RAINY DAYS: Un viaggio in Laos ad agosto

Finalmente ecco il magico momento della partenza, di quello speciale stato d’animo che oscilla tra l’aspettativa e l’impatto con la realtà in continuo divenire giorno dopo giorno. Abbiamo sognato così tanto il Laos: in particolare nella nostra immaginazione questo paese è un insieme di emozioni e spiritualità come la Birmania, natura...
Scritto da: Sabrina Raczynski
rainy days: un viaggio in laos ad agosto
Partenza il: 28/07/2005
Ritorno il: 20/08/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Finalmente ecco il magico momento della partenza, di quello speciale stato d’animo che oscilla tra l’aspettativa e l’impatto con la realtà in continuo divenire giorno dopo giorno. Abbiamo sognato così tanto il Laos: in particolare nella nostra immaginazione questo paese è un insieme di emozioni e spiritualità come la Birmania, natura selvaggia come in Yunnan e di passato decadente ma ancora forte sul presente, come si avverte in India.

Lasciamo alle nostre spalle l’assolata Emilia il 28 luglio e atterriamo a Bangkok il giorno seguente.

Il nostro primo pensiero è verificare la veridicità di quanto scoperto per caso da Luca: a quanto pare, a causa dell’Aesean Minister Council che ha luogo a Vientiane, non è possibile per nessun straniero entrare nella capitale senza visto. Questo potrebbe non essere un problema se non che il nostro biglietto aereo ci porterebbe in Laos proprio il giorno di chiusura del meeting. Al banco Thai ci confermano che non possono nemmeno farci salire sull’aereo (!) e, dopo alcune discussioni riusciamo a farci spostare il biglietto a lunedì. Il che significa 2 giorni in più a Bangkok! Il primo impatto con la Thailandia è piuttosto faticoso, tuttavia divertente: l’umidità che ti penetra nelle ossa (incredibile, peggiore della pianura padana!), il viaggio in bus dall’aereoporto alla fermata “Mo Chit” dello Skytrain (con tanto di bigliettaia che si preoccupa di farmi sedere e di dirigermi l’aria condizionata sul viso: ma ero messa così male?), il primo viaggio in Skytrain e l’apprensione di un gentile signore thailandese che ci vuole offrire i soldi per pagare lo spostamento fino alla fermata successiva e…Infine, l’arrivo in guesthouse dove siamo accolti da sorrisi e persone amichevoli.

Dopo una santa doccia rigenerante e un’ottima prima cena a base di pad thai, sveniamo sui rigidi letti thailandesi che ci accompagneranno, ahinoi, lungo tutto il nostro viaggio.

La sveglia suona impietosa (questa è un po’ la sensazione provata quasi tutte le mattine); lasciamo i non troppo confortevoli giacigli per lanciarci all’esplorazione del mitico Chatuchak (detto anche JJ) Market ossia la quintessenza dei mercati occidental-orientali a prezzi, però, orientali che scatenano l’Es consumista di grandi e piccini.

Tra un rivolo di sudore, uno shake ghiacciato e un soi sconosciuto proseguiamo la nostra visita senza soccombere alla reazione primaria di acquistare tutto e successivamente fuggire da questo luogo caotico con temperature davvero infernali! Verso le sei di sera torniamo alla nostra guesthouse in cui ci prepariamo spiritualmente alla visita della parte storica di Bangkok. Come usuale…Prima mail ” Dalla Thailandia (per il momento) con sudore LUCA: Consueto spam asiatico, stagionale quanto i monsoni e l’influenza…

Ebbene si, per chi non lo sapesse ci troviamo bloccati a Bangkok perche l’Asian Meeting Council etc etc (una specie di G8 asiatico) ci ha bloccato il volo per il Laos…

Come dire, ieri all’aeroporto chiediamo gentilmente se ci sono problemi per questo meeting e la gentile hostess Thay Airlines mi guarda fisso e mi dice “Ma sei scemo!! forse non hai capito che se vai li ti mandano ar gabbio” Sta di fatto che questa sosta imprevista ci ha permesso oggi di visitare il paradiso di ogni donna… Il famigerato mercato di Chatuchak! In pratica tutto quello che si può desiderare (serpenti, pesci tropicali, sandali, vestiti di oscuri stilisti asiatici, cibi dall’ aspetto poco invitante e dall’odore nauseabondo, magliette, false Birkenstock, falsi o veri Levis, falso e vero mescolato così uno non capisce più dove finisce il vero e comincia il falso e viceversa) a prezzi che NOI non possiamo nemmeno immaginare. Sta di fatto che stasera due birre non ce le ha negate neppure l’ira dello Zeus impluvio Thai…

SABRI: Inutile dire che ai miei piedi ho il mitico paio di Birkesntock e, addosso, un bel paio di pantaloni thai arancioni da far invia a qualsiasi pompiere della zona! Insomma, un delirio e una sofferenza al tempo stesso a) per il caldo umido b) per il non poter comprare troppo visto che siamo solo all’inizio! Sabai dee dalla ospitale Thailandia Il tour nella parte storica di Bangkok inizia con il tragitto in Skytrain e in battello fino al Wat Pho.

L’enorme Buddha sdraiato, i bellissimi affreschi e le decorazioni dorate ci riempiono gli occhi e fanno da preludio alle meraviglie nascoste dalle mura che circondano il Palazzo Reale.

