Polinesia Francese fai da te in famiglia

Visitare le isole della Polinesia sono un sogno ancestrale che porta a mondi e culture che abbiamo dimenticato e che ci danno nostalgia e lasciano ricordi per sempre.
Scritto da: Andreadante
polinesia francese fai da te in famiglia
Partenza il: 19/07/2018
Ritorno il: 09/08/2018
Viaggiatori: 3
Spesa: 4000 €
All’inizio di ogni viaggio c’è sempre una partenza. E poi un arrivo, altre partenze, altri arrivi, fino al ritorno a casa. Come diceva un grande scrittore, il bello del viaggio non è il punto dell’arrivo ma quello che accade prima di raggiungere la meta. E soprattutto il bello è vedere le cose con occhi diversi.

Siamo partiti di mattina presto, da Bologna per Parigi, poi una sosta, una ripartenza per Los Angeles, poi l’arrivo a Papeete. A Los Angeles abbiamo sperimentato la cosiddetta intelligenza della burocrazia: si scende per uno scalo tecnico, devi passare il controllo dell’immigrazione, la dogana, immediatamente dopo fare il percorso al contrario con i relativi controlli per ritornare a bordo dell’aereo. Chi lo ha inventato è un vero genio, ti fa passare le due ore per il rifornimento del carburante sempre di corsa da una parte all’altra dell’aeroporto prima dal lato degli arrivi, poi dal lato delle partenze e ti ritrovi nello stesso punto da cui sei arrivato. Comunque alla sera siamo arrivati a Papeete. Dopo 22 ore di volo la stanchezza ti prende. Arrivati in hotel ci siamo addormentati per qualche ora fino al mattino seguente quando ritornati in aeroporto abbiamo preso un volo che ci avrebbe portato a Maupiti.

Come avviene in quasi tutti i luoghi in Polinesia ci sono venuti a prendere per portarci alla pensione familiare che ci avrebbe ospitato dal venerdì alla domenica. Maupiti Paradise, da una parte sull’oceano dall’altra sulla laguna, una pensione gestita da Tati, sua moglie ​Dali e sua figlia Ahuura. Subito sei accolto dalle sue acque dal celeste al blu intenso. Dopo l’assegnazione del bungalow ci siamo fatti accompagnare dal motu dove si trova il Maupiti Paradise all’isola principale dove, su un veloce e breve viaggio in barca siamo arrivati alla spiaggia più bella del dell’isola, la spiaggia di Tereia. È una spiaggia con acqua bassa e limpida. Dalla spiaggia si può attraversare a piedi la laguna e arrivare al motu di fronte. A Tareia abbiamo camminato abbiamo fatto il bagno e poi abbiamo mangiato sandwiches sulla spiaggia presi in uno snack come in Polinesia chiamano i luoghi in cui si mangia. Poi siamo tornati all’appuntamento con il marito di Ahuura (è lui che gestisce i trasporti tra i motu) il quale ci ha riportato sul motu del Maupiti Paradise. Lì la sera si cena tutti insieme dopo che una donna della famiglia ha detto una preghiera per tutti. Mangiando tutti insieme si è inevitabilmente costretti a fare amicizia e a parlare (in francese o inglese logicamente) dando così un senso al mangiare insieme, riscoprendo il senso della comunità. L’isola di Maupiti e il suo motu sono veramente una comunità. Andrea (mio figlio di 13 anni) per tutto il viaggio ha ricordato l’isola di Maupiti come la più bella, vera e calorosa. Dopo una notte in cui abbiamo scontato la differenza di fuso orario di ben 12 ore, dopo la colazione comune abbiamo fatto la prima escursione di viaggio. Nel corso dell’escursione, diretta da Tati, si fa il bagno, si vanno a cercare giardini di corallo, i pesci di ogni colore, le mante che oltre ad essere enormi sono proprio meravigliose, e abbiamo potuto assaporare le tridacne (molluschi colorati che si trovano all’interno di conchiglie) o benitiers (come le chiamano loro) appena raccolte e condite con il limone, buonissime. All’inizio ho avuto un certo imbarazzo sapendo che queste sono specie marine da noi protette, ma poi vedendo la quantità che naturalmente si trovano nell’acqua sui fondali, non ho più avuto remore. Ogni sabato mattina tutte le pensioni e i loro ospiti dell’isola si ritrovano sul motu tutti insieme per pranzare dopo aver cotto il cibo nel tradizionale forno polinesiano sotto la sabbia, e così anche noi, dopo l’escursione marina abbiamo raggiunto il punto di ritrovo. Dopo il pranzo (si mangia con le mani alla maniera polinesiana) vengono organizzati giochi, insegnati i balli polinesiani e spiegato il procedimento per aprire i cocchi solo con le mani. Poi esausti nel tardo pomeriggio si ritorna alla pensione. La seconda sera è già la nostra ultima sera a Maupiti. Il mattino dopo presto abbiamo l’aereo che ci porterà alla nostra seconda tappa: Bora Bora.

