Racconto semi serio di cinque giorni a Istanbul
Giunti in aeroporto, l’amico G. propose subito la merenda al bar. Se c’è una cosa che adoro dell’amico G. è che mangerebbe come la sottoscritta ogni mezz’ora, senza ritegno né vergogna. Atterrati a Istanbul, una cortese signorina turca, stranamente bionda, li condusse nei rispettivi hotel senza vederli mai più, giacché i 4 avventurosi rifiutarono qualsiasi proposta di escursione organizzata, forti della loro guida ma soprattutto dell’inglese del marito M. e dell’amica A., che all’occorrenza avrebbe sfoderato anche il suo calabrese, lingua del passato e del futuro e che, a detta sua, capiscono tutti perché il calabrese è la lingua che si parlava prima della Torre di Babele e quindi è nel Dna dell’intero genere umano.
La mattina seguente, la sposa Ros e il marito M. si affrettarono a far colazione nel loro hotel, il Richmond, nel quartiere di Beyoglu, dal quale un panorama su tutta Istanbul, tra una ruminata e l’altra, li lasciava a bocca aperta. Quello che fu capace di mangiare la sposa Ros viene omesso per decenza.
Gli hotel dei 4 amici erano situati alle estremità opposte di una delle strade più trafficate di Istanbul, chiamata Istiklâl Caddesi, ricca di negozi e ristoranti, percorsa di continuo da un tram rosso bellissimo, che la svampita filosofa Ros ricordava addobbato per le feste natalizie appena trascorse e invece, rivedendo le foto, non è addobbato per niente. Non è raro che, saltellando incessantemente dalla realtà dove è costretta a vivere alla sua sfavillante e stratosferica realtà parallela e viceversa, la filosofa Ros perda qualche dettaglio.
Anche per smaltire la colazione appena fatta, certamente ingurgitata nella stessa quantità dall’amico G., i 4 si incontrarono in piazza Taksim, quasi a metà strada fra i loro rispettivi alberghi. Una pioggerellina scema ma perniciosa avrebbe accompagnato i 4 durante l’intera permanenza nella multiculturale Istanbul.
Gli avventurosi amici si diressero senza indugi verso la prima tappa del loro programma, minuziosamente studiato dalla filosofa Ros e dall’amica A., che per integrarsi subito al contesto si avvolgeva la testa in una pashmina e si spacciava per turca durante l’intera vacanza. La filosofa Ros, con il cespuglio biondo scuro ma pur sempre biondo, le lentiggini, la pelle rosa e senza alcuna padronanza del calabrese, pur provandoci, non ci sarebbe riuscita.
Istanbul è la capitale ideale per i pigroni. Infatti, le cose più interessanti, attraenti e storicissimissime sono tutte iper concentrate in un’unica zona. I 4 amici, grazie soprattutto alle favelle poliglotte del marito M. e dell’amica A., presero la metro giusta che li avrebbe condotti in pochi minuti sul fichissimo promontorio di Eminonu, punto di incontro tra il Mar di Marmara, il Bosforo e il Corno d’Oro.
Con un agile saltello, la viaggiatrice filosofa Ros scese dalla metro e, ponendosi al centro dell’Ippodromo di Meydani, o per meglio dire di quel poco che è rimasto dello stadio di Costantinopoli, appurò all’istante che girandosi a 360°, per ogni quarto di giro c’era qualcosa cosa di imperdibile da vedere.
Gli intrepidi amici si diressero in primis verso la Moschea Blu. Da quel momento e per i tre giorni successivi, i 4, ininterrottamente, avrebbero tolto le scarpe, messo calzini sopra i calzini, tolto calzini sopra i calzini, rimesso le scarpe, aritolto le scarpe, arimesso calzini sopra i calzini, aritolto calzini sopra i calzini, arimesso le scarpe. Tutto questo per tutte le moschee che avrebbero visitato e sempre accompagnati dalla pioggia.
L’amica A., sotto sembianze turche, si muoveva con disinvoltura nella moschea ma anche lei non poté che rimanere senza fiato in quel luogo mistico e affascinante, tradendo così la sua vera provenienza. La filosofa Ros, che aveva ardentemente desiderato entrare in questa Moschea da quando aveva compiuto l’età della ragione, bramava dalla voglia di staccare con uno scalpellino almeno una delle famose piastrelle di Iznik, che rendono blu la Moschea. Solo il suo senso civico, il rispetto per i luoghi di qualunque culto e l’onestà che le appartengono, impedirono il misfatto. E anche l’arresto, ovviamente…
Dopo questo bagno nel blu, i 4 optarono per la visita al complesso del Topkapi, per 400 anni residenza dei sultani ottomani e delle donne dell’harem. Per l’intera mattinata i 4 zompettarono da un padiglione all’altro, dentro e fuori l’edificio destinato alle donne del sultano, dentro e fuori i giardini, dentro e fuori la Tesoreria.