Siamo estasiati da tanta magnificenza eppure…Sentiamo che manca qualcosa. Tra i tanti turisti e la confusione si viene a perdere quella sensazione mistica di riservatezza e concentrazione spirituale che tanto si avverte in Birmania.

Nonostante il caldo e la leggera pioggia che comincia a cadere inesorabile ci dirigiamo verso il Wat Mahat. Il tempio è in piena fase di restauro e, stranamente, incontriamo pochi turisti.

Poco male; in compenso veniamo avvicinati da un monaco che scopriamo essere la guida spirituale del tempio nonché “missionario” in Arizona.

Molto cortesemente, il monaco ci accoglie nella sua piccola dimora dove vive con l’anziana madre e dove riceviamo acqua e frutti tropicali.

I nostri dialoghi spaziano dalle considerazioni riguardo la civiltà occidentale, la realtà della Thailandia, i nostri prossimi progetti di viaggio e il tentativo (veramente esplicito!) da parte del monaco di convincere Luca ad avvicinarsi al buddismo. Il pomeriggio scorre velocemente e per la serata ci trasferiamo in Khao San Road, una delle mete più famose in oriente per tutti i backpacker che si trovano a passare per Bangkok.

La serata scorre velocemente e il ritorno in guesthouse è suggellato da un delizioso gelato e dalla preparazione degli zaini per il prossimo passaggio in Laos! Seconda mail ” Monaci e pesci gatto come se piovessero LUCA: Ciao Mitici, finalmente e sottolineo finalmente, siamo giunti anche in Laos…Più precisamente a Vientiane. Sono reduce da un’ottima cena a base di pesce gatto del Mekong alla griglia e devo dire che… Beh beh beh non male non male. Il caldo è sconvolgente, ti rimane attaccato con il sudore e ci vorrebbe una doccia ogni tre minuti, ma tant’è. Com’è il Laos?? Per il momento direi monaci, turisti freak, take away indiani e “maledetti” francesi (cave de vins che spuntano come funghi). Qualcosa di originale e bello c’è anche a Vientiane, basta non frequentare le due strade principali e ti si apre un mondo straordinario di vecchietti che giocano a bocce, grilli fritti (non pensate male) e case coloniali in semi-decadenza.

La Sabri comunque non vuole farmi mangiare i grilli…

SABRI: Già, ci mancherebbe altro! Cmq todo bien, alla fine siamo riusciti ad entrare in Laos! Che dire, è così lontano da Bangkok e dal consumismo sfrenato-rave party style di Khao San Road ! La giornata di ieri è stata molto intensa, pensate anche che un monaco ha cercato di convertire Luca al buddismo!!!!Me lo voleva portare in monastero a Bangkok…Mah! Io sono sempre più in smania per i miei futuri acquisti ma adesso mi godo la pace silenziosa e mistica del Laos… Che bellezza! Ora vi lasciamo ai vostri sollazzi, noi ci dirigiamo verso la nostra guesthouse in una casa chiaramente coloniale con tanto di Mercedes-Limousine anni ’30 abbandonata nel garage!! (Ci sto facendo un po’ dentro??) Giusto per la cronaca, alla guesthouse ci siamo arrivati…Ma sotto una pioggia davvero intensa e chiaramente senza alcun riparo = praticamente completamente fradici! Il mattino seguente decidiamo di lasciare Vientiane per la solitaria e vivace Vang Vieng.

Le visite al Pha Tat Luang e al bellissimo e antico Wat Si Saket imprimono nella nostra memoria immagini e sensazioni che definiscono ulteriormente la percezione della decadenza di questa città dove i monaci sfilano silenziosi per le strade e i palazzi coloniali abbandonati sono a testimonianza di un passato non troppo lontano.

Il viaggio per Vang Vieng avviene su uno dei mitici pullman laotiani che ci accompagneranno per tutto il nostro viaggio. Sedili strettissimi, ginocchia doloranti, sacchi di riso che ricoprono tutto il corridoio, casse di birra e di liquore incastrate nel poco spazio disponibile…Insomma…Il tipico pullman orientale.

Nonostante le numerose soste e la gomma bucata il viaggio è veramente incantevole: attraversiamo campagne verdissime, risaie rigogliose, foreste pluviali e villaggi isolati. Sembra tutto così magico! Arriviamo a Vang Vieng verso sera e, dopo alcune peripezie, riusciamo a sistemarci in una tranquilla guesthouse adagiata lungo le rive del fiume che costeggia il piccolo villaggio. I due giorni seguenti prendiamo delle biciclette e un piccolo scooter in affitto e partiamo alla scoperta delle bellissime grotte che circondano questo piccolo villaggio disperso nelle campagne laotiane.

Nonostante l’alternarsi di sole impietoso e pioggia scrosciante riusciamo ad assaporare la bellezza così silenziosa eppure così travolgente delle risaie e delle semplici scene di vita quotidiana che accompagnano il nostro peregrinare. Tra le pedalate lungo strade sterrate, le traversate su fragili barche su cui sistemiamo miracolosamente le biciclette e i tragitti instabili con lo scooter attraverso strade invase dal fango riusciamo a visitare varie grotte tra cui, la più bella in assoluto, è Tham Hoi che si sviluppa per 3 Km all’interno della montagna.

