Piccolo dizionario bretone

Alghe: prodotto particolarmente apprezzato (che siano i bretoni i responsabili dell’eutrofizzazione dei nostri mari?): quelle grandi, prelevate da enormi gru e caricate su camion, vengono utilizzate nell’industria farmaceutica, quelle piccole vengono usate come letto per ostriche e conchigliume vario, per esaltarne il profumo di mare (...
Scritto da: Holderlin
piccolo dizionario bretone
Partenza il: 04/09/2006
Ritorno il: 16/09/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Alghe: prodotto particolarmente apprezzato (che siano i bretoni i responsabili dell’eutrofizzazione dei nostri mari?): quelle grandi, prelevate da enormi gru e caricate su camion, vengono utilizzate nell’industria farmaceutica, quelle piccole vengono usate come letto per ostriche e conchigliume vario, per esaltarne il profumo di mare ( personalmente rimango un fautore del letto di ghiaccio, non riuscendo ad appassionarmi di fronte al colore marrone sporco ed alla consistenza gommosa delle alghe).

Arrivederci: la Bretagna merita una prima visita, diciamo così, “generalista”, ed una (o più) visite successive, mirate ai 3-4 posti che hanno maggiormente emozionato.

Bateau: per gli spiriti più romantici evoca immagini di colorate imbarcazioni, in rotta atlantica per l’Ile d’Oessant o Belle Ile en Mer, a sud del Quiberon. Per anime più prosaiche, la grande zuppiera ricolma di ostriche, conchiglie, scampi, gamberi (crevettes), incoronata dal crabe (il grosso granchio rosso) o dall’homard (l’astice). E’ da provare, se non altro per l’effetto scenografico, anche perché crevettes e crabe, spesso solo sbollentati, non sempre sono all’altezza. Consiglio di impratichirsi preliminarmente nell’uso dell’attrezzatura fornita: ho visto conchiglie volare (come la “Nina” di De Andrè) per la sala e chele esplodere sulla maglietta, per l’eccessiva energia applicata agli attrezzi.

Brocante: visti a decine, visitati due: il loro orario di apertura e chiusura, rimane uno dei più inquietanti misteri bretoni.

Calvari: numerosissimi e facilmente accessibili. Guimiliau e Plougasnou i più suggestivi, anche se, come gusto personale, preferisco indugiare davanti ai molti crocifissi con cristi in pietra, che guardano il mare con fissità dolorosa, come in attesa…

Carnac: distesa infinita di menir, vale la pena di imboccare uno dei molti sentieri in mezzo agli alberi, alla ricerca di itinerari meno turistici.

Cercatori di conchiglie: spesso ci è tornato in mente il libro della Pilcher, grazie a maree imponenti che, complice la luna piena, hanno lasciato enormi tratti di costa in balia di centinaia di appassionati che, stivali, rastrello e cestino, si dedicavano alla raccolta dei frutti di mare, quest’anno particolarmente prodiga per tutti. Dove cercare? Sotto ai frequenti filamenti di sabbia, attorcigliati, sicuro indizio di conchiglie interratesi per sfuggire ai gabbiani (ed agli umani!).

Chambres d’hotes: l’equivalente teorico dei B&B britannici, nel nostro itinerare ne abbiamo trovato solo uno all’altezza, a Tredarzec, vicino a Treguier (Jacques.Keramoal@wanadoo.Fr, 50 euro camera doppia e petit dejeuner), dignitoso ed economico quello di Le Conquet, in rue Molière 3 (tel. 0298890699), 40 euro con p.D., ospiti di Mme Le Ru, arzilla signora un po’ agé, che parla solo francese. Clima: indotti da tutti a portare guardaroba pesante, siamo stati costretti a nascondere le giacche a vento, per non coprirci di ridicolo di fronte alle migliaia di bagnanti. Sarà stato l’anticiclone, sarà il clima che è cambiato, fatto sta che non abbiamo mai indossato nulla di più pesante di una maglietta. Consigliato predisporre per vestirsi a strati, non dimenticando a casa i costumi da bagno.

Da perdere: Brest (ci perdonerà Prevert, ma forse solo la presenza di una qualche “Barbarà” potrebbe indurre ad apprezzarla), città industriale mastodontica ed anonima, e Douarnenez, maleodorante e cupa, come le sue toilettes pubbliche ed i suoi bar.

