Passaggio nell India del Sud
Il volo va bene. Chi teme per la compagnia aerea con cui viaggiamo (la Srilankan airlines) deve proprio ricredersi. E’ una compagnia solida, gli aerei sono molto belli ed ogni sedile ha un televisore personale con una lunga scelta tra film, canali radio, videogiochi. Leggendo il loro giornale di bordo scopriamo che hanno vinto vari premi. L’unico neo del viaggio sono le valigie rimaste a Zurigo per qualche giorno…
L’arrivo all’aeroporto di Tiruchirappalli (detta Trichy o Tiruchi dalla gente del luogo) è indimenticabile. Scesi dall’aereo un caldo soffocante ci invade, un po’ come a Milano ma in India anche il caldo sembra più sopportabile e tutto attorno è così diverso che i sensi sono incantati dal paesaggio e dalla gente e il caldo passa in secondo piano. All’aeroporto iniziamo a capire qualcosa della lentissima e laboriosa burocrazia indiana. Passare dal controllo passaporti al controllo dei bagagli al ritiro delle valigie che non c’è, con relativa denuncia è quasi un’impresa epica. Meno male che siamo in due e quello che non capisce uno capisce l’altro. Usciamo, solo con gli zaini (che per intuizione abbiamo riempito con qualche abito e con le cose più importanti) dopo due ore e mezzo dall’atterraggio. Inutile dire che Maura (la mia amica che lavora in India) e Stefano (il suo ragazzo arrivato in India una settimana prima di noi) sono impensieriti e stanno per affrontare la lenta e laboriosa burocrazia indiana per entrare in aeroporto e chiedere che fine abbiamo fatto. L’arrivo è filmato da Stefano che ha la videocamera. Carichiamo gli zaini in jeep e ci portano a mangiare. Prima baracchina con il tradizionale thali (piatto a base di riso e varie salsine piccantissime servito su una foglia di banana e mangiato con le mani) dell’India del sud. Poi passiamo al cambio dove per cento euro ci danno 4.900 rupie. Abbiamo i portafogli gonfi, mai avuti tanti soldi in vita mia :-). Viaggio in jeep verso Tiruvarur, villaggio e distretto dove lavora Maura. Paesaggio molto simile a quello africano: terra rossa, palme, vegetazione fitta, gente che cammina in strada. Però ci sono molti più mezzi di trasporto, più strade, più biciclette, più gente. Le donne col sari sono poi uno spettacolo che ogni volta mi incanto ad osservare.
La prima settimana di soggiorno indiano accompagniamo Maura nel giro nei villaggi dove l’ONG per cui lavora svolge le proprie attività. E’ molto interessante e conosciamo molta gente, molti bambini che sono entusiasti all’idea di stringerci la mano, molte donne che ci chiedono aiuto per mangiare, molti ragazzi che vedendoci ridono perché gli dobbiamo proprio sembrare strani. I collaboratori di Maura in uno di questi giri ci portano in un parco nazionale a vedere gli animali; a vedere un vecchio forte danese; al mare a compare i gamberi appena pescati. Mai mangiati gamberi più buoni. Maura ci spiega che gli indiani del sud vanno raramente in giro a vedere qualcosa del loro paese e la nostra presenza è una buona scusa per organizzare gite. Assaggiamo anche la mitica colazione di Pongodai (la cuoca/segretaria di Maura): un miscuglio di dolce, salato e piccante difficile da dimenticare.