Per accederci veniamo accompagnati da due ragazzi del posto: Pha e Mon. I loro volti sorridenti, la gentilezza di Mon che mi ha curato un piccolo taglio al braccio, la voglia di confronto nonostante la differenza della lingua trasformano in un’esperienza davvero unica il nostro pomeriggio avventuroso, così come il volto con una smorfia interrogativa del piccolo laotiano che fotografiamo al villaggio con indosso una maglietta del…Parma calcio! Impossibile…

Terza mail ” Fango, riso e grotte… Ma aspetta, manca qualcosa LUCA: Ciao Mitici, Siamo a Vang Vieng, dalle parti di Vang Vieng. Troppe cose da raccontare.. Risaie, picchi calcarei che si stagliano in mezzo a nuvole bianche, strade fangose, pioggia copiosa… Tante emozioni forti. Una delle più forti è stato scoprire che dalla tasca segreta (a questo punto mi vengono dei forti dubbi) del mio zaino è scomparso il borsellino in cui avevo posizionato un parte dei miei averi. Nulla di che, nulla di che… Una cifra simbolica con un 2 davanti, un paio di zeri e una cifra tipo questa $ come finale, un pugno di euro..Insomma con due ore di straordinario riprendo tutto.

Molto bella la telefonata di stamane alla guest house incriminata… “Avete trovato un borsellino?” “Un attimo che ci do un occhio” “pitiakjfihsdfjisbndijhsd (laotiano)… Tututututututututututututu”.

Quel giorno il karma doveva essere mooolto negativo perché ho pure sfasciato i sandali nuovi fake della Theva e ho lasciato una parte di me sulla salita per la grotta Tham Phou Kam. Tuttavia…Due Beer Lao davanti ad un tramonto da sogno sulle risaie, il fango simil Camel Trophy che mi ha fatto tornare al mio diari di infanzia… Insomma tutte queste cosa assieme mi hanno riappacificato con la sorridente l’lndocina.

SABRI: Insomma, cose che capitano…Ma non per questo ci fermeranno! Mi vien solo da dire: Luca, ma quanto prendi di straordinari? Cmq, da intrepidi viaggiatori tra ieri e oggi abbiamo esplorato le grotte carsiche della zona …Davvero mitico con tanto di camminata e bicilettata sotto la pioggia (e che pioggia), esplorazioni alla Indiana Jones di profonde grotte -chiaramente non illuminate- incorniciate da bellissime stalattiti e stalagmiti, in cui ci siamo immersi in acque gelate e poi che dire del tubing necessario pr accedere all’ultima grotta della giornata,Than Nam, con tanto di ripresa filmata del “Vero Uomo” che si lancia intrepido all’avanscoperta? Domani ci spostiamo a Luang Prabang che deve essere un vero sogno…

Saluti freak (and chic)…Insomma facciamo gli inseriti!!! LUCA: Cmq da notare oggi la mia performance motociclistica sulle strade del Laos, tra buche e bufali…

SABRI: Si caro Luca e si trattava pure asfalto fresco su cui sei tranquillamente passato attirando le ire dei pacifici laotiani che stavano mettendo a posto la strada! LUCA: Io sentivo solo “Vai Doctor!!!” …Mah…

I due giorni idillici volgono al termine e ci decidiamo a lasciare Vang Vieng in direzione Luang Prabang, la splendida città coloniale patrimonio dell’Unesco.

L’idea di partire con un certo anticipo per poter poi affrontare con calma la ricerca di un alloggio si va ad infrangere contro l’ora e mezzo di sopralluoghi alle guesthouse di Vang Vieng fatti dall’autista del piccolo pulmino in cui siamo sistemati.

Il problema? Trovare i soldi del biglietto comprato da una coppia americana quello stesso mattino. Riusciti a scoprire l’arcano mistero riusciamo, finalmente, a partire. Il nervosismo scompare non appena il paesaggio selvaggio delle montagne si profila lungo il nostro passaggio. Picchi avvolti da nuvole basse, foreste incontaminate e villaggi su palafitte. La strada tortuosa che percorriamo viene coperta velocemente dal nostro autista che si lancia in sorpassi improbabili ed accelerate piuttosto azzardate. Infine arriviamo a Luan Prabang dove troviamo alloggio in una piccola guesthouse, un atra le tante non segnalate dalla Lonely Planet che, invece, sono sempre stracolme. Il mattino seguente veniamo svegliati dal gong del vicino monastero in cui i monaci si preparano per la questua mattutina. L’irrealtà della situazione, la bellezza sconvolgente di questa città con le sue case coloniali e i bellissimi templi rendono il nostro soggiorno quasi irreale. Pur essendo piuttosto turistica e, quindi, offrendo tante comodità “occidentali”, Luang Prabang ha un cuore mistico e antico che pulsa ancora con forza e riesce a trasmettere le sensazioni e l’immaginario legato al sonnolento Sud-est asiatico. L’umidità che induce all’indolenza non ferma il nostro girovagare che ci porta a visitare i templi più remoti dove incontriamo e parliamo con i giovani monaci-studenti, a salire sulla cima della collina che domina la città su cui svetta il Phu Si e a compiere le varie escursioni nelle vicinanze. I pranzi-merenda che ci concediamo nel primo pomeriggio a base di Beer Lao (ormai un must delle nostre giornate) e delle mitiche alghe fritte del Mekong rendono ancor più interessante il nostro soggiorno, anche se la vera “ciliegina sulla torta” è il rigenernante massaggio laotiano che mi concedo al ritorno dall’escursione alle Grotte di Pak Ou.

