Puna Argentina, un altopiano andino dalle mille sfaccettature

Il mio primo viaggio con avventure nel mondo. Il mio primo viaggio, non di lavoro, al di fuori dell’Europa: Argentina. In particolare il Nord-Ovest argentino, la Puna, altopiano andino dalle mille sfaccettature.
Scritto da: Pennywise1982
puna argentina, un altopiano andino dalle mille sfaccettature
Partenza il: 30/03/2019
Ritorno il: 15/04/2019
Viaggiatori: 8
Spesa: 4000 €
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Il mio primo viaggio con avventure nel mondo. Il mio primo viaggio, non di lavoro, al di fuori dell’Europa: Argentina. In particolare il Nord-Ovest argentino, la Puna, altopiano andino dalle mille sfaccettature. La compagnia, gli autisti/guide, i luoghi, tutto perfetto. Non avrei potuto chiedere di meglio. È stato un viaggio incredibile.

Giorno 1 – sabato 30 marzo 2019

Partenza da casa intorno alle 10. Dopo aver lasciato la macchina al comodo Central Parking di Malpensa sono giunto in aeroporto alle 11.30 con largo anticipo: la partenza del volo è programmata per le 15.15. Mangiata l’ultima pizza, nel primo pomeriggio, ho incontrato i miei compagni di viaggio: tre uomini e tre donne. Sono il piccolo del gruppo. A primo impatto, cosa che si confermerà nei giorni successivi, mi sono sembrati tutti molto simpatici. Atterraggio a Roma alle 16.30 ed incontro con la nostra coordinatrice. Decollo, alle 18.30, per Buenos Aires che raggiungeremo dopo ben 14 ore di volo!

Giorno 2 – domenica 31 marzo 2019

Alle 4.30, ora locale e quindi 5 ore indietro rispetto all’Italia, siamo atterrati a Buenos Aires. Purtroppo ad uno dei partecipanti è stato smarrito il bagaglio che che per fortuna verrà recapitato tre giorni dopo. Intorno alle 7 del mattino è partito il nostro volo per Salta, raggiunta un paio d’ore dopo. Dopo un breve briefing con il titolare dell’agenzia che ha fornito gli autisti abbiamo lasciato in Albergo, l’Inti Masi, i nostri bagagli e siamo usciti per un giro in centro. Salta è una città di medie dimensione con un ricco patrimonio storico coloniale. La vita sembra scorre placidamente ma devo ammettere che, come gran parte delle piccole cittadine che abbiamo visitato, non mi ha colpito particolarmente. Probabilmente faccio ancora fatica ad impedirmi di fare paragoni con le nostre bellissime città italiane. Oggi città andrebbe giudicata in base al contesto nel quale si trova. Dopo aver girovagato in po’ ci siamo fermati in nella in piazza 9 Luglio, che è la principale, cercando un posto dove mangiare un boccone. Ho avuto modo di provare le prime empanadas: fagottini di pasta ripieni di carne. A primo impatto mi sono sembrate buone ma, tutto sommato, si riveleranno le peggiori di tutta la vacanza. Nel primo pomeriggio abbiamo visitato il MAAM (Museo de Arqueología de Alta Montaña). Molto interessante soprattutto perché ospita le tre mummie inca trovate nel vulcano Llullaillaco. La loro storia è agghiacciante: i bambini venivano selezionati come i più puri e sani del villaggio, prelevati dalla propria casa, nutriti del cibo migliore e, dopo mesi di preparazione, condotti in cima a una montagna, a 6000 metri di altitudine, quindi sacrificati agli dei, soffocati, uccisi con un colpo alla testa o bruciati vivi. Accanto al museo vi è un interessante mercato/esposizione di prodotti di artigianato locale. Dopo un buon caffè abbiamo deciso di vedere la città dall’alto, in cima al Cerro San Bernardo dal quale si gode di un’ottima vista panoramica. Vi era la possibilità di salire con una teleferica ma abbiamo optato per una passeggiata a piedi: giunti in cima eravamo madidi di sudore! Bella comunque la vista da lassù. Ridiscesi dopo una doccia rigenerante in albergo siamo andati a mangiare una ottima parrilla (grigliata) al Viejo Jack II, distante un paio di chilometri. Il clima caldo e umido, insieme alla nottata in aereo, ci ha sfiancati. Intorno alle 22.30 eravamo tutti a letto.

Giorno 3 – lunedì 1 aprile 2019

Discreta la colazione dell’Inti Masi. Dopo aver conosciuto le nostre guide/autisti, Victor e Fredd, molto simpatici e preparati, ed aver caricato le 4×4 siamo partiti. Direzione Tilcara, provincia di Jujuy. Ci siamo addentrati in una foresta dove era programmata una breve passeggiata di circa un’ora: il Camino de Cornisa, l’antica Ruta Nacional 9, un serpeggiante percorso per la foresta subtropicale del versante occidentale della cordigliera delle Ande. Qui trova il suo habitat, tra gli altri animali, il puma, molto difficile, anzi quasi impossibile, da avvistare. Dal Camino ci siamo spostati verso la cittadina di Purmamarca. Un cammino di circa un’ora ci ha portati in cima ad una collina dove abbiamo potuto ammirare il Cerros de Los 7 Colores (La montagna dai 7 colori), la cui peculiare gamma di colori è il risultato di una complessa storia geologica che include sedimenti marini, lacustri e fluviali innalzati dai movimenti tettonici. Il punto migliore per visitarlo è da una piccola altura che si raggiunge attraverso un piccolo sentiero. È richiesto un piccolo pagamento per accedere a quest’ultimo ma la vista del cerro da quella prospettiva è stupenda. Siamo quindi ridiscesi nella piccola cittadina di Purmamarca dove è presente una chiesetta ed un piccolo centro turistico che vende prodotti artigianali. Ci siamo rimessi in cammino ed intorno ad ora di pranzo siamo arrivati a Tilcara, una piccola cittadina dalle vie molto strette, strade di terra battuta dove si getta acqua ogni tanto per non creare troppa polvere, case bianche e porte coloratissime. Il tutto è percorribile in pochi passi. La città ha l’aria un po’ trasandata ma piacevole per via di innumerevoli localini dove mangiare ed ascoltare musica dal vivo. Per pranzo la scelta è ricaduta sul kusikanki, piccolo localino dove ho provato un’ottima cotoletta di lama accompagnata da una fresca limonata.