L’aspirante odalisca in carne Ros fu tentata, abbandonando il palazzo, di acquistare in un negozietto lungo la strada del ritorno, un intrigante costume per la danza del ventre, pieno zeppo di monetine tintinnanti. Il marito M. la minacciò di divorzio e lei si arrese…ma di tanto in tanto si pente di non aver corrotto l’amica A., chiedendole di comprarlo per lei. La filosofa Ros e la turca calabrese A. si fecero immortalare all’ingresso dell’harem, ma la foto non sarà mostrata nemmeno dietro pagamento di molto denaro.
La cultura mette una fame pazzesca. Chiedetelo all’amico G.. A questo, aggiungete un’umidità e un freddo pungenti ed ecco che i 4 si diressero senza indugi, nè polemiche, verso un ristorantino situato proprio di fronte la Cisterna Basilica, sempre nella zona di Sultanahmet.
Una tovaglietta dall’igiene alquanto approssimativa venne posta dinanzi ad ogni commensale. I 4, dopo un superficiale commento causa fame e un’ottimistica invocazione ai robusti anticorpi di ognuno, si lanciarono in ardite ordinazioni, che spaziavano dagli antipasti alle carni, da misteriosi contorni a liquorici tipici.
I maschi del gruppo vollero provare il Raki, l’acquavite turca dal sentore di menta e anice, molto simile infatti all’Ouzo greco. La sommelier filosofa Ros, non amando l’anice, assaggiò solo per dovere di cronaca.
All’uscita del locale, i due mariti, rossi in viso, con le orecchie in fiamme e meno lucidi di quando erano entrati, si chiesero il perchè dell’insolito calore e manifestarono l’intento di alleggerirsi dal vestiario, nonostante i 3 gradi esterni. La sommelier Ros li esortò a resistere perchè l’effetto della gradazione alcolica, di gran lunga superiore ai 40% del Raki, sarebbe durato per poco. E infatti…il marito M. inforcò il berretto dopo due minuti.
I 4, con in testa la finta turca A., che tentava di mimetizzarsi ancor di più con gli autoctoni parlando in calabrese stretto, scesero nella Cisterna. Le colonne che vi si presenteranno alla vista sono in tutto 336 e sono alte 8 metri ognuna. I pesci, nell’acqua della Cisterna, sono vivi e dalle dimensioni preoccupanti. Una visita alla Cisterna Basilica è assolutamente da non perdere.
Usciti di nuovo all’esterno, i 4 passeggiarono, si lasciarono guidare come in trance dalle voci dei Muezzin e entrarono in altre moschee fino allo sfinimento. Ridotti a 4 stracci, decisero di rientrare nei rispettivi hotel e svenire fino al mattino successivo, per affrontare così un’altra giornata intensa e colta.
Prima di addormentarsi la sposa Ros, che quando è in un altro paese lo visita dalla sua spettacolare e sfavillante realtà parallela, non potè esimersi dal comunicare al marito M. un suo progetto di vita futura:
“Amore, pensavo che un giorno potremmo trasferirci in questa multietnica e affascinante città…potrei imparare la danza del ventre…e potrei tenere lezioni di cucina italiana…ovviamente dovrei imparare la lingua turca…magari potrei chiedere all’amica A. di impartirmi qualche lezione di calabrese e avere così la strada spianata…Che ne dici? Bello, vero?”.
“Buonanotte, amore mio…”.
La mattina seguente, nuovo vigore animò i 4 amici viaggiatori. Dopo la solita vergognosa colazione, intervallata da stupende visioni di Istanbul dalla terrazza dell’hotel, la sposa filosofa e il suo amore incontrarono a metà strada i cari amici.
L’intera mattinata fu trascorsa nel Gran Bazar e nel Bazar delle Spezie.
La viaggiatrice Ros, sempre attenta a insignificanti particolari, rifletteva sulla pulizia dei percorsi, l’ordine delle mercanzie esposte, l’assoluta assenza di odori strani o inconsueti. Che puliti i signori turchi!! Però la tendenza al disordine cosmico, proprio della filosofa Ros, la lasciava un po’ stralunata fra le fila ordinatissime dei negozi con la loro esposizione e lei dovette soffocare più di una volta l’impulso a rovistare a suo modo fra le merci, a sniffare tutte le spezie che incontrava al suo passaggio e magari a infilarci le mani dentro per smuoverle un pochino. Inoltre, come sempre quando è nei mercati, la filosofa Ros ebbe necessità di essere tenuta a stretto controllo, incapace com’è a discernere fra un oggetto del tutto inutile, ma che per lei nasconde un’attrattiva irresistibile, e qualcosa che potrebbe realmente servirle, ma soprattutto a contrattare.