Pak Ou si adagia silenziosa e quasi nascosta allo sguardo lungo le rive del Mekong, celando al suo interno innumerevoli statue votive di Buddha. Più che la seppur affascinante grotta principale, la grotta buia che si raggiunge con una breve camminata rivela alla fioca luce delle torce meravigliosi scorci sulle statue disposte in fila lungo i muri di pietra al suo interno. Terza mail ” Luan Prabang questa sconosciuta SABRI: Baldi giovani e gentili pulzelle, oggi tocca a me l’onore di iniziare la corrispondenza.

Vi scriviamo dagli ameni luoghi del Laos settentrionale e precisamente da Luang Prabang che, come mi aspettavo, è davvero stupenda. Templi dorati, giovani monaci super socievoli che non aspettano altro che parlare con degli stranieri, mercatini notturni, Mekong e altri fiumi…E un umiditè straordineria… Praticamente Parma ha l’aria del deserto a confronto! Cmq, dovreste vedere che meraviglia i Wat e i buddha dorati…

Domani andiamo a visitare le grotte di Pak Ou dove si trovano centinaia di statue votive (non vedo l’ora! ) mentre dopodomani ci butteremo a fare il bagno alle cascate di Kuang Si! Caro Luca, abbiamo un’agenda piuttosto piena, che dici? LUCA: Dico che porcaccia miseria, dentro l’odiato borsellino c’erano pure le mie compact flassss… Quindi ho dovuto dare una regolata alle mie velleità artistiche. Comunque secondo me la colpa di tutto è degli amuleti che avevo saggiamente posizionato nella tasca segreta che a breve finiranno direttamente nel Mekong. Che altro… Questi monaci sono proprio dei gran burletta, ma a volte mi sembrano troppo burletta e poco monaci (tutto vero… Mi hanno salutato con un “ciao bello” mah).

Il caldo e’ davvero indocinese, i trasporti, come ci aspettavamo, da paura (6 ore per 150 km… Non so se mi spiego) ma alla fine siamo contenti come due zanzare malariche.

Gira della gente molto bella da queste parti, diciamo che si sono dato ritrovo tutti i personaggi del circondario, e questo non può fare che piacere Pur non essendo paragonabile alle grotte di Pindaya in Birmania Pak Ou è da non perdere così come la bellissima e selvaggia cascata di Kuang Si che ammiriamo nel periodo dell’anno più indicato per poter apprezzarne la forza. Risaliamo la cascata con un po’ di fatica per il terreno fangoso fino a raggiungerne la vetta da cui poi il corso d’acqua riversa la sua portata d’acqua verso il letto del fiume alcune decine di metri più in basso.

Chiaramente…Classiche foto di rito davanti alla cascata prima del ritorno in città dove ceniamo con due ragazze, la belga Carine e l’americana Elizabeth, conosciute sul pullmino che ci ha condotto a Luan Prabang da Vang Vieng. Saluti di rito in vista del prossimo spostamento: Luan Nam Tha.

Quarta mail ” Piovono baguette sul Mekong LUCA: Cari e care…

Pioggia insistente da stamattina, ma nell’aria si sente un inconfondibile profumo di baguette francese e croissant. Luang Prabang risente ancora molto dell’influenza coloniale dei francesi…Le nostre colazioni ringraziano. Punto della situazione. Ieri Pak Ou: grotte dai centinaia e più Buddha sotto la solita pioggia sferzante. Tutto moooooolto troppo bello.

E’ nata una nuova moda… Si chiama merenda sul Mekong. Prendi due Lao Beer, un piatto di specialità locali (melanzane e bambù fritto per esempio), un fiume sonnolento e limaccioso ed il gioco è fatto.

Il nostro peregrinare instancabile da ebrei erranti ha preso una piega più sonnolenta… Ieri infatti la Sabbry “” SABRI: si è concessa un massaggio lao di 1 ora in una delle più belle spa di LPB- mi hanno fatto vestite di bianco e mi sono appisolata in un ambiente molto raffinato che non mi fa più di tanto Laos…Ma ci voleva! La gita alle grotte è stata bella ma il momento più bello è stata le seguente scena: Il Mazza abborda un nostalgico hippy mentre stanno guardando delle bancarelle in un paesino presso le grotte.

Ci sono dei sassi che sembrerebbero delle asce preistoriche. L’hippy chiede “Ma secondo te saranno vere?” E lui “Sa, io sono un archeologo e penso che potrebbero esserlo” A questo punto interviene un tipo israeliano, (il classico secchione sovrappeso con occhiali) che in un inglese davvero maccheronico lo apostrofa così “Sorry Sir, but I am an historian and I think these are false” Il nostro Mazza battuto 1 a 0 sul suo stesso terreno di gioco…Io mi allontano o gli scoppio a ridere in faccia ed il resto è storia…

LUCA: Oggi pomeriggio (già, qui sono le 11) dovremmo andare a vedere le cascate di Kuang Si (sempre che voglia smettere di piovere) e domani partiamo per il selvaggio e tribale nord.

Solo una nota… E cosa dire del francese che sale nelle caverne in infradito, scivola sulla classica pozzanghera di fango…Sta per cadere… si attacca ad un Naga millenario in pendenza sul precipizio(???) Lui mi guarda.. Io lo guardo… Il naga traballa una due tre quattro volte. La tragedia. Buddha ci mette una pezza… Non è ancora ora.

Il Naga resterà al suo posto per il prossimo francese in infradito.

