Postcards from Morocco
La decisione di andare in Marocco per le vacanze estive è stata un parto lungo e travagliato (iiia chissà che caldo…), poi finalmente l’illuminazione, il volo prenotato, un riad di Marrakesh tempestato di mail in un francese non proprio d’elite ed eccoci, zaino in spalla, all’aeroporto di Malpensa.
MALPENSA-MARRAKESH:5 AGOSTO 2009 Già la notte passata in aeroporto ci fa presagire che il viaggio sarà di quelli che non si dimenticano. Sull’aereo saremo si e no sei italiani, il resto dei passeggeri è composto di marocchini che tornano a casa per le vacanze estive. Facciamo amicizia con alcuni, sono operai in varie città del Nord Italia, ci confrontiamo sulla situazione del paese, la crisi, l’amarezza di certe incomprensioni.Ci fanno capire di non veder l’ora di atterrare nella loro terra. Il Marocco ha un cuore grande così ci dicono.
La curiosità a questo punto è enorme. Atterriamo a Marrakesh che sono circa le 9.30 del mattino, i nostri compagni di viaggio si dileguano nel mucchio di gente che li attende all’aeroporto.
Decidiamo di prendere un taxi per la Medina. Eh beh..Certo tutto pensavo tranne che di dover contrattare anche una corsa in taxi…Il tassista spara 150 dirham…Diego accetta…Spero che comprenda dal mio sguardo attonito che è una cifra spropositata e invece no…Eh beh…Gran giornata per il tassista il 5 agosto. (una corsa in petit taxi non deve superare i 50 dirham, altrimenti è un ladrocinio!!!!!) La corsa in taxi è fantastica: un videogioco ad alta definizione. Carretto evitato 1000 punti, passi col semaforo rosso 500 punti, sorpasso a destra 10000 punti…Diego riesce solo a dire:”c’est difficile conduir a Marrakesh, eh?!?” L’entrata alla Medina è spiazzante. Si viene catapultati di colpo in un mondo parallelo, lontano dall’idea romantica che mi ero fatta io di archi e cupole colorate e profumi di spezie e atmosfere esotiche. La Medina è rossa della terra con cui son fatte le case. Nella Medina la circolazione è dettata dall’anarchia, uomini che tirano carretti, asini che tirano carretti, motorini carichi di passeggeri e che ogni tanto tirano carretti,botteghe minuscole in cui si vende di tutto, gente seduta a i bordi delle strade, gente che beve il the seduta fuori dalle botteghe, gente in mezzo alla strada, gente ovunque. E profumo di spezie sì , con l’odore acre che sale dai tombini e dagli animali e dalle latrine. Mi chiedo se ero davvero preparata.
Il nostro Riad prenotato via internet è molto grazioso, a pochi passi da place Jeema el Fnaa. Sveniamo sui letti per ore prima di deciderci ad affrontare la città.
Usciamo che sono quasi le sei. Fa un caldo micidiale, ci saranno almeno 45 gradi. La sensazione è di quando si apre il forno per controllare la cottura delle cose, immaginatevi quell’onda di calore sparata in faccia , costantemente.
È l’ora in cui Jeema el Fnaa si anima. L’impatto con la grande piazza è ubriacante. Compaiono i chioschi dei ristoranti all’aperto, i cantastorie che raccolgono nugoli di persone che ascoltano in cerchio, qualche venditore di chincaglierie o di rametti di menta con la merce esposta a terra, le donne, tutte coperte, che disegnano arabeschi sulle braccia di altre donne e poi scimmiette al guinzaglio e incantatori di serpenti e danzatori neri, tamburi e musica e tanto fumo e l’odore del cibo e delle griglie. È la cosa più simile a come mi sono immaginata i gironi dell’inferno quando mi facevano leggere Dante a scuola. È un inferno godereccio e composto però.
Dalla grande torre della moschea, la Koutoubia, sia alza la chiamata del muezzin…Allah Akbar…E tutte le moschee della città le fanno da eco. Sentirla per la prima volta è impressionante( poi col passare dei giorni comunque non ci si abitua, puntuali alle cinque di mattina si salta sul letto chiedendosi cosa diavolo stia succedendo), è l’unica cosa che quieta Jeema el Fnaa per qualche attimo. Dopo la cena ci rifugiamo sulla terrazza del riad, una ragazza spagnola in viaggio con la mamma ci fa compagnia. Si parla di quel che abbiamo attorno, di come l’Europa sembri in parte già lontana, anche se nella piazza i tappeti kilim pendono dalle terrazze accanto ad enormi pannelli rossi con la scritta Coca Cola.