L’amica A, all’occorrenza finta turca con la testa avvolta nella pashmina e abilissima nel fare affari, fu sguinzagliata dalla polla Ros per trattare l’acquisto di svariati oggetti e regalini per lei e per la famiglia.
“Voglio quello, cara amica finta turca A., proprio quello!”.
“Non sorridere, babbea! E cerca di nascondere il tuo ridicolo entusiasmo! Devi disprezzare e fingere che gli fai una concessione se compri quell’oggetto…!…Vieni, andiamocene!”.
“Ma no, perchè dobbiamo andarcene? Quell’oggetto lo sento già mio…è mio! Lo voglio!”.
“Insomma…! Ma devo istruirti proprio sull’ABC della contrattazione?! Ti mancano le basi di tutto, oltre che del calabrese, lingua del passato e del futuro…ma che roba! Vieni via!”.
“E se qualcuno me lo soffia? Tutta questa pantomima e poi viene qualcuno che me lo porta via?!”.
La finta turca A. si fermò, alzò gli occhi al cielo e sospirando le disse: “Guardati attorno, svampita filosofa Ros. Quell’insulso macinapepe di finto bronzo di 6 cm ce l’hanno tutti i negozi…E questo negozio è il più caro dell’intero Bazar!!!”.
In conclusione, l’amica A., spacciandosi sempre per turca, contrattò in calabrese con il negoziante più economico del Bazar per acquistare a prezzo stracciato il macinapepe in simil bronzo di 6 cm per la filosofa Ros. Straordinaria e irripetibile la conversazione in calabrese/turco/turco/calabrese fra l’amica A. e il venditore.
Il macinapepe microscopico ma funzionante in finto bronzo di 6 cm troneggia sulla mensola della cucina della cuoca Ros dal gennaio dell’anno scorso…grazie all’amica A. e al suo calabrese.
Ma ‘sto calabrese…fusse che fusse veramente la lingua universale che si parlava prima della Torre di Babele?
Terminato lo scorrazzamento nei Bazar, i 4 viaggiatori decisero di dedicarsi alle Moschee. Che novità..! Mancavano all’appello due delle più “in”, Santa Sofia e la Moschea di Solimano.
La prima si trova di fronte alla Moschea Blu. Quest’ultima è un luogo di culto e quindi è sempre aperta, ma i turisti possono accedervi solo al di fuori dell’orario delle funzioni religiose; Santa Sofia invece, detta anche Chiesa della Divina Sapienza, ha gli orari di un Museo ed è aperta al pubblico solo per le visite turistiche. Il giorno precedente i 4 avrebbero voluto entrarvi ma sarebbe stato possibile solo scavalcando il cancello. Dopo un brevissimo consulto, essi convenirono che, forse, rischiare la galera in Turchia era troppo e che aspettare il giorno dopo sarebbe stato più saggio.
L’interno di Santa Sofia è maestoso, come spettacolari sono i mosaici bizantini sulle pareti superiori. Molti di essi la filosofa Ros ricordò di averli visti sul libro di storia dell’arte del liceo. Un’emozione non da poco…!!
Dopo circa un paio d’ore, l’amico G. cominciò a farfugliare strane frasi ai suoi compagni di viaggio:
“Certo che abbiamo fatto colazione da più di tre ore…come passa il tempo…!”.
“Accidenti, la Moschea di Solimano è in cima a una collina. Sarà una faticaccia arrivarci, considerando che la colazione l’abbiamo digerita da un pezzo!”.
“Quanto abbiamo camminato…avremo bruciato proprio un sacco di calorie!”.
“Voi non sentite freddo? Certo, qualcosa di caldo ci aiuterebbe…”.
La filosofa Ros pose al caro amico una domanda esistenziale:
“Hai per caso fame, amico G.? Se vuoi, possiamo cercare un posto dove fermarci…”.
“Ehi, ragazzi…! Fermatevi! La viaggiatrice filosofa Ros ha fame, si sente debole, ha freddo, è stanca…propone di fermarci a mangiare qualcosa. Io sarei d’accordo! E voi? Poverina, sei pallida…davvero!”.
