Perù e Bolivia, mille viaggi in uno
La prossima tappa è Nazca. Sorvolando l’arida pampa dai piccoli Cessna, si distinguono figure estese per decine di chilometri: il colibrì, l’albero, la scimmia, l’astronauta. E’ stupefacente pensare come un popolo di semplici contadini e guerrieri potesse, senza alcuna nozione di matematica superiore, creare il più vasto calendario astronomico del mondo, incidendo una ragnatela di linee sulla superficie del deserto. Sono passati solo due giorni, ma le immagini e le esperienze che viviamo valgono mesi… A pochi chilometri da Nazca facciamo tappa a Chaucilla, cimitero di epoca preincaica dove sono esposte ossa, frammenti e mummie portate alla luce dai saccheggiatori di tombe, i cosiddetti tombaroli. Partiamo alla volta di Arequipa percorrendo la Panamericana Sur, un viaggio di circa dieci ore in cui si alternano diversi paesaggi e ambienti naturali, tra deserto e Oceano. Arequipa, la seconda città del Perù, è situata a 3.200 mt, ai piedi del Misti, un gigantesco vulcano spento. È conosciuta come La Ciudad Blanca (la Città bianca) dal colore della pietra con la quale sono stati costruiti tutti gli edifici principali del suo centro storico, dichiarato nel 2000 patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Visitiamo il monastero di Santa Catalina, un’autentica città nella città con abitazioni, strade, piazze e chiostri. Fondato nel 1580 è stato il convento di clausura per le eredi delle ricche famiglie spagnole che prendevano i voti, portandovi una ricca dote. Un altro pregio è il Museo Andino dov’è conservata, in ottime condizioni, la mummia di Juanita, una ragazzina tredicenne sacrificata al Dio Sole, ritrovata congelata dopo circa 500 anni sul Monte Ampato a oltre 6.000 metri. Partiamo alla volta del Colca Canyon con una sosta alla caratteristica cittadina di Chivay a 3.650 mt, rifocillandoci in uno dei suoi stabilimenti termali. Lungo la strada ammiriamo fantastici paesaggi andini e animali d’altura come i lama, le vigogne e gli alpaca, che pascolano in libertà. Arriviamo di buon mattino alla Cruz del condor, punto panoramico a strapiombo sul canyon, in attesa di vedere i condor, che non appena l’aria comincia a riscaldarsi si levano in volo maestosi. Proseguiamo per Puno e da lì ci imbarchiamo per Taquile e Amantanì sul Titicaca. È il lago navigabile più alto al mondo, a quota 3.800 mt. e si estende per circa 8.000 Kmq. Sulle due isole peruviane non ci sono né auto né moto, sembra che il tempo si sia fermato a secoli fa. Gli abitanti, calorosi ed accoglienti, ci ospitano nelle loro case. Siamo fortunati perché capitiamo durante una delle loro coloratissime feste annuali, ci vestono con i loro abiti e ci coinvolgono nei balli. I panorami del lago al tramonto e all’alba resteranno nella nostra mente, così come l’abbraccio delle stelle che qui sono vicinissime, siamo a quasi 4000 metri d’altezza! Prima di ritornare a Puno una sosta d’obbligo è alle Uros. Le isole fluttuanti, fatte di canna, rimangono ancorate al fondo tramite pali di eucalipto. Sono un’attrazione turistica e quasi nessuno le occupa più per viverci, ma è interessante vedere come seguono il livello del lago e come vengono spostate con delle imbarcazioni molto caratteristiche, come se fossero delle zattere. Dopo neanche una settimana, nonostante il soroche (mal d’altura), ci sentiamo pieni, sazi di spazi e luoghi speciali. Attraversiamo il confine della Bolivia. La prossima destinazione è Copacabana, meta di pellegrinaggi al santuario dedicato alla Vergine della città. Visitiamo l’isola del Sol, sul lato boliviano del Titicaca. La leggenda narra che l’impero Inca abbia avuto origine qui, nel tempio dedicato al Dio Sole, visitabile insieme ad altri resti archeologici. Le etnie prevalenti sono aymara e quechua e gli abitanti sono dediti all’agricoltura, alla pastorizia e all’artigianato. Viaggiando verso La Paz la nostra attenzione è ancora una volta catturata dal panorama e dai colori. Il lago blu è sovrastato dalle altissime cime innevate delle Ande. Ad agosto nell’emisfero australe è inverno ed è il periodo secco: fa freddo e piove raramente. Mentre