Osewa ni narimashita, Nippon
Cercherò di ripartire questo resoconto in una parte iniziale introduttiva ed in alcuni focus specifici ed utili ai futuri viaggiatori Sono partito da solo, dopo anni, desideroso di perdermi e mischiarmi in una terra a me del tutto estranea. Undici giorni tra il 26 ottobre ed il 6 novembre, con il vantaggio, a parte il nubifragio del giorno d’arrivo, di una temperatura mite che, sovente, ha superato i 20 gradi. Tanto per intenderci ho indossato esclusivamente capi di cotone e girovagato sotto il sole. Periodo giusto, a quanto pare, come la primavera che ha, nei colori, un qualcosa in più. Tre le tappe: Tokyo, Kyoto e Nara. Una quarta, Nikko, eliminata in extremis per vivere appieno la Capitale. Tante altre rimandate, chissà, ad una prossima volta. I primi quattro giorni a Tokyo, i successivi tre a Kyoto, poi Nara e, infine, di nuovo Tokyo, con ritmi più compassati.
Tokyo è una metropoli che, pur aperta al continuo confronto con l’occidente, dà la sensazione di essere affatto cosmopolita. Al contrario di città come Londra, Parigi, Roma, New York ha un tasso di immigrazione praticamente inesistente, e limitato ad alcuni vicini Paesi orientali, e ciò, al di là delle attuali considerazioni in termini di sicurezza, le consente di mantenere un’anima del tutto nipponica. Lo straniero gira in metropolitana, e si muove nelle strade, circondato da giapponesi. Compra, di solito, da giapponesi. E’ una città enorme e servita da trasporti impeccabili, ma che si lascia girare anche a piedi, non appena il viaggiatore acquisisce una minima confidenza con la struttura urbana. Negli ultimi giorni ho scoperto il gusto di girovagare da Tsukiji a Ginza, da Ginza a Marunouchi, da Akihabara a Ueno e poi Asakusa, senza una meta vera e propria, osservando e scoprendo angoli remoti, negozietti, grandi magazzini e mercatini, fermandomi a mangiare uno spiedino di pollo nelle popolari Izakaia, accompagnato da una buona birra giapponese.
Il fascino di Tokyo sta proprio nell’osservare la totale diversità delle sue zone: la tradizione di Asakusa, Ueno, Yanaka, Ikebukuro, l’eleganza di Ginza, i luna-park a cielo aperto di Shibuya, Roppongi e Shinjuku, l’elettronica di Akihabara e tanto ancora. La mia preferenza, inequivocabile, va ai quartieri maggiormente intrisi di tradizione nipponica. Ho alloggiato a Yanaka ed Asakusa, ho amato Ueno, con il suo parco ed il mercato pullulante di gente, e non me ne sono pentito.
Il centro del turismo di Tokyo ( www.Tourism.Metro.Tokyo.Jp ), con sede a Shinjuku, al primo piano (per noi piano terra) del grattacielo del Metropolitan Government Office, offre un utilissimo servizio di guide turistiche, semi-volontarie, anche in lingua italiana. Basta collegarsi al loro sito web, scegliere uno degli itinerari proposti e richiedere la guida, indicando la data prescelta.
Risponderanno via e-mail, confermando la propria disponibilità. Figuratevi che, pur essendo da solo, mi hanno messo a disposizione ben due guide volontarie, con un discreto italiano, per un giro nella zona di Harajuku, Takeshita street, dove le adolescenti lanciano le mode, Omotesando e tempio Meji. Il tutto per pochissimi yen. Ho trovato, e non avevo dubbi, due persone disponibilissime, entrambe over 40 e forse 50. Mosse dal desiderio di parlare l’italiano e di raccontarmi il più possibile della loro città.
Abbiamo girovagato, senza fretta, per un intero pomeriggio, chiacchierando davanti ad un buon caffè italiano e ritrovandoci, fuori programma, al 52° piano del Park Hyatt Hotel, da dove, oltre a rivivere l’ambientazione del film Lost in Translation (girato esattamente lì), si vede un meraviglioso panorama di Tokyo e si scorge la maestosità del monte Fuji.
