Parco di Yellowstone e sud ovest degli Usa

Tra la terra di orsi e bisonti al selvaggio West
Scritto da: jonathan1982
parco di yellowstone e sud ovest degli usa
Partenza il: 06/06/2010
Ritorno il: 24/06/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
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PREMESSA

I protagonisti del racconto e del viaggio siamo: Jonathan, l’autore del diario, e la mia neo-sposa Chiara; per noi è la prima volta in assoluto negli Stati Uniti.

In questo diario ho voluto raccontare il nostro viaggio di nozze giorno per giorno, prendendo spunto dagli appunti scritti quotidianamente durante l’avventura “on the road”, descrivendo le emozioni mie e di mia moglie in ogni momento.

PRIMA ALCUNI DATI TECNICI

· Costo del viaggio (regalo di nozze) comprensivo di volo, tutti gli hotel, noleggio auto Hertz, assicurazione medica Mondial Assistance: 3.100 € a testa.

· Ci siamo portati inoltre in America 4.000 dollari e ne abbiamo spesi circa la metà tra benzina, souvenirs, ingressi nei parchi e pasti.

· Abbiamo prenotato tutto tramite la nostra agenzia di viaggi Zante Viaggi di Gaglianico che ci ha rilasciato tutti i voucher per il volo, tutti gli hotel dove abbiamo alloggiato e per le compagnie di autonoleggio.

· In totale abbiamo percorso 5.400 km circa in auto, attraversando 5 stati americani: Wyoming, California, Nevada, Utah e Arizona.

· La benzina laggiù costa pochissimo: abbiamo speso 280 $ totali in benzina (il costo medio è intorno ai 3 $ al gallone (1 gallone = quasi 4 litri di benzina)!

· Abbiamo noleggiato due macchine: una Subaru a Cody, nel selvaggio Wyoming, per un tour di due giorni ad anello nel parco Yellowstone, con partenza e ritorno da Cody e una Infinity M35 a San Francisco, per il “Gran Circle” nell’entroterra americano con tappa finale a Los Angeles.

· Abbiamo mangiato in luoghi sempre diversi, facendo di frequente la spesa nei supermercati americani delle catene Vons e Wal-Mart, per risparmiare, dove purtroppo non abbiamo trovato un ottimo cibo (il cibo in America è ipercalorico e spesso non di ottima qualità: questo spiega perché la maggioranza degli americani sia soprappeso).

· Il viaggio è iniziato la mattina del 6 giugno 2010 a Milano Malpensa ed è finito il 25 giugno 2010, sempre a Milano, con un totale di 19 giorni; abbiamo visitato tutto l’ovest americano comprese le tre grandi città di San Francisco, Las Vegas e Los Angeles.

· Le informazioni sui parchi e sulle città visitate le abbiamo raccolte su internet, navigando in rete in cerca di curiosità ed itinerari all’interno dei parchi! Inoltre, facendo richiesta via e-mail (www.nps.gov), abbiamo ricevuto, gratuitamente, per posta le mappe dei parchi e dei depliant informativi molto dettagliati e utilissimi!

· Parchi visitati: Yellowstone National Park, Yosemite National Park, Death Valley National Park, Zion National Park, Bryce Canyon National Park, Arches National Park, Dead Horse Bend Park, Monument Valley, Horse Shoe Bend, Antelope Canyon, Grand Canyon.

1°GIORNO: 06/06/2010 – Volo Milano – Salt Lake City

Con ancora negli occhi l’emozione per il nostro giorno più bello, il nostro matrimonio avvenuto il giorno prima, il 5 giugno 2010, ci prepariamo per la luna di miele: la prima volta negli States!

I nostri genitori, puntuali, ci vengono a prendere sotto casa alle 7.15 per accompagnarci a Milano – Malpensa, dove il nostro volo della Delta Airlines parte alle 11.25.

Ci siamo appena sposati e già ci separiamo: ognuno va con la macchina dei propri genitori fino a Malpensa! Bisogna tranquillizzare le mamme… devono ancora abituare all’idea che i propri figlioli stanno lasciando il proprio “nido” e se ne stanno andando per tre settimane in un paese così lontano come gli Stati Uniti!

Durante il viaggio per l’aeroporto ripenso a tutti quei mesi passati tra internet, riviste, agenzie e libri per raccogliere tutte le informazioni possibili per il nostro itinerario: ora non mi sembra vero di stare per partire! Mi sento anche un po’ in colpa perché, tra i preparativi per le nozze e tutto il tempo passato a preparare il nostro viaggio, negli ultimi mesi ho trascurato un po’ i miei genitori.

La prima fase del viaggio consiste nel lungo volo che ci porta a Cody, un paesino situato a 40 km ad est dal parco nazionale di Yellowstone, nello stato del Wyoming.

Partiamo, quindi, da Milano con 35 minuti di ritardo per Atlanta (Georgia), dove atterriamo dopo 11 ore di volo filate, trascorse tra film, dormite (solo mia moglie però!) e letture della nostra inseparabile guida Lonely Planet degli Stati Uniti!

Atterriamo nell’aeroporto più grande e più trafficato del mondo alle 15.55 locali (in Italia erano le 21.55 perché ci sono 6 ore di fuso orario) e subito cerchiamo le zona del “baggage claim” per reimbarcare le valigie per la nostra prossima tappa: Salt Lake City.

È davvero emozionante mettere piede per la prima vola sul suolo americano! L’aeroporto di Atlanta è veramente enorme ed è formato da vari terminal collegati da una metropolitana interna veramente efficiente!

Abbiamo ancora tre ore di tempo prima di prendere la coincidenza per Salt Lake City e quindi, una volta riconosciuti i bagagli e re-imbarcati, girovaghiamo per l’aeroporto gustandoci anche il primo pranzo sul suolo americano. Il tempo passa velocemente anche perché la maniglia della valigia di mia moglie si è rotta durante l’imbarco in Italia e quindi cerchiamo informazioni per denunciare il danno: non abbiamo molto successo, nonostante lei abbia pagato 7 euro per assicurarla, ci spiegano che questo tipo di danno non è rimborsabile (nota per tutti i prossimi viaggi: non assicurare mai i bagagli!!).

Dopo un leggero pasto ci dirigiamo verso il gate A9 dove troviamo il nostro volo che parte alle 18.45 locali.

Partiamo in orario da Atlanta (sempre con un volo della Delta Airlines) e atterriamo alle 20.45 locali (qui ci sono 8 ore di fuso rispetto l’Italia quindi in patria sono le 04.45).

A Salt Lake City troviamo un cielo molto nuvoloso anche se non piove: come inizio non ci sembra un granchè; in realtà sarà l’unico momento di tutta la nostra luna di miele in cui troveremo brutto tempo! Una vera fortuna!!!

Una volta recuperati i bagagli ci rechiamo al punto informazioni dove ci chiamano lo shuttle bus che ci porterà gratis nel nostro primo hotel (Quality Inn Airport1659 West North Temple, Salt Lake City, UT 84116) che si trova a 15 minuti dall’aeroporto.

Stanchi e distrutti per la volata transoceanica, ci facciamo una doccia e ci buttiamo subito a letto (ore 23.00 locali) quando in Italia è l’alba!

Fa un strano effetto essere dall’altra parte del mondo e restare svegli per 24 ore! L’effetto jet-lag non mi pesa forse perché è talmente forte l’emozione di esplorare gli Stati Uniti! Ancora più strano è sapere che quando noi andiamo a letto gli italiani si svegliano e viceversa. Per mia moglie sarà diverso: per almeno due giorni resterà frastonata dal jet-lag, cosa che a me succederà invece al ritorno in Italia.

2° GIORNO: 07/06/2010 – Volo Salt Lake City – Cody e ritiro auto per Yellowstone – Old Faith Full (190 km)

Per effetto del jet-lag alle 4.00 di mattina siamo già perfettamente svegli! Cosi usciamo a fare due passi in attesa dell’alba che spunta quasi un’ora dopo. Facciamo una prima bella camminata sul suolo americano per la città di Salt Lake City, sede degli ultimi olimpiadi invernali, per poi rientrare all’hotel dove ci aspetta la colazione (compresa nel prezzo della camera).

Camminando per la città ancora assonnata notiamo già alcune differenze con l’Italia come le buca da lettere, le strade e le macchine due volte più grandi delle nostre, soprattutto i trucks gli enormi camion americani!

Arrivati nel nostro hotel ci facciamo un’abbuffata di uova strapazzate, muffin, ciambelle e patatine fritte; il tutto accompagnato da bevande dai colori strani: la nostra prima colazione all’americana!

Il nostro shuttle bus ci riporta all’aeroporto e durante il tragitto facciamo conoscenza con alcuni americani, che vanno in Messico, e che ci prendono in giro appena scoprono che andiamo verso il nord, a Yellowstone… forse per il freddo… boh! non l’abbiamo mai capito!

Dopo il disbrigo delle formalità doganali (dopo l’11 settembre i controlli sono aumentati notevolmente e al ceck-in ti fanno togliere tutto, anche le scarpe!) ci dirigiamo verso il nostro aereo: un piccolo aereo tipo cessna da 40 posti con le eliche al posto delle turbine.

Siamo partiti alle 11.05 da Salt Lake City e siamo arrivati al piccolissimo aeroporto di Cody (Yellowstone National Airport), nel Wyoming, dopo circa 1 ora e 20 minuti di volo, in perfetto orario. Il viaggio su questo aereo è stato davvero carino!

Ritirate le valigie, cerchiamo subito l’ufficio della Hertz, la nostra compagnia di autonoleggio, situata direttamente dentro l’aeroporto. Dopo qualche iniziale difficoltà con la lingua, compiliamo i moduli per la consegna dell’auto e decliniamo gentilmente tutte le insistenti offerte degli impiegati della Hertz che cercano di vendere costose assicurazioni aggiuntive per l’auto. In agenzia ci avevano già avvertito che gli impiegati locali avrebbero cercato di farci pagare delle quote aggiuntive, non necessarie perché avevamo già pagato tutto il necessario in anticipo. Alla fine desistono e un addetto, dopo aver acquisito i dati della nostra carta di credito come cauzione, ci accompagna alla nostra auto: una Subaru nera con cambio automatico e senza navigatore (in effetti in questa prima tratta non ne abbiamo sentito la mancanza, grazie alle ricerche fatte nei mesi precedenti su internet). Il ragazzo della Hertz, comunque, ci consegna una piccola piantina sottolineata e ci indica velocemente la strada per uscire da Cody e la direzione da prendere per raggiungere Yellowstone.

Il nostro viaggio on the road ha inizio! Dopo qualche difficoltà iniziale nel guidare con il cambio automatico e con i freni, che alla minima pressione sul pedale, inchiodano la macchina all’istante, usciamo dall’aeroporto e attraversiamo tutta la graziosa cittadina di Cody, terra di indiani e cowboys che tant’evvero che lo sport più amato in questo paese è il rodeo, fermandoci solo in un supermercato per fare scorta di viveri. Passiamo una mezz’oretta dentro al supermarket della famosa catena Wal-Mart (che corrisponde alla nostra Bennet o Ipercoop) dove ci divertiamo un sacco ad osservare tutti gli strani prodotti esposti e le scene di vita quotidiana delle tipiche famiglie americane, così come si vedono nei film alla Tv. Proprio come spesso si sente dire, qui in America è davvero tutto enorme, persino nei supermercati: dalla frutta, alle confezioni di dolci glassati e colorati, ai sacchetti di patatine, alle bottiglie di acqua (la più piccola ne conteneva un gallone, circa 4 litri), ai fustini contenenti latte, aranciate ed altre bevande dai colori stranissimi! È la nostra prima spesa americana e, trascinati dall’entusiasmo, ci lasciamo tentare da tutti questi strani prodotti. In realtà questa si rivelerà una pessima scelta: il nostro primo pranzo americano, a base di pane dolciastro, affettati dal sapore di plastica e pasticcini talmente dolci da risultare nauseanti, è davvero disgustoso! E pensare che gli americani comprano e cucinano queste cose tutti i giorni. Questa esperienza però ci servirà da lezione per i prossimi acquisti: impareremo a scegliere il pane annusandolo per ricercare quello col profumo di farina e scartando tutti quelli con odori strani, a ricercare i salumi con indicata la provenienza italiana e a comprare i dolci e le merendine più semplici possibili, senza troppi strati di glassa o dai colori strani.

Consumiamo il nostro primo pranzo a denti stretti in auto mentre ci dirigiamo verso Yellowstone. Usciti da Cody, guidiamo spediti lungo la Hwy 20 – 14 – 16, dove troviamo degli spazi immensi circondati da montagne innevate, fino all’ingresso ovest dello Yellowstone National Park, dove ci fermiamo subito per fare la foto di rito al cartello d’ingresso. Visto che abbiamo in programma di visitare molti altri parchi nazionali, decidiamo di fare una conveniente tessera (National Park Pass al prezzo di 80 $), alla stazione d’ingresso, che ci permette di entrare in tutti i parchi nazionali per un anno senza limiti.

Il National Park Pass conviene solo se si visitano almeno 3 parchi diversi, altrimenti è necessario pagare i singoli biglietti di ingresso validi per veicolo e non per numero di persone. In America i parchi nazionali sono molto ben tenuti e molto ben organizzati; ad ogni ingresso sono sempre presenti i ranger che consegnano ai turisti una cartina e un giornale con tutte le informazioni relative al parco, compresi i sentieri e i percorsi tracciati, tutti comunque ben segnalati, ben tenuti e spesso percorribili anche per turisti sulla sedia a rotelle. Non si può certo dire che questo paese non cerchi di utilizzare e di valorizzare tutte le sue innumerevoli risorse naturali!

Il parco di Yellowstone è indubbiamente il parco più grande e più bello in America; è famoso in tutto il mondo e occupa una superficie di oltre 8.600 km3: La strada principale che lo attraversa costituisce un itinerario panoramico automobilistico chiamato Grand Loop Rd di 142 miglia (230 Km); un percorso asfaltato a forma di 8, con un anello più grosso verso Nord e uno più piccolo a Sud. Questa immensa riserva naturale è divisa in 8 zone: Lake Village, Grant Village, Old Faithfull, Madison, Norris, Canyon Village, Tower-Roosevelt e Mammoth Hot Springs.

Ogni zona è completamente diversa sia per la flora e sia per la fauna presente e molto diversificata: i lupi e gli orsi, ad esempio, si trovano al Nord (Mammoth Hot, Tower-Roosevelt), invece i bisonti si trovano nella zona tra Norris e Mammoth Hot.

Non ci sembra vero di essere arrivati a Yellowstone, il più antico parco del mondo, fin ora visto solo in tv nei documentari! L’unica pecca è costituita dal tempo: la giornata infatti è molto nuvolosa e noi dobbiamo superare un passo, fino al lago di Yellowstone, con pioggia, neve e gelo! Con pantaloncini e maglietta a mezze maniche ci troviamo davvero impreparati… che freddo! Il tempo resterà così per tutto il percorso fino alla zona di Old Faithfull dove si trova il nostro albergo.

Per la prima notte alloggeremo dentro il parco in un albergo storico (Old Faithfull Snow Lodge) veramente stupendo, il più famoso del parco, costruito tutto in legno di pino, praticamente davanti al famoso geyser Old Faithfull, che spruzza vapore acqueo e acqua calda, da tanti anni, ad intervalli regolari di circa 1 ora e mezza.

Dopo aver scaricato le valigie e ed esserci infilati i maglioni pesanti, torniamo alla reception dove notiamo uno strano orologio che mostra l’ora prevista per la prossima eruzione del più famoso geyser di Yellowstone. Visto che mancano pochi minuti corriamo subito a vederlo!

Insieme a noi, in prossimità del geyser si riunisce una piccola folla in attesa… e poi… eccolo! Uno spettacolo di spruzzi, di acqua e vapori caldi ci tiene incollati alla panchina per 3 minuti buoni, durante i quali scattiamo decine di foto in sequenza!

La zona intorno al nostro hotel è famosa, grazie alla presenza di un enorme vulcano sotterraneo, per i geyser e noi decidiamo di andare a vederli subito. La zona di Old Faithfull è divisa in due sezioni: Upper Geyser Basin Nord e Sud. Si fa un percorso seguendo le passerelle in legno, costruite per non danneggiare il suolo e per non essere ustionati dal vapore acqueo caldo. Nonostante il freddo, il paesaggio è davvero bello e particolare, quasi lunare.

Quando fa buio decidiamo di tornare al nostro albergo e ceniamo al ristorante.

Gli americani sono soliti a cenare presto e quindi, qui nell’ovest americano, tutti i locali chiudono piuttosto presto tranne le catene dei fast food come McDonald’s, Denny’s, Taco Bell, ecc.

Anche qui al ristorante ci troviamo piuttosto male con il cibo; io me la cavo con una bistecca di pollo cotta alla griglia, mentre a mia moglie ha la peggio con una strana insalata di pasta condita con una strana salsina dolciastra. Durante la cena assistiamo anche ad una curiosa scenetta che si ripeterà poi anche nella hall dell’albergo: un topolino sbuca da un angolo e si mette a correre per la sala, inseguito da un cameriere con una scopa: pensandoci bene, essendo immersi in un grande parco naturale, la cosa non è poi così strana, ma la scena è abbastanza esilarante e ci facciamo un sacco di risate.