il nostro autobus viene imbarcato su una chiatta, noi attraversiamo il lago in pochi minuti su un ferryboat. In poche ore eccoci a La Paz. Ancora una volta lo spettacolo è unico. La capitale più alta al mondo è tutta sotto ai nostri occhi. La città è adagiata in un canyon che va dai 3 ai 4 mila metri, registrando mille metri di dislivello tra il centro e la periferia, tra il centro storico e il quartiere di El Alto pervaso da un forsennato sviluppo urbano. La chiesa di San Francisco è il più bell’edificio coloniale della città. Le vie intorno sono un unico grande mercato colorato, dove si possono trovare pozioni magiche, amuleti, feti di lama che le streghe, las Brujas, offrono alla Pachamama per benedire le case boliviane. A 12 chilometri si trova la Valle della luna, un canyon di roccia friabile con sentieri e torrioni formati dall’erosione. Da qui partiamo per un’escursione che ci porterà a toccare la quota più alta di tutto il viaggio. Con il pullman che arranca a strapiombo sull’abisso, eccoci al rifugio di Chacaltaya. Da qui in un’ora di cammino a piedi, con un ulteriore dislivello, arriviamo fino in cima alla montagna, a 5.395 mt. La vista è grandiosa e ci fa dimenticare paura, freddo, mancanza di ossigeno e fatica. Ma il bello deve ancora venire! Con un autobus notturno partiamo alla volta di Uyuni e del deserto di sale più grande del mondo. La mattina ci svegliamo in un altro pianeta. Il colpo d’occhio è incredibile: una distesa bianchissima ed abbagliante di fronte ad un cielo azzurrissimo. Le donne raccolgono i capelli in lunghe trecce e indossano un cappello tipo bombetta, gonne larghe a pieghe e sulle spalle trascinano las mantas, sacchi da riempire di cose o bambini. La notte si arriva facilmente a meno 20 gradi, la media di altitudine è 4.000 metri. Per resistere al freddo e all’altezza si succhiano foglie di coca. La Bolivia economicamente è il Paese più povero dell’America latina, ma è ricco di testimonianze storiche e folcloristiche e di meravigliosi scenari naturalistici. Il nostro tour di tre giorni attraversa il Sud Ovest del Paese. La prima tappa è il cimitero delle locomotive. Sembra di essere sul set di un film western o in un luogo futuristico abbandonato dopo una guerra atomica. Nei lunghi tragitti si alternano canyon, gole, rocce levigate, zone brulle e altre verdeggianti. Visitiamo la Isla Incahuasi (casa degli Inca), chiamata anche Isla del pescado (a forma di pesce), una formazione vulcanica dove si ergono cactus giganti alti più di 5 metri. Dalla cima dell’isola si ammira a 360° l’immensità del salar che misura 12.000 Kmq. Si va dal deserto di Dalì con rocce simili ad opere surrealiste alle acque termali, dai geyser alla Laguna Colorada, le cui acque ricche di alghe diatomee e di plancton, con l’azione dei raggi solari, assumono una colorazione rossa, fino alla Laguna Verde, posta ai piedi dell’immenso cono del Vulcano Licancabur. Lo spirito della scoperta si alterna con quello di adattamento, mentre ci inoltriamo nelle regioni più selvagge e remote al confine con il Cile. Lo scenario che circonda questi specchi d’acqua è sorprendente. Le montagne si riflettono nelle acque limpide e i fenicotteri, abituati agli uomini, si lasciano anche avvicinare. Con lo stesso autobus notturno torniamo a La Paz e dedichiamo la giornata libera alla Carretera de la Muerte, meta del biking estremo. Dalle ande più pericolose verso l’Amazzonia, attraverso tunnel scavati nella roccia, si alternano discese spaventose e curve senza protezione che si affacciano su precipizi e strapiombi vertiginosi. Facciamo un giro sulla nuova teleferica per salutare questa città con un ultimo brivido. Lasciamo La Paz e prima di rientrare in Perù ci fermiamo al sito di Tiwanaku, dove è conservata la Puerta del Sol, ricavata da un unico masso sul quale vennero incisi dei rilievi ancora miteriosi dell’archeologia proibita. Nei pressi di Puno visitiamo il sito di sillustani, con le sue torri funerarie di epoca preincaica. La penisola sopraelevata e circondata dal lago Umayo alla luce del tramonto assume un’aurea sacra e magica che sprigiona un’energia vigorosa.
