“Proviamo insieme” traversata del deserto marocchino a piedi e in carrozzina
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27 novembre 2019: Milano Malpensa – Marrakech – Zagora
Arriviamo all’aeroporto di Marrakech attorno alle undici del mattino, siamo in quattro ma dal volume dei bagagli potremmo essere in otto. Non certo perché pensiamo di fare numerosi cambi d’abito durante la traversata del deserto, ma perché il nostro viaggio è un viaggio decisamente particolare. Infatti in un borsone dalle dimensioni quasi inquietanti c’è una carrozzina a tre ruote, in un altro una quantità non indifferente di cibo proteico e altre due valigie contengono attrezzatura video professionale. Il nostro è un team insolito, formato da Stefano Miglietti, ultramaratoneta bresciano, Giulia Scovoli viaggiatrice affetta da spina bifida, Daniel Modina videomaker e da me, Sara Giacomelli, l’imbucata. L’avventura si chiama “Proviamo insieme” ed è nata dalla volontà comune di Stefano e Giulia di vivere un’esperienza unica e di lanciare un messaggio: i limiti sono solo nella nostra testa, siano essi fisici o mentali, con un amico al proprio fianco è possibile superarli e affrontarli. L’obiettivo dei due è quello di percorrere circa 400km di deserto marocchino, da Zagora a M’Hamid a piedi e, è il caso di dirlo, su rotelle; Stefano spingerà e trainerà Giulia sul fondo sabbioso e roccioso, Daniel documenterà l’impresa e io … beh mi godrò il viaggio fingendo di avere un qualche ruolo logistico. Ma dove eravamo rimasti? Ah, ecco, siamo arrivati all’aeroporto di Marrackech e in effetti i nostri bagagli danno nell’occhio, tanto che alla dogana la polizia marocchina non ci permette di introdurre l’attrezzatura video professionale nel paese adducendo motivazioni abbastanza fantasiose su permessi non richiesti in tempo e divieti. Tutte le videocamere di Daniel vengono sequestrate e il suo progetto di realizzare un docufilm dovrà contare sull’unico supporto di una fotocamera da viaggio e di una go-pro. Non partiamo benissimo ma non ci lasciamo abbattere. Fuori dall’aeroporto ci aspetta il nostro autista che ci porterà direttamente a Zagora. Il viaggio dura quasi otto ore, ci fermiamo a pranzo a Ourzazate nella valle del Dadès, una cittadina relativamente moderna e di passaggio dove gustiamo il primo tè marocchino, bevanda che ci accompagnerà per tutto la settimana e che berremo, insieme alle guide berbere praticamente ad ogni ora del giorno. Durante il tragitto in automobile abbiamo modo di ammirare la bellezza della catena montuosa dell’Atlante e i suoi colori che ci lasciano letteralmente a bocca aperta. Arriviamo a Zagora in serata, ceniamo e pernottiamo alla Kksar Tinsuline dove incontriamo la nostra guida Khalil. Andiamo a letto presto perché domani Stefano e Giulia inizieranno la loro traversata con il sorgere del sole.