6 AGOSTO:MARRAKESH Abbiamo una cartina della medina ma capiamo che utilizzarla è pressoché impossibile, afferriamo più o meno la direzione ed imbocchiamo le strade del grande souk sperando di arrivare alla Medrasa Ben Youssef. E ci riusciamo, facciamo la nostra unica visita culturale a Marrakesh. L’antica scuola coranica è bellissima e idem il palazzo che ospita il museo della città. Qui trovo le piastrelle colorate, le decorazioni pulitissime, i metalli e l’atmosfera sospesa che credevo fossero ovunque. E invece sono solo in un museo! Marrakesh però ce la vogliamo vivere! Ci perdiamo nel souk perché è il modo migliore per riempirsi gli occhi, tanto prima o poi, non si sa come, ci si ritrova nella grande piazza:ogni cosa inizia e finisce lì.
Nel souk si vende tutto: babbucce, stoffe, abiti, spezie, televisioni, cellulari, pane, bestie, cibo, argenti, lampade, tutto insieme, in un architettura di equilibri instabili.Dicono che stia perdendo la sua originalità, che le botteghe artigiane abbiano lasciato il posto alla produzione in serie e che quindi la gran parte della merce del souk di Marrakesh non sia così unica. Io lo trovo incredibile comunque, anche se magari mi son presa dell’argento mischiato al nichel, prenderlo lì è tutta un’altra cosa.
I motorini sfrecciano nei vicoli facendoci appiattire contro i muri ma non fa nulla, all’anarchia ci si abitua più in fretta che all’ordine. Entriamo nelle botteghe, ci facciamo rimbalzare da questo e quel venditore, contrattiamo ( ormai contrattiamo qualsiasi cosa, dopo l’esperienza del taxi direi che è d’obbligo), discutiamo, ci fermiamo a chiacchierare e ricambiamo i tanti sorrisi gratuiti che ci vengono offerti negli incroci di sguardi con le mille facce che animano il mercato.
I mercanti sono mirabolanti nel gestire l’arte del “tac tac”, la contrattazione è quasi una forma di rispetto, un gioco a cui non ci si deve sottrarre.Diego impara in fretta, tiene testa con una prontezza inaudita (e in francese). C’è da dire che alla fine, comunque, la spuntano sempre loro per quanto ci lascino l’illusione di aver fatto l’affare del secolo. È che hanno dei sorrisi che ti stendono, non c’è niente da fare! 7AGOSTO: MARRAKESH-AIT BENHADDOU zaino in spalla, l’autobus ci porta nel quartiere di Gueliz, nella città nuova. Qui abbiamo noleggiato l’auto con cui partire per l’alto Atlante, una ford fiesta blu quasi nuova e dotata di climatizzatore. Il Paradiso in pratica.
Si parte in direzione Ouarzazate lungo la famigerata strada del Tizi’n Tichka. Io non guido, lascio a Diego l’arduo compito di interpretare il codice della strada marocchino. Comprendiamo da subito che una delle regole base riguarda l’incrocio con altri veicoli che sopraggiungono in direzione opposta su strade extraurbane. C’è da dire che le strade sono ad una corsia e mezza in pratica. Quindi, al sopraggiungere del veicolo autoctono, a te conducente straniero tocca fermarti sul ciglio, attendere lo sfrecciare del suddetto veicolo, rimettere la prima e ripartire fino al sopraggiungere di un altro veicolo. Capito questo si va che è una meraviglia! Man mano che si sale in ogni caso, gli scenari che si aprono sono mozzafiato. Montagne e silenzio a perdita d’occhio, paesaggi marziani di terra rossa, villaggi rossi e antichi anche nei modi, uomini e donne fuori dal mondo. E case di fango e paglia. Con la parabolica sul tetto. Poi il deserto roccioso e la temperatura che scende vertiginosamente mentre il cielo si copre. Pioverà due volte all’anno da queste parti, ci diranno poi. Quello del nostro arrivo è chiaramente uno di quei giorni.