Il viaggio per il nord è cominciato. Dopo 12 giorni di soggiorno in terre laotiane ci accingiamo a scoprire la remota località di Muang Si, nell’estremo nord del paese. Per poter raggiungere il minuscolo villaggio in questione dobbiamo tuttavia affrontare un lunghissimo viaggio in pullman che lascia, all’alba, Luang Prabang non dopo aver avuto la fortuna di poter vedere il nostro Luca che si lancia in una colazione a base di pesce grigliato e Lao coffee. I ragazzi che compiono il nostro stesso tragitto saranno nostri compagni nei prossimi giorni: una ragazza giapponese in viaggio da più di un anno, un gruppo di amici giapponesi con tanto di chitarra appresso, un ragazzo israeliano e un ragazzo tedesco. Sonnecchiamo un po’, ammiriamo il magnifico paesaggio circostante ma soprattutto…Affrontiamo l’inconveniente della rottura del sedile che ci abbandona a metà viaggio. Il pullmann si anima e i gentili laotiani ci fanno un po’ di spazio nei sedili anteriori. A Oudomxai lasciamo il vecchio catorcio per un pulllmino più piccolo in cui viene miracolosamente posizionato al suo interno anche un motorino. Sembrerebbe tutto a posto …Se non fosse che passato il primo ponticello giusto giusto a poche centinaia di metri dall’autostazione il pulmann si ferma inesorabilmente. Non sarà certo un guasto al motore a costringere l’autista a chiedere aiuto! Con tutta la pazienza del mondo il nostro autista si sdraia sotto il motore e comincia a lavorare con i ferri del mestiere. Passa un’ora in cui, nel frattempo, parliamo con il ragazzo israeliano, Bar e il ragazzo tedesco entrambi desiderosi di raggiungere Muang Si.

Capita anche che vengo abbordata da un laotiano somigliante a un Battisti laotiano alto circa 1,50mt. Cominciamo a parlare ed è assolutamente euforico per la foto che facciamo assieme…Senza, però, la sua bicicletta rosa confetto! La provvidenza buddista ci assiste ancora una volta e il nostro autista sistema, infine, il guasto al motore. Attraversiamo strade completamente ricoperte di fango, villaggi silenziosi finchè, dopo un totale di13 ore arriviamo a Luan Nam Tha. Nel buio raggiungiamo la guesthouse vicina alla stazione dei bus e poco dopo ci ritroviamo con i ragazzi incontrati sul pullman per la cena. Racconti di viaggio, esperienze di vita e prossime idee di spostamenti si intrecciano davanti alle bottiglie di Lao Beer, chicken curry e vegetable rice. La serata si conclude amabilmente e il giorno seguente affrontiamo l’ultimo spostamento fino al raggiungimento della nostra meta: Muang Sing.

Questo paesino si presenta come un pugno di poche case attraversate dall’unica strada asfaltata risalente al periodo coloniale francese che conduce direttamente in Cina. A Muan Sing, localizzata nel famoso Triangolo d’oro, si può vivere la strana atmosfera dei posti border line in cui ancora si consuma oppio e in cui è possibile ammirare, come in un racconto d’altri tempi, i costumi delle donne appartenenti a varie etnie che qui, in paese, si incontrano durante le giornate di mercato.

Concordiamo con Bar il trekking da fare il giorno seguente tra i villaggi animisti Akha Puli e poi ci lanciamo alla conquista del confine con le mitiche biciclettine cinesi che affittiamo per il pomeriggio. La lenta ma inesorabile salita attraverso i campi di riso mi sfianca, tuttavia la soddisfazione di arrivare al confine, una semplice sbarra sorvegliata incessabilmente da guardie armate, è tanta.

Il ritorno in paese avviene verso sera, con tanto di tramonto su segreti paesaggi che si aprono con assoluta magnificenza al nostro sguardo.

La partenza per il trekking che ci porterà per due giorni tra le montagne che abbracciano la valle in cui è sita Muan Sing, avviene il mattino seguente con la nostra guida, Ong e un nuovo compagno di viaggio, Martin, un ragazzo sloveno. Nei pressi del primo villaggio Akha vediamo per la prima volta la “porta degli spiriti” ossia una sorta di porta magica che si erge a protezione dello stesso villaggio.

Una volta superata la porta degli spiriti attraversiamo il semplice villaggio fatto di capanne su palafitte per raggiungere la dimora del capo villaggio.

Lasciate le nostre scarpe ai piedi della scala d’accesso ci sistemiamo e cominciamo a consumare il nostro pranzo sotto gli occhi divertiti della moglie anziana, sospettosi ,invece, della più giovane. Il corpo magro ma muscoloso racconta di una vita semplice, fatta di duro lavoro costante e continuo nonostante il passare delle stagioni. Appesi ad asciugare, i copricapi Akha decorati con monete francesi e decorazioni d’argento risplendono in tutta la loro bellezza al sole laotiano che oggi batte impietoso. Al suo ritorno dal mercato, il capo del villaggio riceve sotto i nostri occhi un massaggio della moglie più giovane la quale, di seguito, si avvia col suo machete al lavoro nei campi.