Sabato recuperiamo le valigie, tre ore di strada da Tiruvarur a Trichy. Dal nostro ingresso in aeroporto alla nostra uscita con le valigie passa un’ora. Non mi dilungo a spiegare tutti i giri, le carte, i moduli che dobbiamo compilare, anzi che deve compilare Roberto, perché io in quanto donna non vengo neppure tenuta in considerazione, nonostante le valigie siano registrare a mio nome. La notte del sabato io e Roberto partiamo per un piccolo giretto di 4/5 giorni verso il nord del Tamil Nadu. Vogliamo vedere Kancheepuram, Mamallapuram e Pondicherry. Partiamo in treno da Tiruvarur e devo dire che le ferrovie indiane, ritardi a parte, sono molto efficiente. Su tutte le stazioni campeggiano cartelli con la scritta WE CARE e davvero i dipendenti delle ferrovie aiutano i viaggiatori. La cosa più complessa è prenotare il posto perché il numero delle classi è infinito. Se si viaggia di giorno si può viaggiare anche nelle carrozze normali ma per i viaggi notturni (incredibilmente ci sono moltissimi treni di notte) è preferibile la sleeper class se non si hanno molte esigente e ci si accontenta di tavole di legno per letto, o la seconda classe A/C, molto simile alle cuccette dei treni italiani. La soluzione migliore per andare a Kancheepuram e a Mamalappuram è quella di arrivare a Chengalpattu, città con una stazione ferroviaria importante, e da li prendere autobus per l’una o l’altra località. Noi andiamo da Chengalpattu a Kancheepuram, la città dei tessitori di seta. Ci sono dei templi molto belli ma purtroppo non si possono visitare in pace perché ovunque ci sono procacciatori di affari, ossia uomini che ti propongono negozi in cui comprare la seta. Persino i conducenti di risciò ti portano non dove vuoi tu ma da un venditore di seta di fiducia. Resistiamo un giorno in questa città caotica ma le sete e le stoffe di Kancheepuram sono davvero uno splendore. Il posto merita una visita…Ma armatevi di pazienza e preparatevi a dire molto spesso “no thank you”.
Ci spostiamo a Mamallapuram per vedere il famoso Shore temple sulla spiaggia. Restiamo delusi dal tempio perché così bello non ci sembra, meglio il tempio Five Rathas intermente scolpito a mano dai sapienti scultori si Mamallapuram. Ci sono molte botteghe di scalpellini e una marea di statuine interamente fatte a mano da comprare a prezzi accessibili dopo aver contrattato.
Il nostro viaggio prosegue verso Pondicherry, la città francese dell’India. Ci arriviamo in autobus.. A Pondy ci concediamo un albergo un po’ lussuoso, il “Jayaram”, decisamente il migliore tra tutti quelli visitati. Andiamo poi al “Rendezvous”, un ristorante francese un po’ elegante con terrazza: è dura mangiare indiano sempre, anche se io qui ordino un pesce (non so cosa perché tutto il pesce si chiama indistintamente “fish”) cotto nello yogurt tipicamente indiano ma molto buono e piccante. Tutto per l’elevata cifra di 550 rupie indiane, circa 10 euro. Devo ammettere che mangiare indiano è difficile e che spesso privilegiamo i ristoranti un po’ più costosi delle baracchine dove cucinano il thali, ma sfido chiunque a resistere tre settimane mangiando riso e salsine piccanti.
Torniamo a Tiruvarur da Pondicherry dopo un viaggio di 6 ore in autobus. Gli autobus sono uno spettacolo, senza finestrini, senza porte, aperti e pieni di persone e un po’ malandati ma funzionano e se ti dicono che arrivano alle sette arrivano alle sette L’autobus è il mio mezzo di trasporto preferito. Si gode di una vista senza precedenti, si osserva una quantità di persone enorme e alle fermate nei bus stand c’è una vivacità che non ho mai visto altrove. Tutti ti vogliono vendere di tutto e non devi preoccuparti di affrontare un lungo viaggio senza cibo o acqua, qualcuno che ti vende viveri prima o poi salirà.
Rimaniamo alcuni giorni a Tiruvarur e accompagniamo Maura in giro nei villaggetti a fare dei colloqui per scegliere i ragazzi e le ragazze che parteciperanno ai prossimi corsi di formazione professionale (tailoring, carpenter, electrician, computer, e tessitura di stuoie) organizzati dall’ONG indiana che collabora con lei. Interessante, i villaggi sanno del nostro arrivo e sono tutti pronti ad accoglierci, le sedie e i tavoli sistemati sotto un grande albero oppure in una stanzetta incensata, una bibita pronta per noi (non sempre eccellente ma sempre iperdolce), gli sguardi curiosi dei ragazzi, i bambini che si affollano solo per vederci e le donne che ci guardano con simpatia e ilarità. Noi sembriamo strane con la pelle chiara, senza saree, con i pantaloni di lino e i capelli sciolti…
Maura e Chiara (la ragazza che si occupa del microcredito e che aiuta Maura in India) decidono di prendersi una settimana di ferie per stare con noi e andare a fare un giro al sud del Tamil Nadu e una puntata in Kerala (altra regione dell’estremo sud dell’India). Così partiamo assieme a loro alla volta di Rameswaram, villaggio sul mare e meta di pellegrinaggio indu. E’ detta la Varanasi del sud. Le acque del mare che bagna Rameswaram sono considerate sacre e la gente si bagna completamente vestita. Questo villaggio è costruito sul braccio di terra che si allunga verso lo Sri Lanka. E’ un luogo incantevole. Immagini e parole non rendono giustizia alla magia di questo posto. Una visita all’Adam’s Bridge è fortemente consigliata, a tratti sembra di essere nel deserto.