Kyoto è meno sorprendente, ma è più bella e lascia trasparire ancor di più il calore e la tradizione nipponica. Una città universitaria, e quindi viva. Unica per la ricchezza del proprio patrimonio culturale, con ben 17 siti, dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Una città altrettanto moderna, con una stazione ferroviaria avveniristica e che rappresenta il cuore pulsante della Kyoto del 2000. Ma Kyoto è, soprattutto, prendere un autobus ed arrivare nelle zone templari. Percorrere le strette viuzze in salita e circondate da botteghe e piccoli negozietti artigianali, assaggiare un the verde o un dolce locale, e poi rimanere sorpresi, al pari delle tante scolaresche locali, dalla bellezza e dalla maestosità del Padiglione d’Oro, del Kyomizu e dei giardini del Ginkaku-ji, oppure dal fascino notturno dello Shoren-in, che si concede al pubblico dalle 18 in poi. Luoghi non sempre antichissimi, ma intrisi di storia e cultura, e circondati da una quantità di verde che rende tutto ancora più gradevole. E quando si è stanchi abbastanza, ed arricchiti sotto il profilo spirituale, è bello tornare verso il centro, sbirciare tra i negozi e poi vivere la serata tra le strette viuzze di Gion, dove si può avere anche la fortuna, come mi è capitato, di incontrare una vera e propria geisha. Un incontro fugace, una foto e via ad una donna non bellissima, con il volto bianco di trucco e le tante curiosità rimaste ancora nel cassetto. Nara è altro. Pur essendo stata una delle prime Capitali del Giappone, è un centro piccolo e non occorre più di una giornata per visitarlo. E’ una cittadina dove, a prima vista, sembrerebbe di incontrare più cervi che abitanti. Tutti, o quasi, con le corna tagliate. Sono loro i veri padroni della città o meglio del Nara-koen, il parco intorno al quale sorgono gli 8 siti riconosciuti dall’Unesco, tra cui il tempio Todai-ji, famoso per l’enorme statua di bronzo del Buddha. Tutto sempre immensamente verde. Mi aiuta nella visita una simpatica guida volontaria, english speaking. Una signora di mezza età, conosciuta all’ingresso del Kasugataisha e che è smaniosa di trasmettermi tutta la sua notevole conoscenza. Fondamentale per conoscere dettagli, tradizioni, che altrimenti sarebbero rimaste a me ignote. Il servizio, peraltro, è disponibile presso il Centro del Turismo di Nara, sito a circa 500 metri dalla stazione ferroviaria, ed aperto dalle ore 9.00. Il consiglio è di giungere a Nara molto presto, prima che i tanti pullman di scolari e turisti, per lo più locali, invadano la città.
Il cambio Chi l’ha detto che il Giappone è caro ?!? I tempi, a quante pare, sono ormai mutati, e l’euro sembra godere di ottima salute. Ho cambiato direttamente a Narita al tasso di 1 euro = 160 yen, mentre in Italia lo yen aveva una quotazione ufficiale intorno a quota 165. C’è un Giappone per tutte le tasche, ma di certo Tokyo mi è parsa più accessibile di Londra, Parigi, Milano o Roma, anche per la pluralità di opzioni che garantisce nella ricerca dell’alloggio e del vitto quotidiano.
Biglietti e Trasporti L’organizzazione del mio viaggio non era ancorata a particolari vincoli temporali. Per cui ho potuto sfruttare appieno i motori di ricerca per trovare il volo alle migliori condizioni possibili, mettendo in preventivo uno scalo in una città europea. L’opzione più vantaggiosa, al momento dell’acquisto, era della Swiss Air che, con circa 685 euro ed orari comodi, mi ha traghettato da Roma a Tokyo Narita, via Zurigo. Buone anche le tariffe delle British Airways. Quanto al servizio dei cugini d’oltralpe, l’ho trovato discreto. Buono il catering, non enorme lo spazio in economy, sufficienti i diversivi, con una vasta scelta di musica, giochi e film, tra cui sempre uno in lingua italiana Partire per il Giappone, poi, presuppone un’infarinatura iniziale sul sistema di trasporti nazionale, così come la conoscenza della struttura di trasporti integrati a servizio della Capitale. Fondamentale, per chi deve spostarsi oltre Tokyo, il Japan Rail Pass. Com’è noto si tratta di un abbonamento ferroviario, acquistabile unicamente all’estero, presso agenzie convenzionate ed indicate nel sito ufficiale, e che consente di fruire degli straordinari treni giapponesi (eccetto gli Shinkansen Nozomi) per una, due o tre settimane. Consente, altresì, di fruire del Narita Express ed utilizzare a Tokyo la linea Yamanote, che disegna un anello intorno al