Quattro passi sull’alto atlante e d’intorni
Trascorse circa 2 ore di volo si atterra a Marrakech ove dopo il disbrigo delle pratiche doganali si raggiunge la “Medina “ e con qualche difficoltà l’albergo Melia Riad Lena. Sembra, infatti, che in questa zona della città, tutti gli hotel si chiamino Melia… .La prima impressione che si riceve girando per questi luoghi, è quella di trovarsi in un immenso labirinto ove si affacciano centinaia di negozietti che vendono articoli dell’artigianato locale. L’alta densità commerciale e la mancanza di prezzi fissi ci fanno intuire che, per gli acquisti, dovremo prepararci a lunghe trattative economiche. Con qualche problema d’orientamento riusciamo a raggiungere la “Grand Place” un’immensa arena che ospita persone dedite all’esercizio delle attività più strane: incantatori di serpenti, donne che leggono la mano, venditori d’arance e fiori.
Alla sera sorprendentemente avviene la grande trasformazione: la piazza diventa sede di bancarelle adibite a ristoranti volanti che, sotto dei bianchi tendoni, cucinano piatti tipici . Il riciclaggio degli spiedini e dell’acqua per lavare piatti, bicchieri, posate e tazzine, c’inducono a preferire uno dei ristoranti più tradizionali lasciando ad altri turisti immunizzati, il privilegio dell’assaggio delle specialità berbere. La serata purtroppo si conclude con un forte temporale che interrompe il piacere di questo primo contatto con la città.
Sabato 21 Aprile Alle ore 9 conosciamo la guida che ci accompagnerà nel trekking sull’Alto Atlante.Si chiama “Sliman”, alto, capelli corvini, fisico d’atleta, berbero puro sangue. Avremo difficoltà a seguire il suo passo.
Il programma prevede di percorrere la valle di “Ait Bouguemez” superare un valico a 3000 metri, scendere in un’altra valle ai piedi del Mont Goun percorrere una lunga impervia gola camminando per un’intera giornata nel greto di un torrente e rientrare seguendo un percorso circolare.
Caricati i bagagli, saliamo su un gippone e usciamo da Marrakech attraversando ampie distese di ulivi sino a raggiungere Azital un grande villaggio dove pranziamo. Dopo le nostre esperienze Ladakhiane, siamo impazienti di assaporare il paesaggio che sarà teatro della nostra nuova escursione. Nel pomeriggio improvvisamente il tempo peggiora e comincia a piovere, ma il cambiamento climatico non ci preoccupa perché siamo in Africa, abbastanza vicini al deserto e con una stagione primaverile già avanzata. Purtroppo nel giro di qualche ora dobbiamo ricrederci: all’avvicinarsi delle montagne, l’acqua comincia a trasformarsi in nevischio, poi in neve e il paesaggio diventa invernale. La strada imbiancata s’inerpica per tortuose asperità e l’ambiente diventa sempre più impervio. Nel tardo pomeriggio raggiungiamo un minuscolo villaggio di nome “Tabant” che ci ospiterà per la notte. Con una certa curiosità prendiamo contatto con la realtà locale. La visione è davvero suggestiva: gli abitanti, come dei fantasmi, vagano avvolti in curiosi “caffettani” marrone o blue dai grandi cappucci che, se non fosse per il differente colore, richiamerebbero alla memoria la fisionomia degli appartenenti al Ku-Kux-Klan o alcuni personaggi di “guerre stellari”. Continua a cadere la neve e la nebbia trasmette una sensazione di mistero.
Dopo un lungo giro, il freddo sempre più intenso c’induce ad una ritirata strategica nell’abitazione dove pernotteremo. Qualche apprensione nasce, quando ci rendiamo conto che le case sono tutte costruite con grossi mattoni di terra argillosa compressa. I piani sono sostenuti da travoni di legno. La nostra guida ci tranquillizza e per distrarci c’insegna i segreti della degustazione del the berbero. L’abilita’ infatti e’ quella di riempire i bicchieri tenendo in alto la teiera come se si dovesse innaffiare una pianta. In tal modo il the versato schiuma e sembra più buono. Provo anch’io e innaffio il tavolo. Luca invece è molto più bravo. Prendiamo contatto con la nostra dimora notturna: più che letti sembrano dei lunghi e stretti “catafalchi “ addossati alle pareti che fungono anche da divani.Ricordano i giacigli dove erano adagiati gli imperatori romani deceduti e prima di essere bruciati sopra le cataste di legna. Dopo la cena, la stanchezza è tale che riusciamo a addormentarci in ogni modo senza grosse preoccupazioni anche perché l’altezza dal pavimento non è molto elevata e quindi a prova di fratture da caduta. A scanso d’equivoci, Rosanna ed io preferiamo trasferirci a dormire sul pavimento tappetato e probabilmente più morbido del locale adiacente.
Domenica 22 Contrariamente alle attese, la giornata si apre con un bel sole che fa esaltare il candore delle montagne ammantate di neve.
Sliman c’informa che purtroppo dovremo fermarci in questa zona un altro giorno nell’attesa che il passo sia transitabile senza pericoli. Onde smorzare la nostra ansia di iniziare il trekking così da lungo tempo pianificato, la guida berbera ci propone di fare una breve escursione per visitare il luogo ove sarebbero presenti orme di dinosauri.
Iniziamo finalmente a camminare lungo una strada sterrata e dopo circa una mezz’ora affianchiamo un piccolo cimitero mussulmano ricoperto quasi completamente dalla neve. Se non fosse per l’informazione ricevuta e per la presenza di alcune pietre infilate nella terra,il tutto passerebbe inosservato: non un nome, non una data o una foto ma solo la curiosa posizione delle pietre che servono a identificare il sesso delle persone sepolte. A Marco si staccano le suole degli scarponi e cammina come se avesse le “ciabatte” ai piedi; con il suo passo cadenzato interrompe il silenzio del luogo.
Raggiungiamo la zona archeologica che si presenta recintata da muraglioni. Alcuni bambini ci osservano incuriositi e Marco come un Babbo Natale comincia la copiosa distribuzione delle caramelle e pennarelli portati dall’Italia.
