Out Of Africa

Terminate le abbuffate natalizie, partiamo per il Kenya la sera del 27 dicembre. Per il nostro capodanno del 2002, abbiamo scelto una località poco conosciuta e molto tranquilla al confine con la Tanzania: Shompole. Da Milano non ci sono più voli diretti per Nairobi, per cui ci tocca fare scalo a Zurigo. Arriviamo a Nairobi alle 6 e 30 del...
Scritto da: Giuseppe Miroglio
out of africa
Partenza il: 28/12/2002
Viaggiatori: in coppia
Terminate le abbuffate natalizie, partiamo per il Kenya la sera del 27 dicembre.

Per il nostro capodanno del 2002, abbiamo scelto una località poco conosciuta e molto tranquilla al confine con la Tanzania: Shompole.

Da Milano non ci sono più voli diretti per Nairobi, per cui ci tocca fare scalo a Zurigo.

Arriviamo a Nairobi alle 6 e 30 del 28, accolti da una fitta pioggia e nuvole basse che poco hanno a che fare con l’immagine che mi ero fatto del Kenya.

Ad attenderci all’aereoporto c’è Steven, un autista della tribù Camba, una delle 42 esistenti in Kenya, con la sua Land Cruiser gigantesca, umida e un po’ malandata.

Il viaggio che ci aspetta dovrebbe durare circa 4 ore; a causa delle copiose pioggie, infatti, la via principale è impercorribile, per cui è necessario ripiegare su una strada secondaria.

Ci lasciamo alle spalle i sobborghi di Nairobi, con le sue catapecchie basse e fatiscenti, ci arrampichiamo su per una stretta stradina di montagna, avvolta nelle nuvole, per poi lanciarci tra le distese della savana. Passiamo vicino a numerosi villaggi masai, con le loro capanne di fango circondate da recinti di rami, e veniamo salutati dagli alti pastori masai, seguiti che sorvegliano i loro greggi di capre e mandrie di mucche avvolti nelle loro vesti rosse sgargianti, e da bambini nudi e sorridenti che si rotolano nel fango.

Attraversiamo un lago salato, il lago Magadi, sulle cui sponde sorge una grossa fabbrica per l’estrazione della soda, che viene esportata in tutto il mondo.

Salutiamo altri villaggi masai e poi, appena superato il cartello che ci informa di essere entrati nella Shompole Conservation Area, l’imprevisto.

Dopo numerose sbandate sulla strada fangosa e un pericoloso testa-coda, la Land Cruiser si impantana, sprofondando in uno spesso strato di fango.

Le alternative sono poche: siamo sperduti in mezzo alla savana, senza possibilità di comunicare con il resto del mondo (la radio non funziona, così come il cellulare). Non ci resta che metterci in cammino, borsoni e zaini in spalla.

A parte il peso ingombrante e la mancanza di acqua, la camminata tra gli alberi di acacia e i termitai della savana è suggestiva e avventurosa, ricca di incontri con zebre, gnu, facoceri e antilopi.

Dopo 3 ore di cammino e una dozzina di chilometri, veniamo finalmente raccolti da un pick-up, alle pendici dell’altura su cui si erge il Shompole Lodge.

Shompole è il nome che i Masai hanno attribuito ad una montagna di 1500 metri, al confine con la Tanzania.

Secondoi una leggenda masai, un uomo di nome Shompole fece una scommessa con altri dieci masai, dicendo di essere in grado di scalare la montagna in cambio di dieci mucche. Il masai partì ed iniziò la scalata, ma non fece mai ritorno. Da allora la montagna viene chiamata Shompole.

L’area che circonda la montagna è di proprietà della comunità masai Shompole Group Ranch, che è anche co-proprietaria del Lodge.

Situato sul fianco del Nguruman Escarpment, il Lodge si affaccia sulla Rift Valley e sul monte Shompole, con un’insieme di capanne dal tetto di paglia, completamente aperte sulla vallata sottostante ad offrire panorami indimenticabili.

Molti masai lavorano all’interno del Lodge, vivacizzando l’ambiente con le loro vesti sgargianti e i loro bianchi sorrisi smaglianti.

