Ponte ogliastrino

VIAGGIO IN OGLIASTRA PONTE OGLIASTRINO 1-3 MAGGIO 2009 (Budget complessivo: circa € 150,00) Decisamente più "Turisti per caso" di noi non possono davvero esisterne, visto che è stata proprio un’autentica e direi quasi fortuita coincidenza a far sì che stavolta, dopo mille problematiche, siamo finalmente riusciti a ritagliarci qualche...
Scritto da: Bilbix
ponte ogliastrino
Partenza il: 01/05/2009
Ritorno il: 03/05/2009
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
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VIAGGIO IN OGLIASTRA PONTE OGLIASTRINO 1-3 MAGGIO 2009 (Budget complessivo: circa € 150,00) Decisamente più “Turisti per caso” di noi non possono davvero esisterne, visto che è stata proprio un’autentica e direi quasi fortuita coincidenza a far sì che stavolta, dopo mille problematiche, siamo finalmente riusciti a ritagliarci qualche giorno tutto per noi, lontano dall’opprimente quotidianità, sfruttando il generoso ponte che il calendario concedeva quest’anno ai primi di maggio.

Dato però che il budget non era alto ed uno di noi doveva giocoforza rientrare al lavoro subito dopo, abbiamo deciso di non allontanarci troppo ma di andare alla scoperta di qualche suggestivo angolo dietro casa, o quasi.

Così, un po’ per curiosità, un po’ per necessità si è deciso di non lasciare la nostra amata isola di Sardegna (operazione sempre piuttosto costosa, a dispetto della tanto sbandierata continuità territoriale), ma di puntare su una delle sue, per così dire, sub regioni, o meglio territori, a noi quasi del tutto sconosciuta e veramente meritevole di attenzione: parlo dell’Ogliastra; terra fantastica dove mare, terra, fiumi, montagne e sapori si incontrano in un tripudio di gioia, colori e profumi, che la primavera apparecchia e valorizza ancor meglio, specie dopo il piovosissimo inverno appena passato.

Dunque cominciamo questa breve ed appassionante gita coi preparativi di sempre: pranzo al sacco che, col ben di Dio che ha portato Jole è bastato per tutti e tre i giorni!, una piccola valigia contenente dal costume da bagno al maglione; infatti i luoghi da visitare comprendevano spostamenti per mare e per terra, e dunque tante belle camminate ad alta quota, il classico trekking, ma anche un rilassante tour di mezza giornata in barca; ed infine uno zaino per stare più leggeri ed accollarci il minimo indispensabile durante i vari tragitti da affrontare: ovviamente il tutto caricato meticolosamente nel bagagliaio della mia efficientissima opel appena ‘revisionata’ e rifornita per l’occasione.

Il giorno prima della partenza faccio il pieno di rientro da Cagliari e decido quale strada percorrere in andata: la scelta cade sul litorale sud orientale.

1° maggio 2009 Si parte intorno alle sette e trenta e dunque sveglia alle sei meno un quarto per il sottoscritto che, fatte le solite cose mattutine, dalla colazione in su, deve poi passare a prendere il resto della ciurma, ovvero Luigi e Jole alle rispettive dimore. Trovo entrambi pronti ed entusiasti quanto e più di me. Li aiuto a caricare tutte le appendici che hanno al seguito, e si parte: era ora! Quant’è che organizzavamo ‘sto viaggetto? Per lo meno da un anno, se non di più. Dunque ancora non ci si crede d’avercela fatta. Alleluja! La gioia è tanta e pure la voglia di scoprire cose nuove e diverse. Troveremo di tutto e di più, ben oltre le nostre iniziali aspettative.

Dunque da Teulada, estremo lembo meridionale dell’Isola, si parte dapprima alla volta di Cagliari attraverso la consueta strada, la statale n° 195, che battiamo quasi tutti i giorni per i più disparati motivi e dunque a noi ben nota, e poi, raggiunta la città ci dirigiamo verso la strada costiera che porta a Villasimius, dove peraltro non arriveremo in quanto taglieremo prima verso nord, percorrendo un tratto della rinnovata (ma non ancora completata) statale 125, orientale sarda, che una volta terminata sarà in grado di collegare l’Ogliastra al capoluogo in poco più di un’ora e con la massima scorrevolezza, grazie ai nuovi, lunghi viadotti ed alle numerose gallerie che ne raddrizzano il percorso eliminando ogni precedente tortuosità.

Cagliari oggi è in festa. Infatti il primo maggio cade la ricorrenza della sagra di sant’Efisio, un evento della tradizione sempre più legato anche ad aspetti turistici e culturali. La grande sfilata dei costumi provenienti da ogni angolo dell’Isola quest’anno annovera tra i suoi illustri ospiti niente meno che i duchi di Kent, direttamente dall’Inghilterra. Passando per le strade adiacenti al porto notiamo i primi carri che si addobbano con fiori, frutta e colori d’ogni genere, in preparazione della parata che, come di consueto, precederà l’uscita del santo che salvò la città dalla peste, circa quattrocento anni fa.

Attraversata la via Roma dal lato mare ci dirigiamo verso la spiaggia del Poetto e percorrendo la quattro corsie che la costeggia, la superiamo rapidamente per proseguire in direzione est. Voglio infatti percorrere un pezzo di quella costiera che i miei amici non ricordano bene, prima di imboccare la statale 125 verso nord. Possiamo così inaugurare la breve vacanza godendoci un fantastico panorama su una tavola azzurra, scintillante nel primo sole di maggio.

Dopo una trentina di chilometri raggiungiamo Solanas e da là dirottiamo a settentrione, percorrendo un pezzo di provinciale che conduce all’imbocco sia della vecchia che della nuova orientale sarda. Prendiamo quest’ultima che risulta sopraelevata rispetto all’anziana madre, ma sempre a due corsie, le quali però, come già accennato, scorrono sopra immensi viadotti e dentro lunghe gallerie scavate nelle verdeggianti colline che si affacciano sul mare, accorciando di parecchio la sua lunghezza effettiva e rendendo assai più piacevole, sicuro e veloce il viaggio. Arriviamo così in pochi istanti a Muravera, paese prima raggiungibile dopo quasi un’ora di strada piena di curve, ed in breve superiamo anche Tertenia; infine, percorrendo un tratto della vecchia orientale sarda, imbocchiamo la provinciale per Jerzu, nostra primissima tappa.