La filosofa Ros alzò la mano e disse:
“Io voto sì. Grazie per esserti preoccupato per me, amico G., per questo sacrificio a cui ti sottoponi. Sei veramente disinteressato e generoso. Grazie amico G….”.
Il pranzo fu veramente turco. I 4 cercarono un locale frequentato solo da abitanti del posto e mangiarono delizie di cui la filosofa viaggiatrice Ros non ricorda un granché. Ricorda invece la faccia soddisfatta dell’amico G. e del marito M., e i tentativi dell’amica finta turca A. di nascondere la Guida di Istanbul agli occhi degli altri avventori, per non vedere crollare la sua copertura.
Satolli e soddisfatti dopo il pranzo più turco che potessero fare, i 4 amici decisero di affrontare la salita che conduce alla Moschea di Solimano. Vi giunsero ansimanti, congelati e anche umidicci, a causa della solita pioggerellina rompina, che volle viaggiare con loro, senza lasciarli mai. Che cara…
La Moschea di Solimano è considerata la moschea più importante di Istanbul. Rappresenta un tributo al suo architetto, Siran, ed è il monumento commemorativo di Solimano il Magnifico, che ne fu il patrocinatore.
I 4, fortunelli, arrivarono proprio nel bel mezzo di una funzione religiosa, quindi furono costretti ad intrattenersi al di fuori della Moschea per più di mezz’ora, durante la quale l’amico G. comunicò ai compagni di avvertire già un certo languorino, l’amica finta turca A. e la filosofa viaggiatrice Ros ammirarono i ferventi amici musulmani che si lavavano i piedi con acqua gelida, sotto la pioggia e a 4° di temperatura, spostando poi i loro interessi verso i negozietti adiacenti la Moschea, e il marito M. scattò fotografie in preda a una mania compulsiva, immortalando anche gatti di passaggio e impalcature dal recondito interesse architettonico.
Completata la visita, dopo un’ennesima sfilatura di scarpe, infilata di calzini sopra i calzini, sfilata di calzini sopra i calzini e infilatura di scarpe, i 4 si avviarono, attraverso vicoli e stradine, a volte poco raccomandabili, di nuovo verso la zona del porto.
La meta successiva fu individuata nella Torre Galata. Ma prima, fu necessario calarsi nuovamente nel contesto sociale e fingersi un gruppo di pivelli guidati da una tizia del posto, parlante un ineccepibile calabrese/turco, in un bar dove gustare il famoso caffè locale. Questa esperienza non lasciò molto soddisfatti i 4 amici, per due motivi. Primo, il caffè turco aveva una posa eccessiva e un po’ fastidiosa da sentire in bocca, secondo, la scelta del bar lasciò tutti un po’ delusi, soprattutto l’amico G., perchè non c’era praticamente nulla da sgranocchiare.
Per temprare ancora di più il carattere e lo spirito d’avventura dei 4 viaggiatori, alla pioggerellina scema si affiancò un vento micidiale. L’amica finta turca A. iniziò a mostrare segni di cedimento e si decise di prendere la metro per oltrepassare il ponte.
La filosofa Ros quando viaggia è felice, non solo per la scoperta di paesi e città sconosciuti, ma anche perchè nei giorni di permanenza in qualunque posto nuovo vive stabilmente nella sua sfavillante e gioiosa realtà parallela, notte e giorno, mattina e sera.
La grande felicità e lo stato di assoluto benessere che la pervadono non sempre le consentono però di mantenere un discreto livello di lucidità e prontezza di spirito. Lei si aggira nei vari luoghi con il naso all’insù e in uno stato di trance misto ad estasi, come se fosse in un bel sogno. Ecco un episodio a riprova di quanto testè riportato.
La metro turca è fichissima. Veloce, efficiente e pulita. I 4 amici presero la metro per raggiungere la fermata di Beyoglu, chiacchierando serenamente. A un certo punto, il marito M. annunciò che si sarebbe dovuti scendere alla successiva sosta della metro, per un cambio di mezzo.
La filosofa Ros, rapita dalla vista dei barconi vicino al porto e dal suggestivo panorama, non riuscì a scendere per tempo e la porta le si chiuse sul naso. I 2 amici e il suo amore, sbigottiti, videro il treno ripartire e la filosofa viaggiatrice Ros salutarli con la manina. I 3 si sbracciarono per dare un’indicazione alla futura dispersa, ma lei non capì assolutamente nulla di cosa volessero dire.
