Perchè il Senegal
E allora la scelta è fatta, si parte…
Partiamo per Dakar venerdì 28 dicembre 2001; in Italia c’è un freddo polare ma fra breve saremo al caldo dei tropici. Il volo della Volare A321 delle 18.40 è un vero supplizio, stretto e stracolmo di passeggeri ma pur di evadere un poco sopportiamo tutto. Dimenticavo di presentare i compagni di viaggio: alcune sono delle vecchie conoscenze (di nome e di fatto!) come Fabrizio e Valeria, ma a loro va aggiunta Lidia, nuova entrata, ma subito salita in vetta alla classifica. Fra un caffè, una caramella, una cena luculliana (?) e un menisco rotto contro il sedile davanti, dopo sei ore di viaggio siamo finalmente arrivati nella capitale del Senegal, a 4.300 km da casa, in Africa, con un caldo bestiale per chi come noi arriva da un freddo gelido da –10, con un po’ di sonno e tanta voglia di partire alla scoperta del paese.
Sabato 29 dicembre per il Senegal non è un giorno qualunque: è il giorno dei funerali di stato di Leopold Sedar Senghor morto nella sua casa di Verson in Normandia il 20 dicembre. Sengor è nato a Joal nel 1906 ed è il padre del Senegal, presidente della repubblica dal 1960 al 1980 e il massimo esponente del movimento della negritudine e del socialismo senegalese, promotore dell’unità politico culturale dei popoli africani. La città è blindata ed anche il nostro tour subisce delle variazioni. Nonostante le strade bloccate dalla polizia e dall’esercito riusciamo a vedere la piazza dell’Indipendenza, il Palazzo del Parlamento, la Grande Moschea e le vie di una città cosmopolita di un milione e mezzo di abitanti che raddoppiano se consideriamo anche i popolosi sobborghi. Ci capita di incontrare la Guardia del Presidente a cavallo e mentre tutti sono per le strade o incollati ai televisori a seguire i funerali, noi ci imbarchiamo sul battello che ci porta all’isola di Gorée, luogo di incontro degli avventurieri e dei trafficanti dell’oro e degli schiavi, a lungo contesa fra inglesi, olandesi e francesi. Dopo il pranzo all’ Hostellerie du Chevalier de Boufflers, l’isola ci accoglie con le sue case in stile coloniale affacciate sulle viuzze strette fra la moschea e la chiesa di San Carlo, il Fort d’Estrées ed il castello, e ci conducono ai tristi ricordi legati alle buie prigioni della Maison des Esclaves, dove gli schiavi venivano rinchiusi per essere deportati in America (anche se la guida Lonely Planet, nel rimarcare la crudeltà e da disumanità della tratta degli schiavi, sospetta che “ considerare Gorée come centro importante nella storia della schiavitù non sia altro che un’operazione commerciale…, ovvero un cinico tentativo di attirare qui i turisti… ???). Passeggiamo un poco per l’isola e poi ci imbarchiamo di nuovo per Dakar; il traghetto è circondato da una nuvola di ragazzini che ci invitano a lanciare una moneta in acqua, poi si immergono e la recuperano. In città vediamo ancora la stazione della ferrovia che da Dakar porta a Bamako, la capitale del Mali (i treni partono due volte la settimana e ci impiegano dalle 35 alle 40 ore), il Palazzo Presidenziale, circondato da sontuosi giardini e la cattedrale cattolica, dove possiamo assistere ad un elegante cerimonia di matrimonio.