Finito di cenare facciamo qualche foto all’interno dell’albergo e poi andiamo subito a nanna perché l’indomani ci aspetta una giornata più faticosa.

08/06/2010 –Yellowstone (da Old Faithfull Lodge a Mammoth Hot attraverso Canyon Village – 180 km)

Questa mattina ci svegliamo di buon’ora (ore 07.00) e partiamo per la zona di Mammoth Hot, dove passeremo la seconda notte a Yellowstone, facendo varie soste lungo il tragitto per le escursioni a piedi nei punti di interesse segnati sulla cartina e per fare le foto.

Finalmente le nuvolacce del giorno prima se ne sono andate, la giornata è soleggiata e le temperature sono un pochino più gradevoli. Ci dirigiamo verso nord facendo tappa a Madison. Prima di arrivare però troviamo una stradina secondaria a senso unico, poco pubblicizzata, chiamata “Firehole Canyon Drive” che porta alle cascate Firehole; decidiamo di percorrerla e la scelta si rivela azzeccatissima perché il percorso ci porta sì fuori rotta di circa 6 km, ma così facendo arriviamo ad una cascata naturale che di per sé non hanno niente di particolare, se nonché appena scendiamo dalla macchina veniamo “assaliti” dai simpaticissimi “chipmunks, gli scoiattoli giapponesi a strisce, quelli del film “Alvin Superstars”! Sono stupendi! Proviamo a tirar fuori dallo zaino qualche biscotto e appena se ne accorgono vengono subito vicino per farsene dare un pezzetto; sono talmente abituati alla presenza dell’uomo che quando ci sediamo sul ciglio della strada ci vengono in braccio! Che emozione! Un’esperienza davvero unica! Trascorriamo mezz’ora in compagnia di questi simpatici animaletti senza nemmeno accorgercene. Visto il leggero ritardo sulla nostra tabella di marcia, a malincuore lasciamo i nostri nuovi amici per proseguire la nostra avventura on the road.

Ci dirigiamo quindi a Madison e qui un piccolo contrattempo ci ruba ancora più di un’ora di tempo: durante una sosta per una piccola escursione, finiamo per chiudere per errore le chiavi della macchina nel baule! Disastro! Il baule infatti può essere aperto solo automaticamente con le stesse chiavi! Con un po’ di preoccupazione iniziamo ad armeggiare con i sedili posteriori, ma scopriamo quasi subito che non sono reclinabili e quindi non si può accedere in altro modo al bagagliaio. La preoccupazione inizia a salire perché il cellulare non prende in quella zona e non si vede l’ombra di altre auto nei paraggi. Come ultima speranza mia moglie inizia a frugare nel portaoggetti alla ricerca del libretto d’istruzioni dell’automobile; finalmente lo troviamo e riusciamo a decifrare alcune indicazioni che spiegano di una leva ed un pulsante da premere contemporaneamente… premiamo il “pulsante magico” e per magia il baule si sblocca. Per fortuna! Altrimenti avremmo dovuto aspettare che qualcuno passasse da quelle parti per chiamare l’ufficio delle Hertz più vicino e cercare un modo di risolvere il problema!

Dato tutto il tempo perso, facciamo solo una breve escursione nella zona per vedere un lago salato e poi riprendiamo l’auto per dirigerci a Norris. Lungo il percorso ci imbattiamo in diverse mandrie di bisonti, uno dei simboli del West, i veri padroni di queste terre prima dell’arrivo dell’uomo bianco. Alcuni anche molto vicini alle strade asfaltate. Riusciamo persino a fotografare una mamma col suo piccolo appena nato.

Dopo una breve sosta per telefonare a casa (con la comoda scheda della Telecom comprata in Italia al prezzo di 12 € da utilizzare nei telefoni pubblici) e per pranzare, ci dirigiamo verso il Canyon di Yellowstone. Questa zona del parco è veramente splendida! Non ci sono aggettivi per descrivere la nostra emozione quando ci siamo trovati davanti questo paesaggio da mozzare il fiato! Il Canyon di Yellowstone è un canyon molto profondo, scavato dal fiume Yellowstone dopo una serie di imponenti cascate tra le più alte del nord America: Lower Falls ed Upper Falls. Sono state le cascate più belle che io abbia mai visto!

Decidiamo di fare tutte le escursioni a piedi segnate sulla cartina, per vedere queste meraviglie da tutti i punti di vista possibili, sia dall’alto sia dal basso. Scattiamo delle foto che si riveleranno veramente fantastiche grazie anche alla formazione di un arcobaleno dagli schizzi riflessi delle cascate.

Tra i percorsi che abbiamo fatto, i più belli sono l’Uncle Tom’s Trail, che con una scalinata di 300 scalini porta ad una piattaforma dove si possono vedere le cascate Lower Falls dal basso, il Brink of the Lower Falls, che invece ci permette di vedere le cascate Lower Falls dall’alto, l’Upper Falls Viewpoint e le Brink of the Upper Falls, che ci permettono di vedere le Upper Falls rispettivamente dal basso e dall’alto.

Meraviglioso il trail Artist Point che porta ad un punto di osservazione dal quale si può ammirare tutta la vallata del canyon, comprese le due cascate e il fiume Yellowstone. L’ultimo percorso che facciamo prima di lasciare questa zona è l’Inspiration Point Trail, un tragitto percorribile in auto lungo il quale è possibile vedere anche un enorme masso portato dall’ultima glaciazione (Glacial Boulder).

Tutte le escursioni ci tengono impegnati per circa 5 ore. Alla fine siamo stanchi ma anche molto soddisfatti per aver visto con i nostri occhi dei luoghi così belli! Ci rimettiamo quindi in viaggio verso Nord, verso Roosvelt incontrando per la strada altre mandrie di bisonti, cervi e alci, il tutto sempre contornato da panorami spettacolari!

Dopo varie soste per le foto ai paesaggi e alla fauna locale, ci dirigiamo verso la zona di Mammoth Hot dove si trova il nostro albergo.

Lungo la strada troviamo un cartello che indica un percorso che porta ad una “Foresta pietrificata” e la nostra curiosità ci spinge a vederla. Troviamo solo alcuni resti di alberi bruciacchiati da un incendio, niente di speciale, ma ecco che ad un tratto notiamo alcune auto ferme sul ciglio della strada, ci fermiamo anche noi e capiamo subito il motivo di tanto interesse: a pochi metri da noi vediamo niente di meno che un orso bruno! Che emozione vedere un animale del genere libero in natura! Facciamo mille foto scendendo anche dalla macchina avvicinandoci fino ad una ventina di metri! Quando l’orso si allontana risaliamo in macchina e continuiamo il viaggio.

Lungo il tragitto riusciamo a vedere ancora due orsi di sfuggita (persino una mamma con il suo piccolo, ma non riusciamo a fermarci lungo la strada perché un ranger ci fa segno di allontanarci) e una mandria di grossi cervi con dei palchi di corna enormi. Ci fermiamo ancora per qualche foto e poi via verso MAMMOTH HOT SPRING HOTEL dove arriviamo stremati alle 20.00. Dopo aver scaricato le valigie al nostro hotel cerchiamo subito un ristorante dove cenare ma purtroppo ne troviamo solo uno aperto, dove ceniamo anche peggio della sera prima. Qui facciamo conoscenza con l’unica coppia di italiani incontrata in tutto il parco.

Torniamo nel nostro hotel ancora un po’affamati. Andiamo a nanna in un luogo stupendo, un altopiano circondato dalle vette delle montagne sapendo che intorno a noi circolano indisturbati orsi e lupi!

09/06/2010 Yellowstone zona Mammoth Hot – Cody (220 km). Volo Cody-San Francisco

Oggi è il giorno del ritorno a Cody dove riprenderemo l’aereo che ci porta a San Francisco, in California. Lungo il viaggio di ritorno facciamo una strada che ci permette di completare il giro a ”8” del parco. Ci svegliamo presto e facciamo colazione nella nostra camera con i dolci comprati al supermercato di Cody, osservando dalla finestra un bel gruppo di femmine di alci che brucano nel prato vicino il nostro albergo.

Il viaggio per Cody dura tre orette, anche perché nel parco i limiti di velocità sono molto bassi, con varie soste lungo il percorso per vedere animali o fotografare splendidi panorami. Incontriamo un’altra mandria di bisonti, vicino ad un campeggio senza recinzioni, con numerosissimi cuccioli! Gli unici animali che non riusciremo a vedere saranno i lupi e i grizzly, troppo diffidenti per farsi avvistare dall’uomo, a parte in rare eccezioni.

Arriviamo a Cody alle 10.30 esatte (proprio l’orario limite per la consegna della macchina) e consegniamo l’auto dopo aver rifatto il pieno di benzina.

In America, la benzina si paga con la carta di credito, nei distributori automatici, oppure in contanti alla cassa, prima di prelevare il carburante; in caso di rimanenza, il resto ti sarà restituito solo alla fine dell’operazione.

Dopo aver riconsegnato l’auto, visto il tempo a nostra disposizione, decidiamo di pranzare nel fast food dell’aeroporto in attesa del nostro volo. Si tratta di un locale in stile molto “americano”, col bancone con gli sgabelli alti, le cameriere con la divisa color pastello a quadretti, le bottiglie di ketchup e maionese sui tavoli e una Cadillac azzurra parcheggiata fuori dal locale: sembra davvero di essere in un film! Dopo aver pranzato con due mega hamburger andiamo al check-in. Riprendiamo il solito aereo ad elica da 40 posti che parte alle 12.55 per Salt Lake City, per la coincidenza per San Francisco, dove arriviamo alle 17.55 locali.

Durante il volo spostiamo indietro di 1 ora le lancette dell’orologio perché entriamo in California (quindi – 9 ore rispetto l’Italia).

Ci accorgiamo di stare per arrivare quando scorgiamo dai finestrini dell’aereo la splendida baia di San Francisco con un minuscolo ponte rosso: il Golden Gate Bridge, il simbolo della città!

Ritirate le valigie, prendiamo la metropolitana (Bart) che ci porterà nella dowtown della città. Appena usciti alla nostra fermata rimaniamo a bocca aperta con il naso all’insù per ammirare gli immensi grattacieli americani: davvero altissimi ed imponenti rispetto a quelli della nostra Milano! Con un po’ di difficoltà cerchiamo il tram giusto che ci porta alla fermata vicina al nostro hotel, il lussuoso Hyatt Fisherman’s Wharf (555 Noth Point Street San Francisco California 94133).

Questo hotel è stupendo, il migliore del nostro viaggio di nozze; la nostra camera è enorme, con una mega tv a schermo piatto, un letto enorme (king size) e un salottino con un divanetto.

Dopo esserci rinfrescati, usciamo per cenare; decidiamo di andare nella zona turistica del “Pier 39” per cercare il ristorante “Bubba Gump” (trovato su internet) che si ispira al film “Forrest Gump”. Il locale è molto particolare: al muro sono appesi tanti cimeli del famoso film (costumi di scena, foto degli attori sul set, ecc.) e sui tavoli ci sono delle targhette da utilizzare per farsi servire dai camerieri (“Run Forrest run” ossia corri Forrest corri vuol dire che continuiamo a mangiare, “Stop Forrest stop” vuol dire che abbiamo finito e che possono portare pure il conto). È un ristorante specializzato in piatti a base di pesce e noi ordiniamo degli ottimi gamberi fritti in tanti modi diversi e serviti con alcune salsine. Per la prima volta dal nostro arrivo in America riusciamo mangiare una buonissima cena, spendendo solo 50 $ in due.

Stanchi, ma con la pancia piena e soddisfatta, facciamo una breve passeggiata fino al nostro hotel. Per strada notiamo come gli americani, almeno nell’ovest, si ritirano in casa abbastanza presto rispetto all’Italia, tanto che non si trovano locali frequentati da giovani o ristoranti aperti dopo le 23.00; dopo la mezzanotte, in giro non si trova quasi nessuno, a parte qualche vagabondo, magari perché è un giorno lavorativo e perché è un periodo di bassa stagione.

10/06/2010 SAN FRANCISCO (Pier 39, Cable car, Chinatown, Golden Gate Park, Golden Gate Brigde, Coit tower, Union Square)

San Francisco si trova su una lingua di terra che si allunga nell’oceano Pacifico, che la separa da tutto il resto del continente americano. Questa città, che ha un diametro di circa 11 km, presenta un’ordinata struttura di strade perpendicolari e parallele interrotta solo da Market st., la strada principale della dowtown, che taglia trasversalmente la città. L’intera metropoli é stata costruita su 43 colline, per cui le vie sono quasi sempre in salita o in discesa. Percorrere queste strade a piedi può essere faticoso, ma permette di ammirare vedute mozzafiato dell’intera baia mentre ci si sposta da un punto di interesse (più di 80 tra monumenti, ponti, parchi, musei, ecc.) ad un altro.

Per il primo giorno a San Francisco ce la prendiamo con più calma e ci svegliamo verso le 8.00; dato che rimarremo in questa città 3 giorni ne approfittiamo per riposarci un po’. Per me è una delle mattine più attese di tutto il viaggio perché abbiamo in programma di fare colazione davanti ai leoni marini del Pier 39! Una cosa che avevo immaginato da mesi!

Usciamo dall’hotel e ci dirigiamo al molo già visitato la sera prima; ci fermiamo in un chiosco e compriamo due enormi cappuccini serviti nei bicchieroni di plastica con il coperchio e due ciambelle zuccherate! Buonissime come quelle che mangiavo quando andavo in vacanza a Marina di Massa!

Ora è il momento di cercare i leoni marini; una volta arrivati sul pontile seguiamo i loro versi e il forte odore derivato da pesce buttato in mare dai vari camerieri dei ristoranti della zona. Arriviamo in fondo al molo e rimaniamo a bocca aperta: sdraiati al sole, su delle zattere appositamente create, ci sono centinaia di leoni marini! Sono veramente belli oltre che buffi nei loro movimenti! Sui pannelli illustrativi leggiamo che esattamente vent’anni fa una piccola colonia di questi mammiferi si è stabilita in questo molo, forse per cercare cibo e protezione dai predatori, e da allora, trovando un ambiente favorevole sono rimasti moltiplicandosi, tanto da diventare una vera e propria attrazione per i turisti. Facciamo colazione e restiamo una bella mezz’ora a guardarli, filmandoli e fotografandoli!

Dopo aver fatto un giro tra i negozietti di souvenir del famoso Pier 39, iniziamo il nostro tour per la città visitando i suoi simboli. Per prima cosa ci dirigiamo al capolinea dei cable car, i famosi tram storici che attraversano una parte della città. Questi tram sono stati costruiti tanti anni fa quando ci si spostava ancora con i carri trainati dai cavalli; essendo molto complicato spostarsi in questo modo su e giù dalle numerose colline molto ripide, furono ideati questi tram senza motore collegati a dei cavi in acciaio posti su dei binari lungo la strada. Ancora oggi questi particolari mezzi di trasporto vengono utilizzati per spostarsi con lo stesso meccanismo di freni e leve azionato dai macchinisti che agganciano e sganciano i vagoni ai cavi a seconda che si debba andare in salita o in discesa.

Saliamo sul tram stranamente vuoto, utilizzando il “Muni Pass” un abbonamento che ci permette di utilizzare tutti i mezzi di trasporto per 3 giorni, e ci facciamo un bel giro fino a Union Square. Con il passare delle ore vediamo i cable car riempirsi sempre di più con delle code chilometriche alle fermate: per noi è stata una fortuna averlo preso subito di prima mattina!

Union Square è una piazza centralissima di San Francisco in prossimità della quale si trovano tutti i negozi delle principali firme di moda. Ci fermiamo in un negozio della Levis dove compro un paio di Jeans ad un prezzo molto conveniente grazie al rapporto euro-dollaro.

Continuiamo la nostra passeggiata fino alla “porta del dragone”, un monumento che dà l’accesso principale al quartiere cinese della città. Quella di San Francisco è la più popolosa colonia cinese dopo quella di New York e della Cina stessa. Non sembra neanche di trovarsi a San Francisco, camminando tra tutti questi edifici con i tetti a pagoda, le lanterne a palla rosse appese agli angoli delle vie e i negozi e ristoranti con le insegne scritte nell’alfabeto cinese. Trascorriamo così un po’ di tempo passeggiando per Chinatown tra i tantissimi negozietti di souvenir dove si può trovare davvero di tutto, comprese le imitazioni delle più famose marche a prezzi stracciati.

Dopo Chinatown andiamo a dare una rapida occhiata anche al quartiere finanziario della città, con i suoi altissimi grattacieli, sede delle principali banche di tutto il mondo. Ci rechiamo a vedere anche l’edificio più alto di San Francisco: la Transamerica Pyramid, un palazzo altissimo a forma piramidale occupato principalmente da uffici commerciali.