Un gran cartello illustra luoghi e date. Le orme si trovano sulle rocce antistanti e i più scettici le potrebbero interpretare come buchi a forma di zampa creati dalla erosione delle acque. Noi fingiamo d’essere interessatissimi per non deludere in nostro Sliman che nel rientro ci fa camminare lungo fangosi sentierini tra canali e campi coltivati. Raggiungiamo finalmente il villaggio che rispetto all’immagine spettrale della sera precedente, si è riempito di vita. E’ domenica ed è giornata di mercato. Incontriamo i muli curiosamente “parcheggiati” sui pendii scoscesi, mentre la strada è utilizzata come un lungo bancone per esporre le più diverse mercanzie. Si trova un po’ di tutto ma ortaggi, frutta, cus-cus, olio e scarpe usate sono i generi più “gettonati”. Marco ha la fortuna di trovare un provvidenziale collante che gli risolverà il problema degli scarponi.
Nel pomeriggio, Sliman decide di portarci in una valletta adiacente alla nostra, ove sulla cima di un’aspra collinetta è situata una singolare costruzione circolare simile ad una fortezza. Una volta era adibita ad abitazione e granaio. All’ingresso, un anziano custode con barba bianca avvolto nel suo caffettano con tanto di turbante, c’invita a versare un obolo per poter godere del bellissimo panorama circostante: deve aver sicuramente imparato dal turismo svizzero. Dopo la “tassazione forzata”, ci offre in compenso la possibilità di visitare anche l’interno(buio) e ci porta del the versato nei consueti bicchieri riciclati che cortesemente rifiuto. Un gruppo di ragazzi in vacanza ci raggiunge in vetta rallegrando così questo luogo solitario.
Una ripida discesa e l’attraversamento di un campo fangoso abbreviano il rientro per la cena. Mi affretto a consegnare al cuoco una decina minestrine liofilizzate facendogli capire che avremmo gradito la loro degustazione. Contrariamente alle attese, ci viene invece servita per il secondo giorno consecutivo una zuppetta di color giallo canarino dall’aspetto e dall’odore non molto accattivante. Giorgio preferisce mettersi a dieta.
Sliman, dopo la brodosa cena integrata con cus- cus e un miscuglio di verdure non meglio identificate, ci annuncia il cambiamento di programma perché i sentieri in alta montagna sono ancora impraticabili per la troppa neve.Speriamo almeno che la nuova decisione possa essere di nostra soddisfazione.
Lunedì 23 Aprile I timori per un peggioramento climatico sembrano svanire. Ci alziamo ed il sole trasmette un grande ottimismo nell’attesa di iniziare finalmente il sospirato trekking.
Caricati i muli cominciamo a camminare, inizialmente seguendo la strada e poi lungo un sentiero in rapida ascesa. Il verde dei mughi, la terra rossa e lo sfondo pennellato dalle montagne imbiancate, incorniciano un panorama da cartolina. Sembra si stiano creando le condizioni per un’escursione davvero fantastica.
Dopo circa tre ore abbiamo la sorpresa di incontrare il gruppo logistico che anticipa il nostro arrivo per preparare il pranzo-picnic. Purtroppo le cose belle durano sempre poco. Il tempo di rilassarci un attimo e il cielo azzurro è offuscato dall’avvicinarsi di nuvole minacciose. Le prime gocce di pioggia si trasformano rapidamente in diluvio e poi in grandine. Siamo rientrati nuovamente nell’inverno. Camminiamo ma la pioggia incessante e il freddo c’impediscono di continuare. Una tettoia offre un po’ di tregua poi la pioggia rallenta, riprendiamo a muoverci e nel primo pomeriggio raggiungiamo un piccolo villaggio ove la presenza di una “gite de montagne” si dimostra provvidenziale per ospitarci e risollevare il nostro morale con una piacevolissima merenda berbera a base di the, pane e olio locale. La “mangereccia consolazione “ non impedisce di trasmettere però il nostro disagio alla guida: quella che si doveva presentare come un’escursione in montagna tra le alte vette dell’Atlante, si stava trasformando in camminate agricole, sotto la pioggia e in mezzo al fango. Martedì24 Aprile.
Lo stato d’insoddisfazione è percepito da Sliman che annuncia il programma della giornata: inerpicarsi per raggiungere una valle collaterale ove è presente un grande lago e delle gole tra le montagne.
L’escursione sembra interessante perché finalmente potremo cominciare a “salire”…Anche il tempo si è rimesso nuovamente al bello. Usciti dall’abitato seguiamo il sentiero che s’inerpica rapidamente tra cespugli spinosi. Superate le prime asperità il percorso perde la sua identità e diventa completamente sassoso. Continuamo a camminare e poi ad arrampicarci su un pendio con l’agilità’ degli stambecchi, chiedendoci dove la nostra guida ci stia portando. Non avendo la più pallida idea in merito, comincio a pensare che le gole si trovino dalla parte opposta di quel rilievo montuoso, ma mi sbaglio. La pendenza diventa più sensibile, il terreno costellato da grossi sassi e il caldo insopportabile. Giunti a quota 3000 ci fermano e nessuno ha il coraggio di chiedere cosa siamo venuti a fare in quel luogo piacevole solo per le capre. Non riusciamo neppure a gustare la sosta perché il vento èinsopportabile. Decidiamo di scendere subito prestando attenzione a non “volare” tra i sassi perché il terreno è molto accidentato. In lontananza vediamo il lago che raggiungeremo dopo aver attraversato un’ampia distesa desertica, forse la più bella di tutto il trekking in Marocco. Nei pressi dello specchio d’acqua, vicino ad un rifugio fatiscente incontriamo il nostro gruppo logistico che ci attende per il consueto pic-nic. In lontananza altri escursionisti costeggiano il lago.
Il rientro avviene seguendo un percorso più agevole e nel tratto finale attraversando delle piccole “gorge” asciutte. Abbiamo camminato per oltre 8 ore come i camosci. La prossima volta eviterò di esplicitare le mie aspettative per l’alta montagna a Sliman. Mercoledì 25 Aprile Mentre in Italia si festeggia la giornata della liberazione, lasciamo di buon ora la “gite” per rientrare al punto d’arrivo della prima sera. Mi sembra di partecipare al gioco dell’oca, ma me ne guardo bene dal dirlo alla guida. Benché il tratto sia in piano, il percorso è abbastanza faticoso perché il ritmo molto sostenuto. Sliman ha innestato il “turbo” e noi dobbiamo allungare il passo per poterlo seguire. Lungo la strada incontriamo anche un gruppo di trekkers francesi che vanno nella nostra direzione. Loro sono fortunati perché essendo più numerosi, possono mantenere un’andatura più lenta. Il tempo di fermarsi a fotografare una cicogna e proseguiamo con le ali ai piedi. Per l’ora di pranzo raggiungiamo la meta. In meno di cinque ore, abbiamo percorso oltre 16 chilometri, soste comprese.
