PORTOGALLO oooOOOLEeeee!

Dedicato al nostro caro amico Frank. Ci incamminiamo mollemente verso l’uscita del terminal. Non facciamo in tempo a scorgere il serpentone di taxi che veniamo subito salutati dall’irruenza portoghese. Due tassisti stanno litigando. Uno di loro ne uscirà sconfitto ed è facile intuire chi sarà. Un vecchietto tutto nervi, l’apparecchio...
Scritto da: Silvia Valentina
portogallo ooooooleeeee!
Partenza il: 08/08/2004
Ritorno il: 24/08/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Ascolta i podcast
 
Dedicato al nostro caro amico Frank.

Ci incamminiamo mollemente verso l’uscita del terminal. Non facciamo in tempo a scorgere il serpentone di taxi che veniamo subito salutati dall’irruenza portoghese. Due tassisti stanno litigando. Uno di loro ne uscirà sconfitto ed è facile intuire chi sarà. Un vecchietto tutto nervi, l’apparecchio acustico e due lenti spesse come un libro sbraita agitando le braccia inveendo contro un collega più giovane. Ah! Finalmente è il nostro turno.. NO!! Ci tocca proprio lui! Ci fa segno di seguirlo. Ha le vene delle tempie che pulsano. Meglio non contraddirlo. Si impadronisce delle nostre valigie, impallidisce nel sollevare la mia, ma alla fine entriamo tutti nell’abitacolo… Non parla inglese. Mi richiede più volte l’indirizzo. Più volte glielo indico sulla guida ma le sue lenti mi fanno sentire impotente. Finalmente ingrana la prima (inveendo ancora contro il collega). Parte impennando sulle due ruote posteriori…Io e Gian ci guardiamo impietriti, lui ride ed io rimpiango la sua guida. Evoluzioni in galleria, curve a 130km e le lenti attaccate al finestrino. Riusciamo ad uscire dall’iper spazio e a raggiungere il nostro hotel (non inveisce più, ora sorride gentile). L’hotel in stile Decadente mi ricorda che tutto il mondo è paese. Mi sento un po’ come quei turisti che arrivati a destinazione si trovano a fare i conti con villaggi inesistenti o in costruzione…Se la legge contro la pubblicità ingannevole valesse anche per i depliant! Ormai è tardi, entriamo nella lussuosa hall di 2mq e ci impadroniamo delle chiavi. L’ascensore in stile greco ci vomita al 4° piano. Nelle note della guida leggo che è meglio soggiornare nelle stanze lontane dal bagno comune… Ovviamente la nostra è proprio di fronte. Sospiro e apro. Anche la stanza è in stile Decadente. Spingo il mio camper dentro. Gian è dietro di me con i due carrelli appendici. Entra e chiude. Due passi e siamo davanti al letto, tre e arriviamo al balconcino. Una rapida occhiata al panorama e poi decidiamo di deumidificare la stanza. Ma dov’è l’aria condizionata?? Un ventilatore intimidito ci fissa dal tavolino. Ok…Lo faremo bastare. Usciamo per cercare di mettere qualcosa sotto i denti e ci tuffiamo nelle scivolose vie di Lisbona. Seguiamo un campanello di gente che ci porta nella Lisbona by night. Siamo stanchi ed affamati quindi niente itinerari da guida. Entriamo nel primo ristorante che ci ispira. Senza infamia e senza lode ci riempiamo la pancia. Paghiamo e decidiamo di tornare in hotel: siamo sfatti e inumiditi. Richiudiamo la porta e lasciamo un piccolo spiraglio alla portafinestra. Un paio di minuti per studiare il mini-mulino-a-vento e poi eccolo, Zero, il ventilatore silenzioso come gli aerei utilizzati dai giapponesi kamikaze nella seconda guerra mondiale. Scrollo di testa comune. Sarà una lunga vacanza…Vacanza?? Sveniamo per il sonno. La notte passa e arriva il giorno. Ore 07.30: una luce violenta investe la stanza. Ma tanto siamo già svegli…Anzi, lo siamo stati per tutta la notte ad intervalli di 1 ora. Sesso? Macché! Camion per la raccolta rifiuti e per la pulizia si sono alternati tutta la notte in una sorta di danza tribale. Ci alziamo e scendiamo a fare colazione. Studiamo un piccolo itinerario per la giornata e partiamo alla scoperta della città. Lui pantaloncini e spadrillas, io gonnellina di lino e sandali…Usciamo. Ti pareva, piove! Affrontiamo lo stesso le intemperie rasenti ai muri e scodinzoliamo qua e là per il centro. Con sorpresa mi rendo conto che la vera Lisbona è ben lontana dall’idea che me ne ero fatta. Assomiglia molto alla vecchia Genova portuale. Ogni casa trasuda senza vergognarsene la propria identità malata. Paragonabile ad Atene in quanto a pulizia, molti edifici stanno cadendo a pezzi…Il centro storico è un reticolo di viuzze disordinate, lastricate da ciottoli bianchi e scivolosi che si snodano tra saliscendi come in una San Francisco d’altri tempi. Case basse, muri ed infissi scrostati dal tempo e dalla salsedine, grondaie maltenute che corrono lungo le case per finire a pochi centimetri da terra e da cui piove una costante “aquerela do lisboa” di color marrone e di non chiara provenienza… Veniamo poi a sapere che ormai è solo un quartiere di uffici. Gli affitti sono talmente alti che non permettono ad un lisbonese medio di abitarci… Ohh! Finalmente il soleeeee! E’ ormai un po’ che giriamo. E’ ora di pranzare. Anche stavolta niente guida…Gian attiva il suo Food Sensor lungo il Rossio. Sardine alla griglia e lonza di maiale il tutto contornato da patatine, paté di tonno e formaggio stantio. Come ragionieri satollati racimoliamo monete per pagare il conto. Mi sto alzando ma una mano sulla spalla me lo impedisce. In un inglese improvvisato sento proferire “Qui non c’è niente per me!” Incredibile, era il cameriere che con un sorriso plastico mi fa notare che non gli ho lasciato la mancia. Integro, saluto e penso “sforeremo il badget”.