Una doccia nella nostra camera del Novotel e poi cena sulla terrazza della Casa Creole, un caratteristico locale a pochi passi dall’hotel. Qui abbiamo modo di conoscere meglio la nostra guida Borah e l’accompagnatore Andrea. 30/12/2001 – Con il nostro bus della Senegal Travel Services, condotto dal bravo Bernard, raggiungiamo con un’ora di strada il lago Retba, detto anche lago Rosa, quasi dieci volte più salato dell’oceano e celebre per la sua tonalità rosea dovuta alla presenza di particolari microrganismi che vengono attirati in superficie dalla luce del sole. Lasciamo il pullman e saliamo su dei fuoristrada che ci portano alla piccola salina , dove il sale viene raccolto dagli abitanti del posto nelle acque poco profonde, caricato sulle barche, ammucchiato e messo in vendita sulle sponde del lago. Poi ci spingiamo sulle rive dell’oceano, a cavallo di dune di sabbia bianchissima, la cui vista mi porta indietro di un anno ai bei giorni passati a Boavista, l’isola dell’arcipelago di Capo Verde che sta appena dietro l’orizzonte a 400 km dalla costa. La spiaggia è deserta ma in un attimo alcuni venditori hanno già organizzato la loro bancarelle. Completiamo il giro del lago e ci fermiamo a fare un bagno o meglio a galleggiare sulle acque, poi il pranzo in un ristorante proprio sulla spianata dove tra pochi giorni terminerà la 24^ edizione della Parigi-Dakar partita proprio l’altroieri. Il viaggio continua verso nord ed attraversiamo una serie di villaggi molto più semplici e poveri rispetto alla capitale; poiché la fabbrica di arazzi di Thies è chiusa, sostiamo in un mercato di cesti, poi maciniamo chilometri diretti a St-Louis. Arriviamo in città all’ora della preghiera mussulmana delle 17.00 e scopriamo le moschee all’aperto con un piccola abside orientata verso La Mecca. Borah ed Andrea entrano in un piccolo spaccio ed acquistano sapone, candele, zucchero, fiammiferi e quaderni, serviranno nei prossimi giorni come dono ai villaggi che visiteremo. Le strade di St.Louis sono animate di gente che si aggirano fra le botteghe ed le bancarelle. I variopinti pullmini che servono per il trasporto pubblico sono strapieni: Borah ci dice che quando sono finiti i posti a sedere, si riempiono quelli in piedi e quando anche questi sono esauriti ci si appende alle porte ed ai finestrini fino alla destinazione. Lasciamo la città e prendiamo una pista sterrata: la notte la passeremo all’ Hostellerie du Djoudj, una sistemazione essenziale ma confortevole, proprio accanto all’ingresso del parco. Ceniamo in giardino, proprio accanto alla piscina, poi a letto; fra poco spegneranno il generatore di corrente e l’unica luce sarà quella delle candele che abbiamo sul comodino. 31/12/2001 – Sorpresa! C’è la nebbia. L’avremo mica portata dietro noi dall’Italia? Borah ci avvisa che con questo tempo al parco non si vedrà molto, così ci propone di visitare prima un villaggio a nord, quasi al confine con la Mauritania. E’ il villaggio di Tiquen, abitato da popolazioni Naar: l’impatto con la povertà del villaggio ci stordisce. Il gruppo è ammutolito davanti alle condizioni in cui vive questa gente. Ci corrono incontro bambini e donne (gli uomini sono via con le greggi) felicissimi di vederci e cordiali con tutti, ci portano a visitare il loro villaggio, la casa del capo-villaggio, la moschea con il minareto incompleto ed il recinto dei pochi e magri vitelli. La mia macchina digitale che consente di visualizzare subito l’immagine ha un grande successo: tutti vogliono essere fotografati e rivedersi. Valeria ed Andrea improvvisano un coro di bambini: ripetono in coro Viva il Senegal, Viva l’Italia: a molti italiani farebbe bene essere qui a riflettere, noi lo stiamo già facendo. Davanti a queste cose ti senti impotente, colpevole per il benessere in cui vivi e gli sprechi che fai ogni giorno. Qualcuno prega Borah di lasciare tutti i doni qui a Tiquen, ma lui assicura che quello che lascerà sarà sufficiente e sarà distribuito a chi ne ha più bisogno.