Nel pomeriggio abbiamo fatto visita alla zona archeologica Pucarà de Tilcara. Qui, oltre alle vestigia delle popolazioni inca che hanno abitato il luogo, ho visto i primi enormi cactus, piante quinoa e amaranto e i lama con la loro faccia simpatica. Abbiamo quindi fatto una passeggiata prima di rientrare nel nostro alberghetto, Canto del Viento, molto carino, ubicato in cima ad una collinetta e con un bel terrazzino con vista sulla città. Dopo una doccia rigenerante siamo tornati a Tilcara, per cena, dove abbiamo optato per il Los Puestos. Carne ottima. Musica dal vivo un po’ invadente. Dopo cena, in un baretto, mentre gli altri prendevano un caffè io ho provato l’ Alfajor, dolcetto glassato costituito da due dischi di pasta frolla tenuti insieme da una farcia di dulce de leche.

Giorno 4 – martedì 2 aprile 2019

A 2200 metri di altezza una zanzara è riuscita a darmi il tormento la notte. Il letto comunque era comodo e grazie al silenzio la qualità del sonno è stata buona. Dopo una discreta colazione ed aver comprato della frutta siamo partiti verso Paso La Senoritas, nei pressi di Uquia, nella Quebrada della Humahuaca. Una passeggiata di un’oretta ci ha permesso di ammirare lo stupendo contrasto tra i cactus verdi e la terra rossa! Dal Paso siamo scesi a Uquia per vedere la chiesetta di San Francisco de Paula la cui particolarità è costituita dagli affreschi raffiguranti angeli armati. Ci è stato spiegato che lo scopo di tali raffigurazioni era didattico, essi spiegavano infatti come usare le armi da fuoco. Ho trovato francamente insensato il divieto assoluto di scattare foto. Risaliti in macchina ci siamo spinti a 4000 metri, al Paso del Condor, per poi ridiscendere attraverso un bellissimo precorso verso Iruya. Ho trovato questa cittadina francamente un po’ bruttina. La pioggerella che ci ha sorpresi non ha aiutato inoltre ad aumentarne il fascino. Pranzo alla Hosteria Iruya dove ho provato i primi veri piatti locali: crocchetta di quinoa, humita al plato, tamales. Gli ultimi due a base principalmente di mais. Tutto squisito.

Risaliti in macchina e percorsa la stessa strada in senso inverso dopo un paio d’ore di sterrato siamo passati dalla provincia di Salta a quella di Jujuy per vedere il Cerros des los 14 colores (Montagna dai 14 colori): l’Arcobaleno dell’Hornocal! Patrimonio Unesco dal 2003. Questa catena montuosa è talmente bella da sembrare finta, la gamma di colori va dal verde, al rosso, al viola, al rosa e al giallo. Se vista in foto potrebbe sembrare un fotoritocco ed invece è tutto reale. Strati diversi di roccia composti da altrettanti colori diversi che creano una sorta di “millefoglie” dipinta con i colori dell’arcobaleno: meraviglioso! Dopo aver scattato centinaia di foto siamo scesi verso valle per una breve visita alla città di Humahuaca con l’enorme (e di dubbio gusto), monumento all’indipendenza. Durante la strada che ci ha riportato a Tilcara abbiamo fatto sosta, per una foto di rito, presso un ceppo di pietra indicante il tropico del capricorno. Doccia, cenetta veloce a Tilcara e rientro in Albergo.

Giorno 5 – mercoledì 3 aprile 2019

A causa di un’interruzione stradale il programma previsto per oggi ha subito una variazione. Non vedremo Salinas Grande optando per altre saline nella Puna. L’alternativa proposta dalle guide è una visita a Cachi, piccola città coloniale. Per nostra fortuna la visita di Salinas Grande alla fine è stata solo rimandata e spostata all’ultimo giorno nella Puna. Smaltita la delusione le guide ci hanno portato presso il Lago Comedero, nel Parque Provincial Potrero de Yala, per una passeggiata su un sentiero che lo circoscrive, il bosque montano. La zona di per sé è gradevole, molto verde, nella quale si trovano le abitazioni estive dei vip Argentini. Nonostante tutto il luogo non ci ha particolarmente entusiasmato. Purtroppo, a causa della pioggia del giorno prima, abbiamo trovato il sentiero troppo acquitrinoso così abbiamo desistito e siamo tornati indietro. Rientrando, in direzione Cachi, piccolo stop presso il Ponte Mal Cante, nella routa 33. Dopo aver scattato qualche foto le guide ci hanno mostrato un piccolo altarino sul quale è sovrapposta una statuetta del Gauchito Antonio Gil, un personaggio leggendario della cultura popolare, definito il Robin Hood argentino. Imboccata la routa 40, bellissima, abbiamo fatto sosta per qualche foto presso la Valle del Lerma nella Quebrada de Escoipe. Gli enormi cactus, una costante per quasi tutti il viaggio, non hanno mai finito di stupirci e noi non abbiamo mai smesso di fotografarli. Il percorso ha cominciato a diventare sempre più bello fino a raggiungere la valle Calchaquies dove abbiamo fatto due stop presso la Cuesta del Obispo (Vescovo) e poi Piedra del Molino al di sopra della quale, a circa 3300 m.s.l.m. c’è la piccola chiesetta di San Raffaele. Vederla li su questo pulpito di pietra in mezzo al nulla è molto suggestivo! Riprendendo la marcia finalmente abbiamo visto i primi guanaco, molto più difficili da avvistare, almeno nel nostro percorso, rispetto a lama e vigogne. Qualche chilometro prima di Cachi abbiamo percorso la recta del Tin Tin, una strada perfettamente rettilinea, lunga 18 km e disegnata nel 1500 dagli Inca. Nel pomeriggio siamo giunti a Cachi, sonnolenta città coloniale, molto piacevole. Nel giro di un’ora la si gira di cima a fondo. Siamo quindi rientrati in Albergo, il Sala de Payogasta, nell’omonima cittadina, ricavato da un’antica fattoria. Si accede alle stanze attraverso un bel cortile interno. La vista dalla camera, direttamente sulle Ande, è stupenda. Per cena le guide si sono offerte di accompagnarci nuovamente a Cachi, distante qualche chilometro, per andare a mangiare al Viracocha. Il Lomo (filetto) alla riduzione di Malbec, ottimo vino rosso argentino, è in assoluto il miglior piatto che ho mangiato in tutta il giro: da leccarsi i baffi! Dopo una piacevolissima serata, stanchi ma ritemprati dall’ottima cena, siamo rientrati in Albergo.

