Provenza, fra meridiane e quadri di Van Gogh
Il viaggio è durato 5 giorni, dal 5 al 9 di luglioe abbiamo percorso 1300 chilometri: in Italia abbiamo viaggiato sulle autostrade, ma in Francia abbiamo privilegiato strade statali e provinciali.
Le strade francesi sono curate, ampie, sovente ombreggiate grazie a lunghe e spettacolari file di platani.
Le indicazioni sono abbondanti e precise e quindi è sufficiente una cartina geografica e anche il guidatore più impiastro può cavarsela alla grande.
Primo giorno: partiamo alle 8,30 da Voghera (PV), destinazione Briançon, sulle Alpi francesi (230 km).
Imbocchiamo l’autostrada A21 Torino-Piacenza e puntiamo Torino, quindi pieghiamo verso Bardonecchia e verso il confine.
C’è poco traffico, guidiamo caute facendo qualche sosta per il caffè e per ammirare i paesaggi di montagna.
Poco dopo le 11 siamo a Briançon: l’aria è frizzante e non disdegnamo di infilarci un maglione a manica lunga.
La cittadina è molto graziosa: a 1326 m. Di altitudine, è il comune più alto d’Europa dopo Davos, in Svizzera.
Il centro storico è protetto da un giro di possenti mura ben conservate e sulla cittadina incombono antiche fortezze militari.
Appena fuori da una delle porte di ingresso della città c’è un ampio parcheggio dove lasciamo l’auto per pochi euro.
Entriamo in città a piedi e iniziamo a percorrere le stradine, di impianto tipicamente medievale.
Le case sono curatissime: facciate colorate, tetti fortemente spioventi, fiori, negozi ovunque, scorci suggestivi e accostamenti cromatici gradevoli.
A Briançon c’è una tradizione di cadrans solaires (meridiane) e siccome fotografare meridiane è la mia passione, camminiamo con il naso in aria per scovare le più belle.
Lungo la via principale incappiamo anche in un paio di negozi artigianali dove realizzano e vendono meridiane. Insomma…Dei meridianifici! In un negozio di alimentari comperiamo della focaccia e ci incamminiamo verso la fortezza, aperta ai visitatori.
La strada è panoramicissima e fattibile, anche per le persone pigre e bradipe come me.
Facendo qualche tappa e con un po’ di fiatone, arriviamo all’ingresso, paghiamo ben 8 euro e guadagniamo la cima.
Dal punto più alto della fortezza, la vista è impagabile: lo sguardo domina tutta Briançon e si vede la collegiata Notre Dame, con le sue due torri campanarie e la facciata di un giallo intenso (su cui spicca una bellissima meridiana).
Rimaniamo a lungo ad ammirare i panorami e scattiamo decine di fotografie.
Un avvertimento: portatevi un maglione o una giacca perché il vento soffia forte e scende gelido dalle Alpi. Se avete pelle delicata come la mia, non dimenticate una buona crema solare protettiva.
Riscendiamo verso il paese, ancora un giretto a caccia di meridiane e alle 15 siamo di nuovo in auto, direzione Sisteron (140 km circa), dove ho prenotato via web una doppia presso un albergo della catena Ibis.
Lungo la strada costeggiamo un bel lago di un azzurro intenso e a Savines le Lac facciamo una sosta.
Dalla strada, infatti, vediamo che in quel punto, molto ventoso, un gruppo di matti si abbandona alle evoluzioni del kitesurf.
Rimaniamo incantate ad ammirare le prodezze di questi sportivi che scivolano sull’acqua su tavole da surf, appesi a paracadute che si gonfiano di vento e li fanno correre a velocità incredibile.
Riprendiamo la strada e poco dopo le 18 siamo in albergo, alle porte della città: la catena Ibis garantisce uno standard qualitativo medio, stanze pulite e il costo di una doppia senza prima colazione è di 70 euro.
Sistemiamo i bagagli e ci dirigiamo in paese per cenare.
Facciamo due passi: il paese è grazioso, sorge sul fiume Durance ed è dominato dalla Cittadella, un’antica fortezza militare che ebbi occasione di visitare durante la mia prima vacanza nella zona.
In paese, passiamo davanti alla bella cattedrale (XII secolo), chiusa al pubblico, visto l’ora.
Le strade di Sisteron sono piuttosto deserte. Trovare un ristorante aperto però non è difficile e con 20 euro a testa gustiamo un antipasto, un’ottima entrecote e un contorno.