Impossibile non notare la fantastica posizione montana del paese, l’aria fresca e leggera che si respira e la pace che vi regna. Primo luogo sacro da vedere è naturalmente la cantina “Antichi Poderi”, uno dei templi storici del celeberrimo vino Cannonau di Sardegna, conosciuto in ogni dove. Pur sapendo da precedenti telefonate che in quel giorno non sarebbe stata possibile una visita guidata a causa di un’assemblea (generalmente tali visite vanno prenotate per tempo, poiché i gruppi vengono poi accompagnati da un enologo che spiega per intero il processo di lavorazione di queste fantastiche e particolari uve), tuttavia ci dirigiamo sicuri verso il negozio adiacente le cantine, anch’esso parte della medesima struttura, giusto per dare un’occhiata da vicino nella speranza di trovare qualche gentile addetto che magari ci possa far dare una sbirciatina almeno a qualche ambiente tipico. E così accade, con nostra immensa gioia. Il dipendente deputato alle vendite, pur non potendo allontanarsi dalla sua postazione, ci concede però di entrare in quel magico mondo attraverso una porta che dà proprio al negozio e dalla quale si accede ad una parte delle cantine, ovvero nel settore dell’invecchiamento del vino, da dove poi si snoda un percorso in parte sotterraneo che porta alla scoperta di ogni fase del delicato e lungo processo. Entrando in queste prime gallerie stracolme di botti possiamo così farci almeno un’idea, anche olfattiva, visto l’aroma di vinacce che si respira là dentro e che dopo qualche minuto sembra già stordire un tantino la nostra Jole. Approfittiamo naturalmente della situazione favorevole per scattare le prime foto che, in totale, raggiungeranno poi la ragguardevole somma di seicentoventiquattro! Ancora qualche passo per il negozio e poi via all’esterno. Ammiriamo l’enorme complesso infrastrutturale che comprende anche la sala congressi che pare una cappella posta al centro del piazzale, a fianco all’enorme torre che domina perfino il panorama ed è visibile da ogni direzione in quella valle. Più sopra troviamo le vasche dove vengono messe le uve per la prima spremitura ed anche resti di mosti antichi ancora colorati di rosso che paiono quasi morbidissime rocce.

Ripresa la macchina ci si dirige verso la chiesetta campestre di S. Antonio che, per la verità, credevo si trovasse nel paese ma che invece sta abbastanza fuori, immersa nel verde e circondata da strutture in pietra che il giorno della festa, tra l’altro abbastanza vicino, essendo il prossimo tredici giugno, sicuramente ospiteranno la grande folla di devoti e curiosi, durante e dopo i riti. Mi pare di vivere un romanzo di Grazia Deledda ambientato in luoghi simili durante una festa patronale. Facciamo due passi nei pressi e poi decidiamo di dirigerci verso un boschetto visto poco prima dalla strada e che sicuramente, essendo anche indicato, dovrebbe essere attrezzato per i pic-nic. Parcheggiata la macchina sulla statale che da Jerzu porta a Perdasdefogu, prendiamo i nostri zaini coi viveri e saliamo per il largo ma ripido sentiero che conduce verso quelle cime rocciose dove i più audaci tentano faticose ed avventurose arrampicate. Due di questi personaggi per la verità ci salutano ai piedi della salita, senza che noi inizialmente sospettassimo però chi fossero, ed anzi rimanendo un tantino sulle nostre: uno di loro, sulle prime, ci era infatti sembrato un tipo strano. Dopo qualche ora, invece, avremmo dovuto ricrederci. Una volta assaporati alcuni tramezzini, panini, pomidoro e frutta preparati con cura da Jole la sera prima, decidiamo di inerpicarci ancora un poco verso la vetta della montagna, pur non volendo raggiungerla ma giusto per scattare qualche foto e sgranchirci le gambe dopo le quasi tre ore di viaggio ininterrotto affrontate. Arrivati ad un rifugio forestale proseguiamo ancora un po’ oltre e, ammirato il panorama da quelle alture decidiamo di ridiscendere verso l’auto: le grotte de Su Marmuri ci aspettano come seconda tappa organizzata di questo breve tour. Gli orari d’ingresso estivi sono diversi, e da maggio esattamente quattro: le undici del mattino, poi le quattordici, le sedici e l’ultimo alle diciotto, tutti rigorosamente guidati. Noi propendiamo per le sedici, ma dobbiamo avere il tempo di sistemarci nell’albergo, che avevo prenotato telefonicamente, e poi trovare il posto. Per quanto facile potesse essere, non conoscendo per nulla la zona era bene prendersi qualche minuto extra e fare le cose con calma; tempo comunque ne avevamo ancora a sufficienza, essendo appena l’una del pomeriggio. Così, ritornando sui nostri passi verso la strada, ci ritroviamo a poche decine di metri dalla roccia che i due temerari scalavano in quel momento. Luigi, accortosi della loro presenza ed assai incuriosito da quell’estrema attività sportiva, propone di avvicinarci per seguirne dal vivo gli sviluppi. Dopotutto sarebbe stata la prima volta per noi vedere in diretta un’arrampicata (per le quali scopriremo poi, quella zona è famosissima ed assai battuta dagli amanti del genere) che solitamente seguiamo solo, e persino raramente, attraverso la tivù in qualche film o documentario. Luigi era anche interessato a fare loro qualche domanda che potesse soddisfarne l’estemporaneo interesse che gli avevano suscitato sul tema. L’idea andò a buon fine e a tutt’oggi rimane uno dei più bei e significativi ricordi di questo viaggio, forse proprio per il fatto che è nato per caso, è stata una sorpresa, una cosa non stabilita aprioristicamente, del tutto inaspettata; e come spesso accade, nei viaggi questi fuori programma sono le cose migliori.