Ci avviciniamo alla portineria per chiedere se ci danno il permesso salire in cima ma purtroppo ce lo vietano. Poco male, nel pomeriggio abbiamo in programma una visita alla Coit Tower, l’edificio situato nella parte più alta della città. Prima però prima decidiamo di ritornare a Fisherman’s Wharf per il pranzo, per provare il famoso “Clam cholder”, una densa zuppa di granchi servita in una ciotola ricavata scavando una pagnotta. Acquistiamo ad una delle tante bancarelle del porto una zuppa e un panino imbottito di gamberi in una specie di salsa rosa. L’aspetto inganna ma sono veramente ottimi! Pranziamo su una delle tante panchine del porto in compagnia di una miriade di gabbiani.

Dopo un pranzo prendiamo il Cable car fino alla base della collina su cui si trova la Coit Tower, qui ci aspetta una lunga scalinata abbastanza faticosa ma anche molto carina perché immersa nel verde dei giardini di antiche casette in legno; qua e là è possibile ammirare anche ottimi scorci sulla baia della città! Arriviamo esausti in cima alla scalinata e per 10 $ acquistiamo il biglietto di ingresso alla torre. All’inizio sono un po’scettico per via del prezzo, ma alla fine mi lascio convincere e saliamo fino in cima tramite un ascensore. Rimaniamo a bocca aperta per il bellissimo panorama! In effetti l’edificio non è molto alto, ma la sua posizione strategica fa si che dalla sua cima sia possa avere una vista a 360° su tutta la baia! Scattiamo mille foto e restiamo qualche minuto abbracciati a goderci il panorama! Si vedono proprio tutti i simboli della città!

Ridiscesi dalla torre decidiamo di recarci con l’autobus al Golden Gate Park, per visitare il Japanese Tea Garden.

A causa di un errore di valutazione della fermata del bus, ci perdiamo dentro al parco che è veramente enorme! Sembra una foresta ed è addirittura attraversato da una superstrada! Impieghiamo molto più tempo del previsto per raggiungere il giardino giapponese e quando arriviamo all’ingresso lo troviamo già chiuso. Decidiamo così di attraversare il parco percorrendone il lato più corto per arrivare alla fermata del bus che ci sembra più vicina. Anche in questo caso però sottovalutiamo le reali dimensioni di questo gigantesco parco ed iniziamo una lunghissima ed estenuante camminata tra i sentieri. Comincia a farsi sera e noi iniziamo ad aver paura di non arrivare in tempo per l’ultimo bus che va verso il centro.

Finalmente dopo ben 2 ore di cammino raggiungiamo una fermata dell’autobus e fortunatamente riusciamo a prendere una corsa! Guardando la piantina ci accorgiamo che il bus ferma proprio vicino al Golden Gate Bridge! Il famoso ponte rosso, simbolo di San Francisco, visto moltissime volte nei film!

Visto che da quella fermata partono autobus anche più tardi, decidiamo di scendere. Il ponte è davvero stupendo! Siamo fortunati perché la giornata è limpida e il ponte, quasi sempre coperto da una leggera foschia proveniente dalla baia, oggi si può ammirare in tutta la sua bellezza. Scattiamo migliaia di foto da tutte le angolazioni e ne attraversiamo una parte a piedi fino al primo pilone. Rimaniamo a bocca aperta ad osservare questa maestosa opera sostenuta da enormi funi d’acciaio che rendono la struttura resistente e allo stesso tempo “flessibile” per poter sopportare le vibrazioni dei terremoti più o meno violenti che caratterizzano questa città.

Rimaniamo nei pressi del ponte fino al tramonto per poterlo osservare in tutte le sfumature di colori al calar del sole! È davvero magico aspettare la sera, noi due da soli, davanti ad uno spettacolo del genere!

Quando anche l’ultimo raggio di sole sparisce e si accende l’ultima lampadina sul ponte decidiamo di ritornare verso il nostro hotel con il bus. Stanchi e affamati iniziamo a gironzolare per le vie del centro alla ricerca di un posto dove cenare; sfortunatamente ci rendiamo presto conto che gli americani, perlomeno in questa stagione e nelle zone da noi visitate, si ritirano piuttosto presto e tutti gli esercizi commerciali, compresi ristoranti e locali, chiudono già alle 22.00 di sera. Anche nel quartiere più turistico della città non c’è in giro quasi più nessuno e trovare da mangiare sembra davvero un’impresa! Fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, troviamo un unico fast food aperto: il Burger King. Così decidiamo di comprare due panini con patatine e portarceli in hotel: non sono un granchè ma sempre meglio di niente!

11/06/2010 – SAN FRANCISCO (Alcatraz, Castro, Ghirardelli, Haight Ashbury)

Anche oggi ci svegliamo con un bel sole estivo che ci attende per iniziare al meglio la giornata!

In California soprattutto lungo la costa il clima è costante tutto l’anno con una temperatura che oscilla tra i 15 e i 28°C. Davvero un clima perfetto!

Oggi, come prima cosa, prendiamo il bus che ci riporta verso il Golden Gate Park. Questa volta controlliamo bene la piantina dei mezzi pubblici e prendiamo l’autobus giusto che ci porta all’ingresso vicino al Japanese Tea Garden. Dopo circa mezz’ora il bus si ferma esattamente davanti all’ingresso del giardino! L’ingresso è a pagamento (7 dollari a testa) e il posto in realtà non è niente di che: una specie di giardino curatissimo con le pagode, i bonsai, i laghetti con le carpe Koi, del tutto simile ai giardini Zen del Giappone. Il parco è “frequentato” anche da enormi scoiattoli rossi molto socievoli con i turisti.

Riprendiamo il bus prendendo una linea diversa che attraversa il quartiere hippy Haight, dove si dice sia nato il movimento dei Figli dei Fiori negli anni 60’, e il quartiere chiamato Castro, dove si dica risiede la comunità di gay più grande degli Stati Uniti.

Torniamo a Fisherman’s Wharf per un veloce pranzo al McDonald’s e visto che siamo vicini all’hotel e al molo decidiamo di fare un po’ di shopping prima di prendere il battello delle 15.00 che ci porterà all’isola di Alcatraz, dove risiede il più famoso penitenziario del mondo.

Compriamo due bellissime stampe con i simboli di San Francisco, il Golden Gate Bridge e una tipica strada di San Francisco con il cable car, per il nostro nuovo salotto! Una volta incorniciati saranno poi i quadri più belli della nostra casa!

Riportiamo tutti i souvenirs acquistati nel nostro albergo e ci incamminiamo verso il Pier 33, il molo dove partono i battelli per Alcatraz. Indagando su internet avevo letto che era difficile trovare i biglietti per questa ex-prigione federale, così abbiamo deciso di acquistarli con qualche mese di anticipo su internet, sul sito www.alcatrazcruise.com, l’unico sito autorizzato a vendere il biglietti. La scelta si rivela indovinata perché le file agli sportelli sono lunghissime e molta gente è costretta ad andarsene perché i biglietti vengono esauriti quasi subito. Mentre aspettiamo il nostro turno per salire notiamo una famiglia Amish (gli amish sono una comunità che rifiutano tutto ciò che riguardano la modernità ed il progresso come l’auto, l’elettricità e vivono come se il tempo fosse fermato nell’800) in coda con noi: evidentemente si tratta di un gruppo che ha scelto di vivere in parte come una famiglia moderna, ma fa lo stesso un certo effetto vederli con i loro costumi, cappelli e pettinature tradizionali, proprio come nei film o in tv.

Partiamo in orario dalla baia e in mezz’ora siamo sull’isola! Qui veniamo accolti dagli addetti che ci danno qualche informazione di servizio e ci consegnano un’utilissima audioguida in lingua italiana che contiene tutta la storia dell’isola e del suo carcere, raccontata dagli ex detenuti e dalle ex guardie della prigione. Apprendiamo così che sull’isola era stata inizialmente costruita una fortezza per difendere la baia di San Francisco dagli attacchi dei pirati, solo successivamente è stata trasformata in una prigione federale per accogliere i più pericolosi criminali dell’ovest americano. Nel 1963 la prigione è stata chiusa per gli elevati costi di gestione e, dopo essere stata utilizzata per qualche anno come prigione per gli indiani d’America ribelli, è stata definitivamente trasformata in una riserva naturale ed è diventata un’attrazione turistica che richiama milioni di persone da tutto il mondo! Oggi l’isola è anche popolata da migliaia di gabbiani che qui hanno trovato un ambiente perfetto per riprodursi e crescere i loro piccoli grazie all’assenza di predatori naturali.

Visitiamo tutto il penitenziario, comprese le minuscole celle, la mensa, i locali destinati alle guardie, la sala del direttore, le abitazioni delle famiglie dei dipendenti, il cortile, le camere di isolamento, ecc. Ci vengono i brividi a pensare che qui veniva rinchiusa tutta la più pericolosa criminalità d’America e, allo stesso tempo, i racconti dei detenuti ci fanno riflettere su come doveva essere dura la vita in un carcere di massima sicurezza, isolati in minuscole celle buie, per la maggior parte della giornata. L’audioguida riporta anche i racconti delle guardie presenti durante i due famosi tentativi di evasione dal carcere, di cui uno finito in tragedia e l’altro apparentemente riuscito, così come viene raccontato anche nel famoso film con Clint Eastwood. Il racconto è veramente realistico e, mentre ti viene raccontata la storia, il nastro registrato ti guida fino alle celle in cui sono stati realmente rinchiusi i fuggitivi e che sono state ricostruite così come si presentavano la notte dell’evasione.

Dall’isola è possibile vedere anche un panorama meraviglioso: tutta la baia di San Francisco dal mare! Questa vista vale da sola la crociera per arrivare all’isola.

Mentre mia moglie girovaga per il penitenziario seguendo il percorso indicato dall’audioguida, io sono rimasto a lungo affacciato sulla terrazza panoramica a guardare le migliaia di nidi di gabbiani, con le mamme che accudiscono i loro piccoli.

La gita dura in tutto due ore, trascorse le quali prendiamo l’ultimo battello che ci riporta verso il molo. Durante il viaggio di ritorno la mia mogliettina mi spiega bene tutto quello che l’audioguida ha spiegato durante la visita. Trascorriamo così chiacchierando tutto il viaggio di ritorno, interrompendoci solo per ammirare il fantastico tramonto nella baia, con l’isola di Alcatraz e il Golden Gate sullo sfondo! Da mozzare il fiato!

Tornati sulla terraferma riprendiamo il cable car fino alla fermata in cima alla via chiamata Lombard Street, la strada più tortuosa del mondo! Si tratta di un percorso molto ripido, costituito da otto stretti tornanti contornati da aiuole fiorite. La percorriamo tutta osservando le macchine mentre cercano faticosamente di muoversi curvando mentre scendono i ripidi tornanti! Facciamo una serie di simpatiche foto da ogni angolazione, compresa una con una vecchia Cadillac Pontiac mentre percorre questa ripida discesa!

Prima di cenare decidiamo di fare una veloce visita da Ghirardelli, la cioccolateria più famosa di San Francisco! Entriamo nel negozio dove ci vengono regalati dei buonissimi cioccolatini! Mia moglie voleva uscire e rientrare per fare il bis… furbettina! Usciamo dopo aver comprato qualche altra confezione di cioccolata per le nostre mamme ed attraversiamo una graziosa piazzetta, circondata da piccoli negozietti caratteristici, dalla quale si gode anche un ottimo panorama sul mare e da dove si vede benissimo in lontananza il ponte rosso e l’isola di Alcatraz!

Dopo questi due giorni mi rendo conto di amare già molto San Francisco! Posso dire che per me è la città più bella del mondo! Ho anche comprato una T-shirt con scritto “I love SF”!

Torniamo esausti nel nostro quartiere dove ceniamo per strada mangiando un ottimo pesce fritto comprato alle bancarelle ambulanti del molo! Ci fermiamo ancora un attimo a dare un’occhiata a degli artisti di strada che dipingono, cantano e ballano per i turisti e poi torniamo stanchissimi in albergo.

12/06/2010 – SAN FRANCISCO – viaggio fino ad Oharkust (310 km)

Oggi è l’ultimo giorno a San Francisco! Come ormai di nostra abitudine, facciamo colazione con cappuccino e ciambelle al Pier 39. Mentre io finisco il mio cappuccino guardando per l’ultima volta i simpatici leoni marini, mia moglie ne approfitta per chiamare a casa e fare gli ultimi acquisti nei negozietti di souvenirs del molo. Dopo una mezz’oretta ritorna con un sacchetto pieno di fragole e ciliegie a dir poco enormi acquistate in una bancarella di frutta sul molo: incredibile, anche la frutta e la verdura in America sono più grandi!

Dopo aver salutato i nostri leoni marini, torniamo in hotel per il check-out e per ritirare le valigie. Prendiamo quindi il bus e ci dirigiamo a Union Square dove si trova l’autonoleggio della Hertz per ritirare l’auto che ci accompagnerà per le prossime due settimane!

Con non poca fatica arriviamo all’autonoleggio: il sole è alto, fa un caldo asfissiante e noi dobbiamo attraversare due isolati a piedi trainando le nostre enormi valigie per arrivare all’agenzia. L’addetto della Hertz, dopo aver controllato i nostri documenti ci accompagna all’auto assegnataci: un’auto ipertecnologica ed elegante! L’incaricato ci spiega che si tratta di un’Infinity, l’equivalente della Nissan in Italia, una berlina con 4 marmitte che si comporta come una macchina sportiva ma allo stesso tempo presenta degli interni tipici di una Bmw!

Ci mettiamo qualche minuto per capire le funzionalità della nuova macchina e soprattutto del navigatore Neverlost che ci sarà utile per uscire dalla città. Inoltre perdiamo un po’di tempo per un inconveniente: non riusciamo a chiudere il baule della macchina… e cosi richiamiamo l’impiegato della Hertz spiegandogli il problema! Inizialmente neanche lui riesce a trovare la soluzione, ma alla fine scopriamo che il baule della macchina resta aperto se si tengono le chiavi nelle vicinanze; se ci si allontana oltre i 10 metri con la macchina spenta, il baule si chiude automaticamente! Un sistema molto ingegnoso contro i furti!

Inizia così il nostro secondo viaggio on the road nel west americano!

Usciamo dalla città con un po’ di difficoltà a causa del traffico, delle autostrade con moltissime rampe e della nostra ancora scarsa praticità con il navigatore. Quando finalmente vediamo l’Oakland Bay Bridge capiamo di essere nella direzione giusta per l’entroterra americano!

Usciamo dalla città verso le 13.00 attraversando questo enorme ponte a due piani, uno per ogni senso di marcia, passando man mano dalla vita movimentata della metropoli agli spazi immensi dei campi di grano, frutta e verdura, interrotti solo ogni tanto da enormi pale eoliche e dalle fattorie!

Passiamo il pomeriggio in auto, fermandoci solo per il pranzo al solito McDonald’s. Il viaggio però non è per niente noioso perché ci divertiamo a provare tutti i dispositivi tecnologici di cui è dotata la nostra auto (sedili reclinabili in ogni direzioni, riscaldati e refrigerati automaticamente, tettuccio apribile, volante regolabile, ecc.), prendiamo famigliarità con il navigatore e riusciamo ad impostare l’indirizzo del nostro prossimo hotel prenotato. A metà strada circa, per la prima volta, prova l’auto anche mia moglie: all’inizio ha un po’di problemi ma poi si diverte come una matta guidare senza il cambio manuale! Durante il viaggio facciamo sosta al Mac Donald e facciamo merenda con le enormi fragole e ciliegie comprate a San Francisco: veramente buone! Di tanto in tanto ci fermiamo a fare qualche foto al paesaggio, così diverso da quello a cui siamo abituati.

Arriviamo alla cittadina di Oakhurst alle 18.00 e ci rechiamo subito al nostro motel Comfort Inn Yosemite Area (40489 Highway 41, Oakhurst, CA, 93644). Si tratta di un classico motel americano, di quelli che si vedono nei film con le stanze disposte attorno ad una piscina e con i parcheggi delle auto davanti a propria camera. Dopo aver sistemato i bagagli decidiamo di rilassarci un po’ nella piscina del motel e con nostra sorpresa scopriamo anche una magnifica vasca idromassaggio! È una meraviglia stare a mollo al tramonto nell’acqua calda dopo tutti quei chilometri in auto, con attorno a te le montagne della Sierra Nevada! Ci restiamo una bella oretta e facciamo anche conoscenza con un’altra coppia ospite del motel, anche se lui parla solo in inglese, chiacchierando riusciamo a capire che si tratta di un marine originario dell’Oklahoma, in viaggio per la Napa Valley per una vacanza con la sua amante!

Dopo una bella doccia, riprendiamo la macchina per andare in cerca di un locale dove cenare.

Dopo aver vagato un po’ in lungo e in largo per questa piccola cittadina troviamo un supermercato Vons ancora aperto e decidiamo fermarci a fare un po’ di spesa per i prossimi giorni. Memori dell’esperienza di Cody, evitiamo accuratamente le schifezze, compriamo un po’di frutta, pane e affettato, acqua, qualcosa per la colazione e un frigo di polistirolo con del ghiaccio che si rivelerà molto utile.