La serata è decisamente fredda e rientriamo subito in albergo.
Secondo giorno: facciamo colazione in albergo (non a buon mercato, ben 7 euro a testa!) e quindi imbocchiamo la N85 alla volta delle Gorges du Verdon, il cosiddetto Gran Canyon d’Europa.
Le gole, profondissime, sono attraversate da un fiume di un colore verde intenso e offrono spunti paesaggistici di grande interesse.
Per i turisti pigri come me c’è il percorso stradale da percorrere comodamente in auto (ma deve essere spettacolare anche farlo in moto), mentre gli sportivi non hanno che l’imbarazzo della scelta: percorsi di tracking, sentieri, rafting, persino bungee jumping.
Scegliamo di costeggiare la Corniche Droite e verso mezzogiorno facciamo tappa nel tranquillo paesino di Palude du Verdon, dove comperiamo focaccia e biscotti in un negozio, gustandoceli poi su una panchina all’ombra della piazza principale.
Sono passate da poco le 3 del pomeriggio quando arriviamo a Moustiers St. Marie, bel paese sovrastato da rocce scoscese e attraversato da un torrente.
Quando arriviamo, Moustiers, che di suo non ha che 625 abitanti, è assediata dai turisti.
I primi parcheggi sono pieni e quindi decidiamo di salire fino al parcheggio posto più in alto.
Scelta felice: troviamo posto all’ombra (a pagamento) e da lì in pochi minuti raggiungiamo il centro del villaggio.
Moustiers è dominata da due speroni di roccia, legati fra di loro da una pesante catena in ferro al centro della quale c’è una stella d’oro. Secondo la tradizione, raccolta anche da Mistral, si tratta dell’ex voto di un crociato del X secolo, le chevalier de Blachas, catturato in Oriente.
Il suo ringraziamento alla Madonna per aver fatto ritorno in patria sano e salvo veglia sul paese da secoli.
Il paese è molto carino, con le sue case in pietra, i negozi di ceramiche (le faentine, spettacolari ma molto care) e la bella chiesa romanica su cui nel corso dei secoli si sono innestati armoniosamente elementi gotici.
Dal paese parte anche un sentiero che si inerpica fino alla Chapelle Notre Dame de Beauvoir, a 820 metri di altitudine.
Mi basta dare un’occhiata ai turisti che scendono stravolti dal sole e dalla faticata per decidere di limitarmi ad ammirare la chiesa da lontano.
In fondo sono in vacanza, mica ai lavori forzati! Il paese è disseminato di statue ed opere d’arte ed è un piacere passeggiare per le sue strade.
In una pasticceria che sorge in fondo alla strada principale ci sfiziamo con dolci buonissimi. Anche la mia sete di meridiane è soddisfatta perché riesco a catturarne tre, colorate e molto belle.
Sono le 17 quando lasciamo Moustiers e ci dirigiamo verso la piana di Valensole.
Abbiamo deciso di pernottare a Manosque (distante una cinquantina di chilometri).
E finalmente, attorno a Valensole, la cosa che preferisco della Provenza: le sue distese di lavanda! Proprio per fotografare questa meraviglia, avevo deciso il mio primo viaggio in questa zona.
Parole e fotografie non bastano a descrivere lo spettacolo.
Campi blu e viola a perdita d’occhio, silenzio irreale, profumo intenso e delicato.
Accostiamo ai bordi di una strada e scendiamo.
Il silenzio è rotto solo dal frinire delle cicale e dal fruscìo delle spighe.
Cielo blu, vento caldo odoroso di lavanda.
La terra, ricca di ferro, è di un rosso ocra acceso e fa risaltare ancora di più il colore dei fiori.
L’occhio non sa dove posarsi: sul viola delle spighe profumate, sull’oro dei girasoli e dell’orzo maturo.
Dove ci voltiamo è colore, è poesia, è arte frutto del lavoro armonioso di uomo e natura.
Scatto decine di foto ma, devo ammettere, nessuna rende giustizia a questo spettacolo.
Sono le 8 passate quando arriviamo a Manosque: non abbiamo prenotato ma alla periferia della cittadina ci sono diversi alberghi.
Ne scegliamo uno a caso, piccolo, economicissimo ma pulito e ce la caviamo con 17 euro a testa Il portiere ci consiglia un ristorante poco distante: il locale è grande ma incredibilmente vuoto.
La cucina è eccellente e i prezzi abbastanza contenuti.