Dopo facciamo tappa a Madurai sede di uno dei templi indi più grandi dell’India. Di notte è uno spettacolo vedere il tempio illuminato, si vede da ogni parte della città. Visitiamo il tempio al mattino ma c’è molta confusione. Siamo capitati durante la festa di Ganesh (figlio di Parvati e Shiva, dio con la testa di elefante e il corpo d’uomo, molto caro ai Tamil), il tempio è pieno di gente. Vediamo due matrimoni celebrati al tempio, giriamo attorno ai colonnati che circondano l’edificio centrale (luogo non visitabile dai non induisti), fotografiamo i quattro gopuram (torri dei templi indiani) e poi usciamo abbastanza in fretta perché la confusione è troppa. Madurai è una grande città e il traffico di tutti i mezzi è enorme. Ci blocchiamo a piedi per un ingorgo, ripeto a piedi, mentre andiamo a messa. Dopo Madurai, andiamo in taxi (contrattando i taxi ti portano dovunque a buon prezzo) a Kannyakumari, punta estrema dell’India dove si incontrano le acque dell’Oceano Indiano, del golfo del Bengala e del mare arabico e dove il sole sorge e tramonta sul mare. Anche questo villaggio è un luogo sacro ma è anche turistico e ci sono molti alberghi e ristoranti. Ci vive anche un italiano che ha un negozio di antiquariato locale. L’italiano è di veneto e viene in Italia solo in treno.
Il giorno dopo lasciamo il Tamil Nadu per il Kerala, regione confinante. Stavolta andiamo in autobus ed è un viaggio bellissimo. Certo l’autista è spericolatissimo e l’autobus è un catorcio ma il paesaggio è un incanto. Il Kerala è molto verde e leggermente collinare e dopo le pianure del Tamil Nadu vedere un po’ di movimento è piacevole. Certo il Tamil Nadu è pianeggiante ma niente a che vedere con la monotonia della pianura padana J La città del Kerala dove arriviamo con l’idea di visitare è Thiruvananthapuram (Trivandrum è il nome anglofono più semplice) caotica come poche. Napoli all’ora di punta al confronto è una pazziella. Ovviamente capitiamo anche qui durante la festa di Ganesh che è in concomitanza con la festa di Onam in cui la città diventa un mercato intero e vedere sfilare i camioncini con tanti Ganesh in cartapesta ci ricordano le nostre processioni di paese. Ma questa è molto molto più movimentata. Il giorno dopo aver visto Trivandrum decidiamo di andare altrove perché nel casino non riusciamo più a stare. L’italiano di Kannyakumari ci aveva consigliato un’escursione alla backwaters del Kerala, seguiamo il suo consiglio a andiamo a Kollam da dove partono i battelli per questa escursione. Le backwaters sono le acque interne del Kerala, lagune a contatto con il mare, tipo Venezia ma selvagge e molto più grandi. Tutte palme e risaie. A volte mi sembra di essere dentro un documentario. Il battello avanzava lentamente (per fare 87 km ci impiega 8 ore) fra le acque circondate da palme, spiaggia, mangrovie e villaggi da cui i bambini vengono a salutarci. Incrociamo vari pescatori, altre barche che fanno il giro inverso…Dopo la confusione che regna in India non ci sembra vero rimanere in ozio 8 ore e, soprattutto in silenzio. Il giro prevede anche sosta per il pranzo e per il thè . Il giro finisce alle 18.30 precise, ci godiamo il tramonto in laguna e dopo riprendiamo l’autobus per Trivandrum perché abbiamo un ‘altra notte in albergo pagata e il treno per Trichy alle 4 del mattino. Il viaggio in bus da Alapuzza a Trivandrum è memorabile. Km 130, durata 3 ore, posti nessuno. Poi piano piano ci sediamo tutti e cinque ma è stata dura conquistare un posto a sedere. Arriviamo a Trivandrum in tarda serata, facciamo in tempo a cenare in un ristorante aperto fino alle 23, l’Amma, nelle vicinanze della stazione degli autobus, a dormire un paio d’ore e già dobbiamo ripartire. Dalle 4 del mattino in treno fino alle 14.30 del pomeriggio, in terza classe A/C (aria condizionata). Dormiamo si e no 4 ore perché il flusso di gente che passa è continuo. Alle 8 ci alziamo tutti e approfittiamo di chi passa col caffè, col thè, con la colazione, con lo spuntino delle 11, con il pranzo. ..Il servizio catering delle ferrovie indiane è a dir poco eccellente. Quello italiano impallidisce a confronto.