Ci fermiamo al villaggio di Ait Benhaddou. È una meta di passaggio per i turisti, ci arrivano le escursioni in giornata da vari punti del Marocco per visitare il maestoso ksar, ma raramente la massa si ferma per la notte. Noi ci restiamo per quello. Il nostro alberghetto, La Rose du SAble, è quasi vuoto ed è una meraviglia. Lo gestiscono tre fratelli marocchini di cui il più giovane, Hassan, è una vera forza della natura. Alla sera, dopo cena( una cena clamorosamente buona…) ci invita a bere un whisky berber, il the alla menta, sulla grande terrazza. Parla quattro lingue e non ne ha studiata nessuna, ci racconta del Marocco di oggi, dei berberi, dell’Islam e di come non sia poi così praticato nel paese. Ci capiamo e questo mi piace.
Nel pomeriggio abbiamo visitato la casbah, verso l’ora del tramonto, che è davvero suggestiva. Arrivare fino in cima, dove il vento soffia fortissimo, e aprire le braccia verso il nulla, un deserto di rocce gialle che si perde all’orizzonte. Wow. 8 AGOSTO:AIT BENHADDOU decidiamo di fermarci un altro giorno perché questa pace è impagabile. Hassan ci consiglia una passeggiata per andare a vedere la casbah di Tamdakhte seguendo il corso dello ouadi, il fiume chiaramente secco dato il clima.
La passeggiatina consta di circa diciotto chilometri fra andata e ritorno in un percorso che varia da zone pietrose, guadi, oasi,mulattiere. Sembrerebbe di passeggiare su Marte se non fosse per qualche sporadica forma di vita che si incrocia lungo il cammino: donne con gli asini carichi che lavorano in campagna e cicogne. Qui chi ci incontra ci sorride, sempre. Anche le cicogne, certo.
Tamdakhte è davvero un posto incredibile, lontano dalle rotte turistiche almeno per ora. Una casbah un po’ decadente fa da casa alle cicogne che vengono a farci il nido. Poi in cerca di refrigerio ci perdiamo nel palmeto che circonda il paese. Il ritorno è interminabile, arriviamo disfatti e bruciacchiati e sporchi. Ci siamo bevuti cinque litri di acqua in due durante il tragitto e niente pipì! l’albergo nel frattempo si è popolato. A cena facciamo amicizia con dei ragazzi francesi ed una coppia di Barcellona, lui cileno e lei portoghese. Nella notte, seduti per terra sulla terrazza, si parla esperanto: italiano, francese, spagnolo e berbero. Ognuno parla la sua lingua e ci si capisce tutti.
Rifletto sul fatto che ormai siamo davvero tutti simili .In strada arrivano i tam tam di un matrimonio berbero. Hassan racconta che sono quasi alla fine dei festeggiamenti, durano almeno dieci giorni e quella è la grande sera in cui gli sposi finalmente rimarranno soli.
9 AGOSTO: TINERHIR questa giornata verrà ricordata dalla storia come “quella volta in cui a Diego e Greta arrivo un tappeto diretto nel didietro”…Eh si…Lasciamo Ait BenHaddou e partiamo per Tinerhir, che sarà la nostra tappa prima di arrivare all’Erg Chebbi. Vogliamo vedere le gole del Todra e speriamo che la temperatura sia un po’ più clemente.
Tinerhir e circondata dal palmeto più vasto del Marocco. Dall’alto sembra un fiume verde, una macchia brillante in mezzo al rosso. Troviamo una sistemazione verso le gole, un albergo carino e molto frequentato da marocchini in vacanza. Ci accoglie Aziz, che parla anche un po’ di italiano. Scopriamo che conosce Hassan.
Nel pomeriggio andiamo a vedere le gole del Todra che sono uno spettacolo. Un magnifico signore in abito berbero e tuareg in testa ci ferma. “AAAAH italiani!” E’ il fratello grande di Aziz. Dice che siccome alloggiamo da suo fratello ci farebbe volentieri il piacere di accompagnarci a Tamtatouche, paesello ameno dopo le gole, facendoci da guida. Accettiamo e lungo il tragitto si intavolano discussioni ( in francese) sui massimi sistemi, sul nostro entusiasmo riguardo all’ospitalità marocchina eccetera eccetera…Scopriamo che anche lui conosce Hassan…Dice che gli farebbe molto piacere farci conoscere la sua famiglia( ma come, di già?!?!) e ci invita a casa per un the.