28 novembre 2019: Zagora – Foum Zguid
Usciamo da Zagora a bordo di due jeep, per evitare il traffico e il caos del centro, e appena fuori città iniziano i preparativi per la reale partenza dei nostri viaggiatori pazzi. La guida e i suoi amici, accorsi per godersi la stranezza di questa avventura, si fanno in quattro per montare la speciale carrozzina di Giulia. Il mezzo è a tre ruote, l’anteriore larga e di raggio minimo e le posteriori doppie e più grandi, realizzato per essere spinto è stato modificato da Stefano che ha deciso di applicarvi due moschettoni per poterlo trainare agganciato ad un cinturone-marsupio che porterà in vita. In pochi minuti la carrozzina è montata, giusto il tempo per fare qualche fotografia e per i saluti e i due partono, con l’intenzione di proseguire fino a quando non saranno troppo stanchi. Direzione Foum Zguid. Percorrono un’antica via carovaniera, il cui terreno è sassoso e perennemente in lieve salita. Giulia inizia la sua settimana di “shakeramento” e Stefano mette fin da subito alla prova la sua preparazione e resistenza fisica. I due camminano ininterrottamente, fermandosi solo per il pranzo all’ombra di una solitaria acacia, fino a Foum Zguid dove dopo quasi tredici ore no stop possono fermarsi a riposare. Qui le nostre guide hanno allestito un semplice ma gradissimo accampamento. Due tende, una per loro e una per noi, un fuoco, tappeti e materassini su cui sedersi per cenare e godersi il meritato riposo. Il sole sta iniziando a tramontare e le sfumature di cui colora il cielo ci colpiscono all’improvviso. Rosso, arancione, giallo, viola e lilla e forse anche qualche screziatura tendente al verde. Uno spettacolo incredibile che ci godiamo bevendo tè all’ombra della catena del Jabel Bani che si staglia poco lontano da noi. La cena, a base di cuscus e verdure è deliziosa ma a rapirci veramente è lo spettacolo del cielo non appena l’ultima luce del giorno sparisce. Ci allontaniamo dal fuoco, anche se fa piuttosto freddo, spegniamo le pile frontali e guardiamo la volta celeste, tempestata di stelle che sembrano circondarci e caderci addosso. Una miriade di piccole luci, più accese e più fioche, grandi e piccole ci lasciano senza parole e con il naso all’insù.
29 novembre 2019: Foum Zguid – Lago Iriki
Dopo una colazione a base di pane e miele di argan al sorgere del sole Giulia e Stefano sono già pronti per partire. Li aspetta il secondo giorno di cammino che li porterà nelle vicinanze del lago Iriki, ormai prosciugato. Si mettono in marcia attorno alle otto quando l’aria del mattino è ancora frizzante e il sole non è ancora riuscito a scaldare la sabbia su cui camminano. Attorno a mezzogiorno la temperatura si alza fino a toccare i 25 gradi rendendo più faticoso l’avanzare del runner che oltre a dei dolori al ginocchio inizia a sentire la tensione dell’addome, continuamente sottoposto agli strattoni dovuti al sistema di ancoraggio della carrozzina. Giulia invece dopo due giorni in sella alla carrozzina, che pare un fuoristrada, avverte i primi fastidi alla schiena. Alla domanda “come va?” entrambi rispondono convinti “tutto bene!” beh…se lo dite voi! Vederli attraversare il deserto, faticare nei tratti sabbiosi e rischiare il ribaltamento del mezzo in quelli sassosi è uno spettacolo che lascia a bocca aperta, sia per la fatica evidente che entrambi fanno che per la bellissima follia dell’idea. Le poche comitive di turisti che troviamo, due jeep e alcuni quad, si fermano increduli a chiedere “Cosa state facendo?” e “Perché?” e beh… c’è una risposta? Attraversano il deserto, perché? Perché possono farlo, la loro voglia di andare oltre non ha limiti.
Dopo 84km finalmente arriviamo all’accampamento dove Stefano e Giulia possono riposare coccolati dai canti arabi delle nostre guide berbere che tentano, invano di insegnarci a fare il pane nella sabbia. Questa ricetta ci lascia inizialmente piuttosto perplessi e ci incuriosisce. Il cuoco del gruppo prepara l’impasto all’interno di una bacinella di plastica, poi lo stende su una coperta vicino al fuoco e inizia con forza a colpire la “palla” di pasta. Quando è pronta ne realizza un disco che prontamente viene coperto con la sabbia che era fino a poco prima coperta di braci ardenti. Il pane è letteralmente sommerso dalla sabbia rovente. Attorno alla forma della pagnotta vengono posizionate con cura altre braci e si attende. Siamo spiazzati. In poco meno di mezz’ora dal centro della forma di pane vediamo salire un leggero sbuffo di fumo, che indica che la cottura è quasi giunta al termine, iniziamo anche ad avvertire il classico profumo del pane appena sfornato. Certo, sfornato da un forno piuttosto singolare. Quando è il momento i ragazzi berberi estraggono la pagnotta dalla sabbia e incredibilmente non è cosparsa di granelli e pare davvero invitante. La mangeremo l’indomani perché adesso è tardi ed è già ora di andare a letto.