Nel tardo pomeriggio siamo invitati nell’abitazione del nostro cuoco che abita proprio in questo villaggio. Ci attende una gustosa merenda a base di marmellata, miele, frittelle e pane intinto nell’olio che assaporiamo seduti su dei bellissimi tappeti e in una casa molto accogliente.
La pancia satolla ci aiuta a dimenticare per un attimo le fatiche della giornata . Prima di cena riusciamo anche a fare pur con qualche difficolta’, una doccia calda in una tinozza grazie all’interessamento di Sliman che ci accompagna da un suo conoscente. Marco, il quarto a sperimentare la beauty farm berbera, si lava con l’acqua ghiacciata mitigata dal tepore di quella ancora presente nella tinozza e così la sua doccia si trasforma in pediluvio. Ci troviamo presso l’abitazione di un berbero che dopo aver incassato l’obolo ci offre molto gentilmente anche del the.
Alla sera, a cena, niente minestrina italiana ma il solito intruglio di verdure con cus-cus che i marocchini chiamano “tagjne”. Piace molto a Rosanna, Luca e anche Marco ne va pazzo: prima della fine del nostro viaggio comprerà la curiosa pirofila di creta a forma di coppa rovesciata necessaria per cucinare questo piatto tipico. La notte la trascorriamo in tenda abbandonando così il ricordo dei nostri giacigli a catafalco. Giovedì 26 Aprile Il giro dell’oca continua. Ripercorriamo la valle e la strada dell’andata. Fortunatamente oggi la guida cammina con più lentezza e non dobbiamo faticare per starle dietro. Per ravvivare il percorso e renderlo più “ruspante”, passiamo attraverso coltivazioni di granoturco, saltiamo canaletti d’acqua e assaporiamo la visione di bellissimi meli in fiore. Qua e là le consuete case berbere tra qualche pianta e cespugli verdi incorniciati dal bel colore rosso del terreno. Superata lateralmente una collina dominata da altro granaio circolare, siamo affascinati dalla visione di due bianche cicogne; quella più vicina a noi, sul prato, disturbata, s’invola nel cielo. Riprendiamo fiato e dopo una breve sosta, cambiamo finalmente direzione verso una valle che si snoda alla nostra sinistra, attraversiamo un torrentello e raggiungiamo un terrapieno ove il nucleo logistico sta preparando il pranzo. Marco è rapinato dalle ultime caramelle: la voce si è ormai diffusa nella valle… E il nostro Babbo Natale fatica non poco ad emergere dalla nuvola di scolaretti che rientrano da scuola. Nei pressi assistiamo anche alla costruzione di una casa berbera. Due uomini, a turno trasportano su trabicolanti scale di legno la terra che servirà all’innalzamento del muro perimetrale dell’abitazione.
La povertà di questo luogo fa correre il nostro pensiero al contrasto con la sfarzosità urbanistica e sociale di Marrakech.
Dopo il “lunch” siamo informati che il trekking contrariamente alle attese, si accorcerà di un giorno: all’indomani ci verrà a prelevare un “minibus” per riportarci a Marrakech. In assenza di spiegazioni al riguardo, rimaniamo disorientati e amareggiati; non riusciamo neppure a metterci in contatto con il responsabile dell’agenzia organizzatrice. Conosceremo in seguito la causa, legata ad un disguido organizzativo. Una breve escursione sul pendio opposto della valle conclude il pomeriggio nell’attesa dell’ultima cena campestre e prima di raggiungere le tende per la notte.
Veneri 27 Aprile La sveglia è all’ora consueta nonostante che il percorso per il” meeting point” sia abbastanza breve. In circa due ore raggiungiamo, infatti, il vicino villaggio ove ci attende il minibus. Poco dopo arrivano anche i muli e così dopo l’ultima foto e il saluto allo stalliere, al cuoco, carichiamo i bagagli e ci avviamo verso Marrakech raggiunta nel pomeriggio.Un ultimo goodby anche alla nostra guida e poi il congedo definitivo. La serata si termina con una splendida cena sulla terrazza di un ristorante che domina la “Grand place”.
Sabato 28 Aprile Dedicheremo la giornata a fare i turisti e conoscere meglio questa città. Iniziamo la mattinata prendendo al volo un autobus” Sightseen” che permette di orientarci al meglio sulle attrazioni turistiche da vedere. Al secondo giro, scendiamo e iniziamo la visita più approfondita: i giardini della Menara ci obbligano a camminare ancora come dei trekkisti, poi raggiungiamo le “ Tombe di Sadiem”un tetro mausoleo che conserva intatte alcune cappelle costruite in stile arabo. Molto più affascinante invece il “palazzo di Bahia”: per raggiungerlo dobbiamo utilizzare tutte le nostre capacità intuitive ostacolate dal dedalo di vie che percorriamo. Luca cammina spavaldo come una vera guida locale, ma in breve deve ”gettare la spugna”. Un marocchino si offre di accompagnarci per un tratto di strada e ci fa perdere altro tempo e soldi. Nonostante tutto, a fatica, raggiungiamo il palazzo il cui ingresso si presenta abbastanza deludente. All’interno invece la visione è davvero unica: sale luminose con pavimenti a mosaico e variopinti soffitti a disegni geometrici. Al centro del complesso, un rilassante chiostro ombreggiato da numerose palme. Abbiamo fame e in assenza di ristoranti locali senza mosche, preferiamo consumare il pranzo in compagnia delle api in una pasticceria che espone dolcetti, un vero paradiso per dei golosi come me. Nel pomeriggio ci concediamo un po’ di riposo e saliamo su un altro bus” Sightseen” che ci porta a vedere i dintorni di Marrakech dominati da un enorme palmeto esteso per numerosi chilometri alla periferia della città.Unico neo, la presenza di numerosi cantieri di hotel e abitazioni in costruzione che rovinano in parte la bellezza di questi luoghi.
Domenica 29 Aprile Si decide di girovagare ancora a piedi per la città lasciando le future ultime due giornate del nostro soggiorno in Marocco, alla visita dei dintorni che faremo con una macchina a noleggio.