Andrea non lo vuole ammettere perché sostiene che l’isola è troppo turistica, ma quando atterri capisci immediatamente perché Bora Bora sia così amata: le sue acque hanno tutti i colori e le tonalità dall’azzurro blu al verde, la sua sagoma e il monte Othemanu che prende tanta parte dell’isola centrale sono così caratteristici che ne distingueresti il profilo in ogni luogo. A Bora Bora alloggiamo al Rohotu Fare Lodge. Nir, il proprietario, è un israeliano che vive qui da trent’anni e ha costruito con la passione e l’entusiasmo un qualche cosa di unico: tre Bungalows originalissimi con vista meravigliosa sulla baia di Pofai, tutti in legno scolpito con statue, falene intagliate nei letti a baldacchino, bagni e docce all’aperto anche se sopra hanno un tetto, tutto quello che serve per cucinare, una grande collezione di Tiki ognuno costruito con diverso legno del mondo. Una cosa speciale che può piacere o non piacere ma che puoi trovare soltanto in un’isola come Bora Bora ed è costruita in tutta una vita da una persona speciale. Nir ci accompagna a fare la spesa e ci riporta nel suo lodge. È stata una bellissima notte, insolita, in un luogo speciale, la mattina dopo partiamo per la seconda escursione con Nono Tours. Due giardini di corallo uno con grandi coralli vivi di vari colori e l’altro con tantissimi pesci forme dimensioni e colori. Due soste per vedere razze e piccoli-medi squali. L’altra per pranzare sul moto isolato con piatti tagliati e realizzati al momento dalle foglie di cocco. Il giorno successivo con le biciclette di Nir siamo stati alla spiaggia di Matira Beach dove abbiamo anche pranzato; al pomeriggio abbiamo chiesto di nuovo un passaggio per andare a comprare una bottiglia di vino, cosa che non ci era riuscita il giorno prima, infatti la domenica nessuno può vendere alcolici a Bora Bora. La sera ceniamo con tonno crudo dopo che lo avevamo prudentemente congelato e con vino bianco di Rangiroa. Il giorno dopo è già ora di partire e andremo a Huahine.

Huahine è una delle più grandi Isole della Società ed è divisa in due isole tenute insieme da un piccolo Istmo (un piccolo ponte) di una ventina di metri. Dall’aeroporto la strada per l’hotel La Mahana è lunga lo spazio di una mezz’ora; in questo tempo abbiamo la possibilità di vedere la grande meravigliosa vegetazione che ricopre gran parte dell’isola. Il nostro hotel è forse sulla più bella spiaggia dell’isola in prossimità di un bel giardino di corallo: un pontile ti porta esattamente nel mezzo di rocce piene di anemoni di mare, pesci pagliaccio e ogni altro genere di creatura marina della Polinesia. Qui non c’è bisogno di fare alcuna escursione, il mare offre già tutto. Decidiamo in questi tre giorni di prendercela comoda e gli unici viaggi che faremo nell’isola saranno a piedi per andare in un piccolo negozio distante uno o 2 km ad approvvigionarci di cibo essenziale per il pranzo di mezzogiorno e a visitare un Marae nelle vicinanze, per il resto conduciamo una vita pigra fatta di bagni, asciugature, sole e ottime cene. La sera del mercoledì c’è un bellissimo buffet e seduti al tavolo ci si può godere lo spettacolo di canti e balli polinesiani. In questa occasione abbiamo visto ragazze e ragazzi dell’isola cantare e ballare con entusiasmo per cercare di mantenere viva la cultura e le tradizioni della loro isola.