Sotto il benefico tepore del sole continuiamo la nostra maratona… Igreja do Chado, Castelo de Sao Jorge, Igreja do Sao Vicente, Elevador de Santa Justa, il quartiere di Santa Catarina… Decidiamo si sfruttare il carnet di sconti. Il giro turistico a Sintra non sembra malvagio. Partenza in pullman h.14.00, il rientro è previsto per le h.18.00. Riusciamo a scattare qualche foto nonostante i pochi minuti a disposizione tra una tappa e l’altra. Piccola sosta alla famosa Praia do Guincho, il paradiso sei surfisti e oggi anche il mio. Il tour prosegue: Capo da Rocha, Cascais, Mafra. E’ quasi sera e veniamo scaricati con 15 minuti di ritardo. E’ ora di tornare nella nostra cella e di rilassarci un po’ sotto la doccia… Mentre ascolto i miei vicini di stanza parlare, tiro le somme della giornata. Ora capisco il perché di tutte quelle impressioni così diverse tra loro… Lisbona piace o non piace. Niente vie di mezzo…Per il momento mi sento di spezzare un braccino in favore del ‘non piace’. Decidiamo cosa e dove mangiare. Pesce e UMA. Bene. Per fortuna non è distante e in pochi minuti ci ritroviamo seduti in un bar di paese con il profumo di una fantastica zuppa di pesce che ci riempie le narici… Orrore!!!! Ma cosa diavolo è??!!! Non è prezzemolo… Ah!!! Coriandolo!!!!!!! Che schifo… Armati di santa pazienza sezioniamo la zuppa (sembra una puntata di CSI Miami) e ci deliziamo il palato. Pieni come otri affrontiamo l’umida serata. Un giro sul famoso tram 28 non ci starebbe male… Alla fermata troviamo un gruppetto di turisti. Aspettiamo insieme l’ultima corsa. E’ proprio carino: un tram dei primi 900 tutto in legno. Pochi posti a sedere ma vista l’ora non è un problema. Inizia il giro. I nostri sorrisi si allargano alle prime curve. Fa invidia ai Roller Coaster americani. Sfiora i palazzi, inchioda ai semafori, urla dietro ai pedoni e spara alle macchine colpi di gong… il tranviere è sicuramente pazzo! Un paio di volte acchiappo al volo il mio zaino e la zuppa di pesce che tenta di uscire…Pochi minuti ed è tutto finito…Peccato. Domani ancora sull’ ”assassino”. Gambe in spalla scendiamo. Cazzo di ciottoli! Sembra di camminare sul burro…