Usciti dall’albergo, ripercorriamo il lunghissimo viale Mohamed V che porta alla” Grand Place” ove troviamo un traffico intensissimo. Oggi dedicheremo la giornata allo shopping inoltrandoci nei suk ove i negozianti sono pronti ad offrire i loro ricordi regalo. Ci troviamo immersi nella folla con altre migliaia di turisti e tutti siamo attratti dagli sfavillanti oggetti esposti con rara maestria sulle pareti dei negozietti, dai tessuti ai piatti, dalle variopinte pantofole berbere, alle lampade impreziosite dai vetri opalescenti. La coreografia è infine completata dalle spezie colorate artisticamente collocate a piramide sui banchetti. Girovagando senza meta tra questi labirinti commerciali raggiungiamo casualmente una piazzetta frequentata dalla popolazione locale. Nel mercato si vendono prevalentemente tessuti e chincaglieria per la casa. In un angolo, un marocchino vende tartarughe, un genere che da noi è “protetto” e di cui è assolutamente vietato il commercio. Rientriamo in albergo con la nostra spesa fatta di spezie, monili, teiere, borse e pantofole.
Lunedì 30 Aprile Noleggiata un’auto, programmiamo di giungere ad Onzazade, un lontano villaggio ai piedi del deserto Sahariano. Il percorso, inizialmente pianeggiante, in prossimità dei primi rilievi montuosi s’inoltra attraverso strette gole sino a raggiungere un valico che con i suoi 2000 metri è il più elevato dell’Atlante. Il paesaggio è piacevole. I piccoli sussulti dell’auto e le curve favoriscono il dolce sonno di Rosanna più interessata al riposo che all’affascinante panorama. Il traffico è in pratica inesistente e quindi la guida abbastanza veloce. Durante l’attraversamento di una zona semi desertica, offriamo un passaggio ad un giovane automobilista marocchino rimasto “in panne” con la sua auto. La compagnia è simpatica perché ci permette di parlare in francese e conoscere cose interessanti sul Paese e l’attività’ di questo ragazzo. Lui esercita la professione del “carovaniere”, lavoro che svolge prevalentemente durante i mesi invernali trasportando con i cammelli, manufatti dell’artigianato berbero raccolti nei villaggi nel deserto.
Raggiungiamo Ourzazate sotto un sole accecante che irradia una luce intensissima sulla Kasba la piu’ importante attrazione turistica del villaggio. La costruzione si presenta con la forma di una fortezza costruita a difesa delle abitazioni berbere collocate al suo interno. Cominciamo la visita, ma la visione del luogo ci appare subito un po’ deludente: pur mantenendo le modalità originarie, la costruzione è stata completamente rifatta e i locali interni sono desolatamente vuoti o arredati unicamente per la vendita di oggetti dell’artigianato locale e quadri di dubbia piacevolezza.
Durante il percorso di rientro abbiamo l’opportunità’ di visitare un’altra Kasba che è raggiunta con una breve deviazione dell’itinerario. Il sito si trova nei pressi di un piccolo villaggio di nome Teulet dove in prossimità delle prime abitazioni alcuni custodi abusivi c’invitano a parcheggiare l’auto ma senza ottenere gran successo.
Tra i vecchi ruderi e gli scheletri delle case circostanti, raggiungiamo a piedi la tetra fortificazione che appare ai nostri occhi nel suo carattere originario e fatiscente. Appollaiate sui camini, delle bianche cicogne ci osservano dall’alto. All’ingresso un simpatico guardiano ci accompagna nella visita e possiamo ammirare la pavimentazione fatta da preziosi mosaici; sopra di noi i soffitti abbelliti da artistici stucchi in stile moresco e dai piani superiori un piacevolissimo panorama sulla valle circostante che osserviamo da una finestra ornata con una cornice di ferro battuto. L’atmosfera, molto affascinante, fa rivivere momenti di storia passata…Riuscendo ad incantare anche il nostro Marco che per meglio immedesimarsi nel vissuto del luogo decide di acquistare e indossare il caratteristico copricapo berbero di colore azzurro.
Il travestimento è così realistico da richiamare in seguito anche l’attenzione della polizia stradale che durante il viaggio di ritorno fermerà l’auto per verificare la reale identità del nostro driver, per l’occasione ribattezzato “Mustafa’”.
Martedì 1 maggio Desideriamo trascorrere la giornata festiva, recandoci al mare, sulla costa atlantica. La meta della nostra ultima escursione è Essaouira, un grande villaggio di pescatori a due ore di macchina da Marrakech.
Il luogo ci appare subito in tutto il suo splendore: l’azzurro del mare si confronta con il bianco delle abitazioni, protette da un’alta e lunga cinta muraria All’interno del villaggio i caratteristici negozietti che offrono l’occasione per fare gli ultimi acquisti prima del rientro Italia.
Allo scopo di festeggiare la ricorrenza è in corso una manifestazione che obbliga a seguire percorsi alternativi utili però a scoprire angoli pittoreschi di quest’abitato: piazzette, vicoli e mercatini.
L’ora di pranzo si avvicina e offre l’occasione per gustare degli ottimi piatti a base di pesce cucinati alla griglia nel piazzale antistante l’area marina e dove alcuni improvvisati tendoni fungono da ristoranti pic-nic offrendo un provvidenziale riparo dal vento; gli Alisei investono, infatti, tutta la zona sferzando le spiagge sabbiose aggredite da onde spumeggianti. Il clima ventoso impedisce però di prolungare la nostra permanenza sul lungo mare obbligandoci a rientrare anticipatamente anche perché a conclusione della giornata ci attende una gustosa cena berbera preparata da Brahim, l’operatore turistico che desidera scusarsi per i disguidi organizzativi subiti durante il trekking.
Il viaggio in Marocco ha sicuramente rappresentato un’interessante esperienza che ha permesso di conoscere nuovi paesaggi e culture. Sfortunati nella nostra escursione alpinistica, siamo stati invece premiati dalle splendide giornate vissute a Marrakech con la sua magica atmosfera berbera anche se in parte rovinata dall’eccessivo sviluppo urbanistico /alberghiero.
Rimane inoltre il vissuto di un bellissimo viaggio ma anche purtroppo il ricordo dei sensibili contrasti economici e sociali tra la grande e ricca città le zone più tipicamente berbere della periferia agricola e di montagna.
bertolani.Giorgio@libero.ItQuattro passi sull’Alto Atlante e di dintorni.