La casa è proprio berbera, tappeti e cuscini e pareti di fango e paglia. Soprattutto tappeti però. E un telaio all’entrata in una posizione troppo scomoda per poterci lavorare. Al nostro arrivo si presenta Fatima (la moglie??mhhhh…), con l’occhio trafelato dalla fatica chiaramente. Mi mette in mano degli arnesi per sfilacciare la lana e vuole a tutti costi che io provi. Dopo aver capito che lo sfilacciamento della lana non è proprio il mio mestiere, Fatima dice che vorrebbe mostrarci il suo lavoro. AHIA…Inizia a srotolare un ventina di tappeti mentre Abdullah ci istruisce sul significato delle decorazioni. Siamo cortesemente fregati, non sappiamo come uscirne. Abdullah inizia una contrattazione con Diego, Fatima si intromette dicendo che se le diamo qualche t-shirt ed un cellulare ci lascia il tappeto a meno…EEEEEEHHH???? Ci sentiamo come Ugo Fantozzi e la Pina.
Alla fine Diego la spunta. 600 dirham e due magliette da portare il giorno seguente, si perché Abdullah vuole che torniamo a casa sua per assaggiare la pizza berbera.
A me non piacciono i tappeti, Diego una volta era pure allergico alla polvere ed il tappeto (che ho affettuosamente soprannominato Abdullah) giace ancora nella borsa tutto infagottato ad una settimana dal nostro rientro.
10 AGOSTO: MERZOUGA fuggiamo da Tinerhir tirando un clamoroso pacco alla pizza berbera di Abdullah con il terrore che si potessero presentare l’amico gioielliere o il fratello ebanista o il cugino produttore di olio d’argan.
Diamo un passaggio in auto a due incredibili musicanti nomadi che parlano solo berbero e poi iniziamo il viaggio verso Erg Chebbi senza avere un ‘idea di cosa fare una volta arrivati a Merzouga. I paesaggi sono sempre più aridi, i vestiti delle donne cambiano di paese in paese: un velo raccolto nelle campagne, un velo tradizionale nelle cittadine e ampi abiti neri e blu che scoprono solo gli occhi verso il deserto. Sono i beduini ci dicono.
Mi rendo conto dell’importanza dell’acqua. Mai come in questo posto capisco che dove c’è l’acqua c’è anche la vita. Si fanno centinaia di chilometri nel nulla e poi, ad ogni fiumiciattolo sterile, un palmeto, un villaggio.
Arriviamo a Merzouga immaginando di trovare un paese e invece no. Passata la porta non c’è niente. Qualche baracchino che vende acqua e nient’altro. Sabbia, qualche sasso e poi solo sabbia.
Le grandi dune di Erg Chebbi. L’Erg chebbi che è diventato turistico per permettere alla sua gente di sopravvivere. L’Erg chebbi dove per dieci anni non è piovuta una goccia d’acqua e che poi, al primo scroscio, ha visto Merzouga collassare e distruggersi da tanto che era disabituata alla pioggia.
Avventurarsi da soli è improponibile. Appena passata la porta di Merzouga si viene cordialmente assaliti da ragazzi che propinano ogni svariata proposta di escursione. Prendiamo la prima che capita e facciamo salire in macchina Sufiane, che ha uno di quei sorrisi che ti stendono di cui accennavo all’inizio. Dovremmo partire alle sei con il dromedario. Ah, non è ben chiaro ma ci sembra di capire che anche Sufiane conosca Hassan. E soprattutto il caso vuole che riincontriamo gli amici di Barcellona conosciuti ad Ait BenHaddou!! Partiamo insieme: Daniela, George, Greta, Diego e Mustafà, ognuno sul suo dromedario ciondolante. Arriviamo all’accampamento che è quasi sera, la sabbia cambia colore ogni due ore a seconda degli spostamenti del sole. Ci leviamo le scarpe e iniziamo a fare su e giù per le dune, la sabbia è fine e calda e tutto intorno è magnifico. Ceniamo con tajine e riso e poi, accompagnati, lasciamo l’accampamento e saliamo sulla grande duna. Restiamo lì un sacco di tempo a guardare la luna, a parlare, a stare in silenzio.
Ci dicono che vivono ancora delle famiglie di nomadi nell’Erg Chebbi. Mi chiedo come possano essere, il deserto è un’esperienza inspiegabile, non c’è nulla che gli somiglia.
11 AGOSTO:MERZOUGA-VALLE DEL DRAA-AIT BEN HADDOU Ripartiamo dall’accampamento all’alba con i lombi triturati. Direi che una volta nella vita il dromedario può bastare.