Torniamo in albergo. Lasciamo riposare Zero. Contiamo ben 5 camion della mondezza e 3 pulite di strada. E’ giorno. Si ricomincia. Tanto per cambiare pioviggina. Oggi ci aspettano Belem e l’Oceanario, il secondo più grande del mondo dopo quello di Osaka…E chi se lo perde? Il tram scivola silenzioso verso Belem e noi silenziosi guardiamo le nuvole diventare sempre più scure. E’ arrivata la nostra fermata. Ovviamente sta piovendo che Dio la manda e noi siamo senza ombrello! La mia gonna cambia colore e l’acqua scivola lungo braccia e gambe. Gian non sembra particolarmente turbato. Le sue spadrillas invece sì: il borotalco si è trasformato in poltiglia. Rimediamo un ombrellino ma non servirà a niente. Prima tappa (la più vicina) Monasteiro do Sao Jeronimo. I turisti affollano l’ingresso così come la chiesa. Finiamo nel chiostro e con gioia ci accoglie il sole. Mi colpisce una fontana: un leone la sovrasta sputando acqua. Mi avvicino per una foto. Mi sistemo i capelli…Ma come??!! Già fatta! Risultato? Io e il leone abbiamo la stessa criniera. Attraversiamo la strada principale in direzione Torre di Belem: anche qui una piccola folla in attesa di entrare. Nel frattempo osserviamo la torre decantandone la bellezza. Il tempo passa e dobbiamo attraversare la città per raggiungere l’estremità opposta di Lisbona. La métro ci lascia a Olivais. Caspita! Ma questa non può essere Lisbona! Ci accolgono due palazzi a vela e il museo Vasco da Gama. Ci buttiamo a sinistra sperando di non sbagliare strada. Appunto. L’Oceanario è a destra. Ammiriamo il lungo Tejo molto diverso da quello della city. Ci aspetta una coda interminabile. Siamo in vacanza, questo è l’importante. In venti minuti guadagniamo la biglietteria. Pesci grandi e piccoli, dai più temibili ai più angelici coabitano in armonia nella grande vasca centrale. I nostri nasi schiacciati contro il vetro. Ahh! Che spavento! Una razza sta risalendo la parete in vetro e mi passa a 5 centimetri dalla faccia prendendomi di sorpresa… Il by-pass può aspettare. Continuiamo il giro nei quattro ambienti oceanici. Mettiamo le tende in quella dei marmottoni, troppo buffi per un frettoloso saluto. Restiamo lì avvinghiati al parapetto mentre nuotano, giocano, ci guardano, si strofinano il petto villoso e si grattano i baffi, si immergono, spariscono, riappaiono più in la giocando con un tubo. E’ sicuramente l’attrazione del secolo.

Usciamo. E’ ancora presto. Saltiamo sul Teleferico. Il panorama da quassù è mozzafiato. Non sembra davvero Lisbona. Scendiamo in prossimità della Torre Vasco da Gama che per fortuna è chiusa. L’ho scampata, non devo fingermi vogliosa di salire in cima. Passeggiamo sul lungofiume alla volta del ponte Vasco da Gama (quartiere monografico…) e senza rendercene conto ci allontaniamo per chilometri. Estasiati dalla sua bellezza lo catturiamo con una foto e torniamo sui nostro passi. Meglio rientrare alla base, Zero sarà preoccupato! Ci buttiamo all’interno del quartiere residenziale, una piccola Beverly Hills, superiamo condomini dalle forme più bizzarre e fontane dagli omini verdi che fanno pipì. Scorgiamo la fermata…E anche l’autobus che se ne sta andando…Il solito culo! Rapida occhiata d’intesa. Aspettiamo il prossimo comodamente seduti.

Mentre percorriamo il lungo corridoio che separa le scale mobili dalle banchine della metrò lasciamo cadere i bulbi oculari alla vista di salumi, formaggi e dolci. Ci fosse stato in hotel il frigobar… Zero ci vede e tira un sospiro di sollievo. Neanche una tirata d’orecchie. Penso seriamente di barattarlo con mia madre. Doccia e vestizione. Guida alla mano, ci ritroviamo al ristorante. Chissà perché sembrano tutti vecchi commestibili di paese. Pesce alla griglia (ormai è di rito e non rischiamo il coriandolo). A fine cena Gian vuole il suo solito brandy deciso a sperimentare tutti quelli portoghesi. Ma alla domanda “secondo Lei qual è il miglior brandy portoghese? Sa, è per mio padre che li colleziona…” il cameriere fa un cenno col capo e sparisce dietro il bancone. Tre minuti e torna carico di bottiglie. Gliene fa scegliere una. Sa di pepe. Ringraziamo con una nutrita mancia e usciamo un po’ annebbiati dal vino.

