Passaggio in India
India – l’arrivo a Delhi
Quindici ore di volo per arrivare a Delhi. Volo diretto ovviamente, perché volevo evitare scali in improponibili parti del mondo. Appena uscita dall’Indira Ghandi International Airport, ho un sorriso un po’ ebete stampato sulla faccia. Mi rendo subito conto di essere in India. C’è un inconfondibile profumo di spezie nell’aria, anche se non saprei definire esattamente quali. Ma sono in India, questo è certo. Il sorriso si allarga quando vedo i taxi passare, macchine d’altri tempi che quasi mi sembra di essere negli anni cinquanta. Aspetto Vikram, che è ovviamente in ritardo. Mi chiama per dirmi di essere bloccato in mezzo al traffico. Una delle sue solite scuse penso io, sino a quando poi, dopo avere sperimentato di persona, mi rendo conto che è una scusa più che plausibile. Ci dirigiamo verso casa e già comincio a riempirmi gli occhi delle cose che mi circondano. Una tristezza infinita si impossessa del mio cuore nel vedere capanne di stracci e pietre lungo le strade e mi rendo conto che quelle sono abitazioni. Vikram e Bhawna mi dicono che questo è il paese degli estremi: il quinto paese al mondo per il numero di miliardari e un’estrema povertà dall’altra. Case lussuosissime e capanne. Macchinoni elegantissimi e Api Piaggio verdi e gialle mascherate da taxi, dove ho visto viaggiare anche otto o dieci persone alla volta, ammassati l’uno sull’altro, autista incluso. Gli autisti indiani sono convinti che il clacson sia un’estensione naturale del proprio corpo, e in quanto tale, deve essere utilizzato più spesso possibile per evitare che si atrofizzi: lo si usa per segnalare un sorpasso, lo si usa per fare spostare gli automobilisti, i ciclisti, i rickshaw, i centauri (alle volte anche tre o quattro persone sulla stessa moto – inclusi bambini!), i carretti, sia trainati da animali che da essere umani, le vacche, i maiali e chi più ne ha più ne metta. E’ la mia prima volta che viaggio in una macchina con la guida a destra e vedere gli altri veicoli venirmi incontro dalla parte sbagliata non è una bella sensazione. Se poi si prende in considerazione che le linee di mezzeria sono un optional qui, come sono optional gli stops e quasi tutta la segnaletica e le regole stradali, allora vi lascio immaginare la sensazione di terrore che mi attanaglia lo stomaco Ma finalmente si arriva a casa. Vivi. Sistemo la mia roba, una doccia veloce e mi preparo per la prima serata in giro per Delhi.
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Primi passi in Delhi
Bhawna e Vikram gestiscono un bed and breakfast, Tej Abode nella zona sud di Delhi, in un quartiere, o “colonia” come vengono definite le varie zone della città, che si chiama Greater Kailash II. GKII è una zona di recente costruzione, sviluppatasi intorno agli anni 60, nelle prossimità di uno dei mercati cittadini più famosi ed è considerata una delle zone più benestanti. Il “mercato” non è esattamente ciò che mi aspettavo: nella mia mente mi ero fatta un’idea di bancarelle in uno spazio all’aperto dove si vende un po’ di tutto, come quello che in paese da me veniva fatto tutti I sabati o il mercato dei contadini a Union Square a New York. Qui invece è semplicemente una zona ricca di attività commerciali di tutti i tipi. Quello di GKII è rinomato per i ristoranti e i centri di benessere, dove con circa 2000 rupie, più o meno 37 dollari, ti puoi permettere un’ora di deep tissue massage o qualsiasi tipo di massaggio tu voglia avere.
