà con la pioggia… nessuno se ne va. Il mio taxista mi scorrazza avanti indietro dell’isola. Si vede che è a casa: sale, scende, gira… La vista delle spiagge dall’alto è da sogno, di rara bellezza. Sotto c’è Coki Bay, spiaggia libera di sabbia bianca e fine come borotalco. Ma la bellezza per me arriva dall’acqua: di un azzurro intenso e limpidissima. È un po’ nascosta ed è la preferita del mio taxista… e come dargli torto. È circondata da ristorantini con musica. La cosa curiosa è che tra la strada e la spiaggia c’è il cimitero. Poco distante si trova il Coral World, un grande acquario dove si possono osservare da vicino squali, anguille, razze e altre specie marine e fare una passeggiata sul fondale marino a ridosso della barriera corallina. Si possono noleggiare anche kayak per andare a Hassel Island. Io, per mancanza di tempo, con mio grande dispiacere non ho fatto niente di tutto ciò. Anche St Thomas mi regala un tramonto da brividi in cima alla Government Hill, al Blackbeard Castle, con la bellissima vista delle multicolori foglie degli alberi tropicali, delle case dai tetti rossi e del blu intenso dell’acqua della baia.
Stamattina prendo il traghetto per St John. C’è molta gente all’imbarco. Prendo posto sopra e una volta al largo è bello vedere quando s’incrociano il Mar dei Caraibi e l’Oceano Atlantico. La gente scappa dalla prua perché è bagnata dalla violenza degli spruzzi dell’acqua. In trenta minuti mi porta sull’isola parco, tra le più belle, se non la più bella di tutti i Caraibi. È un po’ più piccola di Ischia, la più piccola delle Vergini Americane. Ricoperta di foreste lussureggianti e spiagge, due terzi della sua superficie è parco nazionale. Quando si giunge al porto ci sono due attracchi: uno per i turisti a piedi e l’altro per le auto. Appena si arriva sul piccolo porticciolo di Cruz Bay, il centro vitale dell’isola, si avverte una certa calma e pace. Solo i diversi taxisti, con i loro mezzi collettivi aperti e super colorati che accolgono i turisti, danno un po’ di movimento. Il villaggio di pescatori è piccolo, molto pittoresco, con case color pastello e qualche negozietto di souvenir. Quelli non mancano mai. Mangio in un localino sulla spiaggia circondata da un’acqua trasparente ed all’ombra delle palme. Inizio a girare l’isola più vergine delle Vergini con un taxi privato. Poche auto, traffico inesistente, percorriamo tutta la costa. Una strada panoramica da lasciare senza fiato. Si ferma nelle varie piazzole di sosta che danno accesso a vedute mozzafiato sulle spiagge e colline circostanti. Che meraviglia, una dietro l’altra, lungo la costa nord è tutto un susseguirsi di baie e calette: Solomam Bay, Caneel Bay il “covo” dei ricchi, dove c’è il magnifico albergo di Rockfeller, Trunk Bay. La più conosciuta lunga lingua di sabbia bianca orlata di palme, con il mare che ha tutti i toni dell’azzurro, considerata tra le dieci spiagge più belle al mondo soprattutto da scrittori. Cinnamon Bay, già il nome mi piace, io adoro la cannella. La sabbia finissima e bianca di questa spiaggia all’interno del Parco Nazionale entra nell’acqua trasparente. Qui c’è un campeggio in mezzo alla ricca vegetazione. Mi accolgono diverse iguane. Continuo la scoperta. A Maho Bay l’acqua è calma. Ci sono barche di tutte le grandezze ed è circondata da palme. A Francis Bay l’acqua è limpida e le poche persone che ci sono stanno facendo tutte snorkeling. Poi vado nel punto più alto, Bordeaux, per poi scendere verso Coral Bay, opposta a Cruz Bay. Tra i due centri abitati dell’isola ci sono solo dodici chilometri. Non mi accorgo di essere arrivata. Ci sono poche abitazioni, anche se è il secondo centro dell’isola. Qui, nel 1718 i primi coloni danesi iniziarono a coltivare la canna da zucchero. Passeggio tra le rovine dell’Annaberg Sugar Plantation, protette dal Parco Nazionale delle Isole Vergini, che si possono