Durante il nostro soggiorno ci dedichiamo alla scoperta delle tribù masai dei villaggi circostanti.

Accompagnati da un guerriero della tribù Samburu, adorno di collane e bracciali di perline e con lunghi capelli uniti in centinaia di piccole trecce colorate di ocra, visitiamo un villaggio masai, con le sue capanne di legno, fango e sterco racchiuse in un recinto di irsuti rami.

I bambini ci accolgono con risa e gesti festanti, urlando “hello”, “bye bye” e “how are you”; gli adulti ci salutano con cortesia e calore, accompagnandoci all’interno delle capanne e dei recinti per gli animali.

Poco dopo il tramonto, quando l’oscurità ha ormai avvolto quasi completamente la valle, visitiamo il mercato locale, dove nel buio più totale i pastori vendono il loro bestiame mentre nelle capanne, rischiarate da fuochi scoppiettanti, le donne preparano cibi e the.

Il giorno successivo, mercoledì, è giorno di mercato nel villaggio di Shompole. Si tratta del mercato più importante della zona, visitato da masai che giungono da villaggi lontani, distanti anche due giorni di cammino.

Per arrivarci dobbiamo attraversare a piedi la palude, camminando per mezz’ora immersi fino ai fianchi nell’acqua calda e melmosa, affincati da decine di uomini e donne che come noi si recano al mercato.

Il villaggio di Shompole è un’insieme di capanne, alcune di cemento, con un grande spiazzo erboso affollato di masai che contrattano la vendita e l’acquisto di mucche e capre. Nelle capanne le donne vendono vesti colorate, cibi e bevande.

Durante il nostro soggiorno a Shompole ci dedichiamo anche a lunghe passeggiate nella savana, in compagnia del murrani (il guerriero) e di una piccola zebra, che il guerriero ha trovato e adottato fino a quando sarà grande abbastanza per tornare nella savana. Con la piccola zebra che trotterella al nostro fianco e che di tanto in tanto sfamiamo con un biberon, esploriamo altri villaggi e seguiamo il corso di un fiume, dove donne masai lavano le vesti mentre i loro bambini sguazzano nell’acqua.

Proseguiamo la nostra esplorazione a bordo di potenti fuoristrada, che ci portano nel fitto della savana, dove avvistiamo gazzelle, gnu, eland, zebre, giraffe, volpi, sciacalli, una iena solitaria, il raro honey badger, un paio di felini chiamati civet e genet cat.

Verso la fine della nostra vacanza ci trasferiamo in una altro lodge. A bordo di un piccolo aereo Cessna, attraversiamo le montagne e gli altopiani verso ovest, verso il parco del Masai Mara, e, come in una scena tratta dal film “la mia Africa”, atterriamo nella riserva dei Cottars, una famiglia che da cinque generazioni gestisce campi per safari.

Il campo, di nome 1920’s, è uno splendido insieme di tende arredate in stile coloniale anni ’20, con tanto di mobili e oggetti antichi, fotografie in bianco e nero e persino una vecchia Ford anni ’20 usata per i safari.

I safari sono avventurosi, con tanto di guadi in fiumi impetuosi, impantanamenti nelle strade fangose e persino una caduta in una tana di iene impegnate ad addentare una preda poco lontano.

Splendido il pic-nic nel Masai Mara, a meno di 500 metri da un una coppia di pigri leoni.

Numerosi gli avvistamenti: bufali, elefanti, antilopi (impala, haartebeast, topy, gazzelle, bushbuck, reedbuck), wild cat, giraffe, iene, sciacalli, oltre a vari leoni spaparanzati pancia all’aria tra l’erba alta.

Divertente la lotta tra un leone e alcuni avvoltoi per aggiudicarsi i resti di una giraffa, con gli uccelli che si precipitavano sulla preda non appena il felino si allontanava da essa, costringendo il leone, grasso e sazio, a una corsa per scacciarli.

Eccitante l’avvistamento di due leopardi tra i rami di un albero con la loro preda.

E così termina la nostra vacanza, un giusto compromesso tra la scoperta delle tradizioni e della vita delle popolazioni masai e i safari nella savana per osservare animali e uccelli nei loro habitat naturali.



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