Check! Fatto ovviamente! Non potevo certo perdere un’occasione del genere. Per quanto riguarda i ristoranti invece, sono state rare le volte in cui abbiamo mangiato fuori, dato che lo staff del Tej Abode è in grado di preparare delle pietanze deliziose, e per me che sono amante della cucina Indiana, non poteva andare meglio di cosi. Le carni, i vegetali, il pane, i dolci: non mi sono fatta mancare assolutamente nulla e nonostante tutte le avvertenze sul cibo e l’acqua e l’aria (non bere, non mangiare, non respirare) non ho mai sofferto di nessun disturbo, con grande sorpresa di tutti, tanto che da essere soprannominata “stomaco d’acciaio”. La sera del mio arrivo, andiamo al “Sacred Shrine of Hazrat Khwaja Syed Nizamuddin Aulia Mehboob-E-Elahi” (l’ho copiato, non l’ho imparato a memoria!), una delle moschee più antiche in India, dato che, essendo giovedì, i musulmani si preparano a festeggiare il venerdì, gioco sacro nella loro religione. Lasciamo le scarpe in custodia all’ingresso prima di avventurarci nei cunicoli che portano alla piazza della moschea, capo coperto con uno scialle e siamo pronti a questa nuova esperienza. Arrivati a destinazione, dove dei musicanti intonano degli inni sacri (credo!), ci viene incontro un gentiluomo dall’aria importante che saluta calorosamente Vikram e Bhawna. Importante lo è di sicuro perché’ a un suo comando, alcune persone si spostano dal centro della piazza per farci accomodare e poter seguire meglio i festeggiamenti. Vengo cosi a sapere che la mamma di Vik usava frequentare questo luogo di culto abbastanza spesso, pur non essendo musulmana. Mi sorprende infatti la presenza di parecchie persone praticanti di altre religioni e i miei amici mi spiegano che è normale che la gente si ritrovi a pregare in un luogo sacro, che pur sacro è anche quando si è devoti a un’altra religione. Sorprendente penso e decisamente un modo di pensare molto più avanzato di quanto mi aspettassi. Alla fine dei canti, il Sufi Priest, lo stesso gentiluomo che ci ha accolti all’ingresso, ci offre del the, mi spiega l’importanza della moschea e sorprendentemente ci permette di entrare, entro certi limiti, a vedere l’interno della stessa. I colori che mi circondano, sia della struttura sia dei vestiti della gente, soprattutto le donne nei loro sari sgargianti, sono uno spettacolo per gli occhi. Rimpiango cosi la scuola di fotografia che non ho mai fatto e mi arrangio come posso a cercare di immortalare più cose possibili con la mia Nikon. All’uscita della moschea, i venditori dalle bancarelle di cibo cercano di attirare la nostra attenzione. Intanto, mi ritrovo circondata da mendicanti che chiedono l’elemosina: per lo più donne con neonati appesi al collo e bambini vestiti di stracci. Mi ricordo delle avvertenze dei miei amici indiani a New York: “non lasciarti intenerire perché’ se dai soldi a uno, te ne ritrovi cento che ti vengono dietro”. Stringo i pugni e vado avanti. E’ dura fare finta di nulla ma non ho scelta. Ci fermiamo a comprare qualcosa da mangiare più tardi a casa. Diciamo che l’ufficio dell’igiene avrebbe tanto da lavorare qui, ma chissenefrega, è un’esperienza anche questa. Scatto qualche foto, facendo l’indifferente perché non vorrei irritare qualcuno. Non sono ovviamente un giocatore di poker dato che passato qualche minuto, mi arrivano delle richieste. Mi fai una foto? Ne fai una anche a me? Ma pensa te! Ed io che mi mettevo tanti problemi. Via di nuovo verso casa. Ho perso la cognizione del tempo, non so più che ore sono a questo punto. Il mio orologio è ancora sull’orario di New York e qui sono dieci ore e mezza di differenza. Quella mezz’ora è ciò che mi incasina i calcoli. Ma sono in vacanza, qualsiasi ora sia va sempre bene, la temperatura è piacevole ed io non posso davvero chiedere niente di meglio in questo momento.
Old Delhi
Al mio risveglio dopo la prima notte trascorsa a Delhi mi sento rigenerata. Ovviamente la mia preoccupazione era di riuscire ad addormentarmi abbastanza presto, data la differenza del fuso orario con New York ed evitare di svegliarmi poi nel tardo pomeriggio, perdendo cosi delle ore preziose che avrei potuto spendere visitando la città. Probabilmente la stanchezza del lungo viaggio mi ha aiutato a riposare meglio, per cui mi sento pronta a conquistare il mondo. E’ una giornata calma, non abbiamo nessun programma in particolare se non quello di uscire più tardi e goderci il concerto Jazz Festival al Nehru Park (un po’ quello che potrebbe essere il nostro Central Park). L’eccitazione è piuttosto per il giorno successivo: visita al Red Fort con giro turistico per il centro di Old Delhi, la città vecchia.