In effetti con quei ragazzi ci spingemmo ben oltre, intervistandoli letteralmente a mo’ di novelli giornalisti alle prese con l’elaborazione di un articolo per una qualche rivista specializzata; e i due impavidi protagonisti che si alternavano nell’affrontare uno tra i tanti percorsi presenti su quella roccia, tra l’altro perfettamente documentati da un’apposita guida per amatori ed esperti di quello sport estremo, non si sottrassero affatto alla nostra raffica di quesiti, rispondendoci al contrario con infinita pazienza e gentilezza. Ci siamo così fatti una modestissima cultura su un argomento di cui fino a poco prima conoscevamo poco o nulla. Naturalmente ciò mi ha permesso di immortalare prima l’uno e poi l’altro scalatore mentre si inerpicavano con le loro corde e i loro ganci; provetti estimatori, giovanissimi sì, ma già pieni di esperienza. Uno di loro, d’origine nordica, vicentina per l’esattezza, ci disse di conoscere la Sardegna dettagliatamente, soprattutto nell’interno, nel Supramonte, territorio assai ricco e generoso di rocce di ogni genere. Ci ha anche confessato lo smisurato amore che nutre per la nostra Isola, da lui considerata la più bella regione d’Italia, dove egli approda diverse volte l’anno, tranne che in piena estate, quando il turismo di massa ne rovina indubbiamente parte di quel fascino selvaggio che gli appassionati di questo genere di attività prediligono e ricercano nei siti che eleggono per le loro ardimentose imprese.

Ricordo in particolare che, alla legittima domanda di Luigi sul come nacque in loro una tale passione, il più giovane dei due, proveniente da Pisa, gli ha risposto come mai non l’avevamo noi, circondati come siamo da una tale vastità di risorse naturali sfruttabili in tal senso. Ma noi, per fortuna o purtroppo, manifestiamo diversamente l’amore che nutriamo per la nostra terra; per esempio esplorandola come stavamo facendo in quei giorni.

Ritornati alla macchina proseguiamo per Ulassai che attraversiamo alla ricerca del nostro albergo sito proprio sull’arteria principale del paese, poco prima dell’uscita verso Osini, sul lato opposto rispetto all’ingresso da noi percorso provenendo da Jerzu. Ulassai è abbarbicata più sopra di Jerzu e per raggiungerla abbiamo dovuto affrontare diversi tornanti piuttosto ripidi che ci hanno portato a circa settecento metri d’altezza in appena pochi chilometri! L’albergo “Su Marmuri”, che ha lo stesso identico nome delle grotte che andremo presto a visitare, è un moderno edificio, accogliente, ben affrescato, gradevole, e si sviluppa su tre piani. Abbiamo ampia possibilità di scelta riguardo alle camere grazie alla bassa stagione (€ 30,00 a persona, a notte, in formula B&B € 45,00 in alta stagione; sconto per camera tripla).

Ci accoglie un adolescente estroverso, Massimiliano, che prendendoci in simpatia, subito si interessa a noi e ci fa qualche domanda sulla nostra provenienza; vuole persino verificare subito sul suo computer l’ubicazione esatta del nostro paese, situato in una zona della regione che ancora non conosce. Successivamente chiama i padroni dell’hotel, come li definisce inizialmente, ovvero i suoi genitori. Arriva quindi la signora Elena alla quale ricordo la prenotazione fatta sia per telefono che via e-mail qualche giorno prima: nessun problema. Compiliamo noi stessi i dati necessari alla registrazione di prammatica e, senza bisogno di lasciare in deposito i nostri documenti sbrighiamo comodamente in camera le dovute formalità cartacee, restituendo poi alla signora la rispettiva schedina. Troveremo ancora il figlio maggiore, Massimiliano, col quale siamo entrati immediatamente in confidenza, che ci darà qualche utile consiglio su dove mangiare più tardi una buona pizza, ed infine si unirà a noi in quella cena frugale ma gustosa e ricca di risate. Per intanto scegliamo una camera al primo piano, svuotiamo la macchina da tutte le nostre incombenze da viaggio, ci rinfreschiamo e ci rimettiamo in marcia alla volta delle grotte.

Queste si trovano appena fuori l’abitato (il luogo è ben segnalato e si trova senza grandi difficoltà), dentro una montagna il cui ingresso si raggiunge attraverso un sentiero gradinato abbastanza impegnativo. Per l’auto c’è l’apposito parcheggio. La visita alla grotta dura circa un’ora e un quarto ed è una vera e propria maratona (biglietto intero € 8,00): tra raggiungere la grotta dalla biglietteria, entrarci e riuscirne si fanno oltre millecento scalini! Scalini di roccia, ben inteso; alcuni dei quali particolarmente alti e pesanti, specie alla risalita. Mentre attendiamo la guida facciamo conoscenza con alcune simpatiche persone che ritroveremo, anch’esse senza fiato, all’uscita dagli anfratti, sedute a riprendere confidenza col proprio fisico e col mondo esterno.

La grotta si sviluppa nel ventre della montagna ed è composta da numerose, ampie sale, alquanto umide o addirittura in parte allagate grazie all’abbondanza di piogge dell’inverno appena trascorso. Essa contiene anche piccole cascatelle e zone lacustri. La nostra guida ci spiega che durante l’estate il percorso risulta, diversamente da come si presenta in quel momento ai nostri occhi, abbastanza asciutto. E’ una ragazza molto preparata che tra l’altro ci dà delle dritte anche su quelle che saranno le tappe successive della giornata, ovvero le cascate di santa Barbara, poco distanti, e la scala di San Giorgio ugualmente vicina e raggiungibile dal limitrofo paese di Osini. Decidiamo unanimemente di visitarle entrambe.