Raggiungiamo Cusco, l’ombelico del mondo Inca, città coloniale costruita sulle fondamenta dell’antica capitale. Il suo cuore pulsante è Plaza de Armas con la Cattedrale e la chiesa della Compagnia, capolavoro dell’architettura gesuitica. Nella strada Hatum Rumiyoc c’è la famosa pietra a dodici angoli. In città e fuori, l’architettura ciclopica sembra tracciata con la squadra e dimostra un’incredibile precisione nelle pietre sagomate e perfettamente coincidenti, oltre all’estrema resistenza sismica grazie alla quale, nonostante i tanti terremoti, gli edifici si sono conservati inalterati. Attraversando la valle sacra che segue il percorso del fiume Urubamba, visitiamo il sito archeologico di Pisac con gli enormi terrazzamenti affacciati direttamente sulla città moderna e sul suo coloratissimo mercato. Prendiamo il treno a Ollantaytambo, dopo aver ripercorso l’assedio degli spagnoli sulla famosa fortezza di Manco Inca, che controllava la strada per Machu Picchu. Sono quasi trascorse tre settimane, ma non siamo per niente stanchi, perché ogni giorno è diverso dal precedente. Il percorso su rotaia, l’unico possibile, costeggia il fiume correndo tra gole strettissime e ghiacciai che brillano improvvisi negli squarci delle nubi. Dopo pochi chilometri il clima e il paesaggio cambiano completamente. Mentre ci addentriamo nei recessi della giungla e della sua esuberante vegetazione, arriviamo ad Aguas Calientes, avamposto per Machu Pichu. Dormiamo pochissimo perché alle cinque parte il primo autobus e vogliamo essere i primi per vedere il sorgere del sole sulle rovine. Siamo al cospetto del monumento precolombiano più spettacolare dell’America Latina le cui origini sono ancora sconosciute. La sua scoperta risale solo al 1911 perché, grazie alla posizione inaccessibile, non fu mai trovata dai conquistadores spagnoli. I resti umani reperiti, per la maggior parte donne, avallano la tesi che fosse un santuario con una numerosa presenza di vergini consacrate al Sole. Siamo sul tetto delle Ande, sugli interminabili scalini che portano al cielo, tra i privilegiati che possono cimentarsi nella scalata dell’Huayna Picchu, la montagna che sovrasta il sito. La salita è piuttosto impegnativa e presenta dei tratti a perpendicolo e strapiombi di varie centinaia di metri, ma riusciamo a conquistare la cima. La vista che si gode a 1.640 metri d’altezza è mozzafiato: il fiume Urubamba avvolge Machu Picchu come tra le spire di un serpente e le enormi montagne di granito chiudono la valle in un abbraccio. Questo è l’acme del viaggio, uno dei panorami che porti con te per sempre. Rientrando a Cusco facciamo tappa a Maras dove visitiamo le saline, situate sul fianco di una montagna e divise in oltre 4.000 vasche, a Moray dove ammiriamo un originale sistema di terrazzamenti ad anfiteatro e Chinchero, che con lo stesso linguaggio architettonico di eterna bellezza meritò il nomignolo inca di luogo dove nasce l’arcobaleno. Nel viaggio di ritorno le immagini diventano già ricordi. Torniamo in Italia con il sapone della quinoa, del mais bianco, dell’inca kola, del pisco e della Chicha, avvolti in un caldo maglione di alpaca. Torniamo ricchi, ricchi di un patrimonio inestimabile, di una vita completamente diversa dalla nostra, di un’esperienza straordinaria, di un altro pezzettino di mondo.