Giorno 6 – giovedì 4 aprile 2019

La prima tappa della giornata è stato il Parque Nacional Los Cardones, un’immensa distesa di cactus giganti. In programma avevamo un trekking di un’ora nel quale, oltre a scattare innumerevoli foto, siamo riusciti nuovamente ad avvistare dei guanachi. Qui una piccola chicca delle nostre guide. Ci hanno accompagnati a vedere quello che, nella loro decennale esperienza, è il cactus più grande che abbiano mai visto. Non ricordo bene ma penso si tratti di 7 o 8 metri, in ogni caso impressionante! Sebbene la vista si ripeta sempre uguale a sé stessa non è mai stancante. Personalmente avrei camminato in mezzo al parco per delle ore. Risaliti in macchina abbiamo percorso il camino de los artesanos, in realtà poco interessante e per nulla panoramico, che ci ha condotti presso un villaggio dove si producono prodotti tessili di lana di pecora e di lama. È probabilmente frutto dell’accordo tra le guide ed i commercianti. Dato lo scarso interesse generale la sosta è durata poco più di mezz’ora. Altro piccolo stop a Seclantas, cittadina piuttosto anonima e senza nulla che faccia venir voglia di girarla.

Giusto il tempo di una breve visita e qualche foto alla chiesa della piazza principale e abbiamo continuato il nostro percorso fermandoci per pranzo a El Molino. Anche questa città non è riuscita a suscitare forti emozioni. Ne abbiamo approfittato per un pic nic nel parchetto al centro della città che, come in tutte le altre piccole cittadine che abbiamo visitato, ad ora di pranzo è completamente deserto. In tutte le città che abbiamo visto ad ora di pranzo si svuotano completamente. Recuperate le energie ci siamo rimessi in macchina percorrendo, tra Cafayate ed Angastaco, la routa 40. Ci siamo prima fermati ad ammirare e scattare qualche foto ad una bella Bodega (cantina) argentina immersa nella natura quindi, percorso qualche altro chilometro, abbiamo trovato le prime enormi distese di peperoni ad essiccare al sole. Un’operazione così semplice, l’essiccatura, riesce con un forte contrasto cromatico a creare nella natura un paesaggio surreale. Qualche chilometro più avanti siamo giunti alla stupefacente Quebrada della Flechas, nella Valles Calchaquíes. Il panorama è mozzafiato, incredibile, un paesaggio lunare dove la combinazione tra movimenti tettonici e vento hanno letteralmente inclinato la formazione. Il nome deriva quindi dalle rocce appuntite che la compongono e che svettano verso il cielo come frecce. Un sentiero, percorribile in circa dieci minuti, porta ad un punto panoramico, il Ventisquero, dove è possibile ammirare dall’alto cotanta bellezza. Un’ultima sosta, prima di raggiungere Cafayate, è stato un cimitero, dall’aria spettrale in quanto nel bel mezzo del nulla. Le guide ci hanno raccontato che in passato quella dove ci trovavamo era una zona piuttosto popolosa e ricca grazie alle esportazioni di bestiame dall’Argentina al Perù. In questo contesto sono nati numerosi di questi cimiteri che poi negli anni sono stati abbandonati. Ogni anno, a novembre, nel giorno della commemorazione dei defunti vengono apposti nelle tombe dei coloratissimi fiori finti.

In serata siamo giunti a Cafayate. Lasciati i bagagli in albergo, il discutibile Arcadia, siamo usciti per andare a mangiare un boccone optando per il Macacha che ci ha colpito per la sua estetica ma alla fine non tanto per i piatti. Oltre ad una mediocre humita al plato ho tuttavia avuto modo di provare, occasione più unica che rara in tutta la vacanza, le empanadas al charqui. Questa è una carne, tagliata in strati sottili ed essiccata al Sole. È piuttosto consistenze e saporita in quanto viene conservata sotto sale quindi non amata da tutti. Dopo cena abbiamo girovagato un po’. Il paesino di Cafayate è molto piccolo, poco più di una piazza ed un paio di strade, abbastanza turistico tanto da trovare tanti alloggi, hotel, boutique, ostelli, birrerie, gelaterie e ristoranti. È molto famosa per la produzione di vino, soprattutto il bianco Torrontés. Dato il luogo, prima di rientrare in Albergo, abbiamo provato il gelato al Torrontés ed al Malbec. Trattandosi più di un sorbetto che di un gelato la cosa non è stata particolarmente entusiasmante.

Giorno 7 – venerdì 5 aprile 2019

Tra il tempo abbastanza incerto e L’Arcadia, indiscutibilmente il peggior albergo di tutta la vacanza, l’umore del gruppo ha rischiato di risentirne. Fortunatamente la minaccia di pioggia, nel corso della giornata, non si è mai concretizzata veramente. Fatta la spesa per l’Asado (fenomenale) che ci avrebbe preparato Victor per pranzo ci siamo messi in macchina in direzione Quebrada de Las Conchas, un profondo canyon scavato dall’omonimo fiume, circondato da pareti dove domina il colore rosso. Il programma prevedeva un bellissimo trekking, all’interno del canyon, che ci ha portato in un punto panoramico, la Yesera, da “gesso” minerale prevalente in queste rocce. Posso affermare senza dubbio che la yesera è uno dei posti più belli che abbia mai visto! Dal punto panoramico, attraverso un sentiero, siamo scesi a valle dove la quebrada muta in quelli che vengono chiamati “los estratos“, stratificazioni rocciose coloratissime. Si fa fatica a credere che la natura possa creare delle forme così colorate e così belle. La Quebrada de Las Conchas è un paesaggio irreale! Quasi tutto il territorio visitato fin qui è disseminato di Cairn, piccole costruzioni di pietre impilate a secco. Sono usati talvolta per segnare i percorsi ma, secondo la tradizione dei popoli Quechua, sono dedicati alla dea Pachamama, la Madre Terra. Anche io non mi sono sottratto al rito di prendere un sasso e, rigorosamente con due mani, aggiungerlo alla Pachamama. Per pranzo ci siamo fermati nel retro di un negozietto nel bel mezzo del nulla sulla routa 68, all’interno di un piccolo patio dove Victor ci ha preparato un succulento asado. Mangiare dell’ottima carne con vista sulle spettacolari alture della Quebrada è stata una goduria. Proseguendo sulla routa 68 abbiamo visto altri tre bellissimi punti panoramici. Il primo si chiama la Garganta del Diablo (la Gola del Diavolo), una stretta gola panoramica. La si può percorrere per un tratto, poi diventa abbastanza ostica ed un cartello ammonisce a non proseguire. Il secondo si chiama El Anfiteatro, un’altra insenatura, questa volta percorribile fino alla fine dove si allarga fino ad assumere appunto la forma di un anfiteatro. Sono due punti bellissimi, candidati a diventare Patrimonio mondiale dell’Unesco. Infine, attraverso un piccolo sentiero si sale, in circa dieci, minuti verso un punto panoramico, chiamato las tre cruces, giunti al quale abbiamo goduto di una vista mozzafiato. Siamo quindi rientrati a Cafayate dove, come ultima tappa della giornata, ci è stata proposta una degustazione di vini in una delle migliori cantina della città. Non sono un esperto, differentemente dai miei compagni di viaggio, ma ho trovato tutti i vini che ho assaggiato ottimi! Una passeggiata per il piccolo centro di Cafayate ha chiuso questa splendida giornata.