centro cittadino e ferma nelle principali stazioni, tra cui Tokyo, Akihabara, Ueno, Ikebukuro, Shinjuku, Shibuya, Shinbashi e Yurakucho. Può essere sufficiente, se si ha voglia di camminare abbastanza, ma non ha certo la diffusione territoriale della Tokyo Metro. Si consideri, infine, che Tokyo dispone di linee ferroviarie private, che collegano la città con zone periferiche e sobborghi e che hanno sempre un costo autonomo. Tra queste la Keio Line che serve, tra l’altro, l’Ajinomoto Stadium, e la famosa Yurikamome Line, il suggestivo treno senza guidatore, che parte da Shimbashi verso il parco marino di Odaiba, garantendo splendidi scorci notturni e diurni. Per quel che mi riguarda, dovendo sostare i primi quattro giorni a Tokyo, ho deciso di acquistare il JRP, per una sola settimana, a circa 185 euro, sfruttando all’inizio la metropolitana ed acquistando due ticket bi-giornalieri, al costo di circa 850 yen l’uno (5 euro circa). Sono biglietti riservati ai turisti e che si comprano soltanto presso gli aeroporti. Le tariffe per la metropolitana, se si acquista il biglietto singolo, variano secondo la distanza, con un costo medio intorno ai 150 yen. Ho attivato il Japan Rail Pass, dunque, al momento della partenza per Kyoto, recandomi il giorno precedente presso uno dei tanti uffici sparsi nelle principali stazioni, e riservando un posto per il viaggio di andata e ritorno, a bordo di uno Shinkansen Hiraky. Prenotare è utile, soprattutto quando si parte da stazioni diverse da Tokyo, anche se tutti i convogli prevedono sempre alcune carrozze libere. Si consideri, poi, che la frequenza di questi meravigliosi treni superveloci è tale da non lasciare mai a piedi nessuno. Utilissimo per la ricerca degli orari, quale sia la linea, è il sito hyperdia.Com. I treni giapponesi sono esattamente come nelle migliori aspettative. Velocissimi, puntualissimi, pulitissimi, comodissimi. Ho percorso gli oltre 500 chilometri che separano Tokyo e Kyoto in poco più di 150 minuti, passati a dormire, a sbirciare i panorami esterni o ad osservare i giapponesi consumare il pranzo nei famosi bento. Solo tra Kyoto e Nara ho utilizzato treni tradizionali; all’andata un locale che sostava in tutte le stazioni, a beneficio di studenti e lavoratori, e che ci ha impiegato oltre un’ora; un espresso al ritorno, con non più 40 minuti di percorrenza.
Quanto a Kyoto, è una città che si lascia girare facilmente a piedi, in bici, ed in autobus, e che dispone, in ogni caso, di una linea metropolitana, che taglia in due la città, da nord a sud, da est ad ovest, adatta per i tragitti più rapidi. I principali hotel e ryokan dispongono di mappe della città, con l’indicazione degli autobus utili, e vendono biglietti giornalieri, al costo di 500 euro. L’unica controindicazione, per autobus e metro, è che le corse terminano intorno alle 22.00. Per quel che mi riguarda, utilizzavo i bus per raggiungere le zone templari o il centro di giorno, mentre di sera approfittavo delle bici che il mio hotel noleggiava ad una tariffa simbolica. Scegliere un alloggio non lontano dal centro può essere la migliore delle soluzioni. Per quanto concerne Nara, infine, nessun problema di trasporti. E’ una città così piccola che si può girare tranquillamente a piedi o in bicicletta. Senza trascurare gli efficienti autobus, tra cui il n.2, che collega la stazione con il parco ed i principali Templi. Gli alloggi Due dei tre luoghi dove ho alloggiato sono stati scelti grazie al prezioso contributo di Turisti per Caso. Un altro grazie al tam-tam degli amici ed alla preziosa conferma di una signora giapponese, oggi residente a Lecce.
Avevo deciso sin da subito di optare per i ryokan, non solo per contenere i costi, ma soprattutto per vivere sino in fondo le abitudini giapponesi ed avere, magari, l’opportunità di conoscere altri viaggiatori.
Per chi non fosse ancora informato, i ryokan sono strutture economiche, ma accoglienti, simili a bed & breakfast, con camere generalmente alla giapponese, vale a dire con il futon per terra, al posto del classico letto. Alla resa dei conti ho provato due ryokan, sempre a Tokyo, ed un albergo con un eccellente rapporto qualità-prezzo in quel di Kyoto.
Tutti prenotati dall’Italia, via e.Mail o fax, tutti con buon anticipo, per non correre il rischio di vedere sfumare le soluzioni migliori. Tutti muniti di accesso gratuito ad internet, biciclette ed altri utili servizi.
