Pellegrino a Re

RE E’ vero, la fede si apprende dai più semplici, ascoltando con il cuore: io l’ho imparata soprattutto dai miei nonni materni. I nonni erano soliti recarsi frequentemente al Santuario di Re e io con loro, quando potevo. Per me erano sempre delle belle gite, si saliva con il trenino o con il pullman, loro non avevano la macchina. Così, nel...
Scritto da: Nigel Mansell
pellegrino a re
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
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RE E’ vero, la fede si apprende dai più semplici, ascoltando con il cuore: io l’ho imparata soprattutto dai miei nonni materni. I nonni erano soliti recarsi frequentemente al Santuario di Re e io con loro, quando potevo. Per me erano sempre delle belle gite, si saliva con il trenino o con il pullman, loro non avevano la macchina. Così, nel corso degli anni, sono anch’io diventato un fedele della Madonna del Sangue.

Se ne era già parlato parecchie volte, ma questa volta era deciso: siamo d’accordo papà, passo a prenderti alle 7,00, arriviamo in macchina sino a Masera e poi da lì saliamo a piedi sino a Re. E’ una cosa che mi sentivo di fare da tempo: alla Madonna di Re mi sono sempre rivolto nei momenti più difficili e lì mi è capitato più volte di ritrovarmi per non perdere la mia fede, forse non molto ortodossa e rispettosa dei dettami di Santa Cattolica Apostolica, Romana Chiesa, ma comunque e nonostante tutto, ancora viva.

Alla 7,30 lasciamo la macchina alla stazione della Vigezzina di Masera e ci incamminiamo. Mio padre dichiara subito, è da quando ho memoria che glie lo sento dire, che durante la notte passata non ha chiuso occhio: forse è pretattica, nel caso non ce la facesse a fare tutta la strada che ci aspetta. Camminiamo da subito di buon passo. La Statale ora si inerpica nel punto più stretto della Valle Vigezzo, teatro di spaventose alluvioni e altrettante terribili frane, le peggiori quelle dell’ottantadue; ci inoltriamo poi nelle buie gallerie, create appunto per preservare il tracciato da tali imprevedibili eventi. La strada, se si esclude la ferrovia, è l’unica via d’accesso dalla Val d’Ossola a Locarno, utlizzata anche dagli svizzeri del Vallese come prolungamento del passo del Sempione per accedere più velocemente al Canton Ticino. I primi chilometri sono durissimi, ne dovremo percorrere circa diciotto. Si scala la ripida valle scavata dal Melezzo, che dopo aver solcato tutta la Valle Vigezzo va a buttarsi nel Toce.

Quando la strada declina per diventare meno ripida, mio padre come un prestigiatore estrae come conigli dal cilindro, panini, formaggi e salame dal suo zaino. Scavalchiamo il guard-rail e ci sediamo al lato della strada per consumare lo spuntino. Su in alto, alla nostra destra, sentiamo fischiare i freni dei vagoni blu e bianchi della Vigezzina, mentre attraversano i paurosi ponti sospesi sui frequenti corsi d’acqua, che tagliano la scoscesa costa. Il percorso della Vigezzina, da Domossola a Locarno, è una delle attrazioni della provincia di Verbania, soprattutto nel tratto della Centovalli in territorio elvetico, successivo a quello della Val Vigezzo, (lì appunto è chiamata Centovallina): gli orridi e i panorami che si ammirano lasciano senza fiato. Riprendiamo il cammino e nei pressi di Coimo ci fermiamo a prendere il caffè. Nel bar, non molto frequentato, facciamo la conoscenza di un gruppo di signore che camminano con il nostro stesso obbiettivo. Dicono che lo fanno ogni anno e non sono le uniche: è una pratica molto diffusa, soprattutto a fine aprile, in occasione della ricorrenza del miracolo. Più di cinquecento anni fa, nel 1494, un certo Zuccone, adirato perché perdeva al gioco, scagliò un sasso contro l’immagine della Madonna del latte, (appunto raffigurata intenta ad allattare Gesù bambino), ma poi fuggì pentito. La mattina presto del giorno dopo, un fedele toccando l’immagine dipinta sulla facciata della chiesa in atto di devozione, si accorse che sanguinava abbondantemente dalla fronte. In poco tempo accorse tutto il paese e le genti delle valli circostanti. L’effige della Madonna continuò a sanguinare per circa venti giorni, durante i quali il fatto fu certificato dalle autorità locali. Il sangue della Madonna venne raccolto in pannolini ancora conservati e mentre un misterioso profumo si propagava nell’aria, avvennero i primi miracoli.