30 novembre 2019: Lago Iriki – Erg Chegaga
Il terzo giorno di cammino è il più duro per i nostri avventurieri. Il loro fisico inizia ad accusare i primi sintomi della stanchezza, il dolore diviene una costante e il terreno che attraversano è sempre più impervio. Nella tarda mattinata, dopo aver attraversato una piana costellata di fossili iniziamo a vedere il bacino prosciugato del lago Iriki. Fa uno strano effetto camminare tra questi sassi nerissimi che imprigionano conchiglie, organismi acquatici e anemoni che originariamente erano sommersi dalle acque e che ora si trovano dispersi tra la sabbia rossastra del deserto. Arrivati in vista della piana desolata dove un tempo si estendevano le acque del lago Iriki, formato dal fiume Draa, ormai soggetto a lunghi periodi di secca, per Giulia contenere l’emozione è impossibile. Le scappa una lacrima al cospetto di tanta solitaria e arida bellezza. In poche ore attraversano la piana, ma le sorprese che il paesaggio ha deciso di dedicarci oggi non sono ancora finite. Ci dirigiamo verso la formazione dell’Erg Chegaga per ammirare finalmente le dune di sabbia. L’immagine classica che tutti abbiamo in mente quando pensiamo al deserto, dune, sabbia, caldo ei segni dei passi sul terreno. L’ Erg Chegaga ci regala emozioni uniche, Giulia, che nonostante la lesione spinale riesce a camminare per brevi tratti, grazie all’aiuto di Stefano scala una duna e vi cammina sulla sommità. Tutti e quattro facciamo lo stesso e trovarsi al cospetto di tale sconfinatezza è davvero incredibile. Sì, è bellissimo godersi lo spettacolo ma il cammino deve continuare. Via a macinare altri chilometri fino a sera quando arrivati al nuovo accampamento Stefano ha nelle gambe circa 90 km, i più duri fin ora, chilometri che Giulia sente nella schiena ma che non bastano a scoraggiarli perchè sanno di aver superato la metà del loro percorso e di essere un pizzico più vicini alla meta.
1 dicembre 2019: Erg Chegaga – Erg Lihoudi
La sveglia suona ma lo fa per nessuno. Infatti tutti abbiamo deciso di passare la notte all’aperto ed è stata la luce della prima alba a svegliarci. Certo, i 3-5 gradi a cui è scesa la temperatura di notte, ci ha messi alla prova, o almeno ha messo alla prova me. Oggi percorreremo in direzione est il tratto di Hammada fino ad arrivare alla zona nord dell’Erg Lihoudi, una parte di deserto sabbioso. L’intenzione è quella di avvicinarsi il più possibile all’oasi di M’Hamid el Gizlane ultima tappa di questo pazzesco tour. Il panorama arido che Stefano e Giulia e che tutti noi stiamo attraversando è molto lontano dall’idea di desolazione legata all’immagine ideale del deserto. Anzi, da una sensazione di immensità talmente forte che ci aiuta a sentirci parte del mondo, parte della natura, siamo solo dei piccoli esseri umani tra la sabbia, le rocce, i pochi e coraggiosi arbusti. Siamo parte della vita che ci circonda, nulla di più. Sembrano essere i dromedari gli unici veri padroni del deserto e si aggirano in grandi mandrie con sicurezza e calma per queste piane infinite alla ricerca di ciabo e acqua. Il deserto marocchino non è affatto deserto, ogni tanto si incontrano accampamenti berberi, popolati da uomini e donne che vivono in seminomadismo e che si rivelano molto schivi con gli stranieri, soprattutto le donne, che ci evitano. Questa giornata è certamente meno impegnativa per Giulia, data la maggior morbidezza del terreno, più sabbioso che roccioso, ma al contrario è più impegnativa per Stefano a causa della forza d’attrito che la carrozzina oppone nell’essere trainata nella sabbia. Insomma altri 70 km di fatica, fatica che piegano e piagano Stefano ma che alla sera diventano gioia, quando di fronte alla danza del fuoco negli occhi di tutti, come un miraggio appare la piccola oasi di M’Hamid che contiamo di raggiungere l’indomani.