Cosa possiamo fare? Ma certo! Scendiamo verso l’hotel e ci fermiamo al famosissimo Cafè Brasileira. Così io mi prendo un caffè, Gian il secondo brandy e faccio la foto alla statua di Pessoa. Arriviamo in pochi secondi. Intercetto una coppia che sta abbandonando uno dei tavoli all’aperto e mi ci fiondo. Perfetto. E’ proprio accanto alla statua. Aspettiamo qualcuno per ordinare ed improvvisamente ecco la cameriera. Il tempo rallenta, mentre lei avanza ciondolando da un’anca all’altra con un’espressione corrucciata (mi sembra una scena già vista in Armageddon), la maglietta mezza fuori dai pantaloni, i capelli tirati su da donna delle pulizie. Raggiunge a stento il nostro tavolo masticando svogliatamente un chewing-gum che appare tra i denti a tratti. Chiediamo una lista. Occhi al cielo e fa dietro front. Passano alcuni minuti e riappare. Sulla lista nessun accenno al brandy…Leggo lo sconforto negli occhioni blu di Gian. Sfida la fortuna e chiede se ne hanno. Lei alza il sopracciglio e gli indica l’entrata. Il sottotitolo è chiaro “alzati e vattelo a scegliere”. Torna rassegnato. “Maciera anche stasera”. Ma almeno non sa di pepe. Io ordino un caffè. Passano lunghi minuti. I clienti si susseguono tra i tavoli. Ordinano all’altro cameriere. Ricevono da bere. Noi stiamo ancora aspettando. Finalmente la smandra riappare. In preda ad un finto attacco epilettico mi lancia la tazzina di caffè. Atterra miracolosamente sul tavolo ma lo tsunami è inevitabile. Si salverà solo qualche goccia. Lei fredda come il ghiaccio con il sopracciglio impassibile mi guarda e se ne va. E’ un susseguirsi di emozioni: sorpresa, incredulità, incazzatura. Gian finisce il brandy ed io le mie gocce di caffè. Ci porta il conto e se ne va. Stavolta pago io. Con fare ironico Gian mi dice “Ma come, non le lasci neanche un centesimo di mancia??”…”Sai dove glielo metterei io il centesimo????!!”…Ci alziamo e ce ne andiamo.

Torniamo in albergo. Troppo inorridita dal fare portoghese non ho voglia di preparare le valigie. Lo farò domani dopo la colazione. La notte passa (ormai i camion non li sentiamo quasi più). Scendiamo nella solita sala decorata con azulejos e mi preparo psicologicamente ad affrontare il distributore di bevande mentre Gian assiste divertito. Non mi faccio più fregare, ormai ho affinato la tecnica. Mi avvicino al distributore di caffè-latte-tè-cioccolata-orzo-lattemacchiato-cappuccino-tisane-infusi e premo il pulsante del caffè. Guardo scendere per alcuni secondi la solita acquetta sporca. Sta cambiando colore, è ora di inserire la tazza. Prima sotto il beccuccio di destra, poi velocemente quello di sinistra. Il caffè sta impallidendo, è quasi acqua. Tolgo la tazza velocemente. “Mio nonno l’ombrello lo portava qui!!” seguito da un sonoro ‘Toc’.

Torniamo in camera. Il tempo di preparare le valigie e ci congediamo da Zero con un abbraccio…Ci mancherà. Bus o taxi? Taxi. Non abbiamo voglia di sbatterci più di tanto.