20/4-2/5 2007 Venerdì 20 Aprile Partenza dall’aeroporto di Orio al Serio (BG) alle 7.15 dopo un trasferimento quasi in notturna e momenti d’angoscia per lo smarrimento del telefonino di Giorgio prontamente rintracciato grazie all’intervento di Paola la nostra insuperabile taxi driver.
Trascorse circa 2 ore di volo si atterra a Marrakech ove dopo il disbrigo delle pratiche doganali si raggiunge la “Medina “ e con qualche difficoltà l’albergo Melia Riad Lena. Sembra, infatti, che in questa zona della città, tutti gli hotel si chiamino Melia… .La prima impressione che si riceve girando per questi luoghi, è quella di trovarsi in un immenso labirinto ove si affacciano centinaia di negozietti che vendono articoli dell’artigianato locale. L’alta densità commerciale e la mancanza di prezzi fissi ci fanno intuire che, per gli acquisti, dovremo prepararci a lunghe trattative economiche. Con qualche problema d’orientamento riusciamo a raggiungere la “Grand Place” un’immensa arena che ospita persone dedite all’esercizio delle attività più strane: incantatori di serpenti, donne che leggono la mano, venditori d’arance e fiori.
Alla sera sorprendentemente avviene la grande trasformazione: la piazza diventa sede di bancarelle adibite a ristoranti volanti che, sotto dei bianchi tendoni, cucinano piatti tipici . Il riciclaggio degli spiedini e dell’acqua per lavare piatti, bicchieri, posate e tazzine, c’inducono a preferire uno dei ristoranti più tradizionali lasciando ad altri turisti immunizzati, il privilegio dell’assaggio delle specialità berbere. La serata purtroppo si conclude con un forte temporale che interrompe il piacere di questo primo contatto con la città.
Sabato 21 Aprile Alle ore 9 conosciamo la guida che ci accompagnerà nel trekking sull’Alto Atlante.Si chiama “Sliman”, alto, capelli corvini, fisico d’atleta, berbero puro sangue. Avremo difficoltà a seguire il suo passo.
Il programma prevede di percorrere la valle di “Ait Bouguemez” superare un valico a 3000 metri, scendere in un’altra valle ai piedi del Mont Goun percorrere una lunga impervia gola camminando per un’intera giornata nel greto di un torrente e rientrare seguendo un percorso circolare.
Caricati i bagagli, saliamo su un gippone e usciamo da Marrakech attraversando ampie distese di ulivi sino a raggiungere Azital un grande villaggio dove pranziamo. Dopo le nostre esperienze Ladakhiane, siamo impazienti di assaporare il paesaggio che sarà teatro della nostra nuova escursione. Nel pomeriggio improvvisamente il tempo peggiora e comincia a piovere, ma il cambiamento climatico non ci preoccupa perché siamo in Africa, abbastanza vicini al deserto e con una stagione primaverile già avanzata. Purtroppo nel giro di qualche ora dobbiamo ricrederci: all’avvicinarsi delle montagne, l’acqua comincia a trasformarsi in nevischio, poi in neve e il paesaggio diventa invernale. La strada imbiancata s’inerpica per tortuose asperità e l’ambiente diventa sempre più impervio. Nel tardo pomeriggio raggiungiamo un minuscolo villaggio di nome “Tabant” che ci ospiterà per la notte. Con una certa curiosità prendiamo contatto con la realtà locale. La visione è davvero suggestiva: gli abitanti, come dei fantasmi, vagano avvolti in curiosi “caffettani” marrone o blue dai grandi cappucci che, se non fosse per il differente colore, richiamerebbero alla memoria la fisionomia degli appartenenti al Ku-Kux-Klan o alcuni personaggi di “guerre stellari”. Continua a cadere la neve e la nebbia trasmette una sensazione di mistero.
Dopo un lungo giro, il freddo sempre più intenso c’induce ad una ritirata strategica nell’abitazione dove pernotteremo. Qualche apprensione nasce, quando ci rendiamo conto che le case sono tutte costruite con grossi mattoni di terra argillosa compressa. I piani sono sostenuti da travoni di legno. La nostra guida ci tranquillizza e per distrarci c’insegna i segreti della degustazione del the berbero. L’abilita’ infatti e’ quella di riempire i bicchieri tenendo in alto la teiera come se si dovesse innaffiare una pianta. In tal modo il the versato schiuma e sembra più buono. Provo anch’io e innaffio il tavolo. Luca invece è molto più bravo. Prendiamo contatto con la nostra dimora notturna: più che letti sembrano dei lunghi e stretti “catafalchi “ addossati alle pareti che fungono anche da divani.Ricordano i giacigli dove erano adagiati gli imperatori romani deceduti e prima di essere bruciati sopra le cataste di legna. Dopo la cena, la stanchezza è tale che riusciamo a addormentarci in ogni modo senza grosse preoccupazioni anche perché l’altezza dal pavimento non è molto elevata e quindi a prova di fratture da caduta. A scanso d’equivoci, Rosanna ed io preferiamo trasferirci a dormire sul pavimento tappetato e probabilmente più morbido del locale adiacente.
Domenica 22 Contrariamente alle attese, la giornata si apre con un bel sole che fa esaltare il candore delle montagne ammantate di neve.
Sliman c’informa che purtroppo dovremo fermarci in questa zona un altro giorno nell’attesa che il passo sia transitabile senza pericoli. Onde smorzare la nostra ansia di iniziare il trekking così da lungo tempo pianificato, la guida berbera ci propone di fare una breve escursione per visitare il luogo ove sarebbero presenti orme di dinosauri.
Iniziamo finalmente a camminare lungo una strada sterrata e dopo circa una mezz’ora affianchiamo un piccolo cimitero mussulmano ricoperto quasi completamente dalla neve. Se non fosse per l’informazione ricevuta e per la presenza di alcune pietre infilate nella terra,il tutto passerebbe inosservato: non un nome, non una data o una foto ma solo la curiosa posizione delle pietre che servono a identificare il sesso delle persone sepolte. A Marco si staccano le suole degli scarponi e cammina come se avesse le “ciabatte” ai piedi; con il suo passo cadenzato interrompe il silenzio del luogo.
Raggiungiamo la zona archeologica che si presenta recintata da muraglioni. Alcuni bambini ci osservano incuriositi e Marco come un Babbo Natale comincia la copiosa distribuzione delle caramelle e pennarelli portati dall’Italia.