Il caldo è atroce, un termometro segna 54 gradi: non voglio crederci!!! Ci rimettiamo in macchina in direzione Ouarzazate seguendo gli scenari vulcanici della valle del Draa; l’obiettivo è tornare dai nostri amici ad Ait BenHaddou per la notte.
Raccontiamo ad Hassan la nostra avventura che ci ha fatto guadagnare un tappeto e lui si sbellica dalle risate…Ci racconta che anni prima ha lavorato con Abdullah…Ci descrive per filo e per segno la stessa scena che noi ci siamo visti recitare davanti a Tinerhir! Mi sento un pollo. Diego anche credo.
Poi la notte è di nuovo chiacchere. Si dorme sulla terrazza, per terra sui materassi. Nel cielo il Grande Carro mi sembra enorme che lo potrei toccare.
12 AGOSTO: AIT BENHADDOU – TAROUDANT non andate a Taroudant!!!!anche se la vostra guida ve la consiglia passateci elegantemente di fianco e snobbate la piccola Marrakesh!! Questo giorno sarà ricordato come quello in cui Diego e Greta si lavarono con le salviettine umidificate perché era più igienico della doccia.
Arriviamo a Taroudant dopo aver rinunciato ad una sosta nella valle dello zafferano che sembrava tanto amena con le sue cooperative e le sue caprette arrampicate sugli alberi d’argan! Taroudant si trova nella piana del Sous, di fatto una regione abbastanza fertile a giudicare dal numero di poderi enormi che si incontrano sulla strada. Possedimenti occidentali pare di capire, dove è probabile che i marocchini lavorino come braccianti sottopagati. Ne incontriamo parecchi lungo la strada, fanno l’autostop e non hanno proprio un aspetto allegro.
La Medina di Taroudant è un labirinto, la mia cartina è carta straccia perché qui è tutto scritto in arabo. Ci fermiamo al primo albergo che incontriamo. Il padrone si illumina come se non vedesse un cliente da mesi…E te credo!!! Non sto a descrivere le condizioni di quel posto, io sono abituata ai campeggi e vi assicuro che non ho mai visto niente di così hard nella mia vita. Brrrrr… Basta un breve giro per la città per accorgerci che siamo gli unici europei, che le donne qui portano tutte il velo dai cinque anni in su e che in tutta la piazza sono l’unico essere di sesso femminile a sorseggiare un the seduta ai tavolini di un bar. Quando poi parte la chiamata del muezzin la nostra perplessitudine si fa di proporzioni epocali: è un frastuono, si risponde da ogni lato, copre qualsiasi rumore.
Ci sentiamo proprio a nostra agio qui, così tanto che alla sera esco coperta dalla testa ai piedi.
Grazie al cielo la cena è ottima e il gestore del ristorante è molto gentile. Ci spiega che Taroudant è una delle città più ortodosse del Marocco, che ci sono 28 moschee e che qui di turisti non ne vengono molti. Credo che in fin dei conti sia una città carina, ma non ho fatto in tempo a rendermene conto perché alla cinque del mattino siamo già in fuga, direzione mare.
13 AGOSTO: TAROUDANT-AGADIR-SIDI AOUKI Ci fermiamo per la colazione ad Agadir. Siamo in condizioni igieniche precarie dopo la sosta a Taroudant e Agadir è tremendamente chic. Quello chic poco autentico che sa di colonizzazione, che cerca l’esotico e poi lo distrugge per ricrearci dentro la culla di comfort indispensabile ad un ottima vacanza al mare.
Agadir non centra niente col Marocco. È persino pulita.
Passeggiamo sul lungo mare sotto un cielo di nubi atlantiche e ce ne ripartiamo anche da qui.
Approdiamo ad un oasi di pace nel pomeriggio, ad una ventina di chilometri da Essaouira.
Un marabutto, due alberghi poco impegnativi e una enorme spiaggia di pan grattato frequentata da gente del posto e qualche surfista in cerca di onde: Sidi Aouki.
La notte la passiamo qui: mare cibo e basta.
14 -15 AGOSTO: ESSAOUIRA Essaouira è davvero bella e fascinosa come la descrivono. Da quando la sua medina è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco poi si vede come i suoi abitanti si facciano in quattro per mantenerla pulita. È il primo posto dove vedo i camion della spazzatura passare per la raccolta ogni mattina. E si vede che il turismo è la prima fonte di sostentamento da queste parti: c’è un mare di gente!!tutta la Marrakesh bene viene qui a rinfrescarsi durante il fine settimana.