Arrivati a Trichy il nostro viaggio non è finito: dobbiamo andare a Tiruvarur, altre 3 ore e mezza di autobus che passano tra le domande della gente, la curiosità, le soste, il rischio di incidenti (questo autista è a dir poco spericolato).
Il giorno successivo io e Roberto ci concediamo una visita a Tanjavur, villaggio a 55 Km da Tiruvarur e sede di uno dei templi più belli di tutta l’India. Davvero una meraviglia di tempio, stranamente silenzioso e suggestivo, circondato dal prato e non affollato di fedeli. A Tanjavur compriamo le ultime cose in un negozio molto carino che si chiama Chola Art Gallery accanto agli antichi e labirintici palazzi di Tanjavur, incontriamo una coppia di italiani in viaggio di nozze che si è fatta incastrare da una guida locale, cambiamo i soldi alla State Bank of India. Questa è un esperienza di vita: la burocrazia indiana qui ha raggiunto il massimo livello di perfezione. Così tra viaggi in autobus, visite ai villaggi, osservazione del lavoro di una ONG è giunto il momento di preparare le valigie e di partire. Abbiamo il volo da Trichy alle 10.15 del 7 settembre. Tiruvarur e Trichy sono lontane per cui andiamo a Trichy sabato 6 e prenotiamo un albergo nelle vicinanze dell’aeroporto. Trichy è grande e caotica ma ha un bellissimo tempio su una rocca, il Fort Rock temple, e per raggiungerlo bisogna fare 487 gradini a piedi…Scalzi, in tutti i templi indù si entra a piedi scalzi. La vista che si gode da lì è splendida. Andiamo anche a messa, nella chiesa della Madonna di Lourdes, un edificio in stile neogotico che non centra nulla con tutto ciò che la circonda. Gli architetti indiani rimangono per me un mistero. In giro si vedono di quei palazzi che sembrano torte di marzapane.
La mattina del 7 settembre ci accoglie con il sole. Dobbiamo per forza andare in taxi all’aeroporto, abbiamo troppe valigie. Roberto deve andare a ritirare dei soldi alla Sri Lankan perché devono rimborsarci il taxi dei 15 giorni prima quando siamo andati a ritirare le valigie. Propongo di far entrare prima lui e poi noi entriamo dopo. So che in questi aeroporti una volta entrati non si può uscire. I due miei compagni di viaggio (Stefano, il fidanzato di Maura torna con noi) non mi danno retta, così entriamo tutti e tre. Loro sono convinti di poter uscire e così non salutiamo nessuno, tanto poi usciamo. Invece non usciamo, fanno uscire a mala pena Stefano che ha lasciato lo zaino a Maura. Ci imbarchiamo, unici bianchi in volo, e arriviamo a Colombo dove ci aspettano 14 ore di attesa prima del volo intercontinentale. Fortunatamente la compagnia aerea provvede a farci accompagnare in taxi in un albergo sulla spiaggia dove ci verrà pagato pranzo, cena e thè delle cinque. Il posto è splendido, già all’andata avevo avuto modo di apprezzarlo ma durante queste 14 ore mi conquista ancora di più. Pranziamo e poi facciamo una passeggiata sull’oceano, dopo che i ragazzi hanno deciso che devono fare una partita a tennis. Sono appassionati di questo sport e dopo aver visto gli open d’America non possono resistere alla tentazione. Io devo accompagnarli e riprenderli con la videocamera. Dopo un po’ però la noia ha il sopravvento, non posso perdere un’ora a guardare due che giocano a tennis in un posto così bello. Così li mollo e vado a fare un giretto in paese. Tra le altre cose devo comprare anche un paio di sandali perché il mare si è mangiato i miei. Il paese (Negombo) è molto carino, turistico e in 500 metri mi hanno fermato almeno 5 persone. Chi ti chiede come stai, chi ti chiede da dove vieni, chi come ti chiami, chi ti vuole vendere manufatti. Non so resistere agli oggetti fatti a mano e compro un paio di sandali di cuoio da due cingalesi un po’ hippy che vogliono offrirmi una birra e rimangono sorpresi quando rifiuto e dico che non gli alcolici non mi piacciono tanto. Sia gli indiani che i cingalesi hanno una visione degli occidentali come di persone che bevono alcolici, fumano maryuana, sono pieni di soldi…Fanno fatica a credere che non vuoi comprare fumo, che sei religiosa e che non ami particolarmente l’alcool. Continuerei la passeggiata ma è ora di tornare, l’ora di tennis sta finendo e ho io i soldi per pagare il campo e non nascondo che tutta la gente che mi ferma (ovviamente uomini) mi impensierisce un po’ per cui preciso sempre che ho due amici che mi stanno aspettando. La condizione della donna non è delle migliori in questi paesi.