La nostra prossima tappa è l’isola di Tahaa. L’aeroporto è situato sull’isola vicina di Raiatea più grande separata da Tahaa da una striscia di mare ma che sono contenute all’interno di un’unica cintura di barriera corallina. In circa 20 minuti ci portano prima sull’isola poi in auto alla nostra pensione familiare: Au Phil Du Temps. Sono solo due Bungalow e un piccolo appartamento nella casa di Muriel e Franck, una coppia francese che da anni vive in Polinesia. Facciamo subito amicizia con gli altri ospiti: due coppie con tre bambini francesi e la sera come a Maupiti si cena tutti insieme e ci si raccontano ricordi, impressioni, viaggi. Muriel è una bravissima cuoca e padrona di casa, e Franck è sempre disponibile a dare tutte le spiegazioni richieste. Questo pomeriggio abbiamo approfittato del loro pontile, dove alloggiano quattro sdrai in vimini, per qualche tuffo e per nuotare nella laguna circostante. La temperatura nell’inverno della Polinesia non arriva a 30° ed è piacevole anche nel mezzo della giornata stare nella brezza perché ti mantiene fresco senza umidità. La notte invece l’umidità si fa sentire ma le ventole muovono l’aria consentendoti un sonno tranquillo. Il giorno successivo dopo la colazione chilometro zero abbiamo visitato l’isola con Franck, che ha raccontato le origini della cultura polinesiana e le leggende del Dio Hiro. Siamo finiti nella valle della vaniglia, dove si produce l’ottanta per cento di tutta la vaniglia polinesiana e abbiamo imparato tutto il processo di produzione dalla fioritura, che dura solo un giorno, fino all’auto impollinazione che si rende necessaria perché in Polinesia non esistono uccelli in grado di compiere questo lavoro. Poi, sei mesi dopo il baccello matura, viene raccolto e fatto essiccare massaggiandolo ogni tanto per far si che si ammorbidisca affinché il contenuto dispieghi appieno i suoi profumi e i suoi aromi. Naturalmente abbiamo acquistato baccelli sotto vuoto e polvere di vaniglia, che a prima vista sembra più pratica per l’uso comune. Oltre alla produzione della vaniglia abbiamo avuto modo di vedere anche la produzione della crema del Tamanu curativa per le problematiche della pelle.

Dopo il rientro abbiamo consumato una pizza polinesiana neanche troppo irrispettosa della nostra sebbene nella pizza margherita fossero state introdotte olive. Nel pomeriggio tramonto dal pontile e prima di cena aperitivo con gli amici francesi con un cielo mai visto. Stelle di tutte le grandezze ma soprattutto lanugine tra le stelle fatta da migliaia di corpi celesti. Non avevamo mai visto uno spettacolo simile. Il cielo come sarebbe meraviglioso se non vivessimo in un mondo pieno di luce artificiale. La cena di Muriel come sempre è sopra i canoni e l’atmosfera è calorosa.

Il giorno successivo è fatto di una prima parte con visita alla Pearl Farm vicino alla pensione, dove abbiamo fatto acquisti moderati e ci hanno donato alcune perle con qualche difetto. Ci hanno raccontato di un ciclo di produzione fatto di tanti anni dopo la fecondazione che viene eseguita da esperte mani asiatiche. Poi immersione e ogni tre mesi pulizia delle ostriche perlifere. Minimo 18 mesi di coltivazione, fino a sei anni a seconda della grandezza che si vuole raggiungere.

La seconda parte della giornata, dopo il ritorno alla pensione per un rapido cambio di biancheria da mare, lo passiamo sul motu Tau Tau, di fronte alla pensione raggiungibile in 5 minuti di lancia. Franck ci fa entrare dalla porta principale del giardino di coralli: niente di simile avevamo mai visto, per la bellezza dei pesci e dei coralli insieme. Poi rimaniamo solo noi tre sul motu e Franck ci verrà a prendere nel tardo pomeriggio. Pranziamo al sacco e Andrea trova il tempo di aprire una noce di cocco con tecnica sopraffina imparata a Maupiti e un mio piccolo aiuto non determinante. Giornata meravigliosa che si chiude con la cena di Muriel: tartare di pesce dorade con carote alla vaniglia, tonno rosso grigliato e torta d’ananas. Ceniamo con i nuovi ospiti del Quebec e la giornata finisce. Domattina sveglia alle 5.45 per il viaggio fino all’aeroporto, che dura più di un’ora via mare. Dopo aver salutato con tanto affetto Muriel e Franck, partiamo. Prossima tappa uno degli atolli più grandi del mondo: Rangiroa, isole Tuamotu.