Un gran cartello illustra luoghi e date. Le orme si trovano sulle rocce antistanti e i più scettici le potrebbero interpretare come buchi a forma di zampa creati dalla erosione delle acque. Noi fingiamo d’essere interessatissimi per non deludere in nostro Sliman che nel rientro ci fa camminare lungo fangosi sentierini tra canali e campi coltivati. Raggiungiamo finalmente il villaggio che rispetto all’immagine spettrale della sera precedente, si è riempito di vita. E’ domenica ed è giornata di mercato. Incontriamo i muli curiosamente “parcheggiati” sui pendii scoscesi, mentre la strada è utilizzata come un lungo bancone per esporre le più diverse mercanzie. Si trova un po’ di tutto ma ortaggi, frutta, cus-cus, olio e scarpe usate sono i generi più “gettonati”. Marco ha la fortuna di trovare un provvidenziale collante che gli risolverà il problema degli scarponi.
Nel pomeriggio, Sliman decide di portarci in una valletta adiacente alla nostra, ove sulla cima di un’aspra collinetta è situata una singolare costruzione circolare simile ad una fortezza. Una volta era adibita ad abitazione e granaio. All’ingresso, un anziano custode con barba bianca avvolto nel suo caffettano con tanto di turbante, c’invita a versare un obolo per poter godere del bellissimo panorama circostante: deve aver sicuramente imparato dal turismo svizzero. Dopo la “tassazione forzata”, ci offre in compenso la possibilità di visitare anche l’interno(buio) e ci porta del the versato nei consueti bicchieri riciclati che cortesemente rifiuto. Un gruppo di ragazzi in vacanza ci raggiunge in vetta rallegrando così questo luogo solitario.
Una ripida discesa e l’attraversamento di un campo fangoso abbreviano il rientro per la cena. Mi affretto a consegnare al cuoco una decina minestrine liofilizzate facendogli capire che avremmo gradito la loro degustazione. Contrariamente alle attese, ci viene invece servita per il secondo giorno consecutivo una zuppetta di color giallo canarino dall’aspetto e dall’odore non molto accattivante. Giorgio preferisce mettersi a dieta.
Sliman, dopo la brodosa cena integrata con cus- cus e un miscuglio di verdure non meglio identificate, ci annuncia il cambiamento di programma perché i sentieri in alta montagna sono ancora impraticabili per la troppa neve.Speriamo almeno che la nuova decisione possa essere di nostra soddisfazione.
Lunedì 23 Aprile I timori per un peggioramento climatico sembrano svanire. Ci alziamo ed il sole trasmette un grande ottimismo nell’attesa di iniziare finalmente il sospirato trekking.
Caricati i muli cominciamo a camminare, inizialmente seguendo la strada e poi lungo un sentiero in rapida ascesa. Il verde dei mughi, la terra rossa e lo sfondo pennellato dalle montagne imbiancate, incorniciano un panorama da cartolina. Sembra si stiano creando le condizioni per un’escursione davvero fantastica.
Dopo circa tre ore abbiamo la sorpresa di incontrare il gruppo logistico che anticipa il nostro arrivo per preparare il pranzo-picnic. Purtroppo le cose belle durano sempre poco. Il tempo di rilassarci un attimo e il cielo azzurro è offuscato dall’avvicinarsi di nuvole minacciose. Le prime gocce di pioggia si trasformano rapidamente in diluvio e poi in grandine. Siamo rientrati nuovamente nell’inverno. Camminiamo ma la pioggia incessante e il freddo c’impediscono di continuare. Una tettoia offre un po’ di tregua poi la pioggia rallenta, riprendiamo a muoverci e nel primo pomeriggio raggiungiamo un piccolo villaggio ove la presenza di una “gite de montagne” si dimostra provvidenziale per ospitarci e risollevare il nostro morale con una piacevolissima merenda berbera a base di the, pane e olio locale. La “mangereccia consolazione “ non impedisce di trasmettere però il nostro disagio alla guida: quella che si doveva presentare come un’escursione in montagna tra le alte vette dell’Atlante, si stava trasformando in camminate agricole, sotto la pioggia e in mezzo al fango. Martedì24 Aprile.
Lo stato d’insoddisfazione è percepito da Sliman che annuncia il programma della giornata: inerpicarsi per raggiungere una valle collaterale ove è presente un grande lago e delle gole tra le montagne.
L’escursione sembra interessante perché finalmente potremo cominciare a “salire”…Anche il tempo si è rimesso nuovamente al bello. Usciti dall’abitato seguiamo il sentiero che s’inerpica rapidamente tra cespugli spinosi. Superate le prime asperità il percorso perde la sua identità e diventa completamente sassoso. Continuamo a camminare e poi ad arrampicarci su un pendio con l’agilità’ degli stambecchi, chiedendoci dove la nostra guida ci stia portando. Non avendo la più pallida idea in merito, comincio a pensare che le gole si trovino dalla parte opposta di quel rilievo montuoso, ma mi sbaglio. La pendenza diventa più sensibile, il terreno costellato da grossi sassi e il caldo insopportabile. Giunti a quota 3000 ci fermano e nessuno ha il coraggio di chiedere cosa siamo venuti a fare in quel luogo piacevole solo per le capre. Non riusciamo neppure a gustare la sosta perché il vento èinsopportabile. Decidiamo di scendere subito prestando attenzione a non “volare” tra i sassi perché il terreno è molto accidentato. In lontananza vediamo il lago che raggiungeremo dopo aver attraversato un’ampia distesa desertica, forse la più bella di tutto il trekking in Marocco. Nei pressi dello specchio d’acqua, vicino ad un rifugio fatiscente incontriamo il nostro gruppo logistico che ci attende per il consueto pic-nic. In lontananza altri escursionisti costeggiano il lago.
Il rientro avviene seguendo un percorso più agevole e nel tratto finale attraversando delle piccole “gorge” asciutte. Abbiamo camminato per oltre 8 ore come i camosci. La prossima volta eviterò di esplicitare le mie aspettative per l’alta montagna a Sliman. Mercoledì 25 Aprile Mentre in Italia si festeggia la giornata della liberazione, lasciamo di buon ora la “gite” per rientrare al punto d’arrivo della prima sera. Mi sembra di partecipare al gioco dell’oca, ma me ne guardo bene dal dirlo alla guida. Benché il tratto sia in piano, il percorso è abbastanza faticoso perché il ritmo molto sostenuto. Sliman ha innestato il “turbo” e noi dobbiamo allungare il passo per poterlo seguire. Lungo la strada incontriamo anche un gruppo di trekkers francesi che vanno nella nostra direzione. Loro sono fortunati perché essendo più numerosi, possono mantenere un’andatura più lenta. Il tempo di fermarsi a fotografare una cicogna e proseguiamo con le ali ai piedi. Per l’ora di pranzo raggiungiamo la meta. In meno di cinque ore, abbiamo percorso oltre 16 chilometri, soste comprese.
