Padova – Monti Sibillini in moto
Un languorino pungola lo stomaco. E’ giunta l’ora di una tappa mangereccia nei pressi di Faenza. In un agriturismo, naturalmente. Ed è subito intesa. Un primo momento di convivialità, tra salame nostrano e vinello rosso della casa. I maschietti già a parlare di motoraduni in Croazia; le tre donzelle, più attente, si osservano, come consuetudine, dando ascolto alle loro sensazioni epidermiche. Bello con Elisa rompere il ghiaccio in bagno, facendo pipì come due amichette alle elementari, scambiandosi opinioni sul vivere di coppia. E via, di nuovo in sella, tra colline verdeggianti, un paesaggio dolce, affatto ostile, terre di sapore antico.
Al confine tra Umbria e Marche, scendendo, lo Stivale si rivela uno splendido scrigno di rocche, badìe, oratori, pievi, mura medievali.
Ricordi Il nome della Rosa? Il passo in cui il giovane adepto Adso vede per la prima volta le mura del monastero che lo ospiterà? Stupore, meraviglia, incredulità per la maestrìa dei costruttori del tempo, e anche un pizzico di orgoglio per le bellezze che sa sempre offrirci il nostro Paese.
Comincia la risalita: la collina diviene montagna, a tratti innevata, lassù all’orizzonte.
Ci si sistema nelle casupole, un po’ come Biancaneve in quella dei Sette Nani; piccole, ma accoglienti. Saltando allegramente la doccia come un fossato, ci si accascia volentieri sulle sedie impagliate del ristorante. Un po’ asettico, stile Prima Comunione, ma il Dragani, vino rosso da pasto, genuino e senza particolari pretese, ben si amalgama ai nostri corpi stanchi. E con la lingua sciolta, e le timidezze messe da parte, si scoprono venditori di tappeti dal palato fine, uomini di Levante con ettolitri di birra nelle vene e daddies in formissima e con l’occhio vivace.
Il sonno ci rapisce, strappandoci fulmineo dalla realtà. Ma forse anche sognando ci sembra di cavalcare una moto o forse un purosangue arabo al galoppo.
L’indomani la sveglia è “soave”: il Vichingo ci ritrae col viso tumefatto e pigiamini di gusto retrò con la sua telecamera.
Lo senti il profumo di quella pastasfoglia alla crema? Visso è un po’ anche questo, oltre che una chiesa del 1300 con un San Cristoforo affrescato in parete di oltre sette metri; e il signor Mario, il mitico salumiere che ci dà indicazioni tattiche per la serata eno-gastronomica.
Visso, un gioiellino medievale tra raccolta delle lenticchie e “coglioni di mulo” a fette.
Dopo un sondaggio generale, si decide che la meta giusta per noi è senza dubbio Norcia, passando per il Parco dei Monti Sibillini, che prendono il nome proprio da quella Sibilla Cumana di cui avevamo sentito parlare a scuola, che qui, in un anfratto roccioso, ha trovato rifugio. I folletti pullulano in queste zone, raccolgono bacche, spostano pesantissimi funghi porcini che, sfortunati, sono privi di gambe; ma soprattutto offrono le loro cure agli animali feriti del bosco: aquile, cinghiali, orsi e cerbiatti.
Giunti in quel di Norcia, comincia la svestizione. La temperatura è salita e noi siamo coperti all’ennesima potenza. E allora via caschi, giacche, bandane, fino a rimanere in T-shirt.
L’antica cittadina ci accoglie festosa tra salamelle e turisti superaccessoriati di guide e telecamere digitali. Un bel panino su uno scalino, al sole, dando le spalle alla Rocca, opera del divino architetto Vignola. Imponente, massiccia, forse l’unica costruzione realmente integra dopo quel terribile sisma che ci ha lasciato solo involucri ben restaurati, rubando l’anima ad ogni chiesa, ad ogni abitazione. Che dite? Si parte? Dopo aver disquisito sui nomi botanici tra i più rari, quali taràssaco, luppolo, e molti altri, ci si riveste per affrontare nuovi paesaggi.
Ed ecco che, come per incanto, ci si presenta innanzi una piana alluvionale, incredibilmente estesa, verde brillante, giallo, verde marcio i colori delle zolle di terra. E’ il Piano Grande, un grandioso anfiteatro dominato dalla catena dei Monti Sibillini a formare il sistema degli altopiani di Castelluccio. 18 chilometri di bacino carsico, animato da greggi di pecore e belle vacche bianche dalle lunghe corna. Un angolo davvero bucolico.
Una bibita al bar del paese, due chiacchiere in passeggiata e poi la temperatura cala.
Ritornati a Visso, ci si divide per un’oretta, poi, col pensiero che va alla moto “defunta” di daddy Mario, ci apprestiamo affamati al desinare. Il suggerimento è azzeccato: cibo rigorosamente fatto in casa e di qualità.
Scambi di opinioni su ogni possibile argomento, risate fragorose ai racconti “siculi” di Maurizio, qualche improperio diretto all’autista-finto-cameriere un po’ cafone.
Sull’allegro andante, decidiamo che è giunta l’ora della nanna.
Un po’ abbacchiati, perché il gruppo originario si sta sfaldando, diamo il via alla danza dei saluti. Un bacio con schiocco e una bella stretta di mano a Marco; una carezza e la promessa di rivedersi a Padova ad Elisa.
Il ritorno è sempre malinconico. La magia del viaggio si sta dissolvendo.
Arrivederci a tutti.
Ed è già domani.
Momi Venezia, 29 aprile 2003