Da non perdere: Dinan, ariosa, vivace, piena di brio anche nelle ore morte; St Malò, irresistibile dal mare, durante la bassa marea, ben al largo, in mezzo al vociare concitato dei gabbiani alla ricerca di cibo; Cancale, con la sua infinita teoria di ristorantini e degustazione di frutti di mari, di fronte al porto, bellissima la sera, quando alle finestre comincia ad affacciarsi, per osservare la marea che sale, l’umanità più varia: giovani a torso nudo, uomini e donne con curiosi cappelli, vecchie in pose vezzose, non ancora rassegnate alla crudeltà del tempo, in una sorta di meraviglioso set naturale che ricorda un po’ alcuni quartieri di New Orleans; Pont Aven: non a caso Gauguin, prima di cercare il sole della Polinesia, si è ritirato in questo meraviglioso paesino, oggetto di ben 14 suoi dipinti, dall’atmosfera sognante, ricco di botteghe di pittura (alcune di interessante livello) e di un corso d’acqua in cui anatre, cigni e gabbiani condividono sonnolente passerelle serali. Sui 75 euro la doppia nella Chaumière Roz Aven, con il suo caratteristico tetto di stoppie (chaume), infrequentabili i ristoranti, tutti di livello men che mediocre (conviene recarsi a cena a Concarneau, prodiga di buoni ristoranti, all’interno della cinta muraria).

Eckmuhl: 307 gradini di un faro di 65 metri, nella punta di Penmarc’h: la vista dall’alto non manca di fascino.

Fiori: onnipresenti, radiosi, come per un matrimonio senza fine, a volte in accostamenti audaci con piante di cavolo e carciofi, ti accompagnano per tutto il viaggio, lasciandoti negli occhi un trionfo di colori ed una sorta di disgusto, al rientro in Italia, al momento di rivedere il proprio giardino.

Gallette: deliziose, ma meglio limitarsi a mangiarle sul posto, dato il tenore di burro.

Guide: Baedeker, Lonely, Routard, a mio avviso andrebbero utilizzate solo prima del viaggio, per preparare un itinerario di massima, lasciate a casa e riprese al ritorno, per integrare la memoria visiva: ritengo che i posti vadano visti con occhi semplici, da bambino, senza sovrastrutture multimediali; troppo spesso sono rimasto incantato da luoghi universalmente ignorati, e freddo di fronte a spettacoli plurireclamizzati, il che è assolutamente normale, se si pensa come ognuno di noi (per fortuna!), risponda in modo assolutamente unico, in ragione del proprio vissuto personale, alle emozioni che determinati spettacoli evocano. La Bretagna non ha fatto eccezione.

Hotel: il numero delle stelle non sempre corrisponde al prezzo, sono piuttosto costosi, specie nei posti più turistici, e da considerare come ultima ratio per il pernotto.

Huitre: fin, claire, belon (queste ultime per gli amanti del colesterolo), di dimensioni inversamente proporzionali al numero (suggerisco le n. 2), da mangiare in numero minimo di 24 (solo 12 per i gottosi!), sono davvero il punto di forza culinario della Bretagna, anche per il costo contenuto. Raccomandato l’abbinamento con un buon Muscadet.

Ibis: dai 60 ai 75 euro, senza p.D., di uno squallore costante in periferia, appena decenti all’interno delle cinte murarie, il loro unico pregio sostenibile è la pulizia.

Je regrette infinitemant: espressione tollerata, alla vista del conto degli hotel.

Lacoste: magliette apprezzate dai francesi, tollerate le Robedikappa (nessuno come i francesi comprende il nazionalismo), malviste le Perry, ma si sa che esiste da sempre grande rivalità franco-inglese.

Maree: c’è poco da dire, sono il piatto forte della Bretagna, sempre diverse, con sfondi ogni volta nuovi, le barche ed i pescherecci abbandonati di fianco nei momenti di bassa, non stancano mai, specie nel nord, come uno spettacolo sempre pronto a rinnovarsi…

Mont St Michel: pur in Normandia, è tradizionalmente associata alla Bretagna. Bellissima di notte (ma il buio ha spesso un effetto cosmetico importante), l’ho trovata, a distanza di 35 anni, “appassita”; può essere che siano i miei 18 anni, in realtà, che rimpiango, ma la piana circostante, un tempo solo sabbia, è ora ristretta da centinaia di posti auto in cemento, che autobotti provvedono a ripulire di corsa, al calare della marea, per consentire l’afflusso di decine di migliaia di turisti, che si riversano poi all’interno del paese con l’impeto (e spesso la rozzezza) di una “folla assetata (rimembranze lorchiane)”. Non mi ha più suscitato alcuna emozione, come tutti i luoghi diventati icone del turismo di massa.