Per raggiungere le cascate si devono percorrere alcuni chilometri di una strada che si snoda tra boschi e paesaggi rocciosi su vallate quasi irreali, piene di verde. Contiamo i due, tre chilometri che ci sono stati detti ma delle cascate nemmeno l’ombra. Finché, perse le speranze e convinti infine di aver sbagliato strada (stavolta le segnalazioni sono un po’ carenti) le vediamo in lontananza ad appena qualche centinaio di metri dalla piazzola in cui stavo per fare dietrofront: bellissime. Vengono giù a precipizio da un’altura eccezionale e percorrono un po’ d’alta valle prima di giungere allegre e gorgoglianti fino al ponte della strada dal quale noi, insieme ad altri turisti incontrati prima alle grotte, ci adagiamo ad ammirarle, ad assaggiarne l’acqua freschissima e, naturalmente, ad immortalarle nella mia instancabile Samsung, altra vera protagonista di questa full immersion vacanziera. Anche le scale di San Giorgio meritano una sosta, seppur breve, soprattutto perché la stessa strada, tutta in salita, scalando la montagna permette di attraversare angoli naturali fenomenali, tra i quali una stretta gola chiusa da due imponenti blocchi rocciosi alla base dei quali, in un piccolo spiazzo, si dipartono appunto le scale suddette, e conduce ad un magnifico altopiano, ricco di boschi, sentieri ed aree ideali per fare trekking e pic-nic, in famiglia o con amici. Mentre Jole ci aspetta di sotto, non volendo forzare oltre il suo ancora convalescente ginocchio, appena reduce dal migliaio e passa di gradini delle grotte, con Luigi decidiamo di affrontare la scalinata del lato est fino ad affacciarci sul versante della montagna che contiene i paesi appena attraversati. Da lassù si vede fino al mare ed è bellissimo. Altre sensazioni, altre immancabili foto. Non sembra vero che a tali altezze si sia così incredibilmente a ‘pochi passi’ da un mare davvero senza paragoni.

Ritornati in albergo laviamo via la stanchezza di una giornata intensissima ed avvincente grazie ad una fantastica doccia calda. E così ripuliti ed ordinati, ci avviamo a piedi verso la vicina pizzeria che ci aveva indicato il figlio dei proprietari dell’hotel, il quale sopraggiunge subito dopo per prendersi anche lui una di quelle ottime pizze che ci aveva consigliato di assaggiare e, dietro nostro invito, si unisce a noi. Un ragazzo davvero affabile e di sani principi, sempre più difficili da trovare negli adolescenti d’oggidì. La serata finisce in allegria, tra una battuta e l’altra, prese a prestito da vecchi e nuovi film di cui siamo tutti più o meno appassionati, o da episodi di vita. Ridiamo e chiacchieriamo fino al rientro in albergo dove il giovane ci propone di rivedere qualche esilarante gag appena citata attraverso il pc dell’hotel, che peraltro aveva da subito messo a nostra disposizione per qualsiasi necessità. Luigi lo ribattezzò come mascotte del nostro viaggio.

Non c’è che dire: abbiamo proprio avuto un’accoglienza da tappeto rosso.

2 maggio 2009 Dopo una notte praticamente insonne, vuoi per il letto nuovo, vuoi per l’eccitazione o addirittura la troppa stanchezza, la sveglia suona implacabile alle sette meno cinque. Avevo chiesto alla signora Elena se era possibile fare colazione intorno alle sette ed avevamo stabilito di trovarci giù nella sala alle sette e un quarto; prima, mi aveva detto, rischiavo di non avere il pane fresco del mattino. Fummo entrambi puntualissimi, ed io mi gustai un bel cappuccino accompagnandolo ad un piccolo panino ancora caldo, che tagliai a piccoli bocconi sui quali spalmai un po’ di nutella. Inoltre la signora Elena aveva preparato un ottimo ciambellone che inaugurai con vero piacere. Più tardi anche i miei compagni di viaggio fecero colazione più o meno allo stesso modo assaporando assieme al pane le varie marmellate ed il burro. Jole accompagnò il tutto con un buon tè. Avevo stabilito di partire intorno alle otto: alle nove e venti infatti salpava il battello della nostra fantastica gita marina lungo la costa, organizzata dal Consorzio Marittimo Ogliastrino, anch’esso contattato in precedenza per telefono dopo averne valutato i servizi via web. In albergo ci dissero che non avremmo impiegato più di un’ora per raggiungere il porticciolo turistico di S. Maria Navarrese, ma era meglio non avere i minuti contati. Tuttavia, caso volle che a causa della chiusura al traffico del tratto di strada che attraversava Jerzu in direzione est (dalle otto alle venti diventava infatti senso unico a salire), ritardassimo di oltre un quarto d’ora sulla tabella di marcia, ritrovandoci alle otto e trenta ancora intrappolati nel dedalo di viuzze che ci costrinse a percorrere l’allucinante deviazione, e dove a malapena passava la vettura. Nel tentativo di recuperare un po’ del perduto tempo prezioso ho poi imboccato la vecchia orientale sarda, invece della nuova, più scorrevole, allungando ulteriormente un tragitto che, nella fretta di arrivare e nel timore di perdere la gita stessa ci parve non finire mai. Alla fine però ce l’abbiamo fatta giungendo sani e salvi a destinazione. Lasciata velocemente la macchina nel parcheggio (videosorvegliato, il cui costo è di appena 20 centesimi di euro all’ora, da pagare attraverso un sistema di lettura magnetica del gettone d’arrivo presso una cassa automatica) ci siamo precipitati alla biglietteria con la speranza di essere ancora in tempo. L’orario ufficiale di partenza era fissato alle nove e venti e mancavano giusto cinque minuti. Ma fortunatamente, come anche noi avevamo intuito e sperato, quei dieci minuti d’attesa erano messi in conto per tutti, per cui alla fine si salpò alle nove e mezza, consentendoci di non perdere un’escursione che si sarebbe rivelata a dir poco sorprendente (costo del biglietto intero: € 25,00, comprensivo della visita guidata alle grotte del fico). Non me la sarei perdonata. Jole dal canto suo mi ha confessato solo in seguito di avermi visto nervoso alla guida solo in quel frangente, trovandosi per il resto perfettamente a suo agio nel sedile posteriore, nonostante i nostri ripetuti inviti a trasferirsi davanti, almeno ogni tanto.

La motonave Bon Voyage del ‘Consorzio Marittimo Ogliastrino’ ed il suo equipaggio ci davano così il loro più caloroso benvenuto a bordo. Lassù avremmo passato qualche ora davvero indimenticabile.