Il mattino è occupato da voli aerei: Raiatea-Papeete poi Papeete-Tikehau-Rangiroa con un assaggio dall’alto dell’atollo di Tikehau ultima isola che visiteremo. A Rangiroa ci tratteremo bene: hotel Kia Ora con bellissimi bungalows, ma se posso dirlo sottovoce niente a che vedere con au Phil du temps per il calore e la possibilità di conoscere davvero le persone. Arriviamo in albergo alle due del pomeriggio e mangiamo un sandwich al bar. Poi prendiamo possesso del nostro bungalow con giardino e Andrea sembra impazzito per sperimentare tutto quanto trova di nuovo e insolito. Il pomeriggio scivola veloce nel sole e la sera ceniamo nel ristorante. Tante coppie italiane in albergo, apparentemente quasi tutte in luna di miele. Cucina internazionale, non male ma potresti trovarti in qualsiasi parte del mondo, non fosse che per i profili, gli abiti e i volti delle cameriere e dei camerieri. Finalmente riesco a comunicare con Manu, Emmanuel di Rairoa fishing per l’escursione dell’indomani alla laguna blu e alle sabbie rosa. La laguna blu si vede, a sud ovest di Avataru, anche usando Google maps, tanto è turchese l’acqua nel turchese più profondo della laguna di Rangiroa. Non avevo più avuto conferma ed eravamo preoccupati di perdere l’occasione. Al mattino in reception ci fanno sapere che I pick up delle agenzie “esterne”, cioè quelle cui tu ti rivolgi direttamente e non attraverso l’albergo, non entrano fino alla rotonda della reception e devi andare tu sulla strada ad aspettarli. D’altra parte organizzare direttamente senza l’aiuto dell’albergo ti fa risparmiare circa tremila franchi a persona, 25 euro. E non perdi nulla in qualità se cerchi bene. La giornata è bellissima, camminiamo a lungo nell’acqua bassa dove la barca non arriva, poi arriviamo in un piccolo motu con una spiaggia rosa di corallo frantumato dalla risacca fine come la farina. Starei lì più del tempo in cui rimaniamo, ma poi piantiamo simbolicamente un cocco per lasciare un segno, anche semplice, del nostro passaggio. Io, mia moglie e Andrea ci siamo ripromessi di ritornare lí tra qualche anno a vedere il “nostro” albero di cocco cresciuto. Sulla via del ritorno ci fermiamo alla passe di Avatoru, scendiamo in acqua e la corrente ci trascina a lungo, per centinaia di metri, dolcemente, intanto tutti noi osserviamo ciò che accade sott’acqua: pesci di ogni dimensione e colore per molti minuti. Alla sera spettacolo di folclore ma niente di paragonabile a quello che abbiamo visto a Huahine, i figuranti non sembrano neppure polinesiani. Sorpresa della serata, incontriamo i nostri amici francesi che avevamo conosciuto a Tahaa e che poi erano partiti per Bora Bora: Philippe, Beatrice e il loro figlio Maxim. Tutti i viaggiatori prima o poi si rincontrano. Specialmente se tracciano i loro percorsi su una decina di piccole isole…

Il giorno successivo avevamo deciso di noleggiare un’auto per percorrere il tragitto da Tiputa ad Avatoru, circa 11 chilometri piatti con diverse botteghe di perle nere e di artigianato. Scelta azzeccata perché la giornata è brutta, piovosa e ventosa. Troviamo il modo di dover tornare in albergo a recuperare un ombrello poi lo perdiamo in uno snack a pranzo e anche lì dobbiamo tornare, poi compriamo francobolli all’ufficio postale e poi, clou della giornata, ci dedichiamo all’ammirazione delle perle nere in diversi luoghi fino a che, non lontano dall’aeroporto troviamo il più bello per noi, gestito da un orafo di origine francese sposato con una giapponese. E lì non resistiamo al fascino. Io, Anna Lisa e Andrea compriamo almeno una perla a testa. I colori vanno dallo champagne alla melanzana, con riflessi che dipendono molto dalla luce che li illumina. Esotiche. La sera prendiamo un aperitivo nell’abitazione degli amici francesi e quasi ci ubriachiamo a suon di planteur punch, poi purtroppo ci salutiamo per davvero riproponendoci di rimanere in contatto. Noi l’indomani andremo a Tikehau, loro il giorno successivo a Moorea. Poi indietro noi a Parma loro a Brest.