Arriviamo in aeroporto in perfetto orario per ritirare la macchina. Appuntamento h.12.00. Lungo la schiena un brivido freddo si diverte a stuzzicarmi. Ho prenotato l’auto tramite web con una società mai sentita prima e che non ha sportelli in aeroporto. Chiunque penserebbe alla fregatura. Mi consola il fatto di non aver anticipato neanche un euro. Mal che vada ci mettiamo in coda alla Hertz o Avis. Il tempo scorre come la gente. Scherziamo sulla fregatura incombente additando alcuni personaggi buffi che si aggirano tra la folla… ”Guarda, sarà mica lui?” Mi giro e mi ritrovo a fissare un tipo buffissimo, tutto scuro e minuto sprofondato dentro un completo di tre taglie più grandi. Cammina nervosamente nel suo paio di scarpe da ginnastica slacciate e che da anni non vedono altra acqua se non la pioggia. Mi prende un attacco di terrore. Ci rifileranno una macchina rubata. Passano altri minuti. Dopo un ora di attesa prendo il cellulare e chiamo risoluta. “Sì, mi scusi. Purtroppo ho avuto un contrattempo. Le mando subito un mio collega”. Passano altri 20 minuti. Il telefono vibra: “Senta, il mio collega è al Meeting Point degli arrivi e la sta aspettando”. Grrrr…Peccato che sulla e-mail il luogo era un altro. Ci spostiamo trascinando il transatlantico e i due rimorchiatori. Lo individuiamo subito. Il tempo di uscire e il calesse è lì. C’è andata bene. Nuova fiammante e senza ombra di scasso. Diamo i documenti al tipo che procede alle formalità. Legge quello di Gian. ”Ah…Asti…Vinho!”. Figura da ubriacone inevitabile… Motore, aria condizionata, radio. Possiamo partire. Abbiamo l’onore di attraversare il ponte da Gama. Lo ammiriamo in tutta la sua bellezza. Tre ore e mezza di viaggio tra le colline e le pianure dell’Alentejo e Lagos è ormai vicina.

Entriamo nella piccola località balneare di Lagos. Sono già le quattro del pomeriggio e il serpentone di macchine non promette niente di buono. Lampo di genio: lasciamo la macchina nel primo parcheggio che incontriamo. Scoppolata dietro le orecchie: chi ha il coraggio di trascinare la chiatta e i due gozzi?? Affamati, cerchiamo di raggiungere l’albergo in macchina per evitare colpi della strega e fuochi di Sant’Antonio. Troppo difficile. Ma la nostra buona stella ha deciso di darci una mano. Troviamo un parcheggio non troppo distante ed è tutta discesa. Arrivati all’albergo tiriamo un sospiro di sollievo. E’ molto carino e accogliente. La stanza è al primo (ed unico) piano. Niente ascensore. Argani non previsti. Sono tutti cavoli miei. Per non sentirmi dire “Hai voluto portare una sola valigia!! Vedi, se facevi come me…” trascino la valigia lungo gli scalini rischiando una rovinosa caduta. Impietosito Gian scrolla la testa e mi aiuta.

Al primo piano un fantastico salottino tutto in stile inglese…Mi aspetto di vedere Mrs. Marple da un momento all’altro. Ci viene consegnata la chiave della stanza. Tutta in ferro battuto, peserà almeno tre chili. Ed a quella che penso al calare delle tenebre quando si accende la vida loca notturna…La nostra stanza è proprio sopra due locali saturi di inglesi ubriachi che invece di tirare freccette si divertono a fare surf con una tavola da stiro in ferro sulla strada di ciottoli…Pentoloni di olio bollente a me!!! Mattina! Via verso Sagres alla scoperta del promontorio di Cabo do Sao Vicente e della famosissima Fortaleza. Ci fermiamo a fare benzina appena fuori Lagos. Stiamo per ripartire ma un ticchettio sul mio finestrino ci ferma. Un’anziana signora tutt’altro che tenera batte sul finestrino gridando frasi senza senso…Per un po’ la guardo come una mucca che vede passare il treno, poi mi decido: ”Non compriendo!” Quando ad un tratto Gian se ne esce con una frase che gli varrà una laurea in gerontologia…”Miii dagli un euro a sta cazzo di vecchia così si toglie dai coglioni!!”…Per fortuna non fa in tempo ad allungarglielo e mi si accende una lampadina: sta chiedendo solo un passaggio… “Sagres”…”No! Lagos”…Le nostre strade si dividono e ripartiamo ridendo come pazzi.

Ci inoltriamo lungo la sottile strada che ci porterà alla fine del vecchio continente. Parcheggiata l’auto, mi armo di copertina e sfidiamo il vento freddo che spira dall’oceano Atlantico: uuuhhh … Bancarelle di cazzabubbole anche qui … Sento una mano che mi trascina via e Muttley che borbotta. Ed è qui che incontriamo Frank, un vero amico, ci accompagnerà per tutto il resto della nostra vacanza. Ci accoglie al suono di un “ehk…Ehk”, svolazzando qua e là sopra le nostre teste, Frank alias frango alias pollo in portoghese, è il vero signore di queste terre.