Lasciato il porticciolo di S. Maria, piccolo, e con una torre guardiana poco oltre i suoi corti bracci, prendemmo il largo verso il golfo di Orosei, lasciandoci alle spalle quello di Arbatax, visibile in lontananza con le sue rocce rosse, che avremmo visitato più tardi quel pomeriggio. Costeggiammo magnifiche falesie bianche a picco su un mare azzurro profondo e meraviglioso, mentre il sole già scaldava parecchio costringendo ad abbandonare giubbotti e maglioni tutti quelli che, come il sottoscritto, li indossava in una sorta di vestimento a cipolla, ovvero a strati.

La guida intanto ci spiegava dove eravamo e come arrivare in alcuni dei posti che vedevamo ora dal mare, tenendo conto che la maggior parte di essi però non era raggiungibile in auto ma solo attraverso impervi sentieri, magnifici per gli amanti del trekking. Uno dei primi spuntoni di roccia acuminata che elevandosi dagli abissi bucava letteralmente le azzurrità del cielo si chiama Perda Longa o Agugliastra (da cui deriverebbe anche il nome Ogliastra dato all’intero territorio) ed assomiglia proprio ad una grossa guglia di una cattedrale marina visibile con la fantasia. Immortalata.

Più avanti si spalancarono numerosi anfratti e grotte marine tra cui quella del gabbiano, alla quale ci avvicinammo parecchio con la barca, così chiamata per la particolare conformazione rocciosa che ricorda il grande volatile con le ali tese. Ci inoltrammo poi in altre stupende calette dalle acque verdi e cristalline prima di superare il promontorio bianchissimo e roccioso che ci introduceva all’ampio golfo di Orosei, che ospita angoli tra i più belli e suggestivi di tutta l’Isola.

Superate le prime scogliere arrivammo all’arco di Cala Goloritzé che catturai in miriadi di foto da ogni posizione sia all’andata che al ritorno, quindi Cala Mariolu ed infine raggiungemmo la nostra meta: la Grotta del Fico, scoperta appena sei anni fa ed accessibile solo dal mare. La grotta si compone di due parti, quella alta che ci apprestavamo a visitare, e quella bassa, la più estesa, completamente sommersa, accessibile dai fondali, collegata alla parte superiore attraverso alcuni pozzi, e in buona parte ancora da esplorare; un vero paradiso per gli amanti della speleologia e della subacquea. Il suo nome, ci spiegò la guida, anch’egli giovane speleologo assai spigliato, simpatico e preparato, deriva dal fatto che proprio all’ingresso stava una grande pianta di fico che per anni ne aveva appunto oscurato il recondito accesso, e che in seguito è caduta in modo del tutto naturale. Di essa rimangono ancora alcune grandi radici, visibili appena si supera l’entrata, che affondavano verso l’interno alla ricerca di nutrimento ed acqua dolce, dei quali la grotta è ricca.

Un tempo essa era dimora della famosa foca monaca, o bue marino che dir si voglia (da cui prende il nome anche un’altra grotta assai più conosciuta e visitata, che si trova qualche miglio più a nord). C’è chi ritiene di averne visto nuovamente qualche esemplare in zona ma, a sentire gli esperti, per ora non ci sono prove concrete e probabilmente tali avvistamenti sono stati solo frutto di suggestioni, del resto pienamente giustificabili in posti stupendi come questo. A differenza delle grotte di Ulassai, queste sono più spettacolari essendo ricche di stalattiti e stalagmiti che ne riempiono e decorano ogni angolo. Tra l’altro i giochi d’acqua, i riverberi ed i colori che offre sono davvero indescrivibili.

Di rientro sulla barca, anche in seguito al consiglio del giovane speleologo, abbiamo chiesto ed ottenuto di avvicinarci ad una polla d’acqua dolce che sgorga direttamente nel mare, provocando delle ampie bolle. I pochi pastori che raggiungevano la costa con le loro greggi e che si abbeveravano da tale inusuale sorgente provocavano sconcerto in coloro che, giunti in zona per la pesca, in lontananza, li vedevano bere dal mare. Pensavano che l’Isola fosse talmente a corto d’acqua dolce da costringere i propri abitanti ad utilizzare quella salata per dissetarsi! Ci raccontarono anche di come la foca monaca avesse potuto stabilirsi in queste zone proprio grazie al fatto che la popolazione autoctona vivendo prevalentemente di pastorizia e agricoltura, raramente si avvicinasse al mare, per nulla sfruttandone le popolose acque, scoperte dal punto di vista ittico solo molto più avanti dai pescatori dell’isola di Ponza spintisi sin quaggiù coi loro pescherecci. Il successivo esagerato sfruttamento, unitamente al turismo massivo, hanno fatto il resto, allontanando definitivamente il maestoso pinnipede che prediligeva invece la tranquillità, e quindi la sicurezza, di queste acque cristalline ed incontaminate per vivere ed allevare i suoi piccoli.

La sorgente d’acqua dolce si trova praticamente ai margini di una delle più belle spiagge di quella costa, Cala Mariolu, il cui nome ufficiale è di origine napoletana, ed il ‘mariuolo’ ovvero il ladro di pesci, era appunto la povera foca ora scomparsa (i nomi sardi suonano assai diversi e sono abbastanza difficili sia da pronunciare che da ricordare, ma la guida ce li ha saputi indicare tutti, per maggior precisione). Ed in quest’angolo di paradiso, come sospesi tra cielo e mare, in un’azzurrità dalle mille tonalità, ci hanno fatto immergere con un’inaspettata quanto gradita sosta di circa quaranta minuti. Ovviamente ci siamo goduti un po’ il magnifico sole ma, non riuscendo a stare fermi più di qualche secondo abbiamo scattato decine di foto e, nonostante l’acqua ancora gelida, io e Luigi siamo riusciti a farci un tuffetto, stile toccata e fuga, a rischio paralisi. E come noi anche qualche altro temerario che spingendosi oltre si è proprio fatto un bel bagno. Quando il battello è tornato a prenderci eravamo ancora tutti in costume e coi vestiti e gli zaini sparsi ovunque fra le rocce e la sabbia bianchissima. Ci siamo dovuti risistemare a velocità supersonica per proseguire tristemente verso il porticciolo che ci attendeva; si doveva rientrare. Durante quell’ultima mezzora abbiamo passato nuovamente in rassegna le bianche falesie, le rocce, la scogliera, le cale, le spiaggette, immersi nella luce diafana del primo pomeriggio, con la mente libera da ogni pensiero che non fosse stupore e gioia: il relax era servito, e su un piatto d’argento; indimenticabile! A S. Maria, ci siamo fermati al porto per mangiare il nostro pranzo al sacco ancora ricco di panini, dolcetti e frutta, seduti su di una panchina fronte mare ed in seguito sotto una pianta vicino alla macchina sulla quale avevamo nel frattempo steso i teli al sole per asciugarsi meglio. Pareva un’auto zingara! Ovviamente immortalata. Poi, gustato un buon caffè al bar del porto, che tra l’altro offriva anche un servizio ristorante, abbiamo proseguito per il centro della rinomata località balneare, colma di case vacanza, appartenente al comune di Baunei. A Jole è piaciuta tantissimo. Abbiamo scattato anche qui diverse foto: alla chiesetta bianca col tetto di tegole rosse che brillava ad un sole che scaldava ad oltre venti gradi; all’olivastro millenario, uno degli alberi più antichi dell’Isola, la cui chioma svetta per una decina di metri, mentre il fusto nodoso supera gli otto metri di circonferenza, che si trova proprio su quella terrazza, protetto da una ringhiera; ed infine a noi, sdraiati sul parapetto od affacciati su quel mare la cui visuale si estende fino al promontorio di Arbatax che chiude il golfo.