Lasciamo il villaggio e iniziamo la lenta ma inesorabile salita che ci conduce al prossimo villaggio in cui passeremo la notte. Bar guida la fila, allenato com’è dai sui 10 mesi da backpacker in giro per l’oriente e i tre durissimi anni trascorsi nell’esercito israeliano mentre l’ultima, inutile dirlo, sono io, fiaccata dalla tremenda umidità che taglia le gambe. Durante la salita incontriamo un gruppo di Akha di ritorno dal mercato e diretti al “nostro” villaggio. Con i cesti pieni di merce continuano la loro ascesa cantando sommessamente. Fra le varie soste vengo consigliata da Ong a lasciare lo zaino a una portatrice che sorride al pensiero del guadagno che riuscirà ad estorcermi. Finalmente dopo un paio d’ore raggiungiamo una piccola cascata da cui, sotto la fresca acqua, posso assaporare la prorompente natura che mi circonda. Riprendiamo, infine, il cammino che ci conduce verso l’ultimo tratto di salita antecedente il villaggio. La porta degli spiriti è posta al centro del sentiero ed è quindi possibile oltrepassarla camminando al disotto. Anche qui il villaggio che sorge sulla sommità della montagna è formato da capanne costruite su palafitte disposte attorno a uno spiazzo in cui si trovano i bambini a giocare e a quella che Ong ci spiega essere l’altalena Akha, usata in occasione del capodanno dalle future coppie di giovani sposi.

Il primo pensiero, una volta sistemati, è lavarci. Veniamo portati dai bambini verso la parte del villaggio adibita a “doccia” comune: praticamente si tratta di una pozza d’acqua di dubbia pulizia da cui i bambini attingono un bel secchio che ci viene posto davanti con tanto di scodella per dosarne l’uso. Sorridiamo imbarazzati e, infine, ci decidiamo ad usarla nonostante il conflitto interiore. Inizia Bar, continua Luca ed infine tocca a me, che a differenza dei ragazzi devo destreggiarmi con il sarong che ho dovuto acquistare al mercato. Circondata dai bambini che ridono di fronte all’insolito spettacolo, alle donne e agli uomini che nel frattempo arrivano incuriositi, riesco a completare la magra pulizia che comunque mi rigenera. Consumata la cena alla luce delle ultime ore di sole, ci rifugiamo al calar della sera nella capanna in cui sono sistemati i nostri sacchi a pelo. Cominciano i racconti di viaggio a lume di candela fino all’arrivo degli uomini del villaggio che portano con sé una bottiglia di Lao Lao whisky e un unico bicchierino che passerà più volte tra le nostre mani. “Akha Song” è il grido di battaglia dei ragazzi che per tutta le sera intonano canzoni tradizionali, intervallate da nostre improvvisate; e fu così che, in uno sperduto villaggio sulle montagne laotiane, si udì un “Romagna Mia” d’annata e un “Bella Ciao” intonata anche da Martin (!). La serata passa così, tra canti, risate, whisky e gite sotto le stelle che per tutta la notte hanno brillato nel cielo remoto. Di primo mattino viviamo il risveglio del villaggio al cantare dei galli, i rumori degli animali che passano sotto il nostro giaciglio e la caduta di pezzi di legno sulle zanzariere che sovrastavano i nostri sacchi a pelo, probabilmente mossi da qualche animale introdottosi sotto il nostro tetto.

Una leggera nebbia mattutina avvolge le capanne e i corpi liberi dei bambini che corrono nello spiazzo centrale del villaggio. Le loro grida di gioia e il rumore dei legnetti che battono quando vengono colpiti dalle mazze utilizzate per il loro gioco ci accompagnano nell’ultimo giro per il villaggio. La realtà di ciò che abbiamo davanti agli occhi ci prende allo stomaco: i vestiti logori dei bambini, la povertà delle capanne e lo stile di vita al limite della sopravvivenza che si perpetua da sempre. Tuttavia la gioia e l’innocenza dei bambini che ci guardano alcuni divertiti, altri spaventati non può non entrarci nel cuore e rimanere un ricordo indelebile di questo viaggio ai confini, sembra un’esagerazione ma per noi è stato così, della realtà.

Cominciamo la discesa verso Muang Sing: risaie verdi giada, montagne e casotti abbandonati ci accompagnano lungo il sentiero che ci riporta, infine, nella torrida campagna antistante il paese. Sosta a un villaggio Hmong e successivo ritorno alla realtà che mi vede impegnata in un pomeriggio di bucato! Lasciamo Muang Sing il giorno seguente in direzione Luan Nam Tha da cui poi il nostro viaggio presegue in direzione Mekong ossia confine laotiano-thailandese.

L’inizio non è dei migliori: lunga sosta di primo mattino alla stazione degli autobus già “comodamente” seduti sul lacero pulmino che non sembra voler partire. Dopo due buone ore capiamo perché: siamo troppo pochi per poter partire. L’unica soluzione? Stiparci in un pick up con ruote davvero impressionanti: presagio di un viaggio non troppo facile. Siamo quattordici e ci disponiamo come possiamo…Chi però viene a trovarsi peggio di tutti sono i due ragazzi inglesi, Barney e Jim, che prendono la cosa con filosofia e affrontano il lungo viaggio (300km circa coperti in 11 ore!) in piedi sulla predellina esterna.