Per cena scegliamo una pizzeria della catena Pizza Factory, dove fanno una pizza discreta, considerando che siamo in America, che somiglia vagamente alle peggiori pizze surgelate italiane! Il locale è semivuoto data l’ora ma è carino. All’esterno del locale c’è una specie di piano bar frequentato da gente del posto che ascolta canzoni country a noi sconosciute. Anche se le canzoni non sono un granché è bello osservare come trascorre la serata la gente del posto, in questo scorcio di vita quotidiana. Restiamo ad ascoltare per un po’ anche noi e ci sembra di far parte di questa tipica cittadina sperduta nell’ovest americano. Ad un certo punto il cantante intona una canzone anche con una bimba del pubblico: davvero carini!

13/06/2010 – Oarkhust-Yosemite National Park-Lone Pine (375 km)

Oggi è il giorno dello Yosemite National Park, il terzo parco più grande dell’America, che ospita alte vette, cascate che precipitano a terra in una nuvola di spruzzi e maestosi monoliti (El Capitan e Half Dome) che si stagliano sullo sfondo di un cielo meravigliosamente azzurro! Il tutto contornato da prati verdi e specchi d’acqua cristallina; un vero paradiso per gli amanti della fotografia!

Dopo un abbondante colazione offerta dal motel, con uova starpazzate, pancake, marmellata, brioches, cereali, ecc., ci dirigiamo verso l’entrata sud del parco che dista solo 24 km dal nostro hotel, sull’interstatale 41.

Utilizziamo la nostra tessera Annual Park Pass fatta a Yellowstone per entrare e, dopo aver ricevuto le varie cartine del parco dai ranger, ci dirigiamo verso Mariposa Grove, la prima tappa della nostra visita di oggi, dove vivono delle sequoie giganti!

Parcheggiamo l’auto e già troviamo una marea di scoiattoli! Buffi e simpaticissimi, e soprattutto molto più grandi rispetto a quelli italiani: qui in America è proprio tutto enorme!

Passiamo due orette a camminare tra questi maestosi alberi alti fino a 300-500 metri! Spettacolare la vista della radice di una sequoia gigante caduta tanti anni fa! Bellissimo anche il tunnel scavato nel tronco di una sequoia per far passare le persone, anche se mi spiace molto per l’albero! Facciamo praticamente quasi tutti i sentieri segnalati, per visitare questi giganti che vivono più di mille anni e sopravvivono agli incendi (come si può notare dalle ferite presenti sulle loro cortecce).

La più grande sequoia che troviamo si chiama General Grant, più alta della Statua della Libertà o di un Boeing 747 messo in piedi, il secondo essere vivente più grande del mondo, secondo solo al famoso General Sherman, un’altra sequoia che si trova al Sequoia National Park, che purtroppo abbiamo dovuto escludere dal nostro viaggio per problemi di tempo.

Altre sequoie famose che troviamo lungo il percorso sono le Bachelor e le Tre Grazie, il Monarch Fallen, il California Tunnel Free e il Grizzly Giant una sequoia vecchia 2.700 anni! Nel bosco troviamo anche delle enormi pigne cadute da questi giganti e mia moglie raccoglie qualche seme da portare a casa come ricordo.

Soddisfatti di questa gita, risaliamo in auto e proseguiamo verso nord, per arrivare a Glacier Point, che raggiungiamo dopo un’ora e dopo una bella salita finale. Questo sito offre una delle vedute più belle del parco; ci si trova pressoché alla stessa altezza dell’Half Dome, e dai numerosi punti di osservazione si ha una panoramica completa del parco. Un detto popolare dice: “Quando sei a Glacier Point, sei il Signore di Yosemite”!

Da qui si riesce a vedere tutta la valle dello Yosemite, una splendida radura verde attraversata dal fiume Yosemite River, che scorre tranquillo nella vallata, raccogliendo le acque degli altri torrenti che scendono dalle montagne circostanti con delle bellissime cascate raggiungibili a piedi attraverso dei sentieri appositamente tracciati. Le principali cascate sono le Yosemite Falls, tra le più alte d’America con un triplice salto di 739 m complessivi, le Bridalveil Falls, chiamata dagli indiani “Pohono” o “Velo di Sposa” per il “velo d’acqua” che crea il vento durante la caduta ed le Vernal Falls.

Le prime due cascate (Upper Yosemite Falls e Lower Yosemite Falls) riusciamo a visitarle anche dalla base percorrendo due brevi trail; l’ultima invece, per mancanza di tempo, ci accontentiamo di vederla solo da lontano.

Attraversiamo tutta la valle dello Yosemite fermandoci di tanto in tanto per scattare centinaia di foto, molte delle quali dedicate al massiccio Half Dome, che si riesce ad ammirare già dal tunnel View. Facciamo una breve visitina anche al Visitor Center (centro visitatori), molto ben tenuto e con un ampia collezione di foto della flora e fauna locale; il personale è molto gentile e disponibile a rispondere a tutte le domande e curiosità dei turisti. All’interno del centro c’è anche un grosso monitor che proietta ad intervalli di mezz’ora un bel filmato dal nome “The Spirit of Yosemite”.

Facciamo anche una sosta per visitare il fiume, che è gelido come tutti i torrenti di montagna, ma che è bellissimo perché riflette le immagini delle montagne circostanti sulla superficie delle sue acque.

Verso il tardo pomeriggio riprendiamo l’auto per uno degli spostamenti più lunghi dell’intero viaggio: la traversata del passo Tioga Road Pass attraverso la Sierra Nevada, fino ad un massimo di 3000 m, per arrivare alla prossima tappa dove passeremo la notte: Lone Pine.

Lungo la strada che porta all’uscita del parco troviamo un bellissimo orso nero investito da uno stupido automobilista. Purtroppo nel parco di Yosemite i limiti di velocità non vengono rispettati come nel parco di Yellowstone, dove ci sono i ranger che vigilano ad ogni angolo, e questi sono i risultati! I ranger erano già intorno all’orso e ci hanno proibito di fermarci e di scendere dalla macchina per curiosare, cosi proseguiamo.

Nel punto più alto del passo troviamo ancora la neve, ma appena iniziamo a scendere dalla Sierra Nevada, il paesaggio cambia rapidamente per passare da un clima di alta montagna a un clima secco e desertico!

Appena usciamo dal parco, dopo aver attraversato degli strapiombi paurosi, prendiamo la Hwy 395, una strada rettilinea e molto monotona che attraversa una interminabile pianura quasi desertica fino a Lone Pine. Per centinaia di chilometri e chilometri non troviamo anima viva!

Facciamo solo una breve sosta per fare benzina a Bishop, l’unico paese trovato lungo tutto il tragitto! La strada è lunga e sembra non finire mai!

Arriviamo a Lone Pine solo verso le 22.00, stravolti e affamati! Troviamo subito il nostro albergo, il Best Western Frontier Motel (1008 S Main Street, Lone Pine CA) classico motel americano, molto carino, con il parcheggio auto proprio davanti la nostra camera. Il paese però sembra uscito da un film horror tipo “Non aprite quella porta”, in giro non c’è anima viva e la cittadina è veramente tetra a quest’ora! I locali per cenare sono già tutti chiusi e vista la zona decidiamo di chiuderci in camera e cenare con pane, salame e i pomodori comprati il giorno prima.

14/06/2010 Lone Pine – Death Valley (Valle della morte) – Pahrump – Las Vegas ( 420 km)

Oggi ci aspetta la tappa più dura e anche più temuta del viaggio: la traversata della Valle della Morte! Avevo letto tanti racconti su internet che riportano tutte le difficoltà di questa tappa soprattutto per la mancanza di rifornimenti per 200 km e per le elevatissime temperature raggiunte durante il giorno in questa valle desertica. Ci svegliamo quindi abbastanza presto per sfruttare il fresco del mattino.

Ci affacciamo al piccolo balconcino della nostra camera per ammirare il paesaggio che non avevamo visto la sera prima con il buio: le camere si affacciano sulla pianura deserta e, data l’ora, in giro non c’è ancora anima viva, si vedono solo di tanto in tanto delle lepri dalle orecchie lunghissime saltellare da un arbusto secco all’altro in cerca di qualche filo d’erba verde da sgranocchiare: un vero spettacolo!

Facciamo la solita colazione americana offerta dal motel e ne approfittiamo per riempirci le tasche di frutta fresca utile per il viaggio. Caricata la macchina partiamo subito verso la Death Valley, per evitare la calura delle ore centrali della giornata. Arrivati all’ingresso facciamo la consueta foto al cartello del parco e ci addentriamo curiosi nella valle.

La Death Valley è un vero e proprio spettacolo della natura, con canyon scavati dall’acqua, dune di sabbia, oasi piene di palme, montagne scolpite dai colori chiari, con mille sfumature. Questa zona detiene diversi record: è il posto più caldo degli Stati Uniti e sul suo territorio si trova il punto più basso d’America (Badwater 86 metri sotto il livello del mare).

Ci fermiamo molte volte durante il tragitto per scattare foto e per vedere i punti di interesse segnalati sulla cartina, tra cui una zona con delle dune di sabbia finissima simili a quelle del deserto del Sahara e una miniera di borace (una sostanza chimica che si deposita quando i laghi alcalini evaporano e che un tempo veniva estratta dai minatori nella valle).

Mia moglie guida interrottamente dalla mite Lone Pine (21°C) fino alla torrida Furnace Creek (42°C) percorrendo la Hwy 190 verso sud, una strada che scende dolcemente, con numerosi tornanti, nella valle attraverso le polverose Panamint Mountains. È una discesa grandiosa, il modo migliore per apprezzare tutto il panorama del Deathy Valley National Park.

Lungo il viaggio, un animale che sembra una specie di ghiottone ci taglia la strada. Mia moglie ferma subito la macchina e io cerco di inseguirlo con la telecamera tra la vegetazione. Sfortunatamente non riusciamo a capire cos’è perché sparisce subito tra le erbacce secche e, visto che sono in ciabatte in mezzo ad una zona abitata anche da serpenti a sonagli e scorpioni neri decido di desistere dopo qualche metro e ritorno in macchina! Che peccato però!

Ad un certo punto ci fermiamo per fare una foto che sognavo da tempo: seduto in mezzo alle due corsie di una tipica strada dell’ovest americano, infinita e rettilinea, ma soprattutto completamente deserta per chilometri e chilometri, che si perde all’orizzonte. Scattiamo tutta una serie di foto che vengono magnificamente bene!

Tutte queste fermate ci fanno perdere un bel po’ di tempo perché non vogliamo perderci niente e di conseguenza, nonostante la levataccia all’alba, verso mezzogiorno ci ritroviamo proprio nel bel mezzo del deserto.

Guidiamo senza aria condizionata per non sovraccaricare troppo il motore della macchina, visto che avevamo letto della facilità con cui i radiatori delle auto si rompono in questa zona, soprattutto se si fanno salite molto ripide e anche perché, in caso di bisogno, la ricezione dei cellulari è praticamente inesistente!

Arriviamo a Furnace Creek, dove fa veramente un caldo bestiale; ci fermiamo per una breve sosta per telefonare e per avere qualche informazione in più sulla storia della valle, illustrata nei cartelloni informativi. C’è anche un pannello che riporta le temperature medie e massime registrate nel corso degli anni nella zona ed è proprio qui che leggiamo che ad agosto le temperature possono arrivare anche a 57°C: incredibile! Questo luogo è praticamente circondato interamente dalle montagne e quindi c’è un continuo ricircolo dell’aria calda che non riesce a fuoriuscire dalla valle; è per questo che di giorno il calore del sole fa aumentare così tanto la temperatura. C’è una forte escursione termica tra il giorno e la notte!

Dopo aver letto anche i cartelli che invitano i turisti a prendere tutte le precauzioni contro il caldo e i possibili colpi di sole, riprendiamo l’auto per scendere verso sud (di circa 27 km) per vedere Badwater, il punto più basso di tutti gli Stati Uniti. Si tratta di un’enorme distesa di terra ricoperta di sale, un tempo occupata da un immenso lago salato. L’effetto che crea questa superficie piatta e bianca è quasi surreale, sembra un paesaggio lunare. è qui che vengono testati i mezzi più veloci al mondo.

Decidiamo di fare una breve passeggiata per arrivare al centro di questo lago e scattare qualche foto. Si tratta di poche centinaia di metri, ma il sole che riflette i suoi raggi sulla superficie bianca è rovente e la temperatura insopportabile; anche pochi passi si trasformano in una fatica smisurata. Mentre ritorniamo indietro mia moglie inizia a sentirsi male e quindi andiamo subito in macchina per riprenderci dal colpo di calore, con frutta e acqua tenuti al fresco grazie al mio geniale frigo di polistirolo! Che spavento però!

Mi metto io al volante per dare il tempo alla mia mogliettina di riprendersi. Lungo la strada ci fermiamo a visitare lo stretto Golden Canyon, che esploriamo solo per metà, e il Devil’s Golf Corse (Campo da Golf del Diavolo), in cui il sale ha dato origine ad un paesaggio di montagne cristallizzate dal profilo seghettato.

Tornando a Furnace Creek facciamo anche una deviazione lungo l’Artist Drive una strada secondaria a senso unico che non ha nulla di particolare, se non per il fatto che si guida attraversando un piccolo canyon.

Arriviamo quindi al centro visitatori, veramente ben tenuto e circondato da palme, dove approfittiamo dell’aria condizionata per qualche minuto mentre visitiamo l’edificio.

Pranziamo verso le 14.00 all’ombra di una palma con cioccolata e frutta. Fa talmente caldo che non ci viene molta fame. I turisti nel parcheggio fanno a gara per trovare un po’ di ombra! Qui è raro ma davvero raro trovare un albero!

Restiamo comunque poco perché la calura è davvero insopportabile e ci dirigiamo verso Dante’s View. Qui è decisamente più fresco perché si tratta di un punto panoramico a circa 1.500 metri di altezza, dal quale si può godere une bellissima vista della valle, da Mount Whitney a Badwater, rispettivamente il punto più alto e il più basso degli Stati Uniti!

Mentre scattiamo le foto, mia moglie viene spaventata da una specie di lucertolone di mezzo metro che scappa via a pochi passi da noi!

Ridiscendendo da Dante’s View ci fermiamo a vedere Zabriskie Point, un altro punto panoramico diventato famoso dopo il film di Antonioni; qui, da un’altura si ha una bella vista su una serie di badlands, dei rilievi dorati che, per effetto dell’erosione, assomigliano ad onde e increspature del suolo.

Verso le 16.00 usciamo dal parco e prendiamo la strada che ci porterà a Las Vegas. Lungo il tragitto ci fermiamo in un brutto paese chiamato Pahrump, pieno di gente strana, macchine abbandonate, vecchie case isolate con staccionate e steccati tutti rotti. Sembra la scena di qualche film horror.

Ad un distributore, l’unico lungo la via principale, troviamo la benzina meno cara del viaggio, 2 dollari al gallone (circa 4 litri), così ci fermiamo solo per una breve sosta per fare il pieno. Nel market store del distributore incontriamo pure un albanese che parla perfettamente l’italiano! Come è piccolo il mondo! è un tipo abbastanza strano che ci insegue per tutto il negozio continuando a parlare. Noi non diamo troppa confidenza, paghiamo il più in fretta possibile e risaliamo veloci in auto per abbandonare questo brutto paese.

Appena usciti da Pahrump prendiamo l’autostrada, che negli Stati Uniti occidentali non è a pagamento, fino a Las Vegas. Avevamo previsto di non fermarci più lungo il tragitto ma, dopo il misero pranzo, la fame ci costringe a fare un’altra veloce sosta per cenare ad un Mc Donald. Riprendiamo poi subito l’autostrada verso Las Vegas.

Già a 30 km dall’arrivo indicato del navigatore, iniziamo ad intravedere le costruzioni di questa mitica città in mezzo al deserto. Riconosciamo l’immensa torre Stratosfere e i contorni dei grandi alberghi dello Strip!

Più ci avviciniamo e più l’emozione sale, mai avremmo immaginato che un giorno ci saremmo ritrovati a visitare la famosa città del peccato vista in moltissimi film come “Notte Brava a Las Vegas” e “Una Notte da Leoni”!

Entriamo quindi in città dal lato ovest, dopo aver percorso qualche isolato della zona più residenziale, ci ritroviamo subito su Las Vegas Boulevard, cioè la famosa Strip, la via più turistica e famosa della città, dove si trovano tutti i maggiori alberghi e casino! Riconosciamo subito i più famosi, il Luxor, il New York, l’Mgm Grand, il Paris, ecc.

Subito dopo aver oltrepassato l’Hard Rock Cafè vediamo il nostro albergo: il mitico Planet Hollywood Resort Casinò. Questo resort è stato uno dei primi ad essere costruito, è famoso per essere stato teatro delle nozze di Elvis Presley nel 1966; ha più di 2.600 camere e più negozi, più ristoranti e più giochi di tutti gli altri hotel di Las Vegas.

Entriamo nel parcheggio sotterraneo dove scopriamo subito uno dei lussi di Las Vegas, il valet parking: accostiamo l’auto e subito arrivano gli addetti che ci scaricano i bagagli, ci danno biglietto con un numero e prendono le chiavi della macchina per andare a parcheggiarla chissà dove. Quando ci servirà di nuovo basterà consegnare il biglietto ad un parcheggiatore che ce la riporterà in un batter d’occhio. Noi, che non eravamo preparati a tutto ciò, ci ritroviamo con l’auto piena di cose e vestiti sparsi ovunque sui sedili posteriori e nel bagagliaio, così raccogliamo tutto velocemente sotto gli occhi un po’impazienti dei parcheggiatori. Un valletto prende dal baule le due valige e se ne va e noi rimaniamo con gli zaini in spalla ed una borsa di plastica con dentro tutta la roba da mangiare acquistata al supermercato. Nella fretta non riusciamo a prendere il sacchetto del ghiaccio che rimane nel frigo di polistirolo dentro all’auto.