Non essendo padrona della lingua turca, nè tantomeno del calabrese, la filosofa viaggiatrice Ros decise di non sprecare fiato e raggiungere per conto suo la fermata di destinazione, serena e tranquilla. Scese dal treno e aspettò per un sacco di tempo. Che fine avevano fatto il suo amore e i 2 cari amici? La cara Ros, in veste di sposa, si preoccupò un bel po’ non vedendo gli occhi del suo amore, così come, in veste di amica, Ros si preoccupò anche della fame incipiente dell’amico G. e dell’affettuosa partaccia che in calabrese stretto avrebbe ricevuto dall’amica finta turca A., una volta ricongiunto il gruppo.
Solo dopo una mezz’ora di attesa, essi si rividero. Il marito M. l’abbracciò e i 4 si fecero una gran risata. L’amica finta turca A. le fece solo una particina, ma stavolta in calabrese/turco, non solo in calabrese, perchè si trovava in un luogo pubblico e non voleva che si scoprisse la sua vera identità, mentre l’amico G., per suggellare il momento con una chiosa significativa, esclamò: “quando si mangia?!”.
Dopo la piccola avventura “metropolitana”, i 2 cari amici e il marito M., evidentemente terrorizzati all’idea di riprendere un mezzo con la filosofa Ros al seguito, vollero valutare la possibilità di raggiungere la Torre Galata a piedi, attraversando il ponte e le suggestive stradine del quartiere.
I 3 amici e la svampita dietro, iniziarono la passeggiata, ottimisti di arrivare alla meta senza problemi. A metà del ponte, la pioggia decise che era il momento, tanto atteso durante la giornata, per fare sul serio e divertirsi alla grande. Invitato alla festa anche l’amico vento, i fantastici 4 furono sferzati in tutte le direzioni ed entrarono nella sala d’ingresso della Torre in condizioni indicibili. I turchi e i turisti presenti nella sala ebbero tutti un moto di spavento nel vederli.
La Torre Galata è alta 60 metri ed è sormontata da un tetto a forma conica. Al tempo della sua costruzione, all’incirca nel VI secolo, essa venne impiegata per l’avvistamento di navi di passaggio, poi divenne prigione, in seguito deposito navale, e per seguire fu usata come torre di controllo antincendio. Secondo la filosofa Ros, però, il suo impiego migliore è quello odierno: panorama di Istanbul a 360° dall’alto, un ristorante/bar e un night club.
L’interno della Torre è chic-cosissimo. Un ascensore elegante ti porta fino al nono piano. I 4 attraverso i vetri ammirarono una Istanbul spettacolare, con i minareti illuminati. Decisero quindi di affrontare ancora il vento tagliente e la pioggia forte pur di non rinunciare alle foto. Valse la pena ridursi come stracci zuppi d’acqua, benchè la finta turca A. cominciasse a vacillare e a farfugliare pure in calabrese.
Fu obbligatorio e moralmente corretto nei confronti della cara A., piuttosto provata, usufruire del bar. I 2 cari amici e il marito M. scelsero il té alla menta, un cult in Turchia. La filosofa Ros una cioccolata calda, che a lei il té fa sempre un po’ tristezza e le sembra troppo leggero. Il biscottino a forma di Torre fu una chicca da immortalare.
Finita la merenda, i 4 si guardarono nello specchio del fichissimo ascensore e presero sul serio l’eventualità, dopo essere stati in giro per dieci ore, al freddo e esposti alla pioggia, di tornarsene ai rispettivi alberghi, rinunciando anche alla cena.
Dopo una doccia calda però il marito M. ebbe un’idea geniale, immediatamente condivisa dalla sua sposa. Ordinare qualcosa da mettere sotto i denti al ristorante dell’hotel. Cena consumata in pigiamino e arricchita di chiacchiere e commenti sulla giornata bellissima appena trascorsa.
Riflessione filosofica: “ma quanto accidenti è fatto proprio per me, il marito M.!”
Un nuovo giorno ad Istanbul. Udite, udite: non pioveva e c’era pure un po’ di sole. In questo giorno i 4 viaggiatori furono estremamente fortunelli perché avevano atteso ottimisti fino all’ultimo momento per fare una gita sul Bosforo, confidando proprio in un miglioramento del tempo. E quel momento era arrivato!
Molti turchi proponevano gite stratosferiche sui loro battelli, colorati e chiassosi. Anche i prezzi erano stratosferici però…La filosofa Ros, che prima della partenza aveva rivoltato Internet come un calzino, aveva appreso che i battelli di linea, quelli che portano proprio i turchi da un lato all’altro del Bosforo e salgono quasi fino al Mar Nero, fanno in realtà lo stesso percorso di quelli turistici.