Il Red Fort, Lal Qil’ah, fu fatto costruire nel diciassettesimo secolo dall’imperatore Shah Jahan, lo stesso che commissionò la costruzione del Taj Mahal, quando decise di trasferire la capitale del suo regno da Agra a Delhi. La visita al forte è interessante, il perimetro della proprietà enorme, le costruzioni all’interno interessanti, ma non posso dire che due ore di visita sono più che sufficienti, per una profana come me. Ciò che più mi attira dell’India non sono i monumenti ma la sua gente, i visi delle persone, la dinamica della via quotidiana. Non vedo l’ora di poter girare per le strade della città vecchia, probabilmente perché’ ancora non ho la più pallida idea di quello a cui sto andando incontro. Noleggiamo un rickshaw con tanto di guida turistica, per un totale di 200 rupie all’ora a sentire Vikram, per un totale di 200 rupie per l’intera giornata a sentire Bhawna. Io purtroppo l’Hindi non l’ho ancora imparato per cui, pur essendo presente alle contrattazioni, non ho la più pallida idea di cosa si stia dicendo. Il prezzo è comunque talmente irrisorio che non fa alcuna differenza. Posso dire, senza paura di essere smentita, che questo è il posto con la disorganizzazione più organizzata che io abbia mai visto in vita mia. Prego soltanto di riuscire a uscirne via. I veicoli viaggiano a una distanza massima di circa due cm, se si è fortunati, l’uno dall’altro. Non esistono precedenze, segnali di stop, sensi di marcia. Sono circondata da migliaia di richshaw usati non soltanto dai turisti ma anche dalla gente locale, macchine, moto, motorini, biciclette, carretti. Arrivano da tutte le parti: destra, sinistra, davanti e dietro. Ti sorpassano, ti tagliano la strada, ti arrivano di fronte all’improvviso e giuro che se potessero volare, ne avrei avuto uno sciame ronzarmi sulla testa! Rido come una matta, ogni dieci secondi mi salta il cuore in gola mentre il nostro ‘autista’ fa lo slalom tra questa confusione impressionante che mi fa girare la testa come se fossi ubriaca, e penso alla gente che conosco. Forse qualche amico italiano qui si divertirebbe, qualche amico italiano un po’ meno, ma se penso ai miei amici americani, sono convinta che non potrebbero mai affrontare una situazione del genere. No, sicuramente non è pane per i loro denti e ne uscirebbero con i capelli bianchi. La nostra guida ci fa girare tra parecchie strade: il quartiere degli antiquari e dei venditori di rame, il quartiere delle scarpe, il quartiere delle spose (business non indifferente quello dei matrimoni da queste parti) dove un’infinita di negozi, che variano in grandezza dal bugigattolo di due metri per due allo show room più ampio, vendono tutto ciò che è necessario, ma anche superfluo, per quello che dovrebbe essere uno dei giorni più importanti della via. Sari, nastri, festoni, merletti, gioielli. E’ un’esplosione di colori e luccichii in queste strade strettissime e super affollate, talmente strette che, mentre cerchiamo di evitare la collisione con un altro richshaw che ci viene incontro, ci portiamo via, agganciato al tettuccio della bici, un bellissimo sari rosso fuoco, col proprietario che ci corre dietro urlando qualcosa che non mi sembrano esattamente dei complimenti. Ma torniamo al discorso che non capisco l’Hindi, quindi potrei anche sbagliarmi….ma ne dubito. La parte più bella è però per me il mercato delle spezie. C’è la venditrice di petali e di collane fatte di fiori freschi e ci sono i vari negozi con i barili pieni di prodotti profumatissimi e saporitissimi. Le polveri delle spezie nell’aria mi provocano un prurito al naso e una serie interminata di starnuti mentre, parcheggiato il richshaw per una sgranchita alle gambe, la guida ci porta sui tetti dei palazzi che si affacciano sul mercato e dai quali si può osservare tutta la frenesia del mercato sottostante e il sole tramontare su questo mio nuovo giorno in India. L’unica cosa che non riesco a vedere sono le vacche in giro per la città, con tanto di disappunto. Ma non era risaputo che camminano in mezzo alle strade cittadine senza nessun problema? A questo punto mi viene in mente una canzone country e per parafrasarla mi chiedo “where have all the cows gone??” Secondo me neppure loro riescono più a digerire tutto questo casino. Rientriamo a casa stanchi morti, ma lungo la via del rientro, dopo avere vissuto il caos della città vecchia’, nonostante il traffico intenso e il rumore dei clacson, che ovviamente non smettono di suonare, tutto quanto intorno a noi sembra essere del tutto rilassante. La città degli estremi, è proprio vero.