Nel cassone adibito a pulmino intanto si crea un’atmosfera interessante di interscambi culturali-ideali. Siamo Luca ed io, due ragazze finlandesi, una ragazza australiana e Cat, la ragazza di Barney. Il paesaggio assolutamente selvaggio è affascinante ed ipnotico. Attraversiamo foreste inaccessibili, montagne maestose e villaggi sperduti. Qui l’unica strada è quella che stiamo percorrendo: una lunga striscia fango viscido come burro, frane in agguato e, verso sera, zanzare. Raggiungiamo il punto di svolta poco prima del tramonto: una salita assolutamente inaccessibile si erge di fronte a noi e per poterla passare dobbiamo scendere dal pick up. Ringraziamo la buddista provvidenza che ci ha voluto far viaggiare su un mezzo del genere: infatti, non a caso, ai piedi della salita troviamo impantanati un pulmino e un pick up dalle ruote lisce. Superata la salita, lo spirito solidale dei nostri uomini li porta a offrirsi volontari nel salvataggio dei poveri laotiani impantanati. Il risultato è tuttavia assai sconsolante. Barney si lega una corda in vita e, assieme ad altri, cerca di tirare il pick up andandosi quasi a schiantare contro il cofano; a Jim e a Luca vengono posizionati ciascuno un sacco gigantesco sulle spalle e per poco Luca non cade a faccia in giù col rischio di rimanere soffocato nella melma dallo stesso sacco. La giusta ricompensa a tanti sforzi è ritrovarsi tutti assieme dal nostro pick up, bere Lao Lao e ridere alla versione improvvisata “No Border No Cry” dal mitico Barney. Il viaggio riprende e verso le dieci arriviamo a Huai Xiai. Ci sistemiamo in un albergo e visto l’irreperibilità di cibo commestibile, ci consoliamo con la birra laotiana. Cominciano i festeggiamenti per l’arrivo insperato al confine che si concludono degnamente nella stanza di Cat e Barney a ritmo di un limbo improvvisato con un filo di luci da albero di Natale! Il mattino seguente Luca e io troviamo la forza di alzarci e, attraversato il Mekong, entriamo infine in Thailandia. Organizziamo l’arrivo a Chiang Mai senza troppa fatica nonostante le ore di viaggio sulle spalle e un nuovo inconveniente: lo straripamento di un fiume che ha allagato buona parte della città tra cui la stazione degli autobus! Quinta mail ” Bye bye Laos… (la terra del fango e del riso) LUCA: Carissimi e carissime…

da un po’ di tempo si erano perse le nostre tracce e voi giustamente avete pensato che era cosa buona e giusta nel frattempo andare in vacanza. Avete fatto bene.

Come condensare in poche righe ciò che abbiamo fatto e visto in Laos? Innanzi tutto abbiamo avuto il viaggio più butto della nostra vita (Luan Prabang / Luang Namtha) 16 ore per 230 km… Nell’ordine: è volato via prima un pezzo della carrozzeria dell’autobus, poi si è staccato il sedile dei vostri eroi che imperterriti sono rimasti in posizione fissa per mezzora (solo la moglie dell’ autista presa da compassione ci ha permesso di affiancarla…Moglie che tra l’ altro aveva il compito di aprire il rubinetto della benzina) cambio ad Oudomxai da paura… Autobus in panne dopo pochi minuti su di un ponte. Co ‘fema? Scendiamo e spingiamo… Sistemazione del meccanico autista, un paio di gomme bucate ed eccoci a destinazione.

Eppure…Ieri ci siamo dovuti ricredere. Abbiamo rifatto il viaggio più brutto della nostra vita!!! Una strada pari alla pozzanghera che si forma a metà campo in ogni campo da rugby… Per 190 Km… La pozzanghera più lunga della storia con frane, macchine in panne aiutate da volonterosi turisti e da un mare di Lao Lao… Un delirio finito in una gara di limbo alle due di notte …Detto così sembra strano, ma e tutto vero!!!! SABRI: Beh, dopo il primo viaggio abbastanza pesante, ci siamo concessi 3 giorni a Muan Sing assieme ad alcuni ragazzi incontrati nella strana circostanza.

Muan Sing è a 12 km dal confine cinese (ebbene si, siamo arrivati anche al confine cinese in bicicletta) ed è il classico posto strano di frontiera con in più la caratteristica assolutamente unica di essere il punto di incontro di varie etnie.

Quindi, assieme a Bar e Martin siamo partiti per un trekking di 2 giorni che ci ha portato, tra le altre cose, a dormire in un villaggio Akha situato sulla cima di una montagna nel bel mezzo della jungla.

Bagno e “doccia” molto a la nature e serata a ritmo di Akha songs e Lao Lao…Il resto è storia…La notte quasi insonne sdraiati sul pavimento della capanna, i galli che alle 3 di mattina si sono messi a cantare al risveglio degli abitanti del villaggio, il maiale cucinato a festa, la porta degli spiriti…Insomma una realtà fuori dal mondo e così lontana dalla realtà di Chiang Mai dove ci troviamo adesso.

Già, dopo il viaggio in pick up tra le montagne del Laos per giungere al confine e l’attraversamento del Mekong, ora ci troviamo in Thailandia.

Insomma, abbiamo un pò di Km sulle spalle ma finalmente ci prendiamo un po’ riposo! LUCA: In effetti il passaggio dal selvaggio Nord dove era più facile trovare un chilo di oppio che un computer, o dove la gente passeggia con un Kalshnikov e le donne dei villaggi camminano imperterrite adorante di piastre francesi d’ argento e questa realtà super consumista un po’ si sente. Tutto molto bello, ma quando vedi dei supermercati più grandi dei nostri o mangi con una canzone di Ramazzotti ti vengono dei dubbi… In effetti il passaggio del Mekong è stato quasi una catarsi negativa, dalla purezza al presente. Nel frattempo però mi sono fatto una doccia calda.