Al nostro arrivo ci scontriamo per la prima volta con il parcheggio custodito marocchino. Tre euro e la raccomandazione di lasciare l’auto con la marcia in folle e il freno a mano disinserito. Chiaro, perché se una nuova auto vuole parcheggiare vicino ma si trova un po’in difficoltà il solerte parcheggiatore interviene con qualche manata alle auto limitrofe ed ecco comparire magicamente un nuovo posto! È un po’ come tetris.
Trascorriamo ad Essaouira due giorni di relax fra la spiaggia, passeggiate verso il porto sui bastioni dell’antico forte portoghese, visite fugaci alle gallerie d’arte e nel souk.
Il souk ha prezzi fissi, spiazzante dopo dieci giorni di contrattazioni per qualsiasi cosa.
A me sembra di essere di nuovo in un altro paese, molto più vicino all’Europa, lontano dai silenzi di rosso e giallo a cui mi ero abituata.
A farmi rendere conto che ci troviamo in Marocco però ci sono le donne sulla spiaggia. Qualche giovane osa dei bikini castigati, ma la maggior parte resta coperta anche durante il bagno. Per rispetto mi tengo i pantaloncini. Il Marocco è un paese estremamente tollerante, eppure non riesco a non farmi domande soprattutto sulla condizione delle donne. Le ho viste cariche di fasci d’erba al lavoro nelle campagne, spezzarsi la schiena con secchi di acqua (guai a chi sento dire che le donne musulmane non lavorano), le ho viste quasi sempre coperte soprattutto.
Per una donna occidentale è difficile da capire, è un punto di vista troppo lontano per trovare connessioni.
Dicono che l’attuale re, Mohammed, a differenza dei suoi predecessori si stia dando molto da fare per lo sviluppo del Paese, a partire da un miglioramento della condizione delle donne. Sinceramente lo spero, ma è la speranza di una che non sa nulla.
16 AGOSTO: ESSAOUIRA-MARRAKESH 200 chilometri in un numero imprecisato di ore!! Lavori sulla grande strada verso Marrakesh, deviazioni sullo sterrato, polvere e caldo.
È il nostro ultimo giorno qui e l’atmosfera è proprio quella del distacco. Torniamo a perderci nel grande souk, restiamo tempo infinito a guardare la dall’alto jeema el fnaa, facciamo scorta di sorrisi.
Notte pensierosa e poi, all’alba, svegliati dalla moschea di corsa verso l’aeroporto per il ritorno.
17 AGOSTO: MILANO MALPENSA appena atterrati l’autista della navetta per la stazione centrale mi fa immediatamente venir voglia di prendere un altro aereo e ripartire di nuovo per qualsiasi destinazione. Bentornati in un posto dove i sorrisi non sono per niente scontati.
Questi sono i posti dove abbiamo dormito, li segno perché mi sento di consigliarli soprattutto per budget un po’ contenuti come il nostro. MARRAKESH: Riad Taghazout (http://www.Riad-taghazout.Com): 18 euro con colazione strepitosa, vicino alla piazza Hotel Imouzzer (http://www.Hotel-imouzzer.Com ): 6 euro a persona + 2 per la colazione (pulitissimo e pieno di giovani) Restaurant du Progress: vicino alla piazza, cena buona a 7 euro in due, posto pulitissimo! AIT BENHADDOU: Hotel La Rose du Sable (http://www.Larosedusable.Com ): 18 euro con colazione e cena, un po’ di meno per dormire in terrazza. (si mangia tantissimo e benissimo), TINHERIR-gorges du todra: Maison d’hotes Taborithe : 18 euro con colazione e cena MERZOUGA: maison Tuareg: 35 euro per camera, colazione, cena ed escursione nell’ Erg Chebbi TAROUDANT: non ve lo dico! SIDI AOUKI: hotel les dauphin ESSAOUIRA: hotel Al-Fath (http://www.Essaouiranet.Com/hotel/hotel-elfath ): 18 euro a testa con colazione abbondantissima, nella Medina con camere sul mare NOLEGGIO AUTO: :SERISSIMO! GUIDA UTILIZZATA: ROUTARD ps. Se all gole del Todra vi avvicina un signore affascinante tutto vestito di azzurro fuggite prima che sia troppo tardi!!!!