Entriamo nella lussuosissima hall con un po’ in imbarazzo: è pieno di gente elegante e noi ci sentiamo un po’ ridicoli in maglietta e calzoncini, sporchi ed impolverati dopo il deserto della Death Valley, con gli zainetti in spalla e due borse della spesa in mano. Cerchiamo di fare il ceck-in il più presto possibile per toglierci dall’imbarazzo. Dopo averci registrato, l’addetto della reception ci chiama un valletto che mi toglie lo zaino dalle mani e ci accompagna nella nostra camera. Saliamo ai piani superiori con un’ ascensore gigantesco, dalle pareti dorate, con degli schermi sul soffitto che proiettano video musicali e la musica che si diffonde ad alto volume.

Dopo aver percorso qualche corridoio entriamo nella nostra camera con una tessera magnetica e diamo la mancia al cameriere: ci sembra di essere in un film! Rimaniamo a bocca aperta nel vedere la nostra camera: ci hanno dato una camera al 78° piano con una vista a dir poco spettacolare sulle mitiche fontane del Bellagio, incredibile, dove possiamo vedere il famoso spettacolo delle fontane danzanti e tutti i più famosi hotel della Strip comodamente seduti sulla poltroncina sistemata vicino alla finestra della nostra stanza! Il bagno con la doccia è enorme, il letto pure e sulla parete c’è una mega tv al plasma da 42 pollici, che in verità non useremo quasi mai, tranne che per controllare il nostro conto; dalla tv è infatti possibile visualizzare quello che si spende per gli eventuali servizi in camera utilizzati, veramente molto comodo!

Facciamo una bella doccia rinfrescante, ci vestiamo in modo più adeguato e ci buttiamo subito nel caos della Strip, che è affollatissima, nonostante non sia neanche il weekend!

Per prima cosa visitiamo il New York, una megalopoli in miniatura con copie in scala degli edifici più famosi della Grande Mela, tra cui la Statua della Libertà, L’Empire State Building, il Chrysler Building e il Ponte Brooklyn, adibito in questo caso a passaggio pedonale. Qui facciamo un giro su delle montagne russe da capogiro, il Manhattan Express Rollercoaster, che simulano gli aerei da combattimento in volo attraverso i palazzi di New York. Questo giro ci toglie in un baleno praticamente tutto il sonno e la stanchezza della giornata!

Visitiamo poi il MGM Grand, di fronte la quale si erge la più grande statua di bronzo degli Stati Uniti, alta 13,5 metri e pesante 45 tonnellate; questa statua raffigura un leone perché in questo resort è presente un casinò dove ci sono dei leoni rinchiusi dentro una gabbia in pexiglass che gironzolano tranquilli mentre gli ospiti giocano.

Molto suggestivo anche il resort Paris che evoca l’atmosfera brillante della Ville Lumiere e cerca di riprodurre le suggestioni della capitale francese ricreandone i principali monumenti: vediamo infatti le accurate ricostruzioni dell’Opera, dell’ Arco di Trionfo, degli Champs-Elysées e persino un tratto della Senna. Il fiore dell’occhiello di questo casinò è la riproduzione della Tour Eiffel.

Camminiamo a lungo per la Strip osservando ammirati tutto ciò che ci circonda, insegne luminose, hotel superlussuosi, casinò, negozi che vendono di tutto, gente in abito da sera che cammina a fianco di ragazzi in pantaloncini corti e infradito, persone travestite da personaggi famosi che scattano foto con i turisti, sembra davvero di essere in un altro mondo, un immenso parco giochi aperto 24 ore su 24.

“Il senso dell’ “oltre”, l’essere umano l’ha toccato poche volte nella sua straordinaria storia. Accese il fuoco, creò la ruota, si impadronì dell’energia, trasmise informazioni, conquistò la luna e poi … fondò Las Vegas.

In mezzo a chilometri quadrati di arido deserto sorge dispotica e impetuosa questa realtà. L’esempio dell’eccesso è concentrato in questo “buco nero al contrario” che per 5 chilometri coinvolgerà ed esalterà i vostri sensi. Può piacere o no, ma qualsiasi sia il vostro paradigma di vita in questo luogo, dicendolo alla Immanuel Kant, è Sublime… Nel senso che dona stupore a chiunque lo osservi, quello stupore che stuzzica i neurotrasmettitori e si insidia nella vostra mente emozionandola e coinvolgendola. Nulla di etico vi è in questo luogo, ma è tutto così sublimatico, tutto inaspettatamente “oltre” ogni più logica previsione. Vi aspettate le luci, ma sono geometrie luminose, che compiono vertiginose piroette strappandovi sguardi estasiasti e vuoti percettivi, vi aspettate strutture grandi e belle, ma sono concentrati di arte costruttiva senza uno stile preciso, nei quali la perfezione è quella di un Brunelleschi, i colori di un Michelangelo, l’invenzione di un Leonardo. Sono esseri umani quelli che li hanno realizzati ed è questo che stupisce e che li accomuna agli immortali di ogni tempo. Vi aspettate fontane e mentre osservate la perfezione, zampilli si alzano in cielo accompagnati da luci bianche, musiche tambureggianti e coreografie danzanti stupefacenti ed in sincronia celeste. Vi aspettate dei casinò e vi ritrovate a girovagare sotto quei cieli artefatti, affreschi rinascimentali, colonne romane, statue egizie, tombini fumanti, canali navigabili e tutto intorno scintillanti e tintinnanti macchine infernali che catturano gli avventori e li incollano al loro destino di giocatori. Vi aspettate prezzi da nababbi e vi ritrovate per qualche dollaro di fronte a buffet paradisiaci dove crostacei e lasagne vi illumineranno il palato e vi rinfrancheranno del tanto cammino.

Questa è Las Vegas, un posto unico al mondo, anzi l’unico posto al mondo dove l’uomo ha realizzato qualcosa di diverso, ha imposto la sua presenza, ha urlato al cielo di esserci anche lui, con la sua intelligenza o la sua stupidità, con la sua arte o grettezza, meraviglia, buio e colore, ricchezza e povertà, realtà e inganno. Bisogna vederla per rendersi conto cos’è l’uomo e cosa può riuscire a fare, a superarsi continuamente, a toccare il cielo per poter naufragare in basso, a rendere diversa la sua esistenza piatta ma che neanche la morte potrà spegnere la sua luce”.

Dopo questo lungo pensiero filosofico ritorno al nostro racconto.

La stanchezza comincia a prendere il sopravvento e quindi torniamo nel nostro hotel. Rientrando passiamo per il casinò del nostro albergo per vedere com’è. Come tutte le altre case da gioco della città è formato da enormi saloni dalle pareti dorate, con centinaia di slot macchine, tavoli da poker, black jack, roulette, ecc. con bellissime ragazze croupier.

Visto che al nostro arrivo alla reception ci hanno dato un buono da 20 dollari, decidiamo di provare a giocarlo. Chiediamo alla cassa e ci spiegano che per poter usufruire del buono dobbiamo prima giocare e vincere almeno 7 volte, così proviamo a giocare 5 dollari alle slot macchine. In realtà non abbiamo mai giocato a questo gioco neanche in Italia e quindi all’inizio schiacciamo i tasti un po’ a caso e… incredibile! Grazie a una giocata di mia moglie vinciamo 246 dollari tutti in una volta! Un vero colpo di fortuna da principianti! Ancora un po’ scettici ci rechiamo alla cassa con il tagliando; quì la commessa si complimenta con noi e ci consegna i contanti. Niente male per essere la prima giocata della nostra vita! Vista l’ora decidiamo di non sfidare ulteriormente la sorte per non rischiare di perdere tutto e andiamo a letto.

15/06/2010 LAS VEGAS

Oggi ci concediamo il lusso di dormire fino alle 10.00 di mattina visto che non useremo la macchina ma gireremo a piedi per visitare meglio la città.

Facciamo colazione in camera con degli enormi muffin al cioccolato e succo di frutta comprati la sera prima e poi ci ributtiamo di nuovo nella Strip di Las Vegas! Belli riposati e pronti per iniziare il giro degli hotel più famosi!

Iniziamo dall’estremità nord della Strip,dopo aver preso i mezzi pubblici, con la famosa Stratosphere Tower per ammirare dall’alto lo spettacolare panorama a 360° sulla città e provare le tre terrificanti attrazioni in cima della torre: la giostra “Big Shot”, una sorta di “torre sulla torre” che ti lancia in alto per poi farti scendere sfidando la forza di gravità, “The Insanity”, un braccio meccanico che ti porta nel vuoto ad oltre 300 metri di altezza al di fuori delle ringhiere di protezione e gira su se stesso, e “Xscream”, una terrificante altalena che oscilla nel vuoto a 50 km all’ora e ti dà l’impressione di cadere nel vuoto a 300 metri di quota!

Dopo aver osservato alcuni pazzi che si fanno lanciare nel vuoto dalla torre attaccati ad un elastico e aver pranzato con pizza e coca ad un bar, lasciamo lo Stratosphere per dirigerci al secondo resort, a tema orientale: The Sahara!

Qui proviamo le montagne russe più veloci del mondo che finiscono con una impressionante salita su dei binari in verticale per poi ripercorrere tutto il percorso al contrario: il “Nascar Rollercoaster”! Non adatto per deboli di cuore!

Visitiamo poi il più grande circo permanente del mondo dentro al resort Circus Circus.

All’uscita ci concediamo una rinfrescante granita servita in un gigantesco bicchiere alto mezzo metro con tanto di cannuccia della stessa lunghezza.

Poi è la volta del Mirage, dove la principale attrazione è un finto vulcano costruito proprio davanti all’albergo che, dopo il tramonto, erutta ad ogni ora con tanto di boati immensi, finta lava e fuoco; questo resort ospita anche un piccolo zoo con tigri e leoni bianchi, alpaca, leopardi e delfini! Lo visitiamo anche se a dire la verità non si tratta di un bello spettacolo perché gli animali si trovano in gabbie abbastanza piccole e non sembrano molto felici di vivere con questo caldo e circondati da tutto il frastuono dei turisti e della città!

Mentre usciamo dal Mirage sentiamo dei colpi di cannone che annunciano l’inizio dello spettacolo organizzato dal Treasure Island; ci rechiamo in fretta davanti all’hotel, dove assistiamo ad un bellissimo musical che racconta di uno scontro tra le sirene e un galeone di pirati! Anche se non capiamo proprio tutte le battute, i ballerini sono molto bravi e riusciamo facilmente ad intuire il senso della storia. Alla fine la battaglia è vinta dalle sirene e la nave pirata viene fatta realmente affondare tra colpi di cannone e spruzzi d’acqua nella piscina dell’hotel! Assistiamo a tutto lo spettacolo entusiasti! Davvero bellissimo!

Passiamo poi al The Venetian, che si ispira a Venezia con tanto di gondole e riproduzioni a grandezza naturale di Piazza San Marco e del ponte Rialto, e al Luxor, che si ispira all’Egitto dei faraoni; quest’ultimo hotel è costituito da una piramide di 30 piani, rivestita completamente in vetro scuro. Al Luxor si trova la hall più grande del mondo e sulla punta della piramide si trova un potentissimo fascio di luce che gli astronauti vedono addirittura dallo spazio! Entriamo incuriositi per scoprire che ogni gradone della piramide costituisce un piano dell’hotel e tutte le camere si affacciano verso la hall interna con dei balconcini. Senza accorgercene usciamo dalla parte opposta e voltandoci, ci ritroviamo proprio ai piedi di una enorme riproduzione della Sfinge in pietra! Bellissima!

Vediamo anche il Caesars Palace, un fantastico edificio costruito in stile greco-romano. Riusciamo ad ammirare quest’ultimo resort solo dall’esterno perché ci accorgiamo che sta per arrivare il tramonto e quindi ci affrettiamo a raggiungere il Bellagio per ammirare il bellissimo spettacolo delle fontane danzanti con luci e spruzzi a tempo di musica. Quest’ultimo hotel è stato costruito cercando di riprodurre una sponda del lago di Como e lo spettacolo delle fontane si svolge proprio in un’enorme piscina davanti all’hotel, che ricorda proprio il famoso lago italiano. Si tratta dell’albergo più lussuoso di Las Vegas.

L’ultimo hotel che visitiamo, quello che meno ci colpisce a dire la verità, è l’Excalibur, una riproduzione di un castello colorato che cerca di ispirarsi al Medioevo, alle gesta di Re Artù.

16/06/2010 Las Vegas – Zion National Park – Bryce Canyon Resort

Ci svegliamo un po’ stralunati per le ore piccole fatte la sera prima e ci prepariamo per un viaggio di 3 ore che ci porterà ad abbandonare il Nevada per entrare nello stato mormone dello Utah, attraversando una piccola parte dell’Arizona, fino alla prossima tappa del nostro viaggio: lo Zion National Park.

Per arrivare in questo parco percorriamo l’autostrada Hwy 15 fino alla città di San George per poi uscire e percorrere la statale Hwy 9 fino a Springdale e da qui entriamo al parco spostando in avanti di un’ora il nostro orologio per il fuso orario tra il Nevada e l’Utah.

Il parco non è visitabile con l’auto ma fortunatamente dispone di bus a propano gratuiti, che attraversano il parco ed effettuano tutte le fermate disponibili per effettuare i trail.

In un lampo dal caos e le luci di Las Vegas alla pace e alla natura incontaminata dello Zion… più i giorni passano e più ci rendiamo conto che il nostro viaggio di nozze si sta trasformando da un semplice “bel viaggio” a un “viaggio veramente memorabile”!

Le rocce bianche, rosa e rosse di Zion sono talmente gigantesche, maestose da lasciarci ancora una volta sbigottiti! Il tutto incorniciato da un cielo azzurrissimo!

Nel parco si snodano 160 km di sentieri escursionistici che vanno dalle passeggiate più tranquille alle escursioni a piedi più impegnative, alcune delle quali prevedono anche il pernottamento in tenda.

Il trekking più popolare è quello nella zona di Narrows, un percorso di 16 km attraverso alcuni suggestivi canyons lungo il corso del Virgin River. Spettacolare anche l’impegnativo trekking Angels Landing che fa venire le vertigini, con delle straordinarie vedute sullo Zion Canyon. Il cuore del parco è lo Zion Canyon, una valle lunga 8 miglia, scavata dal fiume Virgin. Il nome del parco, Zion appunto, sembra che sia stato dato da alcuni mormoni, che ritenevano di aver trovato in questo luogo la “Sion” descritta dal profeta Isaia nella Bibbia.

Una volta entrati nel parco decidiamo di lasciare l’auto al parcheggio del centro visitatori. Mentre aspettiamo il bus mangiamo qualcosa seduti su un prato all’ombra di un albero.

Dopo il breve pic-nic, prendiamo una delle navette e decidiamo per prima cosa di andare fino alla fine del parco e di scendere all’ultima fermata (Tempio di Sinawava). Da qui iniziamo una piacevolissima passeggiata di mezz’ora (Riverside Walk), che ci porta fino alle gole del Zion Canyon… veramente fantastico!

Questa zona è piena di enormi scoiattoli rossi che ci vengono incontro senza paura! Sono talmente abituati alla presenza dell’uomo che ad un certo punto, mentre riprendo il paesaggio con la mia telecamera, uno si avvicina talmente tanto da passarmi in mezzo alle gambe! Io sono così intento a filmare che non me ne accorgo ed inciampo, facendogli fare una bella capriola! Per fortuna il piccolo animaletto non si fa niente anche se rimane a guardarmi sbigottito come a dirmi “Che diavolo stai facendo?” prima di scappare a zambe levate nel sottobosco.

Arrivati alla fine del percorso troviamo il fiume Virgin. Da qui inizia un lungo trail da percorrere i piedi nell’acqua, nel letto del fiume, lungo le gole Narrows. Purtroppo l’acqua è molto fredda e noi non siamo attrezzati per camminare a lungo in acqua; inoltre non abbiamo molto tempo a disposizione nella nostra tabella di marcia. Un po’ a malincuore, rinunciamo così a percorre le gole Narrows guadando il fiume!

Riprendiamo lo shuttle-bus e ci fermiamo a Weeping Rocks. Qui decidiamo di fare il trail che porta a tre piscine naturali: le Lower, Middle e Upper Emerald Pool. Percorriamo un breve sentiero in salita che ci porta fin sotto alla prima piscina: da qui, per passare oltre occorre attraversare uno stretto percorso sotto ad una cascata d’acqua: davvero molto bello!

Insieme raggiungiamo le prime due piscine: due splendide pozze d’acqua cristallina scavate nella roccia. A questo punto, vista l’ora tarda, decido di proseguire da solo verso l’ultima piscina: la Upper Emerald Pool. La mia mogliettina, più lenta di me in montagna, inizia invece a scendere verso valle per aspettarmi alla fermata del bus.