Giorno 8 – sabato 6 aprile 2019

Abbiamo lasciato la provincia di Salta per entrare in quella di Tucuman. La prima tappa della giornata è stata una visita al sito archeologico de la Ciudad Sagrada de Los Quilmes. Si tratta di un antico insediamento del periodo pre-ispanico. La visita parte da un museo, interessantissimo, tutto incentrato sui Quilmes. In una sala apposita viene proiettato un filmato di circa dieci minuti che racconta l’interessante storia di questo popolo. Ci si sposta poi all’esterno, dove una guida spiega come era organizzata la società e come erano fatte e venivano realizzate le abitazioni. Abbiamo dedicato un’altra ora alla visita in autonomia del sito: un insediamento inserito in un’enorme distesa di cactus. Il miglior modo per apprezzarne la bellezza è quello di seguire uno dei sentieri che portano a dei mirador (punti panoramici) dai quali si gode di una meravigliosa vista dell’insediamento dall’alto. Dopo essere passati per Santa Maria, anonima cittadina della quale non ricordo nulla, siamo giunti presso la Cuesta di Randolfo dove ho camminato, per la prima volta in vita mia, in un’enorme duna sabbiosa! Ne sono rimasto estasiato. Dopo essere rimasto per non so quanti minuti imbambolato dal paesaggio che stavo ammirando ho ridisceso la duna saltellando come un bambino. Continuando sulla strada abbiamo avvistato le prime vigogne, per me un’assoluta novità. È stato ovviamente impossibile non scendere alla macchina per scattare decine di foto. Alle 18.00 circa siamo arrivati a El Peñon, nella provincia di Catamarca, un sonnolento paesino nell’assoluto nulla. Per tutti e due i giorni del soggiorno abbiamo continuato a chiederci cosa facessero, come vivessero e trascorressero il tempo, gli abitanti di un paesino così piccolo dove la corrente elettrica viene erogata solo dalle cinque del pomeriggio a mezzanotte. Tuttora nessuno di noi ha una risposta. Poiché era ancora presto abbiamo girato un po’ per il paesino cosa che impiega al massimo mezz’ora. Sebbene dall’interno El Peñon non provochi grandi sussulti ben diversa è la situazione dal mirador, raggiungibile in una ventina di minuti attraverso un facile sentiero e dal quale si gode di una bella vista. Dall’alto ci si rende conto che il villaggio è una sorta di oasi verdeggiante immersa in un contesto roccioso. Il colpo d’occhio è davvero notevole. Preso possesso delle nostre camere siamo andati a cena presso la casa che ci ospitava. Reina, la proprietaria, è buona cuoca.

Giorno 9 – domenica 7 aprile 2019

Fatta una leggera colazione intorno alle otto del mattino ci siamo rimessi in macchina. Tutte le tappe della giornata gravitavano attorno alla Laguna di Carachipampa. Il primo stop, per qualche foto, è stato nei pressi di El volcano, dalla suo enorme forma conica nera in mezzo ad una distesa di ghiaia. Aggirato il vulcano ci siamo trovati ai piedi della Duna Blanca, immensa, maestosa. Un agevole sentiero, complice anche la temperatura mite, ci ha permesso di risalirla fino in cima dove, una volta giunti, siamo rimasti letteralmente senza fiato per il panorama che avevamo di fronte: distese enormi di sabbia da un lato, le cime innevate delle Ande dall’altro. La bellezza del luogo, complice l’immensità degli spazi, è indescrivibile. Ridiscesa la duna abbiamo raggiunto il Campo de Piedra Pomez dove era previsto un trekking di un’ora circa. Si tratta di un enorme campo di sabbia vulcanica nera costellato da enormi massi di pietra pomice bianchissima levigati dall’erosione del vento. È un grande labirinto dove è facile perdersi. Per fortuna quasi tutti i massi sono sormontabili fornendo una visione dall’alto che permette di ritrovare l’orientamento. Essendo ora di pranzo ci siamo rimessi in macchina dove, a detta delle guide, avremmo raggiunto uno dei pochissimi alberi della laguna, anzi della Puna, all’ombra del quale organizzare un picnic. Durante il percorso abbiamo faticato a credere che avremmo trovato degli alberi in mezzo a questa enorme distesa di sabbia, ghiaia e roccia. Con stupore e sorpresa siamo arrivati a destinazione, nella bellissima Laguna di Carachipampa, dove effettivamente erano presenti tre o quattro alberi. La laguna è meravigliosa, basta spostare di pochi metri il punto di osservazione che i colori cambiano completamente. All’arrivo la nostra attenzione è stata catturata dai fenicotteri. Vani i tentativi di avvicinarli per fotografarli meglio: sono molto schivi. Diverso invece l’atteggiamento dei lama che si avvicinano fin quasi a farsi accarezzare. Anche di questo posto si fa fatica a descrivere la bellezza. L’unica soluzione è vedere con i propri occhi. Nelle prime ore pomeriggio ci siamo rimessi in viaggio in quanto El Peñon, raggiunto pressappoco alle 18.00, distava da noi circa tre ore di macchina. Approfittando delle ultime ore di luce siamo saliti nuovamente al mirador giusto per scambiare due chiacchiere e godendoci la vista del tramonto dall’alto.