La viaggiatrice filosofa Ros, il marito M., l’amica finta turca A. e il marito della finta turca A., amico G., meditarono e partorirono questa brillante soluzione al dilemma: “perché spendere una fortuna quando possiamo prendere il battello di linea per pochi spiccioli? La filosofa Ros si metterà in piedi su un sedile, tanto non conosce vergogna, e leggerà l’intero capitolo dedicato alle rive del Bosforo della sua inseparabile Guida di Istanbul, e l’amica finta turca A. tradurrà, anche per i vicini di seduta, dall’italiano al calabrese/turco e dal turco/calabrese all’italiano…”.
Tutt’e 4 corsero alla biglietteria e acquistarono i biglietti. La corsa successiva era però dopo circa due ore. Che si poteva fare nel frattempo, dal momento che i 4 in tre giorni avevano macinato chilometri, in condizioni atmosferiche avverse, e visto tutto il visitabile? Entrare e ammirare qualche altra moschea, ovviamente, e passeggiare…
Si sa però che camminare molto, vedere il sole, non sentire l’umidità nelle ossa e il buon umore, mettono un certo appetito!
L’amico G. comunicò ai suoi compagni di viaggio che in una trasmissione televisiva aveva sentito parlare dei kebab di pesce, venduti dai marinai dei barconi del porto, i quali arrostiscono al momento pesci sconosciuti, pescati chissà dove, forse proprio nell’acqua del porto, in condizioni igieniche di fortuna, preparando il tutto categoricamente con le mani nude, senza guanti, né manicure. Scattò la consueta proposta dell’amico G. “quando si mangia?”. Immediatamente il marito M. e l’amica finta/turca A. ebbero un moto di repulsione nel vedere e soprattutto nel sentire l’odore del pesce arrostito sulla brace del barcone. La viaggiatrice filosofa Ros invece invocò i suoi anticorpi e affiancò l’amico G. in questa irripetibile esperienza sensoriale. Il marito M. non volle nemmeno assaggiare e corse con l’amica finta turca A. ad acquistare un banale kebab con la carne.
Riflessione filosofica della viaggiatrice Ros: “anche questa è carne di animale sconosciuto, pascolato chissà dove, magari proprio nelle aiuole del porto, in condizioni igieniche di fortuna, e servito a mani nude, senza guanti, né manicure!”.
Risposta filosofica del marito M. e dell’amica finta turca A.: “Sarà…ma almeno non puzza…!”.
A volte è meglio riflettere filosoficamente molto meno…
Finalmente giunse l’ora del tanto desiderato giro in battello. Tutti si assicurarono che la svampita filosofa Ros avesse un posto a sedere e fosse vigile e presente a sè stessa, ma non fidandosi di lei, fu tenuta d’occhio dall’amica finta turca A., soprattutto al momento di scendere.
La viaggiatrice Ros declamò ad alta voce le notizie, storiche e non, su tutti gli edifici che si affacciavano sulle rive del Bosforo, tratte dall’indispensabile Guida di Istanbul, e l’amica finta turca A. tradusse in calabrese/turco per la famigliola accampata al suo lato. Se il marito M. e l’amico G. invece mettessero in fila le 200 foto scattate dall’uno e dall’altro, si potrebbero riprodurre entrambe le rive, per una mostra fotografica di grande originalità.
Scesi dal battello, con la filosofa Ros al guinzaglio, fu necessario decidere il da farsi. Dalla fedele Guida si apprese dell’esistenza di un’imperdibile Cisterna dalle 1001 colonne, trasformata in caratteristico centro commerciale di prodotti ispirati alla cultura ottomana, che sembrò veramente un peccato perdere. I 4 si aggirarono per almeno un’ora nel quartiere di Sultanahmet ma non riuscirono a trovare un accidente, fino a quando, con stradario alla mano, arguirono che la Cisterna era chiusa, che all’esterno sembrava una fermata della metropolitana in totale abbandono, che i due tizi turchi che vendevano tappeti di dubbio gusto in strada, nei pressi del presunto ingresso, forse avevano avuto un banchetto all’interno del centro commerciale e che quindi, vista la mercanzia esposta, non era proprio il caso di rammaricarsi, e che era giunta l’ora di tornare in un vero Bazar.