Proseguo così da solo alla ricerca della terza piscina. Mi rendo conto quasi subito che il sentiero è più lungo del previsto; mentre proseguo inizio a chiedermi se ho fatto bene a proseguire visto che il sole inizia a calare e in giro non si vedono altri turisti. I cartelli che avvertono di stare attenti ai Mountain Lion (puma di montagna) non mi fanno stare di certo più tranquillo.

Finalmente dopo circa 25 minuti arrivo alla terza piscina naturale. Qui trovo ancora qualche altro turista ritardatario come me. Appena giro l’angolo però mi trovo davanti agli occhi uno dei panorami più belli mai visti: da qui si vede un fantastico scorcio della valle e delle montagne dello Zion con i colori del cielo rosso fuoco del tramonto: stupefacente!

Verso le 19.00 siamo di nuovo insieme al parcheggio del centro visitatori per riprendere la nostra auto e metterci alla ricerca dell’hotel dove passeremo la notte. Ci arriviamo stravolti verso le 21.00 dopo un bellissimo viaggio attraverso una delle strade panoramiche più belle al mondo: la Mount Carmelo Zion!

L’hotel che abbiamo scelto, il Bryce Canyon Resort, si trova molto vicino al prossimo parco che visiteremo l’indomani. Dopo aver sistemato velocemente le nostre cose ci mettiamo alla ricerca di un posto dove cenare. Non molto lontano dal nostro albergo troviamo una Steak-House: il posto è molto caratteristico, molto “americano”. Ceniamo con due belle bisteccone morbide cotte alla brace, patatine fritte e gamberi impannati.

17/06/2010 Bryce Canyon National Park – Moab (542 km)

Oggi decidiamo di dividere la giornata in due parti: la mattina la dedichiamo a visitare il Bryce Canyon National Park e il pomeriggio invece lo dedichiamo al viaggio che ci porterà fino a Moab, attraverso le panoramiche strade Scenic Byways UT-12 e UT-24 che attraversano parte del parco Capitol Reef.

Il parco Bryce Canyon si trova praticamente a 4 km dal nostro hotel, quindi troviamo quasi subito il cartello d’ingresso dove ci fermiamo per fare le foto di rito.

Questo parco è facile da visitare perché è attraversato da un’unica strada senza uscita. Noi decidiamo di iniziare dalla fine del parco nella zona di Rainbow Point e Yovimpa Point. In questa zona percorriamo anche un facile trail (Bristlecone Loop) di 1 km circa, che permette ai turisti di fare una breve passeggiata tra i boschi di pini!

Passiamo cosi la mattinata a visitare tutti i punti panoramici segnalati sulla mappa, riattraversando il parco fino all’uscita.

Bryce Canyon è caratteristico per la presenza degli “hoodos”, delle formazioni rocciose molto belle, simili a dei grattacieli di pietra, modellate nei secoli dagli agenti atmosferici. Tra i punti panoramici più belli che abbiamo visto ricordiamo il Sunset Point e il Sunrise Point, dal quale si possono ammirare migliaia di “hoodos”, guglie e pinnacoli dal colore rosso mattone intenso che crea un incredibile contrasto con il colore verde dei pini circostanti. Pare che al tramonto lo spettacolo sia ancora migliore, per la tonalità di un rosso più intenso.

Tutti i punti panoramici del parco sono abbastanza simili tra loro. Quello forse più famoso resta il punto da cui parte il popolare sentiero che porta dalla cima alla base degli “hoodos”, il Navajo Loop Trail: uno spettacolare e faticoso percorso ad anello che scende nel Bryce Canyon, ne attraversa tutta la valle, con un sentiero alla base degli “hoodos”, per poi risalire dal lato opposto. I nostri tempi sono sempre strettissimi, decidiamo comunque di percorrerne almeno una parte per scendere, tramite un sentiero a zig zag incastrato in un stretto canyon, fino alla base degli “hoodos” per ammirarli anche dal basso: davvero spettacolari! Dopo la dura salita, che ha messo a dura prova la mia mogliettina, decidiamo di fermarci a riprendere fiato e ne approfittiamo per un pranzo al sacco a base di melone, salame e pomodori, in un’area pic-nic attrezzata tra le pinete: un pranzo originale insieme alle tante famiglie americane in gita qui!

Finita la visita di questo parco, verso le 14.30 iniziamo il lungo spostamento per arrivare a Moab. Percorriamo delle strade veramente spettacolari e ci fermiamo spesso per fare foto agli spettacolari panorami che incontriamo. La stanchezza inizia a farsi sentire, così ci alterniamo alla guida e, per la prima volta dall’inizio della luna di miele, mi addormento in macchina.

Una volta percorse le due strade panoramiche decidiamo di imboccare l’autostrada Hwy 50 che attraversa un suggestivo altopiano dello Utah fino al bivio per la statale Hwy 191 che ci porta fino alla città di Moab, una tappa scelta per la vicinanza a due famosi parchi: Arches National Park e Canyoland.

Questa città, nascosta tra le montagne, costeggia il fiume Colorado; si tratta dell’ultimo tratto in cui è possibile ammirare questo famosissimo fiume da vicino, prima che si “inabissi” nel canyon più famoso al mondo: il Grand Canyon. Anche noi ci avviciniamo alla sua riva per vederlo e toccare le sue acque: sembra quasi impossibile trovarsi così vicino a questo fiume famoso in tutto il mondo!

Alloggiamo al Moab Valley Inn (711 South Main Street ) e una volta scaricati i bagagli riprendiamo la macchina per cercare un posto dove trovare qualcosa da mangiare. Optiamo per una cena veloce da Pizza Hut, per poi tornare subito in hotel stanchi morti.

18/06/2010 Moab – Dead Horse Point State Park – Arches National Park – Moab (200 km c.a.)

Questa mattina ci riempiamo la pancia con la mega colazione continentale compresa nel prezzo della camera; quindi ripartiamo belli freschi, riposati e carichi per visitare questa parte dell’Utah nord-orientale.

Partiamo per la volta del Dead Horse Point State Park, dove purtroppo la nostra tessera annuale per i parchi non è valida essendo un parco privato.

Quello che vediamo in questo parco però è incredibile: in mezzo a questa distesa infinita di canyon, si vede lui, il fiume Colorado, in tutto il suo splendore! Il punto più bello è quello in cui questo famoso fiume forma un enorme meandro incassato nelle rocce del profondo canyon: che splendore! Anche oggi questo viaggio ci ha regalato panorami mozzafiato ed emozioni meravigliose!

Il nome di questo parco deriva da tante leggende di cui una di queste è un leggenda indiana che racconta che i cow boys usavano questo pavimento di roccia (mesa), delimitato a 50 mt più in profondità dal fiume Colorado, come recinto naturale del bestiame. E tante volte richiudevano qui anche le loro mandrie di cavalli, ed una di queste volte, senza una spiegazione, lasciarono per troppo tempo i loro cavalli nel recinto senza acqua. Questi animali rimasero così in questo luogo sperduto fino a quando morirono di sete, con gli occhi rivolti verso il fiume che scorreva a soli 50 metri sotto di loro, così vicino eppure impossibile da raggiungere! Da qui il nome “Dead Horse Point”, punto del cavallo morto.

Questo posto è diventato famoso per essere comparso in numerosi film famosi; a Dead Horse Point sono stati girati la parte finale del film “Thelma e Louise” e altri film come “Mission Impossibile II”.

Il Dead Horse Point State Park non è molto grande e quindi impieghiamo solo due ore a visitarlo. Vista l’ora decidiamo di rinunciare al parco Canyoland perché nel pomeriggio ci aspetta un altro famoso parco e nei prossimi giorni visiteremo comunque il canyon in assoluto più famoso di tutti, il Grand Canyon; e stando ai i racconti su internet e sulle guide i due parchi sono simili.

Torniamo quindi a Moab per pranzare. Prima di arrivare in città ci fermiamo per fotografare una curiosa duna di sabbia rossa alta una ventina di metri in mezzo alle pareti di roccia. Cerchiamo di arrivare in cima ma la salita è troppo ripida ed essendo in infradito non si riesce a camminare su quella sabbia rovente! C’è una marea di persone attorno a questa duna che sembra essere stata portata qui direttamente dal deserto. I turisti sono soprattutto giovani di uno stesso gruppo; siccome tutti hanno delle magliette con scritto “Ucla” immagino siano probabilmente ragazzi universitari della famosa università della California.

A Moab pranziamo da McDonald perché il cibo in Utah, come del resto in quasi tutta l’America non è un granché. Ne approfittiamo inoltre per restare un po’ al fresco, dopo il caldo della mattinata… In realtà stiamo fin troppo al fresco! Gli americani hanno infatti l’abitudine di tenere l’aria condizionata sempre a manetta: i locali in America sembrano delle vere e proprie celle frigorifere!

Visto che intendiamo visitare il prossimo parco verso sera, per sfuggire alla calura e per ammirare il famoso Delicate Arch al tramonto, dopo pranzo ci dedichiamo per qualche ora allo shopping. Lasciata la macchina passeggiamo a piedi per questa graziosa e tranquilla cittadina turistica. Le cittadine nell’ovest dell’America sono tutte abbastanza simili: hanno una strada principale piena di negozi, alloggi e punti di ristoro e delle strade secondarie, parallele alla principale, dove ci sono le case dei residenti. Sembra tutto in ordine e gli spazi non mancano mai. Entriamo in qualche negozietto per comprare qualche souvenirs e le famose targhe americane degli stati in cui siamo stati.

Alle 16.00 partiamo per l’Arches National Park, famoso in tutto il mondo per i suoi millenari archi di pietra modellati così nei secoli grazie all’azione del vento.

Facciamo la solita foto di rito al cartello d’ingresso e proseguiamo inerpicandoci per una strada in salita, da dove si può ammirare, in lontananza, il fiume Colorado e la cittadina di Moab.

Ci fermiamo in tutti i punti di interesse segnalati sulla cartina del parco, per delle brevi escursioni a piedi che portano alle particolarissime formazioni rocciose caratteristiche di questo parco. Scattiamo migliaia di foto, lasciando l’arco più famoso per ultimo in attesa del tramonto.

Bello il sentiero a piedi che porta alla Balanced Rock, un enorme masso sostenuto solo da una sottile pinnacolo di roccia.

Percorriamo anche il Devil’s Garden, un sentiero a piedi di 4 km circa, che ci porta a vedere molti archi e dei panorami mozzafiato. Cominciamo con il Tunnel Arch, per poi proseguire con il Broken Arch e lo Skyline Arch, fino ad arrivare all’arco naturale più lungo e ampio del mondo: il Landscape Arch. Quest’ultimo arco è talmente sottile che si prevede sarà il prossimo a crollare, sotto l’azione degli agenti atmosferici, nei prossimi anni.

Mentre mia moglie ritorna verso l’auto, io mi attardo qualche minuto a guardare questa meraviglia; sono talmente incantato da queste opere d’arte della natura da non accorgermi di essere molto vicino ad un gigantesco formicaio: in pochi secondi mi ritrovo accerchiato da enormi formiche rosse con delle mascelle veramente fuori dal comune! Mi dirigo anch’io a gambe levate verso l’auto!

Proseguiamo, visitando molti altri archi lungo la strada, fino al parcheggio Wolfe Ranch, da dove parte il sentiero per l’arco più fotografato e più bello del mondo: il Delicate Arch.

Questo trail dura circa un’ora ed è tutto in salita. È abbastanza faticoso ma quello che vediamo alla fine ci fa capire che ne vale veramente la pena! Mentre proseguiamo per il sentiero incontriamo molte altre persone che come noi si recano all’arco per il tramonto. Quando finalmente arriviamo alla fine del percorso, dopo un tratto un po’ pericoloso a strapiombo su di un burrone, ci troviamo davanti ad un paesaggio davvero meraviglioso: un arco naturale, grande quanto la statua della libertà, si erge da solo in mezzo ad uno spiazzo roccioso che sembra un’arena creata apposta per lui!

Restiamo un po’ sbalorditi dalla quantità di gente che si è riunita qui per assistere al tramonto: certo ci aspettavamo di trovare dei turisti in questo posto così famoso, ma non così tanti! Sotto all’arco si sono radunati per un a foto circa 100 giovani! Capiamo il motivo di tutto questo caos solo quando ci si avvicina un ragazzo del gruppo e ci spiega che la maggior parte della gente presente fa parte di un gruppo di turisti di un viaggio per studenti organizzato su internet. Restiamo qualche minuto a chiacchierare con questo giovane che ci dice di essersi interessato a noi dopo aver visto il mio cappello con la scritta “Baci & Abbracci” e di aver capito che siamo italiani: ci racconta infatti di amare molto l’Italia e di averci passato parecchio tempo per studiare la lingua. Dopo aver salutato il nostro nuovo amico, ed esserci scambiati i nomi per Facebook, ci sediamo un po’ in disparte per assistere allo spettacolo del sole che tramonta e ci mostra, man mano che scende verso l’orizzonte, dei colori meravigliosi che spaziano dal rosso fuoco al giallo tenue fino al bianco rosastro delle rocce! Scattiamo tantissime foto, tra le migliori del nostro viaggio.

Entusiasti per il posto decidiamo di restare fino a quando diventa buio. Quando finalmente tutta la marea di giovani se ne va ci avviciniamo all’arco e riusciamo a scattare delle foto davvero belle, con noi due a malapena visibili, rispetto all’immensità di questa meraviglia della natura!

Restiamo talmente affascinati da questo posto che quando decidiamo di ritornare verso la macchina è già quasi buio ed è rimasta solo una coppia con noi nell’immenso spiazzo. Ripercorriamo il più in fretta possibile il sentiero, cercando di scorgere il percorso in mezzo all’oscurità. L’unica fonte di luce è quella di un’immensa luna piena e delle torce di alcuni turisti, ritardatari come noi ma più previdenti. Seguendo i turisti con le pile riusciamo a raggiungere la strada asfaltata quando ormai è buio pesto ed in giro non c’è più nessuno! Con un po’ di paura iniziamo a camminare lungo il bordo della strada alla ricerca della nostra macchina! Dopo circa dieci minuti di cammino nel buio pesto riusciamo finalmente a trovarla. Torniamo quindi più sollevati a Moab per cenare e per passare la notte.

19/06/2010 Moab – Monument Valley (215 km)

Oggi abbiamo in programma di visitare la Monument Valley, una vera e propria icona degli Stati Uniti Occidentali!

Ci svegliamo alle 8.30 e, dopo aver caricato l’auto, ci rechiamo alla reception per riconsegnare le chiavi e per consumare la colazione continentale compresa.

Lasciamo quindi la graziosa cittadina di Moab e ci dirigiamo lungo la Hwy 191 verso sud fino alla città di Bluff.

Lungo la strada il paesaggio cambia, passando da una zona prevalentemente montuosa a verdi pianure con i pascoli,e dopo la cittadina di Monticello, per ritornare poi ad un paesaggio arido con le famose rocce della Monument Valley.

Durante il tragitto ci imbattiamo in una parete rocciosa con un’enorme scritta bianca “Hole in the rock”; visto però il tempo sempre contato decidiamo di non fermarci e di proseguire verso la Monument Valley. Scopriremo poi su internet che si tratta di una casa interamente scavata in una caverna, costruita da due pazzi americani che hanno deciso di trasferirsi qui per far fortuna creando un’attrazione per i turisti di passaggio: solo in America può capitarti di trovare cose del genere!

A Bluff ci fermiamo in un area pic-nic quasi deserta per consumare un veloce pranzo, in compagnia di un rude messicano che schiaccia un pisolino su una panchina, prima di entrare nel territorio degli indiani Navajo. Dopo riprendiamo il viaggio imboccando la Hwy 163 e dopo aver superato la cittadina di Mexican Hat, iniziamo a scorgere i primi splendidi scorci delle guglie del parco.

Il “Far West” che tutti si aspettano, quello dei film con Clint Eastwood e John Wayne, si trova qui, alla frontiera fra Arizona e Utah, una superficie di 120 km quadrati diventata zona protetta dal 1960 e appartenente alla riserva Navajo.

Gli indiani Navajo possiedono un vero e proprio “stato nello stato”, in territorio americano, con le proprie leggi e usanze; dove alcune famiglie di indiani vivono ancora, secondo le vecchie tradizioni, in hogan, capanne di legno ricoperte da rami e fango, pascolando greggi di pecore e dedicandosi a lavorazioni artigianali di gioielli e tessuti. Essendo il parco in territorio indiano, anch’esso è gestito dai Navajo. Qui la nostra tessera per i parchi nazionali non è valida e dobbiamo perciò pagare 10 dollari d’ingresso.

La Monument Valley è una località veramente eccezionale! Si tratta di una vasta depressione steppica e desertica, a 1700 metri di altitudine, dalla quale si innalzano enormi monoliti dalle forme più strane che raggiungono anche i 600 metri di altezza. Le rocce hanno una gamma di colori vivissimi che vanno dal rosa al viola, che vengono esaltati ancora di più alla luce del tramonto. Ad ogni monolite è stato attribuito un nome, in base alla forma o alla posizione, che serve solo come punto di riferimento. Il clima è quello tipico del deserto, ma, data l’altitudine, in inverno nevica e spesso le strade vengono chiuse. La valle si è formata 70 milioni di anni fa quando il mare del Golfo del Messico arrivava a coprire queste zone. In seguito all’innalzarsi delle terre, l’acqua si ritirò e lasciò una vasta prateria dove spaccature e crepacci si offrirono all’opera modellatrice dell’erosione del vento, dell’acqua e del gelo.