Giorno 10 – lunedì 8 aprile 2019

La prima tappa della mattinata è stata presso Campo Las Tobas, un sito archeologico dove vi sono dei graffiti rupestri del 1500 a.c. In realtà, le poche e confuse spiegazioni ricevute, hanno reso la visita poco interessante. Dopo circa mezz’ora eravamo di nuovo in macchina. Durante il percorso, senza alcun preavviso, ci si è presentato davanti un campo Amarillo (distesa di cespugli gialli) attraversato da un piccolo torrente e sul quale pascolavano allegramente numerose vigogne. A Fare da sfondo le montagne innevate: impossibile non fermarsi per delle immancabili foto e per percorrere a piedi parte del tragitto. Proseguendo siamo risaliti in cima ad un canyon, anch’esso chiamato Las Tobas. Bello il contrasto tra la roccia rossa ed i cespugli gialli. Ancora più avanti abbiamo attraversato un altro canyon, Real Grande, 4300 m.s.l.m. Sebbene il nome in alcuni punti questo è strettissimo. Siamo quindi scesi dalle macchine, non disdegnando di fare due passi a piedi, guardando ammirati le evoluzioni degli autisti con i pickup. Proseguendo ci siamo trovati in cima al enorme cratere del Vulcano Galan, a 4800 m.s.l.m.: 45 km di diametro! È un territorio totalmente privo di vegetazione dove sembra di essere in un altro pianeta. Dalla cima del cratere è possibile scorgere in lontananza la bellissima Laguna diamante, chiamata così dalla forma che assume da questo punto di vista. Pare non ci siano fenicotteri poiché le acque sono ricche di arsenico e quindi velenose. Dopo dieci giorni il primo imprevisto: una delle due macchine ha forato. Immaginando un cambio ruota siamo stati piacevolmente colpiti dai nostri autisti che, attrezzati di tutto punto, in tempo record hanno riparato la ruota. Riparazione che efficacemente ci ha permesso di concludere la vacanza senza alcun altro intoppo. Dopo qualche altro chilometro di strada impervia siamo giunti nei pressi della laguna, meravigliosa. Data l’ora ci siamo fermati un punto panoramico per un picnic. L’acqua, un vero e proprio specchio all’interno del quale si riflettono le Ande innevate: una meraviglia. Finito il picnic siamo scesi dentro il cratere dove vi sono le Fumarolas, una sorgente idrotermale attiva da 3800 milioni di anni dove la temperatura dell’acqua raggiunge gli 80°C!

Continuando il percorso, dopo aver visto altri piccoli specchi d’acqua come la Laguna Pavion ed aver messo a dura prova le nostre schiene nella strada accidentata siamo giunti presso la Laguna Grande, stupenda, spettacolare e stracolma di fenicotteri, ahimè anch’essi timidi. Senza una macchina fotografica dotata di un buon obiettivo, si fa fatica a coglierli nel dettaglio. Abbiamo passato circa un’ora costeggiando la laguna, e scattando un numero non quantificabile di foto, prima di rimetterci in macchina per rientrare per la nostra terza notte a El Peñon dal quale eravamo separati da poco più di due ore di strada disconnessa. Ultima distrazione durante il percorso: gli struzzi. Impossibile resistere alla tentazione di scendere dall’auto per vederli da vicino e fotografarli.

Giorno 11 – martedì 9 aprile 2019

Lasciato El Peñon abbiamo proseguito in direzione nord sulla Routa 43. La prima tappa, anzi a dire il vero un piccolo stop nel percorso, è la difunta correa, protettrice degli autisti. Si tratta di una piccola costruzione dove, ad onorare la protettrice, viene offerto del materiale legato ai mezzi di trasporto. In realtà vedere bottiglie di plastica, copertoni, radiatori e bidoni di metallo da più l’impressione di una micro discarica. La routa comincia a farsi interessante quando ai lati si comincia a scorgere la colata lavica del Volcano Antofagasta. D’obbligo lo stop per una passeggiata. Tra i massi di pietra lavica si è depositata della sabbia e su questa abbiamo visto delle probabilissime orme di Puma!

Proseguendo ancora verso nord abbiamo raggiunto la Laguna di Antofagasta. La cosa migliore da fare non è tanto costeggiarla a piedi, cosa che comunque abbiamo fatto, quanto inerpicarsi tra le rocce per poter avere una visuale dall’alto. Ci si trova ad un certo punto tra le rocce affilatissime nere con la laguna azzurra di fronte circondata in basso da una vegetazione gialla e, sullo sfondo a chiudere la cornice, le Ande innevate: che dire, uno spettacolo! Raggiunte le auto ci siamo spostati nella piccola, polverosa e sonnolenta cittadina di Antofagasta dove, prima di pranzo, siamo andati a visitare il museo mineralogico. Sebbene gestito da un privato insieme a suo figlio la collezione messa insieme è ricchissima. Il 90% dei minerali, lavorati in modo sublime, viene dall’Argentina. Molto interessanti le spiegazioni fornite dall’appassionato proprietario. Per pranzo, mentre gli autisti, e parte del gruppo, si sono fermati a mangiare un boccone, l’altra parte, tra cui me, ha preferito fare due passi per esplorare la città che a dire il vero non si è molto interessante. Come in altre circostanze siamo saliti attraverso un apposito sentiero al mirador ad ammirare il panorama dall’alto. Una volta in marcia siamo passati attraverso la Quebrada del Diablo, aridissima, fino a raggiungere il Salar de Antofalla, il mio primo salare, dove sullo sfondo si vede il Volcano Antofalla, alto 6400 m.s.l.m.!

Sebbene abbia in seguito scoperto fosse vietato, incuriosito come un bambino, ho cominciato a camminare all’interno del salare scattando foto da tutte le angolazioni. Il Salare è enorme ma a primo impatto, dopo aver visto in rete le foto di Salinas Grande, sono rimasto un po’ deluso. A differenza di Salinas quest’ultimo non è bianchissimo ma, a prima vista, sembra una roccia sulla quale si sia formata della brina: un misto di grigio e bianco. Resta comunque un paesaggio spettacolare e fuori dal comune.

Dal Salare, lungo una strada piuttosto tortuosa, ci siamo diretti alle Terme di Esquina o Botijuela Geiser, luogo nel quale vive, quasi da eremita, il vecchio Simon, gestore del luogo. Si tratta di un’altura rocciosa dove scorre dell’acqua termale a circa 40 gradi. Sulla roccia, in un punto panoramico, è stata scavata una fossa, poco più grande di una da vasca da bagno, alimentata costantemente dall’acqua. Ci saremmo potuti immergere ma all’interno si forma un misto di limo ed alghe dal colore poco attraente. Ci siamo limitati ad immergervi i piedi godendoci lo straordinario e variopinto panorama al tramonto: il rosso della roccia nel quale eravamo, il verde della vegetazione più a valle e, in fondo, il bianco del salare hanno ancora una volta creato un meraviglioso spettacolo della natura. Prima di rientrare per la notte ad Antofalla ci siamo fermati a vedere gli Ojos De Campo, piccoli laghetti che fino a qualche anno fa avevano delle colorazioni accese: rosso, giallo, blu. La colorazione per qualche motivo è scomparsa rendendoli dei comuni specchi d’acqua. Restano comunque affascinanti in quanto circondati da un territorio completamente arido.

Siamo rientrati per la notte ad Antofalla che non può nemmeno definirsi un paesino. È un minuscolo borghetto, dove le case sono vicinissime tra loro, abitato da circa 40-50 persone. Abbiamo dormito nelle case che ci hanno messo a disposizione. A me ed un altro membro del gruppo è capitato un edificio pubblico, forse una scuola o un ospedale, dove, per la prima volta, abbiamo usufruito di due stanze singole. Discreta la cena a conclusione della quale ho provato il Chayote, in Italia conosciuto come zucca centenaria, verde fuori, bianco e filamentoso all’interno. Non saprei dire quale sia il suo vero sapore poiché, avendolo servito come dessert, era mischiato ad una valanga di sciroppo zuccherato, formaggio e noci: molto buono!

Giorno 12 – mercoledì 10 aprile 2019

Da Antofalla ci siamo spinti ancora nord verso Antofallita, un villaggio dove vivono solo due persone, fratello e sorella che non si parlano da anni. Molti turisti hanno modo di parlare con loro. Per noi è stato solo un breve passaggio. Giusto il tempo per una consegna da parte delle guide mentre noi ne abbiamo approfittato per fare due passi a piedi ammirando il panorama. Risaliti in macchina, dopo qualche chilometro, ci siamo trovati al cospetto di un immenso campo amarillo. Un campo di cespugli gialli letteralmente a perdita d’occhio. Entrati nella provincia si Salta siamo giunti al Salar de Arizaro. Prima di partire, guardando la mia destinazione su Maps, credevo che nella parte nord-ovest del percorso avremmo costeggiato degli immensi laghi. Non capivo come mai la Puna venisse definita “deserto d’altura” data la presenza di questi grandi specchi d’acqua. Solo successivamente mi sono reso conto che quelle macchine blu sulla mappa non erano affatto dei laghi ma dei salari, laghi solo in un tempo molto remoto, adesso enormi, maestose, affascinanti infinite distese di sale. Già di per sé la visione del Salare, il più grande dell’Argentina e terzo più grande al mondo, coni suoi ben 1600 km2, è strabiliante. Se poi ci si aggiunge la presenza, a circoscriverlo, di montagne che superano i 6500 m.s.l.m. ed in mezzo il geometricamente perfetto Cono de Arita si rimane letteralmente senza fiato. L’origine del cono è avvolta in un’aura di mistero. Le guide ci hanno raccontato che arrivano gruppi di geologi da tutto il mondo per trovare una spiegazione senza successo. La teoria più probabile, leggendo in rete, è che sia di origine vulcanica. La più affascinante, considerando la forma perfetta del cono, è che sia di origine non umana. Purtroppo non si può camminare sul salare e, di conseguenza, giungere quantomeno ai piedi del cono. Dopo aver ammirato ciò che avevamo davanti da tutte le angolazioni possibili ci siamo rimessi in macchina proseguendo su una strada battuta che costeggia il salare. Durante il tragitto abbiamo incrociato la ferrovia del treno delle nuvole, un treno turistico che percorre più di 200 km fino al confine col Cile passando attraverso strettissimi viadotti ed arrivando fino a quota 4200 metri: una delle ferrovie più alte del mondo.

Ad ora di pranzo siamo arrivati a Tolar Grande dove ci siamo sistemati in un piccolo e comodo alberghetto gestito da una coppia del luogo: il Copacabana. Più che di un alberghetto si tratta di un’estensione della casa della coppia. Tolar Grande è un paesello incredibile. Sembra una cittadina di quelle che si vedono film western, fuori dal tempo e dal mondo. La presenza di una ferrovia che l’attraversa, essendo una città mineraria la cui economia è basata sull’estrazione del sale, la rende ancora più intrigante. Trovarsi all’ora di pranzo a passeggiare per una città deserta, nel nulla, camminando tra l’altro all’interno di un campo da calcio realizzato su una distesa arida di sale è una sensazione difficile da descrivere. Va solo provata. È alienante. Nel pomeriggio ci è stato proposto un trekking. Un percorso circolare che parte dalla ferrovia del treno delle nubi fino a raggiungere una duna, el Arenal, scalata la quale, non senza qualche piccola difficoltà, si viene ricompensati da una vista incredibile: dune di sabbia rossa e gesso e, sullo sfondo, montagne innevate. Si tratta del Deserto del Diablo che avremmo visitato in seguito. Chiuso il percorso siamo rientrati in albergo e, rigenerati da una doccia, siamo andati a cena nell’unico ristorantino presente nel paese.

Giorno 13 – giovedì 11 aprile 2019

Consumata la nostra prima non superlativa colazione al Copacacabana il nostro viaggio è ripartito dal Salar de Arizaro. Non paghi del giorno precedente siamo saliti su un nuovo punto panoramico dove scattare qualche altra foto. Ci siamo spostati in direzione sud-ovest da un salare ad un altro: Il Salar De Rio Grande, visto solo di sfuggita. Procedendo sulla stessa strada, sempre più in alto e ad una temperatura sempre più bassa, ci siamo fermati per scattare qualche foto al Vulcano Llullaillaco, visibile in lontananza e sulla cui vetta, a ben 6700 metri di altezza, furono trovati perfettamente conservati i corpi mummificati di tre bambini Inca attualmente esposti al MAAM di Salta. Inerpicandoci ancora sulla strada tortuosa siamo giunti all’altezza di Mina La Casualidad che avremmo visitato successivamente. Il nostro primo obiettivo, tappa principale della giornata è la Mina Julia, miniera di zolfo abbandonata, ubicata a ben 5400 metri di altezza. È il punto più in alto di tutto il tour e la quota più elevata dove io abbia mai messo piede. La Mina Julia è collegata da una teleferica perfettamente dritta, anch’essa come abbandonata, alla Mina la Casualidad. La fortuna è stata dalla nostra parte in quanto spesso, anche d’estate, il passo per raggiungere la Mina è bloccato dalla neve, ed in effetti sprazzi di quest’ultima erano diffusi qua e là. La Mina Julia… essere lì, in alto, fuori dal mondo, in un luogo abbandonato, nel bel mezzo delle Ande Argentine, ad un tiro di schioppo dal Cile… è stata una delle emozioni più forti di tutto il giro. È difficile da descrivere ma è uno di quei posti dove ognuno di noi si è sentito di dire “Vale il viaggio!”

Nonostante il freddo ed il forte vento saremmo stati lì delle ore ma purtroppo, poco dopo più di una, abbiamo dovuto rimetterci in marcia: le cose da vedere erano tante ed una più bella dell’altra. Tornati indietro sulla stessa strada ci siamo fermati a Mina La Casualidad dove il clima era decisamente più mite. Data l’ora ne abbiamo approfittato non solo per visitare il luogo, bellissimo, ma per il nostro terzo ed ultimo pic nic. La Casualidad è una piccola cittadina abbandonata dove veniva lavorato lo zolfo estratto alla Mina Julia, successivamente trasportato dalla teleferica e poi inviato alla Stazione di Caipe dove partivano i treni merci per l’esportazione. Tutta la zona, essendo ancora ricca di zolfo, è tinta di giallo. Il contrasto con la terra rossa e la neve bianca crea un ventaglio di colori che dipinge un paesaggio che non riuscivamo a smettere di fotografare. Seguendo il percorso che faceva lo zolfo abbiamo invertito la rotta, proseguendo verso nord, fino a raggiungere la Stazione di Caipe, neanche a dirlo, anch’essa abbandonata. Sarò ripetitivo ma anche questo luogo permea fascino in ogni suo angolo. Sembra il set di un film. Probabilmente poco o nulla è cambiato rispetto a quando la stazione veniva utilizzata per cui si tratta di un vero e proprio salto nel passato.

Poco prima di raggiungere Tolar Grande chiusura di questa bellissima giornata le nostre guide si sono fermate in mezzo alla strada dove apparentemente non c’era nulla di interessante. Scesi dalla macchina e fatti pochissimi passi al di là del ciglio c’era una pozza di acqua azzurrissima, talmente azzurra da sembrare una piscina. Ci hanno spiegato che non si tratta di nulla di eccezionale. Trovandoci su un grosso banco di sale con una falda piuttosto superficiale basta semplicemente scavare per formare questi piccoli invasi. Non ho ben capito che uso ne venga fatto dato che l’acqua è salatissima. Ho immerso la mano che è rimasta praticamente bianca una volta evaporata l’acqua. Avendo ancora un po’ di tempo a disposizione abbiamo percorso a piedi gli ultimi due chilometri che portavano a Tolar Grande. La cena, nello stesso unico ristorante della sera precedente, ha chiuso questa meravigliosa tappa del viaggio.

Giorno 14 – venerdì 12 aprile 2019

Sarò ripetitivo ma anche quella di oggi è stata una grande giornata! A due passi da Tolar grande, in direzione sud, siamo andati a vedere gli Ojos del Mar, Occhi del Mare, pozze profonde di acqua estremamente azzurra in mezzo al bianco di un lago salato. Oltre la loro indiscutibile bellezza, che si apprezzerebbe maggiormente se fosse possibile vederli dall’alto, essi costituiscono un rarissimo habitat (solo 6 al mondo) per stromatoliti vivi. Questi sono organismi unicellulari, in genere rinvenuti allo stato fossile, che si pensa costituiscano la prima forma di vita formatasi sulla terra. Ripartiti in direzione nord-est siamo saliti in quota fino a raggiungere un punto panoramico, il mirador observatorio. Non so se sia effettivamente questo il nome ma ce lo hanno propinato così le guide in quanto vi è in costruzione un piccolo osservatorio astronomico. Dal mirador si scorge, Tolar Grande, il Salar de Arizaro e, in lontananza, la Mina Julia svettante sui suoi 4600 metri. Gran bel posto.Proseguendo ancora in direzione nord-est siamo giunti al Salar del Diablo ma, soprattutto, al Desierto del Diablo (Las Siete Curvas), probabilmente più conosciuto come Deserto del Labirinto: Magnifico!

Un trekking di poco meno di un’ora ci ha permesso di ammirarlo in tutto il suo splendore. Un susseguirsi di forme morbide, spesso delle vere e proprie cupole dal colore rosso acceso, all’interno del quale si incunea un percorso tortuoso che sembra appunto essere l’interno di un labirinto. Anche questo è, senza alcun dubbio, uno dei più bei posti della Puna. La strada, nella stessa direzione, porta al Salares Pocitos, il nostro primo salare bianco candido. Al suo interno si trovano dei bellissimi specchi d’acqua color turchese. A pranzo ci siamo fermati nell’omonimo paesello, Pocitos, a 3665 m.s.l.m., dove nell’unico ristorantino ci è stata servita una discutibile pizza. Mangiare qualcosa scambiando due chiacchiere è comunque sempre molto piacevole. Muovendoci ancora verso nord est attraversando la Cuesta de Quiron abbiamo raggiunto il Salar Santa Rosa de Los Pastos Grandes, altro salare bianchissimo, di dimensioni contenute, ma dalla indiscutibile attrattiva. Proseguendo ancora verso nord-est si trova il Viaducto de la Polvorilla, alto 220 metri, costruito negli anni 30 ed ormai in disuso. Collegava l’Argentina al Cile. Si arriva in macchina sotto il viadotto dove vi è un piccolo ufficio turistico, una statua in pietra raffigurante un lama ed un vecchio vagone per il trasporto merci. Sebbene il viadotto fosse a due passi da San Antonio de Los Cobres, dove avremmo passato la notte, essendo ancora a metà pomeriggio, abbiamo scelto di allungarci di 70 km in direzione nord est. Obiettivo: vedere Salinas Grande! L’incognita era la strada. Percorrere, tra andata e ritorno, circa 150 km, in una strada in condizioni incerte, avrebbe potuto richiedere parecchio tempo. Per fortuna tutto è filato liscio e in poco più di tre quarti d’ora ci siamo trovati nel bel mezzo di Salinas Grande!