Siamo stanche e torniamo subito in albergo dove ci aspetta una nottata di riposo.
Terzo giorno: a Manosque sono già stata e non l’ho trovata irresistibile, quindi decidiamo di dirigerci direttamente a Gordes.
L’idea è di visitare questo antico paese e di raggiungere poi la bella abbazia di Senanque, ma alle porte di Gordes la mia compagna di viaggio inizia a stare poco bene.
Siamo troppo distanti da Arles (dove abbiamo prenotato l’albergo per le due notti seguenti), la giornata è decisamente calda (raggiungeremo i 36°) e penso che l’ombra dell’abbazia sia più indicata per riposare piuttosto che non le lastricate e infuocate stradine di Gordes.
Ci dirigiamo dunque verso l’edificio religioso, che sorge in fondo ad una piccola valle.
Il colpo d’occhio è impagabile: le bianche pietre dell’abbazia cistrcense, semplice e asutera, risaltano ancora di più grazie al blu intenso del campo di lavanda che si stende ai suoi piedi.
Nota negativa: l’abbazia è aperta solo alle visite guidate e non individuali e dobbiamo aspettare un paio d’ore prima che inizi.
Decidiamo di aspettare e gironzoliamo per il bookshop.
Compero alcune cose per le amiche: erbe salutari, saponette profumate, biscotti.
Troppo caldo per mangiare e ci limitiamo a sgranocchiare qualche dolcetto.
La visita all’abbazia del XII secolo è piacevole; la parte che preferisco è sicuramente il chiostro, con il gioco di chiaroscuri degli archi e dove scovo una piccola meridiana in pietra.
Alle 16 riprendiamo la strada; saltate alcune tappe che avevamo ipotizzato, puntiamo verso Arles. Sono circa 70 chilometri ma un incidente lungo la strada ci costringe a fare qualche chilometro in più.
La mia amica sta un po’ meglio e riesce ad apprezzare la strada che ci conduce alla città tanto cara a Van Gogh e Gauguin: lunghi viale bordati di platani, ombrosi e tranquilli.
Le pance iniziano a reclamare attenzione e lungo la strada ci fermiamo in un piccolo negozio di alimentari dove comperiamo baguettes, paté di carne di maiale e pane alle olive.
Attraversiamo St. Remy de Provence (che visiteremo sulla strada del ritorno), arriviamo al Plateu des Antiques dove i pezzi più importanti del sito archeologico dell’antica Glanum (l’arco e il mausoleo) sono interamente ricoperti da un’impalcatura causa restauri.
Ci fermiamo in uno spiazzo all’ombra e improvvisiamo un gustoso spuntino.
Sono circa le 18 quando arriviamo ad Arles e la attraversiamo per arrivare al nostro albergo (catena Campanile) dove alloggeremo per due notti.
L’hotel è alle porte della città: confortevole, dotato di aria condizionata, pulito (costo della doppia, 69 euro a notte).
Il caldo soffocante della giornata ci ha sfiancate e decidiamo di non uscire, ma di concederci un lungo riposo.
Quarto giorno: sono appena le 8,30 del mattino e già entriamo nel centro storico di Arles. E’ domenica e a quell’ora la città è deserta.
Troviamo facilmente un parcheggio e in pochi minuti siamo all’Espace Van Gogh, un tempo ospedale dove l’artista olandese venne ricoverato per i suoi disturbi psichiatrico, oggi centro culturale.
Il giardino ripropone le forme e i colori che ammiriamo ancora oggi nei suoi quadri e da lì in poi percorreremo la città sulle tracce di Vincent.
All’espace V.G. Ci viene incontro una bella gatta, socievole e chiacchierona, che accetta di buon grado le nostre coccole: prima di rientrare il albergo, le porteremo del prosciutto per il pranzo.
Anche se Arles è il comune più esteso di Francia, il centro storico è piccolo e si percorre facilmente.
Poca strada e siamo in place de la Republique, dove si affacciano il municipio e la chiesa di Sainte Trophime, patrimonio dell’UNESCO e uno dei monumenti romanico-provenzali più importanti di Francia.
La chiesa venne realizzata fra il 1100 e il 1152; il portale è un vero capolavoro e vanta sculture ricchissime che rappresentano il giudizio universale.
Dentro, la chiesa ha un’alta navata centrale ed è fiancheggiata da navate lateriali strette e altissime.