Lasciamo il villaggio non appena la nebbia si alza e ci sistemiamo su una piroga. Il parco degli Uccelli di Djoudj ha un’estensione di 16.000 ettari, comprende un tratto del corso del fiume Senegal, ed accoglie fino a 400 specie diverse di uccelli migratori. E’ un’esperienza emozionante; dopo aver fotografato alcuni uccelli appollaiati sugli alberi sulle rive del fiume, appare davanti a noi lo spettacolo dell’isola dei pellicani. Ce ne sono a migliaia e ci lasciano a bocca aperta; poi è la volta degli stormi delle egrette, degli aironi e delle oche dallo sperone ed infine dei Martin pescatori che accompagnano la barca a caccia di pesci.
Dopo il pranzo ed un bagno rinfrescante in piscina, ripercorriamo la pista sterrata che si snoda nella savana erbosa e facciamo ritorno a St-Louis. La città sorge sulle sponde del fiume Senegal e su di un’isola collegata da numerosi ponti: un tempo era la capitale della colonia francese, poi il lento declino. Numerose le testimonianze storiche: il palazzo del Governatore, la chiesa cattolica più antica del Senegal (1828), l’Hotel de Poste ed il ponte Faidherbe lungo 511 m, destinato a collegare le sponde del Danubio e qui trasportato nel 1897. Un tempo la campate centrale del ponte ruotava per consentire il passaggio delle navi a vapore che solcavano il fiume. Prima visitiamo il colorato e singolare mercato: non facciamo foto per le raccomandazioni di Borah, ma la gente è cordiale e non sembra infastidita dalla nostra presenza. Le bancarelle sono davvero singolari, c’è di tutto: i riparatori di radio e televisioni, le donne che vendono pesce secco e verdura, in un arcobaleno di colori ed anche di odori non sempre piacevoli (con il senno di poi sospetto che Borah qui al nord non si senta a proprio agio e ci mette in guardia per avere meno problemi possibile). Dopo aver attraversato il fiume siamo sulla Langue de Barbarie, una lunga e sottile striscia di terra che separa il fiume dall’oceano; qui sorge il villaggio di Guet N’Darun, un villaggio di pescatori non proprio bellissimo. Dalla spiaggia tutte le mattine vengono lanciate in mare più di duecento piroghe che tornano colme di pesce che scaricano sulla sabbia. Qui le donne lo puliscono e lo mettono a seccare, poi lo fanno bollire in grandi bidoni: l’odore è davvero forte, per fortuna io ho il naso chiuso e sopporto molto meglio l’ambiente, dopo tutto è davvero unico!.
L’ultima lunga giornata dell’anno sta per finire. Ci sistemiamo all’hotel Coumba Bang che non è proprio il massimo, la struttura non è male ma è maltenuto. Ceniamo in giardino aspettando la mezzanotte. All’hotel non c’è davvero niente e così decidiamo di fare una passeggiata in centro; seguiamo l’usanza locale e saliamo in 17 su di un pulmino da 12. Poi ci tuffiamo nelle vie di St. Louis animate soprattutto da ragazzi alla ricerca della festa giusta. 01/01/2002 – Ed eccoci nel 2002! Oggi, primo giorno del nuovo anno, a bordo di potenti fuoristrada attraversiamo la savana e le foreste di acacia dell’estuario del fiume Senegal ed andiamo alla scoperta di alcuni villaggi di Peul, dediti alla pastorizia. Ci accolgono tutti con molta cordialità, aspettando poi i nostri doni. Quasi sempre ricambiano offrendoci latte di capra o te, ma solo gli autisti del posto accettano. Verso mezzogiorno raggiungiamo la sponda sinistra del fiume, presso il villaggio di Gandiole, un piccolo centro dove sorge un faro. Alla base del faro c’è un piccolo imbarcadero e lì saliamo su alcune piroghe che ci permettono di attraversare il fiume e di raggiungere la sottile penisola della Langue de Barbarie compresa in un Parco Nazionale che ospita numerose specie di uccelli acquatici. Qui, dopo una spettacolare discesa dalle barche durante la quale qualcuno piomba anche in acqua, faccio finalmente il bagno nell’oceano. Chi ha detto che l’acqua è fredda? Va benissimo! Ed è bellissimo farsi cullare dalle onde che si infrangono sulla spiaggia. Per il pranzo siamo sistemati al Campement Ocean et Savane, costituito da una serie di tende in stile mauritiano, dove, dopo pranzo, ci rilassiamo a sorseggiare il caratteristico te alla menta. Nel tardo pomeriggio facciamo ritorno all’hotel, appena prima che il sole tramonti sulle acque del Senegal ed appena in tempo per un altro tuffo in piscina.