Nel tardo pomeriggio siamo invitati nell’abitazione del nostro cuoco che abita proprio in questo villaggio. Ci attende una gustosa merenda a base di marmellata, miele, frittelle e pane intinto nell’olio che assaporiamo seduti su dei bellissimi tappeti e in una casa molto accogliente.
La pancia satolla ci aiuta a dimenticare per un attimo le fatiche della giornata . Prima di cena riusciamo anche a fare pur con qualche difficolta’, una doccia calda in una tinozza grazie all’interessamento di Sliman che ci accompagna da un suo conoscente. Marco, il quarto a sperimentare la beauty farm berbera, si lava con l’acqua ghiacciata mitigata dal tepore di quella ancora presente nella tinozza e così la sua doccia si trasforma in pediluvio. Ci troviamo presso l’abitazione di un berbero che dopo aver incassato l’obolo ci offre molto gentilmente anche del the.
Alla sera, a cena, niente minestrina italiana ma il solito intruglio di verdure con cus-cus che i marocchini chiamano “tagjne”. Piace molto a Rosanna, Luca e anche Marco ne va pazzo: prima della fine del nostro viaggio comprerà la curiosa pirofila di creta a forma di coppa rovesciata necessaria per cucinare questo piatto tipico. La notte la trascorriamo in tenda abbandonando così il ricordo dei nostri giacigli a catafalco. Giovedì 26 Aprile Il giro dell’oca continua. Ripercorriamo la valle e la strada dell’andata. Fortunatamente oggi la guida cammina con più lentezza e non dobbiamo faticare per starle dietro. Per ravvivare il percorso e renderlo più “ruspante”, passiamo attraverso coltivazioni di granoturco, saltiamo canaletti d’acqua e assaporiamo la visione di bellissimi meli in fiore. Qua e là le consuete case berbere tra qualche pianta e cespugli verdi incorniciati dal bel colore rosso del terreno. Superata lateralmente una collina dominata da altro granaio circolare, siamo affascinati dalla visione di due bianche cicogne; quella più vicina a noi, sul prato, disturbata, s’invola nel cielo. Riprendiamo fiato e dopo una breve sosta, cambiamo finalmente direzione verso una valle che si snoda alla nostra sinistra, attraversiamo un torrentello e raggiungiamo un terrapieno ove il nucleo logistico sta preparando il pranzo. Marco è rapinato dalle ultime caramelle: la voce si è ormai diffusa nella valle… E il nostro Babbo Natale fatica non poco ad emergere dalla nuvola di scolaretti che rientrano da scuola. Nei pressi assistiamo anche alla costruzione di una casa berbera. Due uomini, a turno trasportano su trabicolanti scale di legno la terra che servirà all’innalzamento del muro perimetrale dell’abitazione.
La povertà di questo luogo fa correre il nostro pensiero al contrasto con la sfarzosità urbanistica e sociale di Marrakech.
Dopo il “lunch” siamo informati che il trekking contrariamente alle attese, si accorcerà di un giorno: all’indomani ci verrà a prelevare un “minibus” per riportarci a Marrakech. In assenza di spiegazioni al riguardo, rimaniamo disorientati e amareggiati; non riusciamo neppure a metterci in contatto con il responsabile dell’agenzia organizzatrice. Conosceremo in seguito la causa, legata ad un disguido organizzativo. Una breve escursione sul pendio opposto della valle conclude il pomeriggio nell’attesa dell’ultima cena campestre e prima di raggiungere le tende per la notte.
Veneri 27 Aprile La sveglia è all’ora consueta nonostante che il percorso per il” meeting point” sia abbastanza breve. In circa due ore raggiungiamo, infatti, il vicino villaggio ove ci attende il minibus. Poco dopo arrivano anche i muli e così dopo l’ultima foto e il saluto allo stalliere, al cuoco, carichiamo i bagagli e ci avviamo verso Marrakech raggiunta nel pomeriggio.Un ultimo goodby anche alla nostra guida e poi il congedo definitivo. La serata si termina con una splendida cena sulla terrazza di un ristorante che domina la “Grand place”.
Sabato 28 Aprile Dedicheremo la giornata a fare i turisti e conoscere meglio questa città. Iniziamo la mattinata prendendo al volo un autobus” Sightseen” che permette di orientarci al meglio sulle attrazioni turistiche da vedere. Al secondo giro, scendiamo e iniziamo la visita più approfondita: i giardini della Menara ci obbligano a camminare ancora come dei trekkisti, poi raggiungiamo le “ Tombe di Sadiem”un tetro mausoleo che conserva intatte alcune cappelle costruite in stile arabo. Molto più affascinante invece il “palazzo di Bahia”: per raggiungerlo dobbiamo utilizzare tutte le nostre capacità intuitive ostacolate dal dedalo di vie che percorriamo. Luca cammina spavaldo come una vera guida locale, ma in breve deve ”gettare la spugna”. Un marocchino si offre di accompagnarci per un tratto di strada e ci fa perdere altro tempo e soldi. Nonostante tutto, a fatica, raggiungiamo il palazzo il cui ingresso si presenta abbastanza deludente. All’interno invece la visione è davvero unica: sale luminose con pavimenti a mosaico e variopinti soffitti a disegni geometrici. Al centro del complesso, un rilassante chiostro ombreggiato da numerose palme. Abbiamo fame e in assenza di ristoranti locali senza mosche, preferiamo consumare il pranzo in compagnia delle api in una pasticceria che espone dolcetti, un vero paradiso per dei golosi come me. Nel pomeriggio ci concediamo un po’ di riposo e saliamo su un altro bus” Sightseen” che ci porta a vedere i dintorni di Marrakech dominati da un enorme palmeto esteso per numerosi chilometri alla periferia della città.Unico neo, la presenza di numerosi cantieri di hotel e abitazioni in costruzione che rovinano in parte la bellezza di questi luoghi.
Domenica 29 Aprile Si decide di girovagare ancora a piedi per la città lasciando le future ultime due giornate del nostro soggiorno in Marocco, alla visita dei dintorni che faremo con una macchina a noleggio.