I fantastici 4 decisero di visitare il piccolo Bazar del Libro, che in realtà consiste in un cortile dove i librai espongono libri di ogni genere su bancarelle. Vi si accede anche dal Gran Bazar, attraversando una stradina. La lettrice Ros non potè perdere questa opportunità. Fece un giro e prese la prima fissazione della giornata puntando un libretto, scritto in turco, ovviamente, da acquistare per la libreria coniugale. Il libraio asserì che si trattava di una copia del Corano. La filosofa viaggiatrice Ros nutrì qualche dubbio e cercò con lo sguardo l’amica finta turca A. affinché le facesse da traduttrice e contrattasse per lei. I 2 cari amici erano distanti e alla educata Ros non sembrò il caso di urlare nel Bazar del Libro. Il marito M. la rassicurò e le disse che il libro era carino e quindi, chi se ne fregava, andava bene comunque.
Ad oggi, il libro turco troneggia su uno scaffale della libreria.
Ad oggi, la colta Ros si chiede ancora che diavolo c’è scritto nel libro e auspica che un giorno, se avrà la gioia di avere un vero turco a cena, questi non le dirà che ha comprato a caro prezzo ed esposto fieramente un libro pieno di sconcezze.
Lei si consolerebbe pensando che comunque non tutti hanno un libro turco in casa, ma lei e il marito M. sì.
Ultimato il giro nel Bazar del libro e dopo essersi addentrati in ogni anfratto del centro di Istanbul, i 4 si dichiararono sfiniti. Eppure c’erano ancora due eventi in programmazione prima del rientro in hotel ed era presto per entrambi. Cosa fare nel frattempo? Bere un tè, ovviamente.
Un bar a due piani, vicino alla meta successiva, fu preso d’assalto dai fantastici 4, desiderosi di riposo, di un dolcetto tipico e di una bevanda calda. I gestori del locale tentarono di affrettare in ogni modo possibile la consumazione dei 4 che, invece, dovendo attendere più di un’ora, iniziarono a sorseggiare i loro tè con una lentezza snervante per chi li osservava. Un cucchiaino di tè alla volta, un morsettino al dolcetto ogni quarto d’ora, movimenti da bradipi. Ben presto, i proprietari capirono che era meglio ignorarli. La filosofa Ros si arrese a sua volta e ordinò anche lei un tè, ma sempre dopo una prima cioccolata calda, ovviamente. Quando finalmente i 4 sloggiarono, il personale corse a togliere le ragnatele dalle sedie e tirò un sospiro di sollievo.
I 4 amici, ansiosi di assistere allo spettacolo dei dervisci rotanti, avevano acquistato i biglietti presso un Centro culturale splendido, situato nei pressi del porto. Frutto del magnifico restauro di un antico Hammam, il Centro HodjaPasha accolse i colti viaggiatori con pasticcino zuccherosissimo e tè alla menta. La filosofa Ros, dopo tutto questo tè, iniziò ad avere le palpitazioni e sottoscrisse un abbonamento per il wc.
Iniziato lo spettacolo, l’agitata Ros si calmò e si lasciò coinvolgere dall’atmosfera; lei, che durante i viaggi si trasferisce nella sua esaltante e magnetica realtà parallela e quindi vive quei giorni in assoluto ottundimento, per poco non cadeva in trance assieme ai dervisci. L’amica finta turca A., per dare prova di essere del posto, avrebbe danzato anche lei, se glielo avessero chiesto. I colti danzatori turchi non lo fecero e persero una magnifica occasione…
Usciti dal centro culturale, il marito M. e i cari amici A. e G. si assicurarono che la svampita Ros avesse lasciato la sala anche lei. Era arrivata l’ora tanto attesa dalla filosofa Ros e dall’amico G.. Stavolta, all’unisono, loro due esclamarono: “quando si mangia?”.
L’indomani, i 4 amici viaggiatori avrebbero lasciato Istanbul, più ricchi di ricordi, di risate, di amicizia consolidata, di qualche cianfrusaglia…e di qualche figurella! La filosofa Ros, nella sua intensa vita, ha accumulato infatti notevoli abilità nel farsi ricordare dalla gente per insolite situazioni. In questo caso fu coadiuvata magistralmente dall’amica finta turca A..
I 4 scelsero il locale per un’ultima, memorabile, cena di saluto ad Istanbul. L’amico G. ci vedeva doppio dalla fame, ma anche il marito M. e le signore non scherzavano affatto!
I 4 si accomodarono. La filosofa Ros e l’amica finta turca A. iniziarono a sghignazzare come due sceme già all’arrivo dei menu. Dopo un veloce consulto, le donne presero la parola e ordinarono…birre per tutti! Ora, in un ristorante musulmano già il fatto che fossero le donne a prendere la parola, fu sicuramente considerato alquanto riprovevole, ma chiedere alcolici fu giudicato malissimo! Rassegnatesi con un po’ di stizza, le due amiche ripiegarono sul cibo e scelsero la metà di ciò che c’era scritto nel menu.