02/01/2002 – Sveglia presto, anzi prestissimo: le 5 sono annunciate dal telefono, dalla suoneria del cellulare e da qualcuno che bussa alla porta. Siamo svegli e pronti per fare i 450 km che ci porteranno fino al delta del Siné-Saloum. Il pullman si dirige verso l’interno attraversando alcune cittadine che si stanno animando nelle prime ore della giornata, pigre ed assonnate proprio come da noi. Alle 10 arriviamo a Touba, il centro religioso della confraternita islamica dei Murid, dove alcol, sigarette e persino gli alberghi sono proibiti. Borah ed Andrea si sprecano nel farci mille raccomandazioni ma una volta scesi dal bus, proprio davanti alla moschea, non percepisco alcuna diffidenza od ostilità. La grande moschea è magnifica nella luce del mattino; granito e marmo rosa ricoprono tutto l’edificio, gli spazi sono immensi sorretti da robuste colonne ed abbelliti da fini stucchi dipinti a mano. La moschea è stata inaugurata il 7 giugno 1963 dopo 32 anni di lavori; nel 1998 sono stati avviati i lavori di ampliamento appena conclusi.Dopo esserci tolti le scarpe, visitiamo il sepolcro del secondo Bamba e poi entriamo nell’edificio principale con una grande vasca per le abluzioni e cumuli di tappeti che vengono stesi sul pavimento per la preghiera. Usciamo dal lato opposto a quello da cui siamo entrati; i quattro minareti alti 66 m e quello centrale di 86,8 m si stagliano verso il cielo sereno, mentre alcuni Maurid vestiti con gli abiti caratteristici cantano una curiosa nenia e chiedono l’elemosina. Il tempo di rimetterci le scarpe e si riparte; ci rifermiamo in periferia: il piccolo villaggio di alcuni anni fa si è trasformato ora in una grande e bella città con ampie strade e case belle e moderne. Proseguiamo per Diourbel e durante il tragitto facciamo due soste molto interessanti; prima a un caratteristico e variopinto mercato settimanale: c’è di tutto dalla frutta agli animali, dalle stoffe al pesce secco. Cerco di sapere quanto costa un asinello ma non ci capiamo. La seconda sosta è nel villaggio di tessitori di Sambe, dove vediamo i telai artigianali usati per tessere stoffe in strisce strette poi cucite assieme per formare tele più grandi; la tessitura avviene all’aperto ed i fili attraversano il cortile antistante le capanne. Il nostro arrivo attira come al solito una nuvola di bambini a cui diamo le ultime bic; una foto la merita anche il grande baobab che sorge appena a fianco del villaggio: ha 28 m di circonferenza, parola di turista con metro nello zaino! A Diourbel arriviamo nell’ora del mezzogiorno. E’ una bella città movimentata di gente che cammina e lavora per strada; ma la città è nota perché è il villaggio in cui viveva Amadou Bamba, il fondatore della confraternita dei Murid. Davanti alla moschea stanno potando le piante: una foto e via, abbiamo il tempo contato. Arriviamo all’hotel Le Pelican di Ndangane verso le due del pomeriggio. Pranziamo nella struttura centrale, il ristorante è all’aperto solo coperto dal tetto: qui le pareti non servono, la temperatura è più alta che al nord. Subito dopo pranzo con Fabrizio decidiamo di fare un giro in paese. Appena fuori dall’albergo siamo discretamente catturati da Raimond e Nactar, due ragazzi del posto che ci accompagnano alla visita del villaggio. Gironzoliamo per le case dove la vita continua tranquilla; vediamo un cantiere dove si sta costruendo una casa, andiamo a trovare l’artista del villaggio un ragazzo rasta di cui purtroppo non ricordo il nome che disegna dei bellissimi batik (volevo acquistarne uno con un bel baobab ma mi hanno pelato prima!), e poi, per caso, finiamo al mercato turistico… la pressione che sopportiamo è alta ma resistiamo benissimo: abbiamo i soldi in hotel e ritorneremo. Poi scatto una fotografia e mi scappa la parola internet: nel giro di un secondo tutto il villaggio vuole essere fotografato (e poi pubblicato in internet). E ci sono proprio tutti.
