Pellegrinaggio a Caño Sibao
Nel 1993, visto che la giustizia colombiana si mostrava incapace di punire questi crimini, il caso della UP fu portato davanti alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (caso 11.227), come caso di genocidio politico ad opera dello Stato colombiano.
Il 3 giugno 1992 a Caño Sibao, zona rurale del municipio di Granada nel dipartimento del Meta, un gruppo paramilitare uccise 5 militanti dell’UP, del Partito Comunista Colombiano e integranti dell’Amministrazione municipale di El Castillo: María Mercedes Méndez de García, sindaco uscente; William Ocampo, sindaco entrante; Rosa Peña, tesoriera municipale; Ernesto Sarralde, coordinatore dell’Umata; Armando Sandoval, autista.
Cinque mesi dopo la morte di María Mercedes Méndez, il 26 novembre 1992, anche suo marito José Rodrigo García, diputato dell’UP, viene ucciso per opera dei paramilitari.
Questo massacro fa parte del genocidio politico contro l’Unione Patriótica: dei 3.000 omicidi commessi tra il 1985 e il 1996, il 30% furono commessi nei dipartimenti del Meta e del Guaviare.
Quindici anni dopo, delegati di organizzazioni sociali, ecclesiastiche e dei diritti umani e membri di organizzazioni internazionali di solidarietà sono andati in pellegrinaggio da Caño Sibao a El Castillo. L’obiettivo era ricostruire la memoria familiare e collettiva contro l’oblio e l’impunità.
LA PELLEGRINAZIONE Quando suona la sveglia è ancora presto e sta piovendo. Prendiamo un taxi che ci porta in una zona periferica di Bogotá, sulla strada che conduce a Villavicencio, la capitale del dipartimento del Meta, conosciuta anche come ‘la Puerta del Llano. Gli Llanos orientali sono una vasta pianura tropicale che si estende tra la Colombia ed il Venezuela e che fa parte del bacino del fiume Orinoco.
Quando arriviamo al luogo pattuito ci sono già gli autobus e molta gente. La partenza era prevista per le 4:30, però siamo in Colombia ed un’ora di ritardo è la norma. La carovana di 11 autobus attraversa la povera periferia sud di Bogotá, si inerpica fino al passo di Cáqueza per poi cominciare a scendere serpeggiando fra i contrafforti della Cordigliera Orientale, tra valli coperte di nebbia mattutina. La vegetazione tipica della Sabana de Bogotá lascia presto il posto ad una selva fitta e rigogliosa, umida e lussureggiante. La stagione delle piogge ha ingrossato paurosamente i fiumi che scendono limacciosi dalle montagne. Il calore comincia a farsi sentire, ed anche la maggior presenza di ossigeno nell’aria, molto più pura dell’aria della metropoli.
Il brusco cambio di altitudine, da 2.600 metri a 400, mi chiude le orecchie. Meglio così, almeno sopporto meglio la radio che spara a tutto volume cumbia e rancheras.
L’antica strada è stata recentemente ampliata, dotata di viadotti e di gallerie. Il viaggio dura relativamente poco: in due ore e mezza arriviamo a Villavicencio. Lungo il cammino si sono aggregati alla carovana decine di auto, tra cui la jeep delle Nazioni Unite.
A Villavicencio ci fermiamo giusto il tempo di compattare la carovana e per incorporare altri 4 autobus. Abbiamo mantenuto l’ora di ritardo della partenza. Per cui ci rimettiamo in movimento tra lo sconfinato llano, una meraviglia dopo tutte le curve e il forte dislivello del tragitto anteriore. Per me abituato alla pianura padana è un ambiente familiare, ovviamente con un notevole cambio di vegetazione: palme africane, cacao, manghi e banani interrompono que e là gli estesi pascoli per il bestiame, responsabili del taglio indiscriminato della foresta nativa.
Lungo la strada c’è una forte presenza di pattuglie dell’Esercito, mentre nei paesi c’è una forte presenza della Polizia. Gli uniformati si distinguono solo per il diverso tipo di mimetica: a chiazze l’Esercito, tutta verde la Polizia. Per il resto sono equipaggiati in assetto da battaglia, con fucili galil spianati.
Si susseguono piccoli paesini: Acacias, Guamal, San Martín. Questa zona del Meta è sotto l’influenza di alias ‘Cuchillo’. Finalmente, prima di entrare a Granada, prendiamo una carraia. Ci fermiamo poco dopo e scendiamo. Solo adesso ci rendiamo conto della quantità di gente accorsa alla pellegrinazione.