Ed Arbatax è stata proprio la nostra tappa successiva, dopo aver però fatto rifornimento di carburante sulla statale 125, in quanto le strade interne percorse fino ad allora ci sono sembrate un tantino sguarnite e non volevamo correre rischi.

Arbatax è un paesino marino del comune di Tortolì, la cui fortuna è più che altro legata allo sviluppo del suo porto, importante scalo non solo turistico ma anche di servizio per gli abitanti della zona; qui infatti si fermano le navi di linea dirette verso Cagliari o Civitavecchia almeno una volta alla settimana. E proprio dietro il porto si possono ammirare le famose rocce rosse, dei faraglioni color rosa scuro, resi ancor più belli dal contrasto con l’azzurro intenso del mare, che si elevano maestosi poco prima della fine del promontorio che chiude la baia. Oggi sono un tantino rovinati, un po’ a causa della naturale erosione, forse un po’ di più dai lavori dell’uomo che, nel tentativo di sfruttarne meglio e appieno le potenzialità, è andato ben oltre, cementificando più del dovuto il piazzale soprastante per ospitare anche eventi mondani come concerti o feste estive. Ci fermiamo un’oretta per fotografare ogni angolo, inerpicarci fin dentro l’incavo roccioso e poi, con molta calma ci dirigiamo ad un bar poco distante per rifocillarci e riposare qualche minuto.

Tappa successiva Tortolì. La attraversiamo solamente fermandoci a visitarne velocemente la chiesa dove alcuni ragazzi preparavano i canti per il giorno della loro prima comunione. Dopodiché usciamo nuovamente sull’orientale e, dopo aver preso erroneamente la direzione sud, facciamo dietrofront per imboccare la statale 198 (che il giorno successivo percorreremo per intero), fino a giungere all’altra cittadina ogliastrina che assieme a Tortolì si contende il titolo di nuova provincia: Lanusei. Di passaggio attraversiamo anche il paese di Ilbono, convinti che fosse la nostra meta, mentre in realtà dobbiamo salire ancora di qualche chilometro.

A Lanusei sostiamo un’oretta per attraversarne a piedi il centro. E’ una località abbarbicata sulla montagna, solitamente la più fredda dell’Isola, a giudicare dalle temperature fornite durante le previsioni del tempo sulle reti locali, ma davvero accogliente e carina, piena di negozi eleganti e di gente a passeggio. Ospita anche un importante collegio salesiano con annessa chiesa. Noi tuttavia non arriviamo sin là perché a piedi risulta un po’ distante ed invece visitiamo la parrocchia principale, non troppo antica e ben affrescata all’interno con colori vivaci alternati in modo sobrio e gradevole. Ritornando alla macchina non posso perdermi una foto con un murale che mostra un’anziana e ridente signora affacciata ad una inesistente finestra, alla quale tendo simpaticamente la mano.

Infine optiamo per il rientro in hotel convinti di doverci impiegare oltre un’ora. Sia dalla cartina che dalle nostre imprecise cognizioni sapevamo che, seguendo la tortuosa strada interna, avremo dovuto oltrepassare la cima di quella montagna, discenderne l’altro versante sino a valle, passando per Gairo, per poi risalire il monte di fronte dove stava Ulassai, e si temeva di far tardi. Avevamo infatti deciso di cenare a Jerzu, al tipico ristorante “Da Concetta” che la signora Elena ci aveva consigliato alla nostra richiesta sul dove poter assaggiare le pietanze locali. Erano già quasi le sette di sera e non avevamo prenotato, confidando sempre negli indubbi vantaggi della bassa stagione.

Con nostra somma sorpresa, invece, alle ore sette e trenta eravamo già arrivati in camera, dopo aver macinato un itinerario prodigo di curve sì, ma altrettanto incantevole che dagli oltre mille metri ci aveva catapultati a valle, dove scorreva il torrente e poi nuovamente su ai settecento metri del paesino che ci ospitava, in un alternarsi di verde, panorami mozzafiato, boschi, aree pic-nic, e chi più ne ha più ne metta. Jole, la più stupita di tutti, definì allora, magici quei posti. Solamente un luogo fatato poteva averci permesso di giungere con tale inaudita rapidità da un estremo all’altro di quelle imponenti montagne. Docce e via di nuovo, più in forma che mai.

Il ristorante Da Concetta esiste da circa trent’anni, è oramai un’istituzione del luogo e l’intestataria ha ricevuto innumerevoli premi come prima classificata a concorsi regionali e nazionali concernenti i migliori menù tradizionali: dunque avevamo tutte le garanzie di qualità, a prezzi tra l’altro più che ragionevoli. Ci affidammo ai saggi consigli ed alla maestria della simpatica cameriera, la quale ci fece così assaggiare i saporitissimi antipasti di terra della zona: prosciutto crudo, speck, olive e formaggi, per poi passare ai primi: kulurgionis dalla forma oblunga e ripieni di formaggio e spezie quali la menta, ed altri ravioli al ragù di carne, davvero squisiti. Come secondi invece ci offrirono tre tipi di carne: la capra, la pecora e il cinghiale, per finire col famosissimo dolce tradizionale del posto: le seadas al miele; divine! Il tutto annaffiato naturalmente con dell’ottimo vino Cannonau rosso (in totale circa € 30,00 a persona).