Faccio molta fatica a descrivere l’emozione. Trovarsi al tramonto, con una luce fantastica, in mezzo questa enorme salina, tale da sembrare un immenso lago ghiacciato, mi infuso un fortissimo senso di libertà. Ho cominciato a correre, senza meta, respirando a pieni polmoni l’aria salata e cercando di imprimere nella mente quello che stavo vedendo, scattando inoltre foto da tutte le angolazioni possibili. Ci siamo goduti il panorama finché abbiamo potuto ma poi, dati i chilometri da percorrere era d’obbligo rientrare a San Antonio de los Cobres, raggiunta intorno alle 20. Ottima cena ed ottima sistemazione al El Portal per la nostra, ahinoi, ultima notte nella Puna Argentina.

Giorno 15 – sabato 13 aprile 2019

Dopo un’ottima colazione a El Portal abbiamo caricato le nostre cose in macchina pronti a lasciare, purtroppo, la Puna. In direzione Salta, non lontano dalla essa, abbiamo fatto tappa a Santa Rosa de Tastil, ai piedi della Cordigliera delle Ande. Qui vi è uno dei siti archeologici più importanti del nord del Paese, perché conserva i resti di un villaggio abitato fino al XV secolo dalla popolazione Tastil, popolazione pre Inca. Il sito inoltre non è lontano dalla stazione ferroviaria locale del mitico Tren a las Nubes, una delle ferrovie più alte del mondo. Attraversando la bellissima Quebrada del Toro ci siamo fermati sotto un viadotto, per alcuni versi simile a la Polvorilla. Un piccolo sentiero ci condotti in alto, sui binari. Proseguendo ancora verso Salta ci siamo fermati nella piccola cittadina Villa San Lorenzo che ospita le case per le vacanze dei più ricchi abitanti di Salta. Nella parte più alta della città si estende una riserva naturale, un sottobosco attraversato da un torrentello. Le indicazioni dei sentieri non sono molto chiare. Ci siamo addentrati un po’ ma avendo solo un paio d’ore di tempo abbiamo desistito quindi siamo tornati indietro e ci siamo rilassati sorseggiando una bibita fresca nel dehor di uno dei tanti localini all’imbocco del parco. Questa è stata veramente l’ultima tappa nel nord-ovest argentino. Da lì ci siamo spostati in aeroporto. Salutati Fredd e Victor, intorno alle quattro del pomeriggio, il nostro volo per Buenos Aires è decollato. Atterrati a Buenos Aires e recuperati i bagagli un taxi ci ha condotto all’appartamento che avrebbe ospitato me per una sola notte e gli altri per successivi cinque giorni. Siamo subito usciti per mangiare un boccone ma, non avendo molta voglia di camminare, ci siamo accontentati del pub più vicino all’appartamento. Di sicuro non è stata una delle migliori carni mangiate in Argentina. Prima di rientrare abbiamo fatto due passi in giro per la vivacissima Buenos Aires. Prima di rientrare ci siamo fermati per un caffè presso El Gato Negro, ottimo locale dove è possibile gustare un’enorme varietà di caffè in diverse aromatizzazioni. Ottimi anche i dolci. Dopo averne provato uno mi sono reso conto che il dulche de leche mangiato fino a quel momento nella Puna era di qualità piuttosto scadente. I dolci del Gato negro sono ottimi! Stanchi, intorno alle due di notte, siamo rientrati per una sana dormita.

Giorno 16 – domenica 14 aprile 2019

Purtroppo è arrivato il mio ultimo giorno in Argentina. Poiché gli altri avevano più tempo a disposizione mentre io poco più di mezza giornata mi sono separato dal gruppo per un giro in solitaria così da toccare le tappe principali. La prima e fondamentale è stata Plaza de Mayo, la più antica di Buenos Aires e forse il punto più bello della città. Sulla piazza si affaccia la Casa Rosada che prende il nome dal suo colore, nota tra l’altro perché affacciandosi da essa Evita Perón pronunciava i suoi celebri discorsi alla folla incitante. Dietro il palazzo vi è il Museo Casa Rosada. Approfittando, tra l’altro, dell’ingresso gratuito non mi sono fatto sfuggire l’occasione di visitarlo. Il museo si sviluppa prevalentemente nel piano interrato, costruito interamente in mattoni e suddiviso in varie sale ognuna della quale, attraverso l’ausilio di un video e di vari oggetti esposti, racconta di una diversa epoca argentina. Dal museo mi sono spostato sulla stessa piazza verso la Cattedrale, gremita di gente in quanto si stava celebrando la messa della domenica delle palme. Probabilmente non è tra le più belle al mondo ma di sicuro merita una visita. Più interessante, sempre sulla stessa piazza, il Cabildo, all’interno del quale tutto è dedicato alla rivoluzione del maggio 1810, quando l’Argentina ottenne l’indipendenza. Se non altro si ha la possibilità di salire al piano superiore per avere una bellissima prospettiva di Plaza de Mayo e, di fronte, della Casa Rosada. In Avenida de Mayo ho avuto il piacere di assistere ad un festival di cucina calabrese con musica, spettacoli e bancarelle di prodotti gastronomici che con i loro profumi inebriavano l’aria. Una lunga passeggiata mi ha infine portato al vivacissimo Mercato di San Telmo che si tiene ogni domenica. Vi è una parte interna dove si mischiano stand di antiquariato, di chincaglieria varia, di prodotti gastronomici a piccoli ristorantini che preparano leccornie di ogni tipo. L’atmosfera vivace che si respira è piacevolissima. All’esterno, tra le vie ciottolate, vi è un’infinità di bancarelle che vanno da Avenida San Juan a Plaza de Mayo, circa due chilometri. Molte di queste sono dedicate a Mafalda, famosissimo personaggio dei fumetti il cui autore è, per l’appunto, argentino. Mi sono fermato per pranzo al Goya, in Avenida de Mayo, dove un mangiato un Bife de Lomo (bistecca di manzo), tenerissimo. Mi fa un po’ impressione constatare che in un ristornate di qualità in pieno centro nella capitale argentina non siano accettate carte di credito. Dopo pranzo ho girovagato per circa un’ora senza meta prima di rientrare a casa e prepararmi per la partenza. Intorno alle 18 mi ha raggiunto il resto del gruppo. Ci siamo salutati e, con un po’ di nostalgia, ho preso un taxi per l’aeroporto.

Intorno alle 22 l’aereo della compagnia Aerolinas Argentinas è decollato per l’Italia raggiunta, considerando cinque ore di fuso, circa ventiquattro ore dopo.



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