Usciti dall’albergo, ripercorriamo il lunghissimo viale Mohamed V che porta alla” Grand Place” ove troviamo un traffico intensissimo. Oggi dedicheremo la giornata allo shopping inoltrandoci nei suk ove i negozianti sono pronti ad offrire i loro ricordi regalo. Ci troviamo immersi nella folla con altre migliaia di turisti e tutti siamo attratti dagli sfavillanti oggetti esposti con rara maestria sulle pareti dei negozietti, dai tessuti ai piatti, dalle variopinte pantofole berbere, alle lampade impreziosite dai vetri opalescenti. La coreografia è infine completata dalle spezie colorate artisticamente collocate a piramide sui banchetti. Girovagando senza meta tra questi labirinti commerciali raggiungiamo casualmente una piazzetta frequentata dalla popolazione locale. Nel mercato si vendono prevalentemente tessuti e chincaglieria per la casa. In un angolo, un marocchino vende tartarughe, un genere che da noi è “protetto” e di cui è assolutamente vietato il commercio. Rientriamo in albergo con la nostra spesa fatta di spezie, monili, teiere, borse e pantofole.
Lunedì 30 Aprile Noleggiata un’auto, programmiamo di giungere ad Onzazade, un lontano villaggio ai piedi del deserto Sahariano. Il percorso, inizialmente pianeggiante, in prossimità dei primi rilievi montuosi s’inoltra attraverso strette gole sino a raggiungere un valico che con i suoi 2000 metri è il più elevato dell’Atlante. Il paesaggio è piacevole. I piccoli sussulti dell’auto e le curve favoriscono il dolce sonno di Rosanna più interessata al riposo che all’affascinante panorama. Il traffico è in pratica inesistente e quindi la guida abbastanza veloce. Durante l’attraversamento di una zona semi desertica, offriamo un passaggio ad un giovane automobilista marocchino rimasto “in panne” con la sua auto. La compagnia è simpatica perché ci permette di parlare in francese e conoscere cose interessanti sul Paese e l’attività’ di questo ragazzo. Lui esercita la professione del “carovaniere”, lavoro che svolge prevalentemente durante i mesi invernali trasportando con i cammelli, manufatti dell’artigianato berbero raccolti nei villaggi nel deserto.
Raggiungiamo Ourzazate sotto un sole accecante che irradia una luce intensissima sulla Kasba la piu’ importante attrazione turistica del villaggio. La costruzione si presenta con la forma di una fortezza costruita a difesa delle abitazioni berbere collocate al suo interno. Cominciamo la visita, ma la visione del luogo ci appare subito un po’ deludente: pur mantenendo le modalità originarie, la costruzione è stata completamente rifatta e i locali interni sono desolatamente vuoti o arredati unicamente per la vendita di oggetti dell’artigianato locale e quadri di dubbia piacevolezza.
Durante il percorso di rientro abbiamo l’opportunità’ di visitare un’altra Kasba che è raggiunta con una breve deviazione dell’itinerario. Il sito si trova nei pressi di un piccolo villaggio di nome Teulet dove in prossimità delle prime abitazioni alcuni custodi abusivi c’invitano a parcheggiare l’auto ma senza ottenere gran successo.
Tra i vecchi ruderi e gli scheletri delle case circostanti, raggiungiamo a piedi la tetra fortificazione che appare ai nostri occhi nel suo carattere originario e fatiscente. Appollaiate sui camini, delle bianche cicogne ci osservano dall’alto. All’ingresso un simpatico guardiano ci accompagna nella visita e possiamo ammirare la pavimentazione fatta da preziosi mosaici; sopra di noi i soffitti abbelliti da artistici stucchi in stile moresco e dai piani superiori un piacevolissimo panorama sulla valle circostante che osserviamo da una finestra ornata con una cornice di ferro battuto. L’atmosfera, molto affascinante, fa rivivere momenti di storia passata…Riuscendo ad incantare anche il nostro Marco che per meglio immedesimarsi nel vissuto del luogo decide di acquistare e indossare il caratteristico copricapo berbero di colore azzurro.
Il travestimento è così realistico da richiamare in seguito anche l’attenzione della polizia stradale che durante il viaggio di ritorno fermerà l’auto per verificare la reale identità del nostro driver, per l’occasione ribattezzato “Mustafa’”.
Martedì 1 maggio Desideriamo trascorrere la giornata festiva, recandoci al mare, sulla costa atlantica. La meta della nostra ultima escursione è Essaouira, un grande villaggio di pescatori a due ore di macchina da Marrakech.
Il luogo ci appare subito in tutto il suo splendore: l’azzurro del mare si confronta con il bianco delle abitazioni, protette da un’alta e lunga cinta muraria All’interno del villaggio i caratteristici negozietti che offrono l’occasione per fare gli ultimi acquisti prima del rientro Italia.
Allo scopo di festeggiare la ricorrenza è in corso una manifestazione che obbliga a seguire percorsi alternativi utili però a scoprire angoli pittoreschi di quest’abitato: piazzette, vicoli e mercatini.
L’ora di pranzo si avvicina e offre l’occasione per gustare degli ottimi piatti a base di pesce cucinati alla griglia nel piazzale antistante l’area marina e dove alcuni improvvisati tendoni fungono da ristoranti pic-nic offrendo un provvidenziale riparo dal vento; gli Alisei investono, infatti, tutta la zona sferzando le spiagge sabbiose aggredite da onde spumeggianti. Il clima ventoso impedisce però di prolungare la nostra permanenza sul lungo mare obbligandoci a rientrare anticipatamente anche perché a conclusione della giornata ci attende una gustosa cena berbera preparata da Brahim, l’operatore turistico che desidera scusarsi per i disguidi organizzativi subiti durante il trekking.
Il viaggio in Marocco ha sicuramente rappresentato un’interessante esperienza che ha permesso di conoscere nuovi paesaggi e culture. Sfortunati nella nostra escursione alpinistica, siamo stati invece premiati dalle splendide giornate vissute a Marrakech con la sua magica atmosfera berbera anche se in parte rovinata dall’eccessivo sviluppo urbanistico /alberghiero.
Rimane inoltre il vissuto di un bellissimo viaggio ma anche purtroppo il ricordo dei sensibili contrasti economici e sociali tra la grande e ricca città le zone più tipicamente berbere della periferia agricola e di montagna.
bertolani.Giorgio@libero.It