Dopo il tennis ci possiamo fare il bagno nell’oceano, un po’ pericoloso perché le correnti sono molto forti. Ci godiamo il tramonto anche qua intrattenendoci con una serie di venditori in spiaggia. Con loro facciamo il teatrino, tutti ridono, persino la guardia che è incaricata di sorvegliare il complesso alberghiero. Noi non abbiamo più soldi ne spazio negli zaini e questi venditori non lo vogliono capire, ci propongono alcune cose assurde: uno addirittura è disposto a darci la merce e poi aspetta un bonifico in banca…Siamo senza parole. Ma noi teniamo duro: i venditori cingalesi contro tre campani non hanno speranze J Gli suggeriamo di vendere ai tedeschi: loro sì che hanno i soldi. Dopo circa un’oretta di spettacolo si rassegnano e vanno a cercare altri acquirenti. Intanto il sole tramonta e la spiaggia si popola di cingalesi che si rincorrono, giocano a cricket, passeggiano in spiaggia. E’ ora di cena: non so se ricordate un telefilm che si intitola “Fantasilandia”…L’atmosfera a cena è molto simile a questo telefilm che è ambientato in un villaggio hawaiano dove si realizzano tutti i desideri. Il buffet molto bello e ricco e il banco dei dolci hanno avuto molto successo. Tutto molto bello ma anche un po’ lussuoso…Troppo e noi non ci sentiamo proprio a nostro agio. Infatti Stefano dice che noi abbiamo l’aria di quelli capitati la per caso…In un certo senso è vero J Il tempo passa e l’ora in cui ci verrà a prendere il taxi si avvicina ma prima io e Roberto ci concediamo una passeggiata sulla spiaggia. Stefano si è fatto male alla gamba giocando a tennis e preferisce non accompagnarci. Io sarei andata anche da sola, quando mi capita più di poter passeggiare in spiaggia, sull’oceano indiano con la luna quasi piena? Fortunatamente Roberto è un patito del mare e mi accompagna e ci scambiamo le primissime impressioni sul viaggio appena fatto. Stavolta però i sandali non li perdo J Il taxi arriva e ci porta a Colombo in aeroporto. Ennesima procedura lunga per le carte di imbarco, il controllo passaporti, il controllo del bagaglio a mano…Il volo è in orario e sarà dura passare la notte in aereo. E’ bello, tecnologico ma scomodo e non dormiamo molto bene. Arrivare a Zurigo è un trauma, fa freddo e noi siamo vestiti troppo leggeri: io ho un leggerissimo abito indiano e sandali e Roberto e Stefano sono in pantaloncini. Speriamo che a Milano non sia così ma ci sbagliamo. Stefano va a Roma dove fa più caldo, beato lui.
Siamo a Milano, il viaggio è finito, sono arrivate anche le valigie stavolta, decisamente non siamo più in India. Siamo stanchi e un po’ dispiaciuti di aver lasciato un paese pieno sì di contraddizioni ma incantevole e affascinante dove molte cose che qui sono difficili sono semplici e immediate e viceversa. Potrei continuare a scrivere emozioni e sensazioni ma non credo che riuscirei a esprimente tutto quello che ho vissuto solo con le parole. Le fotografie forse aiuteranno a spiegare molte cose ma forse no e per quanto mi sforzi il mix di odori, colori, rumori, immagini e musica che ho sentito sarà difficile da ricreare qui. Solo andandoci ci si rende conto della varietà e vastità del sub continente indiano…