Tornando a noi, decidiamo di portare le nostre valigie in albergo prima di entrare nel parco. Fortunatamente il nostro hotel si trova praticamente davanti al parco ed è il più famoso della zona, il Goulding’s Lodge. La storia narra che Harry e Mike Goulding, nel 1923, vennero da queste parti e vi si stabilirono per il resto della loro vita gestendo un “trading post”, il negozio utilizzato ancor oggi dagli indiani per vendere i loro prodotti artigianali.

Questo albergo è spettacolare perché è dotato di camere con balconcino con vista sulla Monument Valley. Davvero stupendo! Il ristorante si trova su una sporgenza di roccia e ha una veduta spettacolare sulla valle!

Dopo il check-in e dopo aver portato le valigie in camera si sentiamo pronti per entrare nel famoso parco.

Una volta entrati ci dirigiamo subito nel centro visitatori per vedere il museo del parco e per informarci sulle escursioni che si possono fare.

Dal centro visitatori, una strada panoramica sterrata e accidentata compie un percorso circolare di 27 km offrendo incantevoli vedute panoramiche della valle. Si può percorrerla con un mezzo privato oppure partecipare a un tour organizzato che costa circa 55 dollari.

Noi decidiamo di andarci per conto nostro e così ci inerpichiamo con l’auto lungo questo percorso, divertendoci ad evitare le enormi buche, tra dossi, avvallamenti e dune polverose. Ci fermiamo in ogni punto panoramico a filmare e a scattare delle foto.

Le butte più famose sono Ford Point, La Collina dell’Elefante, La Finestra del Nord e le “Tre Sorelle”, le guglie più fotografate e più conosciute!

Nel 1963 Joseph Muech scattò le prime fotografie della Monument Valley; nei due anni seguenti tornò numerose altre volte e compose un album di foto in bianco e nero da mostrare a Hollywood per convincere il mondo del cinema che queste erano zone ideali per le riprese dei film western. John Ford raccolse l’invito per il famoso film “Ombre Rosse”, cui seguirono “Billy the Kid”, “Sfida Infernale”, “Sentieri Selvaggi” e molti altri. Percorrendo questa valle sembra anche a noi di stare in un film western!

Durante il tragitto vediamo anche i famosi mustang, i cavalli selvaggi pezzati, e ci fermiamo a visitare anche i mercatini dove gli indiani del posto vendono piccoli oggetti d’artigianato fatti a mano.

Finito il giro torniamo al centro visitatori ad aspettare il tramonto. Nel parcheggio antistante il centro infatti si ha la miglior visuale sulla valle, soprattutto sulle “Tre Sorelle”.

Mentre aspettiamo il calar del sole, facciamo conoscenza con altri due italiani, veneti, in vacanza. Anche loro stanno facendo un viaggio on the road come noi, e così ci fermiamo a scambiare due parole, raccontandoci le rispettive esperienze fatte durante il viaggio.

Man mano che il sole cala, le guglie della Monument Valley assumono dei colori sempre più fumati e meravigliosi! Da rimanere a bocca aperta! Ci sono dei posti al mondo che vale davvero la pena di vedere, almeno una volta nella vita, e questo è uno di quelli!

La sera ceniamo nel ristorante dell’albergo e poi andiamo a nanna presto per poterci svegliare all’alba per vedere come appare la valle anche alle prime luci del mattino.

20/06/2010 – Monument Valley-Page – Antelope Canyon – Grand Canyon South Rim (480 km)

Purtroppo dobbiamo lasciare a malincuore la mitica Monument Valley e imbocchiamo la Hwy 163, in direzione sud, fino alla cittadina di Kayenta, per poi prendere la Hwy 160 fino al bivio con la Hwy 98, proseguendo infine verso nord fino a Page, sul lago Powell.

La città di Page è molto conosciuta in questa parte degli Stati Uniti perché si tratta di un posto di villeggiatura per gli americani, che nei weekend e nei periodi di ferie arrivano in massa con le proprie barche.

Appena arrivati ci mettiamo subito alla ricerca delle agenzie che organizzano il tour per visitare l’Antelope Canyon.

Tra le varie agenzie scegliamo l’Antelope Canyon Tours, gestita dai Navayo, che per 32 dollari a testa organizza una gita di tre ore per visitare lo straordinario canyon in arenaria, formatosi a seguito di una spaccatura del terreno, che la pioggia e il vento nel corso di milioni di anni sono riusciti a modellare facendolo diventare un posto davvero particolare ed unico!

Scegliamo il tour che parte alle 11.30 perché, grazie alle notizie raccolte, sappiamo che per sfruttare al meglio la visita di questo canyon bisogna andarci nelle ore in cui il sole è perpendicolare al terreno, in modo da sfruttare al meglio il gioco di luci che si viene a creare all’interno di questa meraviglia!

Una volta fissato l’appuntamento ci accorgiamo che siamo in anticipo perché questa cittadina applica l’ora dell’Arizona e quindi spostiamo indietro di un’ora le lancette dell’orologio.

Sfruttiamo questa oretta di tempo per fare due passi in questa graziosa cittadina in cui si respira un’atmosfera rilassata. Visitiamo qualche negozietto di souvenirs, telefoniamo a casa in Italia (dove è ora di cena) e ci fermiamo a bere un cappuccino in un bar.

Quando ritorniamo all’agenzia vediamo che un sacco di gente è già in attesa del proprio turno e ci stupisce il fatto che questo tour non sia molto pubblicizzato in Italia, forse perché è troppo fuori mano rispetto alle rotte abituali dei viaggiatori.

Comunque dopo un po’ ci fanno salire su dei grossi pick-up aperti sul retro, con delle ruote gigantesche, adatte per muoversi nel terreno sabbioso. Il tragitto è divertente anche per la folle velocità a cui vanno questi bestioni! Il paesaggio è straordinario! La cittadina di Page è posta in una conca ai piedi dell’immenso Glen Canyon da cui è stato creato artificialmente il lago Powell; dalla parte opposta si estende invece un territorio desertico, oggi riserva indiana, con bizzarre forme di rocce rosse che fuoriescono come cespugli della piana circostante.

Il fuoristrada entra in una strada sterrata e il paese scompare alle nostre spalle per lasciare il posto ad un’enorme distesa di sabbia. Il paesaggio è davvero stupendo! Le uniche cose che stonano tremendamente sono le sagome di tre alte ciminiere che appartengono a qualche industria della zona e non certo alle capanne degli indiani!

Dopo un tragitto di circa 20 minuti arriviamo all’ingresso della fenditura, da dove parte il canyon. Scendiamo dai pick-up e proseguiamo a piedi. Fuori fa un caldo infernale ma, appena entrati nella stretta spaccatura nella roccia, per magia il clima diventa fresco. Quello che vediamo è impossibile da descrivere a parole! La luce del sole entra nelle fenditure della roccia creando degli effetti magici all’interno del canyon. Il vento e l’acqua hanno modellato le rocce creando un effetto “onde” con mille sfumature di rosa. Non pensavamo di trovarlo cosi bello!

Questa meraviglia della natura si classifica subito tra i posti più belli visitati in questo viaggio, insieme a San Francisco, la città più bella, e a Yellowstone, è il parco più spettacolare per gli animali e i paesaggi!

Passiamo 45 minuti nel canyon, attraversandolo tutto fino all’uscita dalla parte opposta. I passaggi sono stretti e i turisti sono davvero tanti, ma le guide ci aiutano a scattare delle bellissime foto: con delle palette gettano manciate di sabbia in aria; questa, ricadendo a terra illuminata dal sole, crea degli spettacolari giochi di luce sulle rocce rosa.

Finito il giro riattraversiamo il canyon, sempre col naso all’insù ammirati, e riprendiamo il fuoristrada per ritornare all’agenzia, contenti di aver speso bene questi dollari.

Riprendiamo l’auto e lasciamo Page per imboccare la Hwy 89, in direzione sud, fino alla cittadina di Cameron. Lungo il tragitto ci fermiamo ad una piazzola di sosta, a 10 km da Page, attirati da un cartello che indica un trail per vedere un’ansa del fiume Colorado: Dead Horse Bend!

Non sappiamo molto bene di cosa si tratta, ma visto che si trova proprio lungo la strada e abbiamo un po’di tempo decidiamo di parcheggiare l’auto e scendere a vedere di cosa si tratta. E’ un trail un po’ faticoso: si impiega circa mezz’ora per arrivare al punto panoramico, ma il sole cocente senza ombra per ripararsi e i tratti in salita rendono il tutto più difficoltoso. Quando arriviamo però capiamo subito che il posto merita la fatica: l’ansa è ancora più bella di quella vista al Dead Horse Point! Il fiume Colorado scorre sotto a più di 800 metri sotto creando una meravigliosa ansa con i colori dell’acqua che vanno dal verde al blu scuro.

Scattiamo parecchie foto per trovare l’inquadratura migliore e facciamo anche un bel filmato. Anche quest’ansa merita un posto nella classifica dei luoghi più belli del viaggio!

Di questo devo ringraziare mia moglie perché è stata lei a scoprire questo posto!

Torniamo quindi alla macchina e proseguiamo verso Cameron dove facciamo sosta in un fast food per un veloce pranzo alle 15.00!

Il posto è piccolissimo e il cibo non è un granché, ma ci accontentiamo vista la fame. All’uscita ci imbattiamo in una strana coppia di centauri con strane moto, una delle quali attaccata ad un rimorchio porta-valigie a forma macchina della polizia in miniatura.

Lasciata Cameron, imbocchiamo la Hwy 64, in direzione nord, fino all’ingresso est del Grand Canyon National Park.

Entrando nel parco, lasciamo il territorio Navajo e quindi, tornando in un parco federale, possiamo usare la nostra tessera dei parchi annuale.

Per molta gente il Grand Canyon rappresenta la tappa più attesa di un viaggio in America. Questo è il canyon più famoso al mondo; profondo più di un kilometro e mezzo e largo in media 16 km, con nel fondovalle il Colorado River che si snoda per 446 km. Questo fiume ha scavato il canyon nel corso degli ultimi sei milioni di anni e ha portato in superficie rocce risalenti a due miliardi di anni fa, corrispondenti a metà del ciclo vitale del nostro pianeta Terra.

Il parco richiama milioni di visitatori da tutto il mondo ed è diviso in due parti: il North Rim (sponda Nord) e il South Rim (sponda Sud).

La maggior parte dei visitatori sceglie il South Rim, più accessibile, dove si trovano tutti i servizi turistici e dal quale è possibile ammirare i panorami più belli, di cui il parco è famoso.

Le due sponde distano solo 16 km in linea d’aria ma, essendoci in mezzo il canyon, distano ben 354 km in auto! Esiste anche un faticoso sentiero di due giorni attraverso il canyon che collega le due sponde. Scendendo fino al fiume Colorado, per poi risalire dall’altra sponda, questo sentiero di 34 km è una delle escursioni più belle del mondo: il Bright Angel Trail!

Noi entriamo appunto nel South Rim perché si trova sulla strada verso Los Angeles. Una volta entrati nell’ingresso ovest del parco ci dirigiamo verso il cartello d’ingresso per le foto di rito.

Il South Rim si può percorrere attraverso due vie: entrando da ovest si percorre in auto tutta la Desert View Drive fino al villaggio del South Rim dove si trova il nostro albergo, il bellissimo Yapapai Lodge, oppure si può utilizzare la Hermist Road, percorribile solo a piedi o con gli efficientissimi bus navetta, che parte dal villaggio per arrivare fino all’estremità più orientale del parco. Nel punto più ad est si trova la campana Hermist Rest.

Oggi visitiamo con la nostra auto tutta la Desert View Drive, la parte est del Grand Canyon, fermandoci in vari punti panoramici che troviamo lungo la strada che costeggia la sponda del canyon. Questa strada è molto caratteristica, con punti molto panoramici, che scompare a tratti alla vista attraverso boschi di pini e ginepro.

Essendo arrivati verso il tramonto facciamo le cose un po’ di corsa prima che faccia buio, fermandoci pochi minuti nei punti panoramici più belli: Navajo Point, Lipan Point, Moran Point, Grand View Point, Yaki Point e Mather Point. Il più bello e famoso tra questi punti panoramici è sicuramente il Mather Point.

Scattiamo una marea di foto cercando di concentrarci su soggetti, come gli alberi o le persone, che aiutano a far capire le reali dimensioni e proporzioni di questo canyon.

Arriviamo fin sull’orlo del burrone e mi stupisce vedere la foresta che arriva fino al bordo del Canyon e scende giù fin dove è impossibile arrampicarsi: chissà perché, pensavo che la zona Sud del Grand Canyon vicino all’Arizona fosse un area desertica…

Essendo a circa 2.200 metri di altitudine, il clima è fresco. Rimaniamo a bocca aperta a guardare l’immenso panorama, accentuato dai 1.800 metri di dislivello tra noi e il fondo del canyon, senza contare che in realtà ciò che stiamo osservando è solamente una briciola di tutto l’insieme!

Il tempo passa velocissimo, così ci affrettiamo a proseguire in auto fino al Grand Canyon Village per trovare il nostro albergo e per cenare. Lungo il tragitto troviamo anche un cervo che passeggia tranquillamente lungo il bordo della strada. Purtroppo arriviamo a destinazione troppo tardi e scopriamo che l’unico ristorante nella zona è già chiuso, quindi ci rechiamo al nostro albergo e mangiamo qualche rimasuglio della spesa dei giorni precedenti in camera.

21/06/2010 Grand Canyon South Rim – Route 66 – Kingman (300 km)

Oggi visitiamo la parte occidentale del Grand Canyon South Rim, visitabile solo a piedi o in bus. Partiamo quindi dal nostro hotel e proseguiamo a piedi per visitare qualche punto panoramico. Notiamo subito che oggi la visuale sul Grand Canyon è migliore rispetto al giorno prima, quando le luci della sera non rendevano davvero onore agli immensi panorami. Anche le foto che scattiamo sono quindi più realistiche.

Il tempo passa in fretta e quindi decidiamo di prendere il bus-navetta gratuito (linea rossa Hermist Rest Route) che collega il villaggio del Grand Canyon con l’estremità più occidentale del parco, fermandosi in tutti i nove punti panoramici (Trailview Overlook, Maricopa Point, Powsell Point, Hopi Point, Mohave Point, The Abyss, Monument Creek Vista, Pima Point ed infine l’Hermist Rest).

Passiamo quindi il resto della mattinata facendo tutte le fermate della linea, dalle quali partono brevi passeggiate lungo il bordo dal Grand Canyon, tra un punto panoramico e l’altro, (Rim Trail).

Verso l’ora di pranzo torniamo al villaggio per fare un po’ di shopping. Comperiamo qualche souvenir, cartoline e il solito magnete rappresentativo che prendiamo sempre in ogni posto visitato per fare una bella collezione da mettere in esposizione nella nostra nuova casetta!

Usciti quindi da South Rim, imbocchiamo la Hwy 64 in direzione sud fino alla cittadina di Williams, per raggiungere finalmente la famosissima La Route 66, che taglia in due il centro abitato.

La cittadina non è molto grande, infatti esistono soltanto due vie principali, è però molto carina e caratteristica; sembra che non sia cambiato quasi nulla negli ultimi decenni! Ci fermiamo due belle orette per passeggiare lungo la via principale dove si trovano molti negozietti di souvenir e molti locali antichi e che rievocano il mito della Route 66.

Qui trovo la targa dell’Arizona, che mi serve per completare la serie di targhe automobilistiche americane sugli stati americani visitati (Wyoming, California, Nevada, Utah e Arizona) Compriamo anche la targa che imita il famoso cartello identificativo della strada madre.

La Route 66 fu la prima strada costruita per collegare l’est americano con l’ovest, partendo da Chicago fino a Santa Monica (Los Angeles) sull’oceano Pacifico.

Divenne un mito negli anni ’60 perché rappresentava un sogno per il futuro, per trovare condizioni di vita migliori e per velocizzare gli spostamenti nell’immenso continente americano. Sono stati fatti molti film e molte canzoni ispirate alla strada, due addirittura di Elvis Presley.

Dopo esserci ripresi dal caldo con una bella bibita ghiacciata, ci dirigiamo in autostrada fino a Seligman, qui decidiamo di uscire per percorrere un pezzo della storica Route 66. È emozionante percorrere questa strada che un tempo veniva utilizzata da chiunque intendesse attraversare l’America in cerca di fortuna. Tutto sembra rimasto proprio come allora, lungo il tragitto troviamo persino dei vecchi distributori di benzina per i nostalgici della strada madre e molte auto d’epoca che hanno ripercorso il mito di questa strada.