Mentre la visita della chiesa è gratuita, per visitare il chiostro bisogna pagare 5 euro di biglietto, ma ne vale sicuramente la pena.
Appena fuori dall’edificio sacro, giriamo a sinistra, rientriamo, saliamo le scale, paghiamo il biglietto e una porta di legno scuro si apre su un piccolo gioiello dell’architettura romanica e gotica.
Piccolo, raccolto, ravvivato dai colori degli oleandri in fiore, il chiostro di St. Trophime ha un’ala in stile romanico e una in stile gotico.
La prima galleria, a nord, venne infatti completata alla fine del XII secolo, mentre la seconda, davanti al dormitorio, è del XIII secolo.
L’opera però rimase incompiuta per anni e solo dopo il 1370 il chiostro venne chiuso con altre due gallerie, in stile gotico.
La visita si estende anche al piano superiore: la vista dall’alto è davvero notevole.
Dopo la chiesa, raggiungiamo il teatro e l’anfiteatro, resti del passato romano dell’antica Arelate e gironzoliamo per le viette, a caccia di ricordi e curiosità.
Sono quasi le 11 quando ci ritroviamo in Place du Forum, zeppa all’inverosimile di sedie e tavolini dei numerosi café che vi si affacciano.
Lo spettacolo è abbastanza deludente perché l’arredo dei bar copre praticamente la fisionomia della piazza, dove, in un angolo, possiamo ammirare i resti del foro romano.
Ma la vera attrazione della piazza è il Cafè La Nuit (ora Cafè Van Gogh), la cui tenda gialla è stata resa celebre dall’artista olandese.
Il bar è pressochè deserto e ci sediamo a gustare un caffè e un bicchiere di vino bianco.
Ancora una passeggiata, piccole spese per il prazno e torniamo in albergo a riposare, prima che il caldo si faccia sentire.
Nel tardo pomeriggio, verso le 17, risaliamo in auto e raggiungiamo Les Alycamps (anche questi immortalati da Vincent), la necropoli di epoca romana utilizzata fino al medioevo e poi via via spogliata dei sarcofagi più belli e più ricchi.
Il viale è chiuso dalla suggestiva chiesa di St. Honorat, ricostruita nel XII secolo secondo lo stile romanico-provenzale.
Appena fuori città, ben indicato, è il ponte di Langlois, altro scorcio reso famoso dai pennelli di Vincent.
Il ponte è stato distrutto e ricostruito nel 1926 ma non disdegnamo di scattare una foto.
Torniamo in città: una passeggiata lungo il grande boulevard des Lices, ricco di negozi e locali, e una sosta nei giardini pubblici.
Quindi di nuovo in cima alla città, accanto all’anfiteatro: con il vino bianco, ci servono una piccola ciotola di telline molto saporite.
Riscendiamo in centro e ceniamo in un locale gestito da un gentile e anziano signore di origine maghrebina.
Il kebab è ottimo e i prezzi abbordabilissimi.
Sulla nostra testa il cielo scurisce progressivamente e sfuma in tonalità che vanno dal rosa al blu al nero.
E’ oramai buio quando torniamo in albergo, dove trascorriamo l’ultima notte.
Quinto giorno: di buon mattino partiamo da Arles, direzione St. Remy. Il cielo è plumbeo e lascia presagire pioggia.
Facciamo tappa all’Abbazia di Montmajour ma è troppo presto ed è ancora chiusa: peccato, sappiamo che l’edificio, di epoca romanica fa parte dei monumenti inseriti nella lista dei Patrimoni mondiali dell’umanità ed ha un ricco chiostro.
Ci accontentiamo di visitare da fuori la vicina cappella della Santa Croce: le sue mura grigie e severe e il cielo presago di pioggia rendono l’atmosfera inquietantemente gotica.
Arriviamo in una St. Remy che il giorno (è lunedì), l’orario e il tempo rendono deserta.
Una visita in centro, una foto alla fontana di Nostradamus e una visita al palazzo del marchese De Sade (solo da fuori, poiché è chiuso) sono sufficienti.
Poco prima di mezzogiorno prendiamo la strada di casa.
Da St. Remy e fino alla Costa Azzurra scegliamo di percorrere la strada statale, con frequenti tappe per fotografare le meridiane che avvistiamo numerosissime.
In Costa Azzurra il traffico si intensifica e decidiamo di imboccare l’autostrada.
Ultima tappa francese all’autogrill che si trova alle spalle del principato di Monaco e poi varchiamo il confine.
Direzione casa.