Tikehau l’avevo pensata come meta ideale per la fine della vacanza: un atollo più piccolo, meno frequentato, con lunghe spiagge deserte e lunghi silenzi ritmati soltanto dalla risacca, 530 abitanti. E così è, quando arriviamo al luogo che ci siamo concessi, il Tikehau Pearl Beach Resort, lo capiamo in un momento. Poco prima, all’aeroporto un cane aveva fatto pipì contro la mia valigia, poca ma l’aveva fatta. Non mi era sembrato particolarmente ben augurante, ma mi sono dovuto ricredere. Anche se la sera abbiamo, solo noi, avuto due black out consecutivi nel bungalow, anche questo non era riuscito a farci cambiare parere. Il luogo è veramente un incanto. Bungalows tutti in bambù e foglie di palma, chiari che si specchiano nell’acqua altrettanto chiara della laguna e prendono tutta la brezza marina. Serata con piccolo ma gradevole spettacolo musicale e danza locale. Come abitudine al termine si chiama il pubblico e Anna Lisa va a mostrare la sua idea di tamuree. Danza di mani e di braccia, gentile e sensuale. Bella serata. No more black out. La notte è passata veloce anche se il rumore delle onde faceva da sottofondo al nostro riposo. Al mattino abbiamo fatto colazione e poi siamo tornati nel nostro bungalow che in questi ultimi tre giorni è diventato una specie di culla, una specie di rifugio perché da lì potevamo fare qualsiasi cosa, scendere con la scaletta in acqua, ordinare qualcosa da mangiare, farci una vasca, osservare i pesci, vedere Andrea che nuota con i pesci colorati da dentro il bungalow attraverso una finestra sul pavimento, o andare a fare una passeggiata lungo la riva. Ce la siamo presa comoda e abbiamo utilizzato gli ultimi due giorni della nostra vacanza per riposare. Tikehau Pearl Beach Resort è un grande luogo per tutta la famiglia in un’isola ancora selvaggia in cui oziare e ammirare le meraviglie che abbiamo intorno. È venuto poi il momento di tornare a Tahiti. Giunti a Papeete la sera abbiamo fatto una passeggiata fino al mercato che stava chiudendo ma abbiamo fatto a tempo ad avere un’idea di quanto potesse essere variopinto, pieno di prodotti naturali e dell’artigianato di tutte le Isole della Società. Al mattino dopo abbiamo fatto la nostra ultima escursione che doveva essere ad osservare i cetacei al largo di Tahiti ma la corrente, piuttosto violenta ci ha impedito di arrivare all’obiettivo e ci siamo accontentati di guardare un paio di relitti sott’acqua, un piccolo aereo e un barcone che ormai sono diventati rifugio di tanti pesci colorati, abbiamo però avuto modo di incontrare un bel branco di delfini gioiosi. Lungo il percorso c’erano anche tanti surfer impegnati ad allenarsi per una gara molto importante che si tiene ogni anno a Tahiti. Avevamo tutti i nostri bagagli al Fare Swiss e lí siamo tornati per una doccia e per cambiarci. Poi siamo andati finalmente e con più tempo al mercato municipale di Papeete. Lì abbiamo pranzato in un luogo caratteristico con pesce crudo e radici di taro fritte, ottimo pranzo. Abbiamo acquistato stoffe per due tovaglie con motivi di tatuaggi tahitiani e poi io e Anna Lisa non abbiamo resistito a non fare un tatuaggio: due tartarughe nell’avambraccio a simboleggiare la famiglia, la pace, la tranquillità e la sicurezza, come vuole la simbologia polinesiana. Questo ci ricorderà per sempre un viaggio che comunque manterremo nella memoria molto a lungo per la bellezza dei luoghi, per il calore delle persone, per la fertilità della terra e del mare. Siamo stati veramente bene queste tre settimane, penso che chiunque abbia il tempo e la volontà possa trovare il modo di passare qualche settimana in un angolo del mondo dove ancora la comunità significa salutare chiunque ti incrocia per strada o in una piazza o più semplicemente sulla sabbia di una spiaggia, dicendo ia orana (buongiorno), o per qualunque cosa dire mauruuru (grazie). In ogni luogo la persona è un altro come te. Questo vale da solo il lungo viaggio.



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