Haus Khas, che sorpresa!
E’ una giornata un po’ pigra.
Anche spostarsi da una parte all’altra di Delhi significa trascorrere delle ore in macchina a seconda dell’ora in cui si esce. Il traffico in questa città è qualcosa di disumano e ora capisco perché la maggior parte dei tassisti a New York arriva da quelle parti. Per loro guidare qui è proprio una passeggiata nel parco. Bhawna propone una visita a Hauz Khas, un quartiere non troppo lontano da casa e un giro al mercato rionale, sempre tenendo in mente che per mercato s’intende una serie di diverse attività, dai negozi ai ristoranti, dal salone di bellezza al tabaccaio che vende le sigarette dal suo carretto ai bordi della strada. Trovare parcheggio da queste parti è un’impresa e finalmente dopo mezz’ora di attesa riusciamo a trovare un posto in cui infilare la macchina. La città di Delhi negli ultimi anni sta riscoprendo le sue bellezze antiche e con grande sorpresa della mia amica, che pure ci vive, una volta arrivati a Hauz Khas ci ritroviamo immerse nel verde di un parco bellissimo e circondate da costruzioni risalenti al tredicesimo secolo. Sembra che sino a qualche anno fa questo sito fosse completamente abbandonato e lasciato andare in rovina e solo ultimamente sia stato restaurato e riaperto al pubblico. La struttura comprende tra l’altro la tomba di Feroz Shah Tughlaq, sultano della città dal 1351 al 1388, una moschea e alcuni padiglioni che venivano utilizzati per l’istruzione islamica. Il complesso si affaccia su un lago artificiale di piccole dimensioni da cui deriva il nome di Hauz Khas, ossia ‘serbatoio reale’. Intorno al complesso, i tetti delle case moderne fanno da cornice a questa nostra inaspettata scoperta. Non abbiamo molto tempo purtroppo per visitare tutto per cui facciamo un giro veloce tra i negozi. Diversamente da Old Delhi, qui è tutto molto più tranquillo…e pulito. Decidiamo di andare a mangiare un boccone in un ristorante che avevamo notato al nostro arrivo. Si trova all’ultimo piano di una palazzina al centro del mercato e ci ha colpito che abbia una terrazza all’aperto. Ci sono trenta gradi in questi giorni per cui l’idea è allettante. Il locale si chiama “IMPERFECTO” ed è uno dei posti più carini che io abbia mai visto: dislocato su tre livelli, con sedie e tavoli scombinati, tutti verniciati con diversi colori brillanti e persino un ruscello con ponticello che attraversa il prato verde. Anche le decorazioni sono particolari e inventive. Lo staff è attento e cordiale e la pizza quattro formaggi che ordiniamo per pranzo è proprio buona. Mi riprometto che se mai dovesse capitare di avere un locale tutto mio, gli rubo tutte le idee! Bravo! Se mai qualcuno di mia conoscenza dovesse venire da queste parti, questo è uno dei posti che consiglierò di visitare.
Neemrana
L’India è suddivisa in ventotto stati e sette territori.