Rinvigoriti dalla caffeina ripartiamo, ci aspetta un altro dei punti più impegnativi della strada, ma è l’ultimo: è il ripido viadotto costruito per raggiungere più velocemente Druogno, poi ci saranno solo tratti pianeggianti, alcuni pure in discesa. Ovunque la Valle Vigezzo, che è chiamata anche la valle dei pittori, parla del miracolo: sono molte le case che rappresentano l’effige della madonna e io per questo l’ho sempre identificata come un luogo mistico. Le donne incontrate al bar erano ripartite prima di noi, ma con il nostro passo che si è fatto sempre più sostenuto da quando abbiamo rotto il fiato, le abbiamo prima superate e poi seminate, tanto che girandomi ne ho perso la vista. Questo viaggio a piedi è anche un’occasione per stare di più con mio padre; da quando è andato in pensione la sua vita si è riempita di impegni che lui stesso si è creato, per sopravvivere forse alla noia (la spesa, la legna, ecc.), ma che da persona molto metodica qual è lui, si sono via via stratificati l’uno sull’altro, senza che lui riuscisse a eliminarne alcuno: cosicché le occasioni di trovarlo tranquillo sono diventate oramai inesistenti. Da sotto, vediamo il campanile e i tetti dei paesini lassù, in cima all’altopiano, ma sembrano non arrivare mai. Finalmente ce la facciamo, entriamo nella graziosa Druogno. La valle ora si fa più ampia e si apre davanti ai nostri occhi con uno scenario poco prima impensabile, fintanto che si era stretti dai ripidi fianchi del fondovalle. Sempre camminando di buon passo, raggiungiamo la ricca Santa Maria Maggiore, quasi una città. I vigezzini tornati ricchi dall’estero e più tardi i turisti, hanno costruito ovunque splendide abitazioni, trasformando il paesaggio. Un po’ su tutti i tetti, si notano i maestosi camini di cui gli abitanti della valle erano abili costruttori, tanto che furono chiamati anche da Luigi XIV per la sua grandiosa Versailles.

Arriviamo di slancio a Malesco, dopo la lunga e rettilinea discesa che lo collega a Santa Maria. A destra si gira per Finero e la Val Canobina, che alla fine dei tortuosi tornanti porterà a Cannobio sul Lago Maggiore; a sinistra, sorvegliata dal monumento allo spazzacamino, umile e diffuso mestiere del luogo, la strada per Re. Decidiamo di tirare diritto ed entrare a Malesco, per bere qualcosa e tirare il fiato; ma quando facciamo per ripartire i miei piedi non ne vogliono sapere, saranno forse state le leggere scarpe da ginnastica: avrei dovuto mettere gli scarponi come mio padre! Comunque bisogna farsi forza, mancheranno oramai poco più di quattro chilometri. Da lontano si scorgono oramai le cupole della nuova basilica in stile neobizantino, che idealmente richiama il Sacre Coeur di Parigi e quello delle alture di Barcellona. Mia nonna mi raccontava che anche loro contribuirono economicamente per realizzare quella basilica che sembrava non dovesse mai terminare e che ora si erge maestosa, in quello che forse era uno dei meno dotati dei paesi della valle. Il risultato che si può ammirare oggi è una stratificazione di chiese: subito venne costruito un altare nel 1494, davanti all’effige della Madonna ferita, sulla facciata della chiesa; poi intorno a quella che era la facciata della chiesa e che dopo divenne l’altare centrale, sorse una nuova chiesa; infine appunto nel 1958 fu la volta dell’inaugurazione della grandiosa costruzione dalle cupole rilucenti, che venne accostata alla vecchia chiesa; il campanile, curiosamente, è solitario nel centro della piazza del paese. Viaggiare camminando è un’esperienza nuova per me, con la lentezza del passo si apprezzano cose che normalmente non si notano, si ascolta il proprio respiro che a volte diventa affannoso, si impara a percepire il battito del cuore, si entra in contatto con la propria anima.

Incontriamo due signori anziani di Villadossola. Loro hanno lasciato la macchina a Santa Maria e percorrono il resto del tragitto pregando. Di fianco a noi gli stabilimenti dell’Acqua Vigezzo, poi un lungo rettilineo, parallelo alla ferrovia, ci separa dalla meta.

Finalmente, una leggera salitella e poi Re: è oramai l’una del pomeriggio. Felici accediamo al Santuario dall’entrata della vecchia chiesa. Subito, davanti a noi, gli occhi scuri e profondi della Madonna ci accolgono, hanno un taglio quasi orientale. La sua espressione è emblematica: un sorriso quasi da Gioconda. A volte lo interpreti appunto come un sorriso, a volte come un’espressione di rimprovero, dipende dal tuo stato d’animo e dalla tua coscienza: per me inizialmente quell’espressione è sempre inflessibile, ma lascia poi spazio a un sorriso quando me ne vado.

Mangiamo in uno di quei ristoranti che si trovano risalendo un poco la costa: cucina semplice, ci si andava già con i nonni. … poi, una volta pranzato e un poco riposato, prendiamo la Vigezzina e ridiscendiamo a Masera.



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