Una volta arrivati i piatti, cominciarono a darci dentro senza ritegno, né rispetto del galateo. Il cibo si passava da un piatto all’altro e si commentava ad alta voce. I mariti M. e G. le guardavano e si dicevano che se fossero usciti con due camionisti bruti avrebbero fatto una figura migliore. Le due giù a ridere e a mangiare.
L’affamato G. puntò una coscia di pollo e fece per prenderla. La filosofa Ros e l’amica finta turca A. in calabrese/turco lo ghiacciarono all’istante e gli sottrassero la coscetta. L’amico G., affranto per il furto subito, le guardò storto per il resto della serata. Ecco come farsi nemico l’amico G..
Le due donnine erano incontenibili. Ormai rideva l’intero locale, compresi i camerieri. Il marito M. confessò che avrebbe voluto abbandonare il ristorante già alle prime portate e sostenne che alle due il troppo tè non aveva giovato sicuramente.
Giunti al termine della cena, ai due mariti fu portato il conto. Tutt’e due dissero in coro: “non datelo a noi ma alle nostre mogli…tanto, sono loro che comandano in casa…!”. I camerieri, turchi e musulmani, non espressero commenti ma li potemmo immaginare.
La filosofa Ros e l’amica finta turca A. risero fino alle lacrime. I mariti un poco meno.
Tornati nei rispettivi alberghi, i mariti M. e G. misero a nanna le mogli che, svanito l’effetto del probabile allucinogeno ingerito assieme ai vari tè della giornata, svennero in tre minuti. La pantagruelica cena della sera prima non inibì i 4 a colazione. Sparirono pietanze dolci e salate a razzo, in entrambi gli hotel. Il personale non infierì al momento del conto (furono dei veri signori!), ma se lo avessero fatto i fantastici 4 non avrebbero protestato.
Il transfer dagli alberghi all’aeroporto era compreso nel prezzo del pacchetto, per cui il gruppetto poté rilassarsi e godersi ancora un po’ la città, vedendo qualche monumento e le vetrine dei negozi.
L’amica finta turca A. accusava doloretti diffusi al corpo ed era già manifesta una crisi di identità per l’abbandono della pashmina e degli influssi turchi alla lingua calabrese.
Arrivata l’ora della partenza, alla filosofa Ros prese un magone. Lasciare la sua entusiasmante e sfolgorante realtà parallela per quella in cui è costretta a vivere per la maggior parte del tempo, è sempre traumatico. Il marito M., lucido e razionale, la sostenne psicologicamente e anche fisicamente, giacché lei tentava di non salire sull’aereo e rimanere a Istanbul con lui, per imparare la danza del ventre, e diventare così la prima odalisca in carne italo-turca con i ricci, e insegnare cucina italiana alle amiche turche. Niente da fare. Il marito M. rifiutò la sensata proposta e la triste Ros fu costretta a partire.
Atterrati in patria, li accolsero un freddo gelido e la macchina sprint dell’amico G..
L’amica A. abbandonò le sembianze turche e le forze abbandonarono lei. Un febbrone da cavallo la colse appena entrati in macchina. Il viaggio di ritorno verso casa fu stranamente silenzioso.
Nei giorni seguenti, l’amica A. rimase a letto a delirare, l’amico G. tornò ad indossare la tuta mimetica e non lo si individuò più fra le piante del giardino e il marito M. ricominciò a viaggiare fra la cittadina di A. e la metropoli.
La filosofa Ros invece ritornò al suo lavoro di accoglienza delle ancelle nel Tempio della Bellezza e del Benessere più svampita e stralunata del solito, indugiando ancora un po’ nella sua entusiasmante e splendida realtà parallela turca e proponendo al suo amore e ai cari amici la meta per il prossimo viaggio assieme:
“e se un giorno riuscissimo a trovare un volo economico per Bucarest…e se riuscissimo a prenotare un albergo vicino alla stazione…e se dal centro di Bucarest partissero treni o autobus per la Transilvania…potremmo visitare il Castello di Vlad Tepes e magari acquistare sul posto il kit per uccidere i vampiri…o magari comprarci la dentiera con i canini lunghi per spaventare i condomini al ritorno a casa…bello, vero?!”.
L’amico G. rispose: “io ci sto…come si mangia in Romania?!”.
Per info più dettagliate, potete scrivere alla filosofa Ros all’indirizzo ros@dovevoandareinterapia.it.
Per visionare le foto del viaggio, il sito è www.dovevoandareinterapia.it