03/01/2002 – Ndangane si trova sulla sponda settentrionale del delta del fiume Saloum. Dal molo dell’hotel partiamo a bordo dei due piroghe alla scoperta dei bolong, i canali navigabili bordati di mangrovie che caratterizzano il parco nazionale. Incontriamo le barche dei pescatori con le reti per la pesca dei gamberi tenute a galla da rozzi galleggianti collegati fra loro da lunghe e sottili travi. Vediamo anche alcuni uccelli e facciamo a gara con l’altra piroga. Nella tarda mattinata arriviamo sulla spiaggia di Ndangan e scendiamo per andare a visitare la scuola del villaggio. Arriviamo appena prima della ricreazione: nella classe che mi ospita ci sono bimbi piccini, simpaticissimi; ci accolgono con una canzone in francese sulle note di Fra Martino; tradotta fa pressappoco così “Sto al mio posto, sto zitto, le mani sul tavolo, non mi muovo più” . Poi inizia la ricreazione ed è una festa; ma noi ci siamo dimenticati il pallone! Così Borah mi accompagna allo spaccio e mi procuro 4 palloni, uno per classe; lasciamo anche un’offerta per pagare la bolletta della luce e promettiamo di cercare i nastri per la stampante Epson che la scuola possiede ma che non può usare per la mancanza dei nastri. Pranziamo sulle rive del fiume in un accampamento tipico e poi oziamo un poco sulle amache all’ombra; il sole è alto nel cielo e la temperatura è di 38 gradi all’ombra. Mi concedo solo un breve giro al mercatino vicino all’accampamento; contratto un batik per Giovanna e spunto anche un buon prezzo. Il caldo è insopportabile e sogno di tornare al più presto al fresco del condizionatore della mia camera. La sera l’hotel ci saluta con uno spettacolo tradizionale.
04/01/2002 – E’ l’ultimo giorno del tour. Riprendiamo il viaggio per ritornare a Dakar. Ci fermiamo a vedere un grande termitaio e poi a Tiadiaye, dove facciamo una sosta per andare all’ufficio postale. Ripartiamo alla volta di Joal e Fadiouth, due villaggi gemelli costruiti uno sulla costa e l’altro su di un’isola formata interamente dalle conchiglie accumulatesi nel corso dei secoli. Joal è anche la patria di Senghor ed è nota fin dal XV sec. Quando fu raggiunta dai mercanti portoghesi. Attraversiamo il lungo ponte di legno; i cumuli di immondizie vicino all’acqua non danno certo una bella impressione ma il villaggio è davvero caratteristico con un fitto intrico di vicoli che si snodano fra una casa e l’altra. Prima di tutto visitiamo l’isola del cimitero collegata al villaggio con un altro ponte: il cimitero è comune per cristiani e mussulmani, un bel esempio di convivenza in questa comunità. La presenza di molti cristiani è testimoniata dalle numerose cappelle sparse nel villaggio e dalla chiesa di San Francesco Saverio, nel centro dell’abitato. Il pranzo a base di barracuda e gamberi è all’hotel Le Finio, poi si riparte alla volta di Dakar. Una parte del gruppo rimane per un’altra settimana a Saly Portudal, una parte riparte con l’aereo alle 18.30, noi dobbiamo aspettare al Novotel le 2.30 di notte. Approfitto per spendere gli ultimi CFA al mercato dei fiori e poi scattiamo una foto di gruppo. Arrivederci Senegal! Le foto del viaggio sono sul sito www.Imieiviaggi.135.It