2 dicembre 2019: M’Hamid el Gizlane
Sono i bambini della scuola elementare e tutti i ragazzini in gironzola per le strade di M’Hamid ad accogliere Giulia e Stefano quando attorno alle 13, increduli ed esausti arrivano alla conclusione del loro viaggio. Occhi scuri e ricci scompigliati, grandi sorrisi, risate e battiti di mani, a M’Hamid el Gizlane, la porta del deserto, è festa. Una festa per i due matti italiani che hanno voluto vivere un’avventura così strana e coinvolgente. L’emozione è tantissima, Stefano e Giulia sono riusciti a trasformare “Proviamo insieme” in “Insieme ci siamo riusciti” e, ora possiamo ammetterlo, non erano così certi di farcela. La gioia di aver raggiunto un obiettivo, la bellezza dell’ultima oasi prima del deserto, la consapevolezza di aver sfidato e superato i propri limiti rende tutti orgogliosi del traguardo raggiunto, al punto che qualche lacrima è d’obbligo.
A M’Hamid alloggiamo nella casa della nostra guida Khalil e finalmente ci godiamo tutti una doccia rigenerante e l’intimità di un vero bagno (grazie all’inventore dei WC). Nel pomeriggio, per accontentare la più rompiscatole del gruppo, ovviamente mi riferisco a me, ci organizzano una breve escursione in sella ai dromedari che ci porterà alla scoperta dei bellissimi vicoli della cittadina le cui abitazioni di fango e paglia sono prive di tetto. Certo perché qui non piove mai, e quando lo fa è una benedizione mica serve ripararsi. L’ultima notte nel deserto è malinconica ma felice, tutti cerchiamo di fissare i colori, i suoni e gli odori di M’Hamid nelle nostre menti e nei nostri cuori e ci concediamo di fumare insieme ai ragazzi berberi che ci hanno accompagnato il narghilè aromatizzato alla menta. O almeno così ci pare.
3 dicembre 2019: M’Hamid el Gizlane – Marrakech
Salutiamo Khalil e tutti i ragazzi che ci hanno accompagnato lungo questo viaggio e ci mettiamo in auto, direzione Marrakech. Ripercorriamo a ritroso la stessa strada dell’andata, con un po’ meno entusiasmo e molti più pensieri e attimi fissati nella testa. Arriviamo a Marrakech nel tardo pomeriggio e decidiamo subito di inoltrarci nei suoi vicoli per calarci nella vita di un souk marocchino. Il caos, i rumori e i mille colori del mercato centrale ci aggrediscono, venditori ambulanti e l’odore delle spezie ci sorprendono e quasi infastidiscono. Eravamo abituati al silenzio quasi assoluto, alla calma, agli spazi immensi del deserto. Ci vuole un po’ di tempo perché i nostri sensi si abituino all’estrema sollecitazione di un mercato come quello di Marrakech. Dopo una cena per strada e qualche acquisto alle bancarelle torniamo al nostro alloggio.
4 dicembre 2019: Marrakech – Milano Malpensa
Dopo un’abbondante colazione siamo pronti per lasciare il Marocco, pronti, beh siamo costretti, bisogna tornare alla vita di tutti i giorni. Ci rechiamo in aeroporto, dove Daniel recupera la sua attrezzatura e da dove prendiamo il volo per Malpensa. Questo viaggio ci ha sorpresi, ci ha lasciato emozioni forti e immagini indelebili, l’esperienza vissuta da Giulia e Stefano è un forte messaggio di coraggio, condivisione e di amicizia. Nulla è troppo difficile, nessun obiettivo è fuori dalla nostra portata fino a quando non proviamo a raggiungerlo superando noi stessi e i limiti che abbiamo o pensiamo di avere; per farlo spesso avere un amico coraggioso e forse “pazzo” almeno quanto te, è fondamentale.
Ps: le fotografie, quelle belle, sono di Daniel