Ad un certo punto ci troviamo a percorrere un tratto di strada in mezzo a dei campi, dove troviamo tantissimi cani della prateria (specie di roditori) che scorrazzano tra una parte e l’altra della strada! Sono veramente tanti e ci divertiamo come dei matti a vederli correre come dei pazzi! Ci fermiamo per scattare tante foto e cerchiamo anche di filmarli, visto che per la strada non passa anima viva.

Guardando la cartina scopriamo che lungo la strada che stiamo percorrendo sono segnalate le “Caverne del Grand Canyon”. Anche se non abbiamo idea di cosa si tratti visto che in nessuna delle nostre guide sono segnalate, decidiamo di andare a vedere di cosa si tratta. Arriviamo quindi in questo posto percorrendo una strada laterale sterrata ma sembra che non ci sia nessuno. Troviamo una vecchia insegna ma non si capisce dov’è l’ingresso. Siamo proprio nel mezzo del nulla! Sembra di essere in uno di quei terrificanti film americani dell’orrore!

Dopo aver girato per un po’ iniziamo a sospettare che in realtà non ci sia niente di speciale, una di quelle trovate per attirare i turisti, in realtà abbastanza frequenti in America. Alla fine lasciamo perdere, torniamo sulla Route 66 e ci dirigiamo fino alla città di Kingman per passare la notte. Ceniamo da Denny, un fast food molto simile al Mc Donald e molto diffuso in America, con uova, carne e patate e bibite a volontà sfruttando il “refill”, un’abitudine dei ristoranti Americani che fanno pagare solo la prima bibita; lo stesso bicchiere può poi essere riempito tutte le volte che si vuole gratuitamente.

Passiamo la notte al Conform Inn Kingman (3129 E Andy Devine, Arizona) una catena di motel con un ottimo rapporto qualità e prezzo.

La città è un agglomerato urbano che si sviluppa intorno alla ferrovia e all’autostrada che collega la città a Los Angeles e quindi non offre nulla di particolare.

22/06/2010 Kingman – Oatman – Santa Monica (Los Angeles) (580 km)

Dopo una bella colazione all’hotel, partiamo presto per la nostra ultima lunga tappa del nostro viaggio, fino, purtroppo, a raggiungere l’ultima città da visitare: Los Angeles.

Partiamo da Kingman riprendendo la storica Route 66, anziché l’autostrada, per visitare città fantasma di Oatman. Facciamo anche una veloce visita ad uno dei tanti musei dedicati alla “strada madre”.

Saliamo quindi su per una piccola collina con una strada veramente stretta, con degli strapiombi paurosi ai bordi della strada. Guida la mia mogliettina… Dopo molti kilometri arriviamo sani e salvi ad Oatman, una città fantasma, abitata un tempo dai cercatori d’oro che si spingevano fino qui in cerca di fortuna ed abbandonata in seguito quando la miniera d’oro che si trova nei paraggi esaurì il suo filone aurifero.

Il paese è carino, le molte strutture abbandonate sono state restaurate e trasformate in negozietti di souvenir per i turisti.

Con sorpresa notiamo che in questa cittadina vive anche una nutrita colonia di asini bianchi! Simpaticissimi e curiosi!

Ci fermiamo una buona oretta per comperare dei souvenir e scattare parecchie foto con i simpatici asinelli.

Lasciata Oatman scendiamo dall’altra parte della collina per raggiungere l’autostrada Hwy 40 East, che ci porterà alle porte di Los Angeles, lasciando l’Arizona per tornare in California.

Facciamo sosta a Barstorw in un Mc Donald molto particolare: il locale è composto da due vagoni ferroviari! Molto bello e particolare. Con annesso un centro commerciale.

Anche la città di Barstow ci sorprende: è ben tenuta e grande come Milano!

Dopo pranzo riprendiamo l’autostrada e ci dirigiamo verso Los Angeles. Man mano che ci avviciniamo alla megalopoli, le corsie dell’autostrada aumentano fino a diventare 8 per senso di marcia!

Il traffico diventa via via sempre più immenso: mai visto un traffico così in vita mia! Ci sono milioni di auto per strada; durante la nostra permanenza scopriamo che è sempre così, a qualunque ora del giorno, persino della notte! Se per tutto il nostro viaggio fino ad ora il navigatore ci era sembrato quasi superfluo, a Los Angeles si è dimostrato utilissimo, altrimenti sarebbe stato davvero impossibile districarci in mezzo a questa enorme rete di strade e autostrade!

Affascinante e in perenne trasformazione, la seconda città degli U.S.A. (la più grande della California) è il sogno americano diventato realtà.

Quando si parla di L.A., come tutti ormai la chiamano, si considera la contea, l’enorme estensione di un agglomerato urbano che copre una superficie talmente enorme che comprende 83 città collegate tra loro da una rete di superstrade e autostrade metropolitane (anche a dieci corsie) che si intersecano con mille svincoli, raccordi e sopraelevazioni!

Se si escludono i grattacieli e le costruzioni modernissime della downtown e della Century City, le case sono prevalentemente in legno e circondate da giardini; fino al 1957, infatti, era proibito costruire grattacieli perché la zona è ad alto rischio sismico.

A L.A. si trova una popolazione multietnica, con una maggioranza messicana (non poteva essere altrimenti visto la vicinanza con il Messico) e altre etnie come asiatici, neri e sudamericani. Si dice che in città si parlano ben 80 lingue!

In questa megalopoli i trasporti pubblici sono assolutamente insufficienti e inefficienti, e perciò la popolazione è costretta ad usare l’auto per spostarsi, rendendo quindi pesantissimo il traffico! Oltre al traffico a L.A. c’è il problema dello smog e dell’acqua. Le esigenze idriche della popolazione sono ingenti e quindi le riserve idriche arrivano dai laghi e fiumi della Sierra Nevada tramite un lungo acquedotto di 350 km!

Fortunatamente le deficienze sono compensate dai notevoli vantaggi, quei vantaggi che hanno sempre attirato masse di immigrati da tutto il mondo. La città ha sempre offerto grandi opportunità di lavoro grazie alla sua dinamica attività. Il cinema e Hollywood sono famosi in tutto il mondo, per i kolossal che hanno vinto numerosi premi oscar!

Dopo una breve descrizione della megalopoli torniamo al nostro racconto: arrivati al centro di L.A. ci dirigiamo subito a Santa Monica per visitare la sua famosa spiaggia.

Lasciata la macchina al parcheggio a pagamento, decidiamo di fare due passi nel lungomare di Santa Monica.

La spiaggia è come nei film, enorme e piena di persone che fanno jogging e altri sport. Le famose bagnine di Bawyacht però non si vedono: gli americani infatti sono quasi tutti obesi a causa del cibo ipercalorico che consumano e delle cattive abitudini alimentari.

Camminiamo fino al molo, famoso per essere la tappa finale della Route 66 e per il suo luna park sul mare; quello comparso più volte nel telefilm “The O.C.”.

Dopo la veloce visita di Santa Monica, torniamo alla nostra auto. Con tristezza ci sbarazziamo del nostro frigo di polistirolo: d’ora in avanti non ci servirà più.

Torniamo verso il centro, nella zona di Century City, per cercare il nostro hotel: l’Intercontinental Century City (2151 Avenue of the stars, Los Angeles). Un hotel esagerato e superlussuoso scelto dalla nostra agenzia per finire in bellezza il nostro viaggio di nozze. Per le due notti che ci dormiremo pagheremo ben 72 dollari di parcheggio per la nostra macchina! Una mazzata!

Dopo aver fatto il check-in e aver sistemato i bagagli in camera, decidiamo di uscire di nuovo per la cena; riprendiamo la macchina e ci dirigiamo verso Hollywood Boulevard per vedere il Teatro Cinese (Kodak Theatre), famoso per essere il luogo dove si assegnano gli oscar e dove si trova il celeberrimo pavimento con le impronte delle mani e dei piedi dei più famosi attori di Hollywood!

Qui si trova anche il marciapiede con le stelle e i nomi dei divi di Hollywood! Le foto qui si sprecano! Ci vengono in mente un sacco di film ambientati qui, come Pretty Woman.

Ceniamo in una pizzeria da asporto sulla “via delle stelle” dove fanno una discreta pizza, proprio davanti al Kodak Theatre!

23/06/2010 Los Angeles-Universal Studios

Oggi abbiamo in programma la visita agli studi cinematografici della Universal, dove sono stati girati molti film famosi come “I dieci comandamenti”, “Lo Squalo”, “Guerre Stellari” ecc.

Quindi, ripreso possesso della nostra auto, lasciata al costoso “valet parking”, ci dirigiamo verso la collinetta dove si trovano gli Universal Studios, che distano solo 15 minuti dal nostro hotel. A causa del traffico impieghiamo però circa un’ora per raggiungerli.

Arriviamo abbastanza presto e quindi non troviamo molta coda all’ingresso.

Lasciata l’auto nel parcheggio multipiano, ci dirigiamo verso il cancello d’ingresso degli studi, fermandoci per la foto di rito alla famosa palla con la scritta “Universal Studios”!

Una volta entrati, per prima cosa decidiamo di fare subito il tour di 45 minuti attraverso i set degli studi. Il tour si fa su di un trenino che ci porta nella parte bassa della collina, dove si trovano i capannoni all’interno dei quali vengono ricostruiti i set dei film e delle serie tv. Il tour è davvero ben organizzato, con dei monitor che spiegano cosa si vede. Di tanto in tanto il bus si ferma e i turisti possono assistere a dei veri e propri spettacoli che dimostrano dal vivo come si lavora nei film e come vengono creati i vari effetti speciali che si vedono alle tv. Vediamo i vecchi teatri di posa e le scenografie più familiari per gli appassionati di cinema come, per esempio, la casa di “Psycho”, i saloon dei film western, la giungla di Jurassic Park, un antico foro romano, il quartiere di Wisteria Lane delle “Desperate Housewive” e tanto altro.

Assistiamo anche alla riproduzione di spezzoni di film come “Lo squalo”: quando il trenino si ferma nei pressi di un laghetto vediamo una pinna di uno squalo che spunta fuori dall’acqua; ad un certo punto la pinna sparisce, per poi ritrovarci uno squalo bianco che esce dall’acqua con le fauci spalancate proprio vicinissimo ai visitatori del trenino! Forte!

Belli anche gli spettacoli che mostrano come vengono riprodotte le tempeste e gli alluvioni, gli incidenti stradali, le catastrofi che distruggono le città (come nella “Guerra dei Mondi”) e lo spettacolo che simula un terremoto in una metropolitana: qui il trenino viene fatto entrare in un capannone dove è stata riprodotta la stazione sotterranea di una metropolitana; ad un certo punto tutto inizia a tremare, il soffitto inizia a crollare e un auto cade da sopra, una metrò esce dai binari provocando un altro crollo assordante e un diluvio fa scendere dell’acqua dalle scale del sottopassaggio! Tutto sembra reale, davvero spettacolare!

Sempre durante il tour vediamo anche una carrellata di macchine famose utilizzate nei film, come la macchina del futuro, le macchine di “Fast Furius”, la simpatica macchina di Mr Bean, ecc.

Finito il giro ci dedichiamo alle attrazioni del parco, più simili ad un parco di divertimenti tipo Gardaland. Come prima attrazione facciamo le montagne russe virtuali dei Simpson. Bellissime e davvero realistiche! Ci fanno anche la foto: veniamo con due occhi spiritati e con una bocca spalancata dallo stupore!

Molto bello anche lo spettacolo ispirato al film “Waterworld” con veri stuntman che eseguono mirabolanti acrobazie tra giochi d’acqua e di fuoco! Il personaggio principale è un sosia di Kevin Costner.

Terrificanti invece le montagne russe sotterranee della Mummia e il giro in gommone in Jurassik Park tra i dinosauri, con l’incontro finale con il Tirannosaur Rex!

Da paura l’attrazione “Horror House”: consiste in una casa degli orrori abitata dai più terrificanti personaggi dei film horror (Hannibal, l’assassino di “Non Aprite quella Porta”, Nighmare ecc.); la cosa veramente paurosa è che la si deve visitare tutta a piedi, attraversando un percorso al buio che passa attraverso le scenografie dei più famosi film di paura e, di tanto in tanto, si trovano sulla strada i personaggi dei film, molti dei quali impersonati da attori in carne ed ossa che spaventano i visitatori sbucando all’improvviso dagli angoli o da dietro le porte, per cui dopo un po’ non si riesce più a riconoscere i manichini dalle persone vive che ti toccano una spalla o ti urlano nelle orecchie! Davvero realistico e spaventoso! La mia pulce è rimasta attaccata a me come una conchiglia su uno scoglio per tutto il percorso!

Per ultimo abbiamo assistito allo spettacolo degli animali: in un teatro, un’addestratrice spiegava ai visitatori le tecniche utilizzate per addestrare gli animali utilizzati nei film, dando delle dimostrazioni pratiche con una serie di animali (gatti, cani, scimmiette, scimpanzè, ecc.) che eseguivano tutti gli ordini che lei gli impartiva.

Fortunatamente abbiamo visitato il parco di mercoledì, quindi un giorno lavorativo, per di più in un periodo di bassa stagione, quindi non abbiamo trovato moltissima gente e siamo riusciti a vedere tutte le attrazioni senza fare code molto lunghe. Ad agosto, secondo la guida turistica Lonely Planet, il parco è visitato da circa 60.000 persone al giorno!

Una volta viste tutte le attrazioni, usciamo dal parco verso le 16.00. Visto che è ancora presto per la cena, prima di riprendere l’auto facciamo un giretto per negozi; intorno agli Universal Studios infatti sorge una specie di centro commerciale a cielo aperto con tantissimi negozi di souvenir, bar e ristoranti. Facciamo anche una piccola sosta da Starbucks, dove ci concediamo una merenda a base di cappuccino e torta al cioccolato ipercalorica. Salutiamo quindi con un po’ di tristezza gli studi cinematografici, sapendo che è stato il nostro ultimo parco da visitare, e ci dirigiamo verso la collina con la famosa scritta “Hollywood” per una foto ricordo!

Trovare questa famosa scritta non è stato per niente facile; contrariamente a quanto ci immaginavamo infatti, l’insegna che compare praticamente in tutti i film e in tutti i documentari ambientati a Los Angeles non è molto grande e non si vede da ogni angolo della città, di notte non viene nemmeno illuminata, incredibile! Il navigatore ci porta in una serie di quartieri abbastanza ricchi della periferia di L.A.; non sapendo dove ci troviamo iniziamo a girare per le stradine di questa zona, costeggiate da villette signorili col naso all’insù alla ricerca della scritta. Alla fine scorgiamo un pulmino turistico e decidiamo di seguirlo nella speranza che ci conduca a destinazione. Dopo un po’ l’autista si accorge di noi e accosta, un po’ scocciato, per aspettare che ce ne andiamo, ma ormai abbiamo raggiunto il nostro obiettivo: alziamo gli occhi e vediamo la scritta che cercavamo! La fotografiamo da lontano perché è vietato salire sulla collina! Quante volte ho visto quella insegna in tv?

Dopodiché torniamo alla dowtown per dare una rapida occhiata alla famosa Rodeo Drive, costeggiata dai negozi delle più grandi marche: non è una zona che fa per noi, sembra via Montenapoleone di Milano, e poi è già tardi, quindi decidiamo di attraversarla in auto per dare un’occhiata veloce e scattare qualche foto.

Decidiamo quindi di tornare a Santa Monica, la zona che più ci è piaciuta di Los Angeles, per finire in bellezza in nostro viaggio con una cena al Bubba Gump che avevamo visto al molo la sera prima! E’ la nostra ultima cena in America! Siamo un po’ tristi ma passiamo una bellissima serata e mangiamo un piattone gigante di gamberetti fritti, il nostro piatto preferito al Bubba Gump! Ritorniamo poi in albergo osservando la vita notturna della megalopoli.

Arrivati in camera mia moglie si fa subito una bella doccia e poi si mette a preparare le valigie con l’impresa titanica di far stare tutti i souvenirs nelle nostre due valige ed io mi godo il panorama della città illuminata da migliaia di luci.

24/06/2010 e 25/06/2010 volo Los Angeles-Atlanta-Milano

Purtroppo il nostro fantastico viaggio di nozze è finito! Ci svegliamo molto presto e ci rechiamo all’autonoleggio dell’aeroporto di Los Angeles per riconsegnare la nostra mitica auto Infinity M35 che ci ha accompagnato per circa 5.000 km lungo il “Grand Cirle” dell’ovest americano!

Il nostro volo parte in orario da L.A.X. Airport alle 9.00 (le 18.00 in Italia) per Atlanta (16.35 ora locale) e riparte da Atlanta alle 17.45 per Milano Malpensa dove arriviamo in orario alle ore 9.00 (la mezzanotte tra il 24/06 e il 25/06 a Los Angeles) del giorno dopo.

Troviamo i genitori di mia moglie ad aspettarci. Ci sembra strano tornare in Italia, alla vita reale, dopo 3 settimane a zonzo per gli Usa! La nostalgia è forte ma siamo anche emozionatissimi perché da oggi inizia la nostra vera vita da marito e moglie!

Abbiamo la sensazione che questo sarà il più bello e il più spettacolare viaggio della nostra vita! Ci ripromettiamo però di ritornarci in America, magari per visitare la costa orientale. Goodbye America!



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