Tra una chiacchiera e l’altra, immersi in un’atmosfera di pace assoluta (c’eravamo solo noi nel locale quella sera, altro che preoccuparsi di riservare un tavolo!) abbiamo anche conversato col cuoco, che da ben venticinque anni lavora là. Nel locale si possono poi ammirare alle pareti numerose foto storiche del luogo, oltre alle targhe dei diversi premi assegnati alla bravura della padrona.

Prima di coricarci ci siamo dovuti concedere una salutare passeggiata digestiva per la via principale del paese, giusto per evitare di passare un’altra notte insonne. Anzi che rientrare ad Ulassai ripercorrendo i mille tornanti della provinciale fatta in discesa, abbiamo scelto l’altra strada, più povera di curve, che scalava la montagna congiungendosi poi alla statale per Perdasdefogu, che avevamo in parte fatto il giorno prima andando a visitare il santuario di S. Antonio. Inutile dire che eravamo veramente cotti dalla stanchezza ma anche incredibilmente felici. La giornata era stata davvero intensa e ricca di sorprese. 3 maggio 2009 La domenica seguente ci siamo alzati con più comodo; dopo colazione abbiamo saldato il conto e, utilizzando l’autoscatto, ci siamo fotografati insieme alla signora Elena ed al figlio Massimiliano, seduti ad un lungo tavolo della sala, così da avere di loro un bel ricordo anche visivo. Dopodiché abbiamo caricato le nostre masserizie nell’auto e via verso nuove avventure, non prima però di aver vergato il nostro positivo commento sull’ottima ospitalità ricevuta e sullo straordinario fascino dei luoghi visitati, nell’apposito registro delle annotazioni, ubicato su un alto leggio di legno a pochi passi dall’ingresso, dove si possono scorrere numerosissime altre note di apprezzamento lasciate da clienti più che soddisfatti, in svariate lingue.

Il programma del giorno prevedeva una bella passeggiata verso la cima del Monte Tisiddu, attraverso un sentiero panoramico consigliatoci sempre dalla signora Elena. La scarpinata ci avrebbe preso circa mezza giornata, considerato anche che tra una chiacchiera e l’altra avevamo accumulato un po’ di ritardo sulla tabella di marcia.

Nel pomeriggio avremo poi ripreso la via del ritorno passando per la statale 198, percorrendola tutta fin quasi al Campidano. Ciò ci avrebbe permesso di conoscere alcune zone interne dell’Isola e di seguire un percorso assai diverso rispetto a quello scelto all’andata.

Parcheggiata la macchina sulla banchina di fronte all’impresa tessile situata appena sopra l’ingresso del paese, a pochi passi dalla strada che conduce alle grotte visitate il primo giorno, cominciamo il nostro trekking mattutino. Il sentiero si inerpicava su fino alla punta Matzeu, situata a ben 955m d’altezza! Dopo l’estenuante salita che ha messo a dura prova le nostre forze e le rimanenti energie, specie per Jole ed il suo ginocchio (sottoposto ad un’efficace riabilitazione, non c’è che dire!), ci siamo trovati di fronte ad un panorama stupendo che spaziava dalle vette del Gennargentu alle nostre spalle, fino al golfo di Arbatax ed all’orizzonte marino ai nostri piedi. Ridiscesi dalla cima ci ha colto una pioggia accompagnata da fulmini e tuoni che inizialmente ci stava portando a ridiscendere anzitempo. Essendo del tutto sprovvisti di ombrelli lassù, onde evitare di bagnarci come pulcini, senza peraltro avere sufficienti indumenti di ricambio, ci siamo rifugiati sotto alcuni alberi, al riparo delle loro fronde un po’ scarne; scelta forse discutibile, ma ci siamo consolati col fatto che non era vegetazione d’alto fusto e, passato il peggio, abbiamo deciso di proseguire lungo un sentiero più pianeggiante ed ombreggiato che conduceva all’altro versante del monte, verso l’interno. Siamo così potuti entrare dentro una caverna chiamata Is Janas ovvero le fate, che si affacciava su una splendida valle verdeggiante sulla quale troneggiavano monumentali rocce calcaree, che sarebbero piaciute tantissimo ai nostri amici scalatori.

Anche là scattai tante foto ricordo prima di riprendere la discesa verso la macchina.

Partimmo intorno all’una alla volta di Ussassai e Seui, ma ci fermammo prima sotto un bosco, in un’area pic-nic, a Gairo Taquisara, per finire di consumare i rimasugli dei nostri pranzi prêt-à-porter. Qui trovammo strutture in muratura appositamente create per i barbecue e provviste anche di legna da ardere; e poi tavoli, panche e diversi rubinetti dai quali scorreva acqua freschissima. Riempimmo nuovamente tutte le nostre bottiglie di plastica: Luigi voleva portarne pure un po’ a casa e farla assaggiare ai genitori che gli avevano raccomandato di farne una piccola scorta, essendo acque note per la loro bontà. All’altro lato del parco c’erano persino i giochi per i bimbi; davvero ben organizzato, come del resto molte altre aree verdi che avevamo attraversato in quella ‘provincia’. Unico elemento negativo: il freddo pungente. A stare fermi, all’ombra di bellissimi alberi, cominciavamo a gelare.