Ci troviamo a Caño Sibao, luogo del massacro. Ad un lato della stradina c’è un altare ed un muro dipinto. Qui si svolge l’eucarestia, officiata da una decina di sacerdoti. I loro paramenti tipici sono adornati da stole multicolori, ed i loro discorsi riprendono i temi della teologia della liberazione.
Comincia a fare caldo, chi non si è portato un ombrello deve trovare scampo sotto l’ombra degli alberi. La cerimonia continua con la benedizione del monumento: un muretto con il disegno di un albero, simbolo di speranza, sul quale tutti imprimono con pittura l’orma della propria mano.
Il programma prevedeva andare a piedi a El Castillo, attraversando il río Ariari. Purtroppo le recenti piogge rendono impraticabile il guado. Non ci resta che tornare sugli autobus e fare un lungo giro per poter passare sul ponte con un’unica corsia all’altezza di El Dorado. Attraversiamo Medellín del Ariari e finalmente arriviamo a El Castillo.
Gli organizzatori compiono l’opera titanica di dar da mangiare a circa 500 persone, in fila per strada davanti alla scuola del paese.
L’evento continua nella piazza principale del paese. Ci arriviamo prima dell’arrivo della marcia, che sfila tra le stradine del paese.
Notiamo un’apatia da parte della popolazione. La gente continua con i suoi ozi domenicali, senza prestare la minima attenzione all’evento, nemmeno al gruppo di danza e teatro con musica e saltimbanchi. Normalmente in un paesino così qualsiasi tipo di evento che rompe la sua monotonia attirerebbe per lo meno la curiosità della gente, almeno dei bambini. Niente, come se niente fosse. Nell’aria c’è troppa tensione, paura. Partecipare all’evento si trasformerebbe in complicità, manifesterebbe simpatie ‘izquierdistas’. No, meglio non immischiarsi, meglio farsi i fatti propri. L’evento comunque segue il suo programma, con la partecipazione dei forestieri.
Raggiunge il suo apice con il discorso di una delle 4 figlie di María Mercedes. Quando morì aveva 47 anni e lasciò una figlia di 12, una di 10, una di 9 e l’ultima di 7.
Quando morì anche il padre, l’associazione Benposta si incaricò di loro. E’ un’organizzazione spagnola, da 31 anni diretta dall’infaticabile José Luis.
Il tempo stringe. Finito l’evento torniamo agli autobus e riprendiamo la strada del ritorno.
UN PO’ DI STORIA Per il massacro di Caño Sibao il Tribunale Superiore di Villavicencio (capitale del Meta) ha confermato la condanna a 30 anni di prigione che un giudice aveva imposto a Manuel de Jesús Pirabán, alias ‘Pirata’. Da tre anni è in corso un processo di desmobilizzazione dei gruppi paramilitari. Pirata si è desmobilizzato al comando del Bloque Héroes del Llano e per questa ed altre sentenze pronunciate contro di lui, gli potranno dare solo un massimo di 8 anni di reclusione.
La cosiddetta Guerra del Llano inizió nel 1985, con gli attacchi dei fronti 26 e 40 del Bloque Oriental delle FARC alle popolazioni civili e lo sterminio ai danni dell’UP da parte dei paramilitari.
Nel 1997 inizió una seconda tappa, quando i battaglioni di paramilitari che Carlos Castaño e di Salvatore Mancuso (sic) portarono dalla regione dell’Urabá iniziarono a compiere massacri, come Mapiripán e Puerto Elvira, dove morirono 68 persone.
La Guerra sarebbe dovuta finire tra gli anni 2005 e 2006 col processo di desmobilizzazione dei paramilitari. Però Vicente Castaño e alias ‘Cuchillo’ hanno deciso riprendere le armi in uno scontro a fuoco per il controllo delle coltivazioni di coca.
Nei primi 5 mesi di quest’anno sono scomparse 18 persone nel Meta. La violenza è tale che nel 2006 nella capitale Villavicencio aumentò un 26% il sicariato; nei primi 5 mesi dell’anno aumentò un 100%.
L’ultimo episodio è del 26 maggio in una frazione del municipio di El Castillo: ll’omicidio di un contadino a mano dell’Esercito e fatto passare come membro della guerriglia morto in combattimento.
Ritroveranno la pace gli Llanos orientali?