Chiang Mai, con le sue comodità, i suoi templi nascosti tra le moderne costruzioni e la morbida comodità offertaci dalla guesthouse in tek dall’atmosfera autentica in cui soggiorniamo rendono gli ultimi giorni una vacanza nella vacanza. Nonostante i turisti, la confusione e la così evidente infiltrazione della società e delle abitudini occidentali nella realtà tailandese cerchiamo di assaporare ancora l’atmosfera orientale e, inutile negarlo, mi concedo anche tempo per lo shopping pre rientro! Sesta ed ultima mail ” Il riposo del guerriero LUCA: Giorni di passeggiate e ozi dorati nelle strade di Chiang Mai. Della serie un piatto di tagliolini, un giro ad un mercato di pesci essicati, una sana birra Chang e chi si è visto si è visto. Nel frattempo ci eravamo mezzi accorti che in alcune zone di Chiang Mai sembrava di essere a Venezia… La Venezia Thailandese?? Il fiume in realtà è straripato per cui tutta la downtown e la zona di mercati è stata ricoperta da una simpatica coltre di acqua e fango. I volenterosi militi tailandesi, armati di estintori e ramazza, stanno passando al setaccio la città mentre i vostri prodi passano in bicicletta da una pozzanghera all’altra. E da una gioielleria all’altra (che io evito come per l’appunto pozzanghere).

SABRI: Uffa, ma che storie con le gioiellerie! Finalmente posso dedicarmi allo shopping e poi ho trovato tante cose carine che vale la pena comprare qui più che da noi! Per il resto i mercati mattutini sono molto thailandesi mentre il Night Bazar e’ davvero interessante…Anche se sottodimensionato per l’allagamento.

Per fortuna nella città antica dove dormiamo non c’e’ stato nulla quindi…Continuiamo a goderci gli ultimi giorni di relax, i templi, il cibo, lo shopping, il letto finalmente morbido e il silenzio (ma solo di giorno) che accompagna il nostro risveglio nella bella guesthouse dove siamo alloggiati.

Domani sera abbiamo il treno per Bangkok e…Addio pace! LUCA: Perciò, nostri carissimi lettori, questa probabilmente è l’ultima missiva con cui deliziamo le vostre afose giornate.

Non vi disperate, questo non e’ un addio ma solo un arrivederci! Ed è così che il treno notturno ci porta da Chiang Mai a Bangkok.

L’arrivo in città è annunciato dalle varie baraccopoli che sono nate come funghi lungo le rotaie. E’ mattina e la gente compie i soliti riti quotidiani come la preparazione del cibo, gli spostamenti per andare chissà dove sotto i nostri occhi, indifferente dal passaggio di un treno a così pochi metri.

Ritorniamo all’ospitale Asha Guesthouse in cui abbiamo soggiornato all’inizio del nostro viaggio e ci godiamo gli ultimi due giorni nella grande capitale. La visita alla mitica Little India in cui ci sembra davvero di avere compiuto un salto spazio-temporale nel mitico paese dei marajà e la visita a Khao San Road riempiono la giornata di arrivo a Bangkok che si conclude con una cena davvero interessante in un ristorante giapponese assieme ad Alessandro, un collega di Luca ormai da alcune settimane in trasferta: ritrovo di parmigiani nel mondo! Il giorno seguente incontro con Alessandro e shopping ad oltranza al mitico Chatuchak Market. Inutile descrivere il delirio e la distruzione a fine giornata.. Che si conclude con una degna cena alla guesthouse, i calorosi saluti al nostro amico e il ritorno in Italia. La cosa più allucinante è che non appena ci sistemiamo ai nostri posti, ci abbandoniamo ad un profondo sonno da cui ci risvegliamo solo dopo un’ora dal decollo! Abbiamo lasciato così, ancora una volta, l’Asia con i suoi colori, odori, le sue contraddizioni (così forti in Thailandia) e la sua magia. Il Laos è un paese davvero selvaggio, che ti conquista in silenzio con i suoi paesaggi, il dolceamaro spirito coloniale decadente e l’assoluta bellezza della realtà fuori dal tempo dei popoli di confine. La Thailandia, che abbiamo vissuto di passaggio, è un crogiolo di grattacieli, palazzi moderni in cui ancora trovano spazio scorci di una vita che ormai sembra essere stata lasciata alle spalle. L’aspetto più sconvolgente è sicuramente la prostituzione che dilaga soprattutto nei posti più turistici: camminare tra questi locali in cui le ragazze si sporgono per attirati a se è davvero triste e ti lascia senza parole. Sarà che sono una donna ma la realtà è che trovo disgustoso che tanti uomini e ragazzi occidentali vadano in Thailandia solo per questo. Penso che questo paese conservi ancora il suo fascino tra i suoi monumenti bellissimi e uno spirito asiatico prorompente, soprattutto non appena si mette piede in un qualsiasi mercato alimentare. Tuttavia è innegabile il bisogno e l’ineluttabilità del progresso. La domanda è come poter andare avanti facendo convivere tradizione, passato e futuro.

La risposta è difficile e probabilmente un equilibrio (a volte precario) tra spinte e situazioni contraddittorie. Sabai Dee, cari turisti, e…Alla prossima avventura marocchina!



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