visitare. I cartelli lungo il sentiero descrivono la storia della piantagione. Ha il più alto e grande mulino a vento delle isole Vergini, ottima vista. Un sentiero in discesa porta fino alla Leinster Bay, un’altra bella spiaggia da aggiungere alla lista. Un forte acquazzone mi fa scappare veloce, com’ è stata la visita di quest’isola. Rientro a St Thomas con il primo traghetto e, girandomi indietro, St. John mi saluta dal mare sotto un arcobaleno. Mi ritrovo con il mio “vecchio” taxista per fare colazione. Mi porta non molto lontano dall’albergo, in un posto caratteristico. C’è la fila. Per sedici dollari compro baccalà, spinaci, pannocchia, uova, pane, banane fritte a fette e una salsiccia indefinita… che ovviamente non sono riuscita a finire. Il tutto in un vassoio di polistirolo. Mangiamo in spiaggia sotto delle palme, era come un pranzo. Ci mettiamo in strada direzione nord-ovest. Prima tappa la baia di Hull Bay. Spiaggia sassosa, circondata da alberi e vegetazione lussureggiante. I pescatori stanno scaricando da piccole barchette di qualche metro, con dei secchi di plastica, un’enorme quantità di pesce. Lo caricano direttamente su un cassone di un furgoncino. L’uscita in mare ha dato i suoi frutti. Prendiamo una strada in salita. Dopo ogni curva si apre un scenario unico. Alla fine giungiamo a Mountain Top, il punto più alto dell’isola. Attraverso un grande negozio di souvenir e raggiungo la terrazza dove c’è una vista a 360° sulle isole Vergini Americane, Britanniche e la spiaggia di Magens Bay. Straordinario spettacolo della natura. Poi faccio un giro a Charlotte Amalie, la capitale delle Isole Vergini. La città pastello che si adagia su tre colline distinte, che si allunga dal mare fino alle colline. Ci sono caseggiati dai tetti rossi, le vie sono strette e pavimentate a ciottolato. Il lungomare è di circa due chilometri. Da un lato ci sono i negozi (prima vecchi magazzini), il paradiso dello shopping, poi bar e ristoranti allineati uno dopo l’altro e sul lato opposto yacht di tutte le dimensioni ormeggiati. Il Fort Christian è una piccola costruzione rossa, lo vedo solo da fuori. Entro al Market Square, ora mercato locale di frutta e verdura, ma in passato era uno dei mercati di schiavi più affollati dei Caraibi. Salgo i “99step” (se uno li prova a contare non sono 99 gradini, ma 103). Costruiti dai danesi nel 1700, conducono direttamente ai quartieri residenziali situati sopra Charlotte Amalie e al castello di Barbanera, risalente ai primi settecento. Più su c’è la seconda sinagoga più antica degli Stati Uniti, dal nome lunghissimo, nota per il pavimento in sabbia e le spettacolari colonne ioniche, costruita nel 1833. Faccio una richiesta al mio “uomo”. Mi piacerebbe andare a Frenchtown… ed eccomi accontentata. Mi lascia quindici minuti da sola a girare e fotografare questo villaggio di pescatori colorato con case a due stanze. Non manca molto per salutare anche St Thomas. Il taxista ha visto il mio entusiasmo per la sua isola e mi vuole regalare un’ultima emozione con vista: funivia Paradise Point. In pochi minuti, dalla zona del porto si arriva a 700metri. Sopra c’è la bellissima terrazza circondata da bar e negozi, con veduta mozzafiato oltre che sul porto di Charlotte Amalie, il porto crocieristico più frequentato dei Caraibi, sulle colline verde smeraldo punteggiate di case bianche con piscine e su alcune isole vicine. Poi prendo al volo il piccolo idrovolante alle quindici. Troo lo stesso pilota dell’andata. Ritorno a St Croix, l’isola dai mille volti e dalle mille opportunità. Ultima cena, ovviamente di pesce, con i miei accompagnatori locali, in uno dei più bei locali di Christiansted.
Domanda di rito: qual è l’isola che ti è piaciuta di più? A distanza di mesi non vi so ancora rispondere. Sono tutte diverse e ognuna ha la sua particolarità, ma sento – inevitabilmente – il desiderio di ritornare.