Delhi è la capitale del Territorio di Delhi, nonché’ capitale dello stato confederato. Sinora ho visitato altri due stati: Haryana, perché qualche sera è capitato di dormire nella casa di Faridabad, 20 km e due ore di macchina da GKII e Uttar Pradesh quando sono stata ad Agra a vedere il Taj Mahal, 184 km e cinque ore per arrivarci. Ovviamente ho girato la città nei suoi punti più vitali, ma vorrei esplorare altre zone finche’ è possibile. Decidiamo cosi di trascorrere due giorni da qualche parte. L’unico problema è decidere dove. Water rafting lungo il Gange? Due notti in un Ashram? Jaipur nel Rajasthan? Tutti i nostri programmi vengono bocciati per via delle ore di viaggio che ci vogliono per arrivare a destinazione. Non abbiamo tanto tempo e sinceramente ho già trascorso troppo tempo chiusa in un veicolo a rischiare la vita! La meta migliore a questo punto sembra Neemrana, un piccolo villaggio nel Rajasthan a due ore e mezzo da Delhi e trascorrere le due notti nel Neemrana Fort Palace, una vecchia fortezza del sedicesimo secolo ristrutturata e adibita ad albergo. L’idea mi piace e poiché il mio viaggio sta per giungere al termine e mi aspettano altre quindici ore di volo per rientrare a New York, accetto la proposta volentieri. La fortezza di Neemrana ha tutto l’aspetto di un luogo incantato, come nelle favole di Mille e Una Notte. Parcheggiamo la macchina e attraversato il maestoso portone d’ingresso, ci arrampichiamo su per le scale e i vicoli del castello. Una settimana qui facendo avanti e indietro e sicuramente riesco a perdere i kg acquistati durante il mio soggiorno in India. Arrivati alla reception, ho già il fiatone e le gambe deboli, ma ovviamente non finisce mica qui. Una volta ritirate le chiavi della camera, dobbiamo affrontare altre rampe di scale per potere finalmente prendere possesso del nostro alloggio. La vista dall’alto della fortezza è meravigliosa: ogni camera ha a disposizione una terrazza e la nostra si affaccia sulla vallata sottostante con un panorama sul piccolo villaggio ai piedi della collina. Mi sembra quasi di essere dentro una favola: gazebi, torrioni, cortile imperiale e fiori di loto che galleggiano dentro la fontana del piazzale principale. La mia macchina fotografica è in fiamme ma mi rendo conto che probabilmente sto fotografando gli stessi soggetti trenta volte, anche se da punti di vista diversi. E’ giunta l’ora di rilassarsi un pochino. Dubito che le due piscine presenti all’interno della struttura risalgano al 1500 ma anche un bagno circondata dalle mura e dai vecchi balconi delle camere in questo posto incantato, mi fa quasi tornare indietro nel tempo. Finalmente riesco a vedere un tramonto in India ed è valsa la pena aspettare perché’ il cielo colorato di rosso, con le torri del castello che sembrano sospese in aria, è uno spettacolo da togliere il fiato.
La Festa di Holi
Esistono diverse versione sull’origine della festa di Holi in India. Quella che mi è stata raccontata dai miei amici è la seguente.
Hiranyakashipu era il re dei demoni a cui Bhrama, il dio della creazione, aveva fatto un dono: aveva reso quasi impossibile che venisse ucciso. Forte di questo suo dono, Hiranyakashipu divenne ogni giorno più arrogante e impose al popolo di adorare soltanto lui e di dimenticare le altre divinità. Prahlada, il suo stesso figlio, continuò invece a essere devoto a Vishnu e per tale motivo fu condannato a morte. Suo padre cercò di avvelenarlo, ma il veleno si trasformò in nettare. Fu calpestato dagli elefanti ma riuscì a sopravvivere. Venne rinchiuso in una stanza piena di serpenti velenosi ma Prahlada uscì illeso. Fu cosi che Hiranyakashipu chiese a sua figlia, Holika, a cui era stato fatto il dono di essere immune al fuoco, di sedere su un mucchio di legna e di tenere suo fratello con sé. Miracolosamente, grazie all’intervento di Vishnu, le fiamme avvolsero il corpo di Holika e risparmiarono il bambino. Da quel giorno in poi, nel giorno di luna piena, si festeggia Holi, per celebrare la rinascita e segnare anche l’inizio della primavera. Questo il motivo per cui nelle strade dell’India durante questa festa, si vedono mucchi di legna a cui sarà poi dato fuoco e attorno ai quali le persone ballano e cantano. La caratteristica più divertente e più famosa di queste celebrazioni è che la gente si lancia polveri colorate, che, credete a me, sono molto difficile da lavare via! E se Holi segna l’inizio della primavera, per me segna la fine della mia vacanza in India.
Vorrei ringraziare i miei amici Vikram e Bhawna per la loro ospitalità, la loro disponibilità, per essersi presi cura di me e avere reso questa mia esperienza indimenticabile! Vi voglio bene!
La colonna sonora della mia vacanza: Saturday Saturday di Kardi Rehndi