Quando il mare non porta più oro, ma solo umidità
Lisbone sorge, lungo la riva del fiume Tago (in portoghese Tejo), arrampicata su sette colli. La zona centrale, la vecchia zona del porto commerciale (Baixa, Restauradores), fu distrutta nel ‘700 da un terremoto ed è stata ricostruita con ordine maniacale intrecciando ampie strade che si incrociano ad angolo retto, in parte pedonalizzate in parte percorse da tram nuovi o tradizionali. Vi si affacciano molte pensioni discrete, quasi sempre senza insegna, qualche trattoria, pasticcerie e diversi negozi locali, talvolta con le facciate in legno pitturato all’inglese, ricoperte di ceramiche colorate (i tipici azuleijos) o con portali liberty in ferro battuto. Sulle piazze principali (Rossio, da Figueira), lastricate con cura con sampietrini grigi o bianchi intervallati da bei disegni geometrici neri e da fontane buie, si affacciano vecchi cappellai, librerie antiquarie, negozi di abbigliamento senza troppe pretese, una pescheria, un McDonald’s, i banchetti di qualche venditore ambulante di biglietti della lotteria e le stufe fumose dei venditori di castagne. L’entroterra è, invece, composto da ampi boulevard, da piazze ariose, da rotonde e da giardini stile Trocadero su cui si affacciano alberghi di lusso a venti piani, e un’infinita selva di palazzi popolari che spuntano come funghi sui colli e che si distinguono dai palazzi delle capitali dell’est Europa, di cui condividono in parte l’atmosfera, per i vezzosi inserti di piastrelle colorate.
La zona più prettamente turistica della città, Bélem, si trova invece a una manciata di chilometri dal centro lungo la riva del fiume Tago. Vi si possono osservare la splendida torre di Bélem, il monumento ai navigatori ed il monastero di Jeronimo con all’interno quello che è forse il luogo più bello di Lisbona e cioè la magnifica chiesa in cui è custodita la tomba di Vasco da Gama, l’esploratore che fondò coi suoi viaggi l’impero coloniale, cui il complesso fu dedicato. Questa zona monumentale, in parte vecchia in parte nuova, è (insieme agli interni spesso carichi di oro) la vetrina della città: un’area grandiosa, com ampi giardini all’inglese, in cui la ricchezza del vecchio impero coloniale e l’epica dell’esplorazione è esibita senza posa.
La vera Lisbona, però, sorge nei vicoli intricati che si arrampicano lungo i colli (Alfama, Chiado, Bairrio Alto). E’ in queste strade, che salgono tortuose e un po’ losche dal fiume, che l’anima portuale di Lisbona emerge: un’anima portuale e popolare, resa autentica dalle facciate pitturate con colori pastello spesso screpolate dall’umidità. In tutto ciò c’è una sorta di magnetismo strano: è veramente facile perdersi con lo sguardo tra gli strati di palazzi e di umili case, le facciate provate dal tempo e dal vento che si susseguono una sopra l’altra, tra palme altissime ed alberi di agrumi, e tra i tetti di cocci rossi rivestiti d’inverno da spessi strati di muschio verde. Quest’anima marinara, i vicoli disordinati e quasi mediterranei che risentono delle antiche influenze more, è però smentita dal silenzio che domina la città. Dove sono gli abitanti di Lisbona, dove il vociare e le urla dei vicoli e dei porti che siamo abituati ad immaginare? I vicoli della città, le facciate cariche di panni stesi, di piante e di condizionatori, sono infatti in gran parte deserti. Qualche anziano, furtivo, compare alla finestra o nei portoni, e qualche studente bighellona per la città; per il resto, però, questa capitale portuale è una città in gran parte silenziosa. Contrariamente ad ogni città portuale, non si vedono nemmeno gatti e cani. Tutto ciò, il contrasto tra i vicoli caldi ed i panni stesi di quella che fu per decenni una pulsante capitale portuale e coloniale, ed il silenzio, spoglio e minaccioso, di questi stessi antichi sobborghi urbani, trasmette nel viaggiatore un senso di mancanza e di vuoto. L’aria nostalgica che si respira in questa città, di cui molti parlano, sta forse proprio in questo senso di incompletezza allo stesso tempo naturale e placida. Ed anche il turismo, in città, sembra poggiare oggi su questa malinconia fatta di tram sferraglianti, coi loro binari lucenti sotto i rapidi scrosci di pioggia ed i fili sospesi che creano una splendida ragnatela smagliata, e di vecchie pasticcerie con i tavolini in legno e l’aspetto per nulla sofisticato e genuinamente portuale.
Uno dei posti migliori per osservare la città è il Castello, posto sul colle ad est del centro. Vi si arriva arrampicandosi lungo le stradine tortuose e lastricate, passando a fianco del vecchio quartiere arabo dell’Alfama, e dai bastioni è possibile abbracciare con un sguardo l’intero centro. Si può osservare il grande ponte sul Tago, con i tiranti in stile americano, e la statua del Cristo a braccia aperte che protegge la città da lontano. Si possono osservare i tetti delle case, rossi, e le facciate piastrellate color turchese o smeraldo o al contrario dipinte a tinte tenui, che si accumulano le une sulle altre in innumerevoli piani. Si possono osservare le piazze squadrate e lastricate del centro, ed i giardini interni delle case un poco incolti e colorati di agrumi. Scendendo, infine, si possono ammirare anche delle splendide chiese, come la bianca cattedrale del Sé arrampicata sul colle, circondata da piante di arance e di limoni e sorvegliata da un gargoyle di pietra che sembra citare per un attimo una piccola Notre Dame.
Lisbona è la capitale di un vecchio impero coloniale piombata in un’epoca in cui gli imperi coloniali, per fortuna, non esistono più. Ed è anche una grande città portuale di commercianti e di esploratori caduta in un’epoca in cui, però, i portuali e i navigatori non solcano più gli oceani come facevano una volta. Un tempo, affacciandosi sul mare, controllava il mondo e accumulava l’oro strappato cinicamente agli “indios”; oggi, che l’assetto del potere si è voltato, il Portogallo è rimasto solo su un mare che non fa che portare perturbazioni e quell’umidità che ne sgretola i muri.
Lisbona è una città malinconica, debole, fragile, screpolata, onestamente fuori posto. Essa non fa quasi più la voce grossa, né prova a stordire il viaggiatore con luci, sfarzi, icone globali o facile esotismo. Anche se rimane silenziosa, essa non sembra vergognarsi più di tanto della propria genuinità, del proprio aspetto in fondo un po’ retrò, un po’ frusto, un po’ provinciale. Pare troppo pigra per farsi una plastica, per atteggiarsi a scintillante capitale del grossolano turismo globale. Proprio per questo, tuttavia, questa vecchia signora riesce ancora, oggi più che mai, a farsi desiderare.