Ad Ussassai ci fermammo a bere un caffè in un bar dove Luigi chiese notizie di un suo ex compagno di scuola oriundo della zona, che guarda caso il barista conosceva. Finì che ci offrì anche il caffè mettendolo in conto all’amico in questione, ormai trapiantato in continente già da diverso tempo. Prima di Seui toccammo e superammo nuovamente i mille metri d’altitudine e non fosse stato per l’addensarsi di nubi minacciose e grevi avremmo persino potuto avvistare il golfo di Cagliari! Deviammo anche per il parco regionale di Abadi per andare a visitare il famoso tacco di Perd’e Liana, di cui avevamo letto la segnalazione dalla statale 198, un monumento naturale dell’Isola a forma appunto di tacco, alto oltre milleduecento metri; ma poi alcuni abitanti del posto incontrati per caso lungo strada ci dissero che distava oltre venti chilometri e il percorso non era dei migliori, anche se la stradina ad una corsia era asfaltata: avremmo impiegato almeno mezzora solo per arrivarci. Visto l’orario e il tempo sempre peggiore, ci accontentammo di ammirarlo da lontano. Ritornati dunque sulla 198 da cui ci eravamo allontanati di cinque o sei Km, raggiungiamo Seui ma, a causa della pioggia sempre più fitta, siamo costretti a non abbandonare la vettura e dunque ad attraversarla solo in macchina senza nemmeno poter scattare una foto. Appena lasciato il paese, anch’esso appeso ad immani montagne, ci sorprende una grandinata allucinante che Luigi immortala puntualmente da dentro l’auto.

Ed ancora attraversiamo un tratto di strada nevicato! Neve tutt’attorno anche nelle cunette e sulla vegetazione. La strada riprende poi la discesa verso valle. In direzione Mandas attraversiamo altri paesi tra cui Sadali che visitiamo incuriositi ed ancora pieni di voglia di esplorare posti nuovi. Anche questo paese a dispetto dell’apparente struttura pianeggiante si sviluppa sul costone di un monte e per raggiungere il centro precipitiamo nuovamente a valle attraverso una strada urbana alquanto ripida. Qui visitiamo la chiesetta antica nella quale ritroviamo anche la statua della Madonna del Carmelo, patrona del nostro paese, per poi ammirare la piccola cascata gorgogliante e fresca poco oltre il sagrato e che risulta segnalata da cartelli turistici; a dire il vero è stata il motivo che ci ha spinto sin laggiù. Il tutto sotto una pioggia battente da cui scarsamente ci difendeva l’ombrellino ‘tascabile’ che porto sempre in macchina. Lungo la statale 198 i paesaggi cambiano di continuo; è lo stesso itinerario seguito dal trenino verde che collega Mandas ad Arbatax (oppure a Sorgono seguendo un altro percorso) permettendo ai suoi viaggiatori, prevalentemente turisti, visti i tempi di percorrenza, di visitare i luoghi interni più suggestivi della Sardegna. E difatti con l’auto attraversiamo tantissime volte i binari, in un allegro intrecciarsi di ferrovia e strada che si snodano in mezzo al verde di queste montagne, ora degradanti a lussureggianti colline e poi a dolci vallate, ed infine a pianura. Attraversiamo il bel ponte moderno sul lago Flumendosa il cui semicerchio di sostegno fotografiamo diverse volte, allargando poi gli scatti anche a questi inaspettati e bellissimi panorami lacustri, prima di inerpicarci ancora sugli ultimi colli che ospitano Villanova Tulo ed ancora ci nascondono Isili, che però lasciamo alla nostra destra, dopo che si mostra a breve distanza.

Attraversiamo Mandas che ci lascia abbastanza indifferenti e dopo ulteriori lievi declivi sui quali emerge un bel nuraghe, siamo a Senorbì, Barrali, Donori, Dolianova (dove giungiamo intorno alle otto di sera; troppo tardi per visitare l’antica cattedrale medievale di S. Pantaleo già chiusa e che pertanto, dopo mille giri dovuti al blocco della principale arteria urbana per lavori in corso, ci accontentiamo di vedere ed immortalare almeno dall’esterno), ed infine alla nostra amata Cagliari. L’ultimo tratto lo facciamo quasi col pilota automatico. Ancora un’oretta per Teulada, ultima meta e conclusione di un viaggio ricco di ammalianti bellezze naturali, cultura, gastronomia ed esperienze che ci ripromettiamo di ripetere presto e che consiglio caldamente, in primo luogo a tutti i sardi che come noi ancora non conoscono molti dei luoghi affascinanti che questa terra nasconde, e poi ai numerosi turisti i quali, approfittando anche di pochi giorni di vacanza a disposizione, possono organizzarsi itinerari davvero completi che in pochi chilometri riescono a soddisfare ogni tipo di esigenza: dal mare alla montagna, dalle sabbie bianchissime al trekking ed alle arrampicate fin oltre i mille metri, ed ancora valli, laghi, torrenti, rocce, enogastronomia, insenature, golfi; insomma un superbo condensato di tutte le meraviglie che la natura sa offrirci. E il periodo ideale è proprio questo, oppure i primi mesi d’autunno, in quanto le temperature sono ancora abbordabili e consentono di muoversi senza gli eccessi che l’estate piena porta con sé. Tra l’altro la ridondanza d’acqua ed il verde di quest’anno, grazie all’inverno piovoso, hanno dato risultati davvero impareggiabili.

Indirizzi utili: Cantina “Antichi Poderi”: Via Umberto I, n°1 – JERZU (OG); Tel: + 39 0782 70028; Fax: + 39 0782 71105; E-mail: antichipoderi@tiscali.It ____________________________________ Hotel “Su Marmuri”: Corso Vittorio Emanuele, 20 – ULASSAI – Ogliastra – Sardegna; Tel.: +39.0782.787058; Fax: +39.0782.79337; E-mail: info@hotelsumarmuri.Com.

____________________________________ Ristorante “Da Concetta”, Corso Umberto 1°, 111 JERZU (OG); Tel. 0782 70197 / 0782 70224; www.Hotelristorantedaconcetta.It ____________________________________ Consorzio Marittimo Ogliastra, Via Monsignor Virgilio, 1A – TORTOLÌ (OG) Tel. 0782.628024 Fax. 0782.628205 Cell. 348.7301729 – 348.7301728 E-mail: info@mareogliastra.Com ____________________________________

William Lai Tel.: 3498758642 willai@tiscali.It

P.S.: nel caso foste interessati alla pubblicazione sul mensile, avrei anche delle belle foto da condividere e proporre alla Vostra cortese attenzione. In tale eventualità, fatemi sapere come inviarvele. Grazie.



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