Notre Dame: nome del 90% delle chiese bretoni: affascinante la prima, interessante la seconda, un’occhiata alla terza, poi osservate quasi con fastidio, tutte della stessa epoca, spesso ritoccate negli stessi punti con lo stesso materiale, a confermare la validità del detto: “toujours perdrix!”.

Ohibò: espressione abituale alla vista dell’orribile moquette, che riveste la maggior parte dei pavimenti francesi, bagno compreso, con effetto deprimente sulle cellule olfattive. Palourdes: vongole, servite su piatti metallici, ognuna nel suo alloggiamento circolare pieno d’olio bollente, dal costo eccessivo, se paragonate alle ostriche.

Plougrescant: sopra Treguier, punto di partenza per un entusiasmante tour della costa, tutta scogli affioranti ed incantevoli spiagge, con possibilità di affascinanti passeggiate lungo il mare, veramente indimenticabile (uno dei 3-4 posti dove ritornare, di cui parlavo all’inizio).

Punte: numerose ed arricchite di fari a picco sul mare, tutte di gran fascino, specie con mare da forza 4 in su (personalmente sono rimasto colpito soprattutto da Punte du Raz, ma consiglio una visita anche a Pointe de St. Mathieu, vicino a Le Conquet, per l’insolita fusione antico-moderno tra faro e chiesa gotica).

Quiberon: penisola tutta da vedere, alla ricerca di megaliti e scorci improvvisi di mare.

Ristoranti: solo uno di alto livello: Le Decollè, a St Lunaire, sui 70 euro a persona senza vino (buon Sancerre a 25 euro), per il resto meglio le degustazioni di frutti di mare, alla pescheria Moulinet a Treguier, ed a Au pied d’cheval II, rue J. Cartier 6, a St Malo’, per altro già segnalati in altri itinerari di tpc. Attenzione agli orari: specie a Treguier, alle otto di sera di sabato, la cittadina, per altro più che graziosa, ha un aspetto da Day After. Si ricorda ancora Cancale, tutti locali di buon livello.

Strade: come già in Scozia, anche in Francia non una buca. Saranno i numerosi punti radar o la presenza non infrequente di Police e Gendarmerie, ma ovunque vige il massimo rispetto (a volte, specie nei sorpassi, persino imbarazzante) dei limiti di velocità, oltre ad una rapida ed efficientissima transennatura luminosa in caso di incidente, con soccorsi immediati. Ho l’impressione che dovremmo imparare qualcosa dai nostri vicini, che sembrano poco propensi a tollerare i furbetti, “specie protetta” in Italia.

Trinité Sur Mer: la sera, nell’unico ristorante aperto, alla base del ponte, da non mancare ostriche e moules, scherzando con proprietario (ex giornalista sportivo di F1, amante di Bologna) e cameriere, molto ispirati e simpatici.

Uricemia: non controllatela prima di un mese, dopo il ritorno a casa, se non volete rimanere sconvolti dall’”effetto ostriche”.

Vitrè: cittadina medioevale meritevole di visita e, se possibile, breve soggiorno.

Walkyrie : se siete venuti a cercarle in Bretagna, avete sbagliato paese: le donne bretoni sono piccole e delicate , spesso con meravigliosi occhi azzurri e dal fascino sottile.

Xenofobia : ad onta di pareri contrari, abbiamo trovato la massima cortesia, educazione e tolleranza da parte di tutte le persone con cui abbiamo avuto a che fare (può darsi che a ciò abbia contribuito la nostra recente sconfitta a calcio con la Francia, molto apprezzata oltralpe).

Yogurt : sempre presente nelle tavole del petite dejeuner, mi sono sempre ben guardato dal prenderlo, non essendo “cosa loro”, soprattutto in presenza dei meravigliosi croissant.

Zh…Zhh…Zhhhhh : sarà il respiro delle maree, il silenzio, l’effetto del vino serale, ma in Bretagna la notte è sempre un bel dormire (salvo quando si è ecceduto con le ostriche, o si ha di meglio da fare).



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