Che spettacolo…Emozionante e spaventoso allo stesso tempo. Tentiamo anche una piccola passeggiata lungo la scogliera ma abbandoniamo quasi subito l’idea: è come pretendere di camminare con le ciabatte da mare sulla grossa meteora di Armageddon. Foto di rito e via per la fortezza. Eccola con la sua entrata imponente. Ed ecco lo squallore al suo interno. Tristezza. Promettendo salamelle alla brace riesco a strappare un sì a Gian: oggi pomeriggio si va in spiaggia! Sol leone e tormenta di sabbia. Io in acqua a sciacquettare felice come una bambina. Gian rannicchiato sotto l’ombrellone a ringhiare e a combattere contro il vento che piano piano lo sta seppellendo. Alle cinquo de la tarde mi sento soddisfatta ed appagata. “Ora possiamo andare a casa…Gian…Gian?…Ma dove sei??”. Due biglie nella sabbia mi fissano. Nei 6 giorni passati a Lagos abbiamo girato la costa in lungo e in largo. Per chi come me ama il mare è uno scenario indimenticabile. Immense piagge di sabbia fine color miele accarezzate dalla spuma del mare. Falesie a picco che celano a tratti calette e piscine naturali. Immergersi nell’acqua fredda dell’oceano richiede coraggio ma ne vale senz’altro la pena! E’ già ora di ripartire per la prossima meta. Evora, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Raggiungiamo l’albergo nel pomeriggio. Ad accoglierci un cielo plumbeo. La stanza così come l’albergo sembra carina. Un antico monastero riadattato ad albergo 4 stelle. La stanza è molto carina: tutta in color rosa antico, è accogliente e allo stesso tempo austera. Ma come volevasi dimostrare non tutte le ciambelle escono col buco: condizionatore che perde, ferro liquido che esce dai rubinetti e letto sfondato e di paglia dove abbiamo rischiato la cervicale maledetta. Non ci siamo proprio… Evora in sé non è niente di eccezionale. Entrambi facciamo fatica a capire perché è stata nominata patrimonio mondiale. Cattedrale e pochissimi palazzi a parte, il resto non ha niente di stratosferico. Delusione. Molto meglio la cattedrale di Batahla! ma è proprio in questa Terra Desolata che troviamo la nostra oasi: Arrojolos, patria di salamelle e tappeti, abbarbicata sui pendii di una collina sulla cui sommità si erge in tutto il suo splendore il castello. Ed incredibile, il castello è completamente aperto, senza protezioni ed in rovina. Gian ne approfitta e sfoggia tutto il suo amore per l’archeologia. Anfratti ovunque, lo vedo sparire dietro una breccia. “Beh, cosa c’è di tanto interessante?” “Mah, più che un castello mi sembra un trullo! Dentro le mure sono cave…Ah, qui usano i Control”. Due giorni e ci si rimette in viaggio alla volta di Nazarè altrimenti detta la Viserbella della costa atlantica, ultima tappa del nostro viaggio. L’albergo merita: recentemente ristrutturato, ospita 30 stanze alcune delle quali con vista sull’oceano. La nostra, al secondo piano, ci regala tramonti speciali, immortalati da una digitale, che oggi ci tengono compagnia sui sul freddo desktop di un pc. Un terrazzino tutto nostro sul quale poter ammirare l’oceano. Oh! Siamo anche dotati di ombrellone… Dai, dai, apriamolo! “Gian, sei sicuro che l’ombrellone non vola via per il vento?” “Sicurissimo, è incastrato nel tavolino!”. Dieci minuti di penombra e la stanza si riempie di luce. Mi getto sulla maniglia della portafinestra ma dal vetro posso solo guardare impotente l’ombrellone che vola via… Segno della croce: prego non ci siano passanti infilzati. Per fortuna l’ombrellone è planato delicatamente a terra. Scrollando la testa un cameriere lo raccoglie e lo ripone in uno stanzino. “Ce lo ridaranno?” “Mah, non credo.” Nazarè non è certo fatta per chi cerca la tranquillità. Località balneare dei portoghesi, riassume in sé l’essenza di questo popolo molto diverso dal nostro e con il quale è difficile entrare in sintonia. Ci sentiamo un po’ come marziani scesi sulla terra. Figueira da Foz, Fatima con l’inevitabile mia crisi mistica, Batahla, Alcobensa, Coimbra, Conimbriga.

Ultima sera. Ultima cena a base di pesce fresco alla brace. Lo rimpiangeremo tutto l’anno.

“Domani si torna alla cruda realtà”. “Dormiamoci sopra”. “L’anno prossimo?”. “Mah, stavo pensando alla Cote Azur con annesso giro per le cattedrali e abbazie francesi “. “Andata!” “Buona notte amore mio”. “Buona notte”.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche