Quattro in punto: Cronaca semiseria di un viaggio
La risposta non la conosco, ma posso raccontare come e perché quattro esemplari umani, equamente divisi nei sessi, hanno deciso di entrare in un’automobile, di marca Fiat e di nome Punto, e percorrere più di cinquemila chilometri diretti verso la capitale Turca, Istanbul, attraversando la ex Iugoslavia e tornando dalla penisola Greca. Complice un blocco note dalla copertina nera sul quale lasciare le proprie impronte, briciole di pane che serviranno ad unire i ricordi.
Quattro in punto Cronaca semiseria di un viaggio 1 GIORNO 20/07/02 Cominciamo male. Una colica improvvisa, frutto dell’ennesima cena pesante anticipata da una merendina pesantissima, abbatte Tom, il nostro più valoroso componente, e ci obbliga a spostare di alcune ore la partenza.
L’appuntamento è alle prime luci dell’alba. Obbligo maglietta con sponsor “Cigole in Festa” per i maschi e, a causa delle ristrette misure del baule, valige morbide per tutti. La valigia di Simo è rigida. Non sto ad elencare le “bestemie” dell’amico Tom che, con grande abilità, riesce ad infilare tutto incastrando perfettamente i bagagli come pezzi di un puzzle impossibile.
Infilata l’A4, direzione Trieste, passiamo le prime ore in strada per ambientarci nel guscio metallico che ci ospiterà per i prossimi chilometri. L’autostrada è trafficata e a Mestre la situazione è apocalittica: un’ondata di mezzi, grandi, piccoli, bianchi, colorati, lucidi, imbrattati, costretti ad infilarsi in due strette corsie come un grosso fiume in piena in una cannuccia di plastica. Superiamo il budello e, dopo una breve sosta “pipì” in un piccolo bar/distributore sotto un cavalcavia, affrontiamo la prima frontiera: ITALIA/SLOVENIA Qui assistiamo ad un leggerissimo tamponamento tra due auto guidate la prima da due ragazze e la seconda da un incazzatissimo tedesco in Audi che pretendeva, dal tono della voce e dai gesti, di avere la ragione dalla sua parte. Dopo aver abbassato del tutto il finestrino, Simo non rinuncia ad appellare ad alta voce il burbero germanico con un colorito “Porsel” sicura di passare inosservata, cosa che risulterà falsa, visto il ghigno minaccioso che il tipo gli indirizza.
Passata la frontiera, in territorio Sloveno, si ripresenta uno degli appuntamenti classici del nostro viaggio: la pausa “pipì”. Scopriamo che Simo, o meglio la sua vescica, è facilmente stimolata dalle vibrazioni dell’automobile e chiama spesso la pausa nei luoghi più impensati. In questa occasione, le due donne Nata e Simo, in fila davanti alla toilette, notano sul fondo del piattino delle offerte, destinate al personale della pulizia, un biglietto semicoperto dalle monetine con la scritta “Bastardo ladro”. L’idea di rivincita anticipata indirizzata all’eventuale mano lesta ci diverte moltissimo, quasi quanto le difficoltà di Simo a ricaricare il credito del suo telefonino con il numero impresso sulla tessera appena acquistata. Il panico “tecnico” rende l’operazione difficilissima ma l’intervento di Tom, leggero come un elefante che vuole entrare nella cuccia del cane, permette alla Simo di utilizzare il suo cellu per i prossimi giorni. Proseguendo verso Ljubljana, notiamo insieme l’ottima qualità delle autostrade e la natura rigogliosa che le avvolge, fonte di un profumo “di verde” che ci accompagnerà finché le nostre narici non lo codificheranno per sempre. Al passaggio di alcune macchine con appesi agli specchietti dei palloncini colorati, intuiamo che siamo alla coda di un corteo nuziale. Parte la caccia alla sposa che consiste nel cercare, all’interno di ogni auto, abiti bianchi o veli svolazzanti. Raggiunta la preda, il prezioso esemplare di femmina slovena appare della migliore specie e un cenno di mano come segno di gratitudine al nostro strombazzare ci rende felici.
Sono passate poche ore e solo alcune centinaia di chilometri, ma gli stimoli sono già tantissimi e prevediamo che il viaggio ci regalerà tante sensazioni nuove. Non nuovo è lo stimolo della fame, causa principale della pausa “panino”. Approfittando della nostra distrazione nell’atto della scelta dell’imbottitura, Simo si apparta dietro un albero per il solito “bisogno” ma nell’atto della vestizione mostra, senza volerlo, a me e ad un ragazzino che attendeva annoiato sulla macchina alle prese con un Game Boy, la parte che meglio la rende dell’altro sesso. Immaginate le fantasie attribuite al giovane e come il fatto sia diventato presto uno dei tormentoni del nostro viaggio.
Superiamo con facilità anche la seconda frontiera, quella tra Slovenia e Croazia, e notiamo come in quest’ultima sia iniziata una politica di ricostruzione basata sul turismo. Al passaggio di ogni automezzo, due giovani ragazzi con maglietta e cappellino “made in Croazia” distribuiscono materiale pubblicitario dedicato a chi vuole passare le proprie vacanze in questa piccola nazione. Il mio tentativo, in un improbabile inglese, di scambiare la mia maglietta con quella della ragazza immagine, è liquidato da un semplice “No”.
Attraversiamo velocemente la Croazia incontrando diversi incidenti anche gravi, frutto della stanchezza dei guidatori turco/tedeschi in viaggio da molte ore verso la loro terra natale.
Mentre il sole comincia ad abbassarsi alle nostre spalle, variando il colore delle cose ed allungando le ombre davanti a noi, il traffico si fa più intenso fino al formarsi di un’interminabile coda, ferma senza nessun motivo apparente. Siamo ad un trentina di chilometri dalla frontiera Serba e l’asfalto taglia di netto una foresta fittissima.
I visi scuri, stanchi e provati da un viaggio lungo e non ancora finito, delle persone che sostano fuori dalle proprie autovetture, ci racconta la loro storia fatta di emigrazione, lavoro, famiglia, integrazione e ritorno, seguendo il cordone ombelicale mai tagliato che conduce alla madre patria.
Un camionista, appena finito le manovre di inversione, incrociandoci urla in una lingua irriconoscibile delle frasi dal significato unico: frontiera di Sesvete bloccata, due giorni di attesa per passare in Serbia, tornare indietro, Vukovar, Vukovar. Dopo un attimo di smarrimento, decidiamo istintivamente di seguire il consiglio dello sconosciuto. Torniamo indietro per alcuni chilometri e, con il sole negli occhi, cerchiamo la nuova strada in direzione Vukovar.
Armando ci invia un sms per sapere a che punto siamo. Questa è la risposta: “Frontiera bloccata, tentiamo passaggio più a nord… strade di campagna tra villaggi dimenticati dal tempo… segnati dalla guerra”.
La verità è che questa deviazione ha dato la svolta decisiva al viaggio. La piccola strada secondaria in direzione nord, parallela e a pochi chilometri dal confine serbo ma in territorio croato, lontana dalle grandi autostrade noiose e saporifere è stata la vera rivelazione. Il passaggio solitario in piccoli paesi abitati solo da vecchi, donne, e bambini, persone indaffarate nelle ultime faccende prima che il sole cali, oppure sedute davanti a case violentate da chissà quali armi. La realtà sconosciuta e forse solo immaginata appare senza preavviso, senza nessun avvertimento. Una terra ferita che tenta di tornare alla normalità, un popolo vittima di una macchina del tempo infernale ma cosciente del proprio orgoglio. La vista del grande fiume blu, il Danubio, ci indica di proseguire verso est affiancandolo, verso la piccola frontiera croato/serba.
Sono ormai le 20,00 quando arriviamo.
Prepariamo preoccupati i nostri passaporti vistati, unico mezzo per permetterci il passaggio. Dopo una lunga attesa, anche se ci precedevano solo due macchine, la benedizione dei doganieri arriva ed entriamo finalmente in territorio serbo.
Felici e stanchi, anche se mancano ancora diversi chilometri alla prima tappa, proseguiamo verso Novi Sad, la città che ci ospiterà per la notte. La scelta non è stata casuale, anzi, dopo Istanbul, Novi Sad era la seconda tappa fissa. Il motivo è presto detto: da una lettura ispirata abbiamo appreso che la città è abitata da donne bellissime, quindi… Arriviamo distrutti, ormai al buio, e con difficoltà troviamo l’hotel Vojovodina, vecchio albergo dai grandi lustri passati, sito in pieno centro. Conclusa la peripezia del parcheggio, complicata da un nervosismo generale, e dopo aver riposto i bagagli in camera, cerchiamo un locale dove festeggiare degnamente il nostro primo giorno di viaggio. Dopo vari tentativi e negazioni, vista l’ora tarda, con grande intuizione ci sediamo al bar “La lanterna”. Birra ottima, speciale, meritevole di bis, spuntino gustoso, prezzi irrisori e, intorno a noi,…Le magnifiche, le stupende, le incantevoli, le regine. Le leggendarie, ma ora reali, donne di Novi Sad. Se dopo aver letto il primo capitolo, vorrete proseguire il racconto del viaggio, mandatemi un’e-mail con il soggetto VOGLIO VIAGGIARE.
Magicamente nella vostra casella di posta, ad intervalli non regolari, senza nessun preavviso, troverete il modo per farlo.
Al contrario, scusate il disturbo.