I ryokan ai primi posti nelle graduatorie della lonely planet, per esempio, sono tra i più ambiti.
A Tokyo, in particolare, ho dormito, per le prime quattro notti, al ryokan Sawanoya (www.Sawanoya.Com), senz’altro il mio preferito. E’ una struttura che si trova a Yanaka, a due passi da Ueno Park e dalla stazione metro di Nezu, gestita dalla famiglia Sawanoya al completo, pappagallo incluso. Avevo una stanza confortevole, con un futon comodissimo, il tavolino con la teiera elettrica, la vestaglia e le pantofole giapponesi, ma senza bagno, giusto lavandino e specchio. Nessun problema, perché a parte le comodissime toilette, munite di water elettronico (musica, spruzzo d’acqua, scarico e bidet incluso nel servizio, premendo dei semplici tasti), fruivo dei bagni tradizionali fatti costruire a piano terra. Due comodissime stanze dove, come nelle migliori tradizioni giapponesi, dapprima ci si lava e poi ci s’immerge in una gran vasca d’acqua bollente. Esperienza poi ripetuta anche all’esterno e condivisa con simpatici estranei, a Kyoto ed Asakusa, in uno dei tanti sento di cui pullula il Paese. Davvero una delle tante cose per le quali vale la pena di vivere il Giappone. Prezzo per il Sawanoya, circa 5000 yen a notte, colazione a parte, ma con la possibilità di bere caffè e the gratis a qualsiasi ora e di usufruire del frigorifero. Unica controindicazione per chi ama la vita notturna è l’eccessiva tranquillità che coglie il quartiere dopo le 21.00. Il secondo ryokan di Tokyo è il Toukaisou, nel cuore di Asakusa, a circa 400 metri dal Kannon Temple e dalla stazione di Tawaramachi. Dista non più di cinque minuti a piedi da Kappabashi Dori, la strada delle suppellettili ed utensili per cucina, e, in direzione opposta, dal fiume; quindici dalla stazione di Ueno. Eccellente per la posizione in cui si trova, inferiore al Sawanoya per la qualità dei servizi. Personalmente ho dormito la prima notte nella parte del ryokan dove vi sono stanze e spazi comuni (cucina inclusa), dividendo una quadrupla con letti a castello con tre simpatici sconosciuti (costo circa 2500 yen). Nelle due successive notti, mi sono trasferito in una singola, munita di bagno in camera (4300 yen a notte) e della solita teiera, poco luminosa e che mi dava l’impressione di essere un po’ umida. Nulla di grave, in ogni caso. Gentilissimo, come sempre, il personale. A Kyoto, infine, ho dormito al Palace Side Hotel (www.Palacesidehotel.Co.Jp), un’ottima struttura, posta di fronte al Palazzo Imperiale, ad appena 3 minuti a piedi, con valigia, dall’uscita 2 della Marutamachi Station. Un albergo vero e proprio, equiparabile ad un nostro 3 stelle, con una stanza confortevole e grande, dotata di tv con un paio di canali internazionali, radio, teiera elettrica, bagno con doccia, accesso ad internet nella hall. Il tutto per 4725 yen a notte, poco meno di 30 euro. Comoda per visitare anche il castello che è nei paraggi, e per prendere l’autobus 204 per la zona templare. Un po’ più distante dal centro, a circa 20 minuti di cammino.
Vedere lo sport in Giappone Vivere lo sport in Giappone vuol dire osservare un altro punto di vista, un approccio culturale molto differente rispetto a quello cui siamo abituati, soprattutto se entra in gioco il Dio football.
E’ vero che Giappone vuol dire prima di tutto baseball, sumo e tanto ancora, ma, come accaduto in altri posti del mondo, mi piaceva l’idea di seguire dal vivo un incontro di calcio. Ecco perché, come nelle migliori tradizioni italiche, ho passato la mia prima domenica all’Ajinomoto Stadium, teatro di un avvincente match tra Tokyo Fc e Kawasaky Frontales, formazioni della serie A locale. Al di là del pesante passivo (7-0), rifilato dalla squadra ospite ai rossoblu padroni di casa, è stato uno spettacolo tutto da godere, con le tifoserie, di chiara ispirazione europea, a cantare dall’inizio alla fine, i movimenti sincroni e comici dalla panchina dell’allenatore e del suo vice (o forse l’interprete?!?), il giro di campo e l’inchino di scuse del Tokyo ai propri tifosi, lo straordinario fair-play ed il defluire composto delle tante famiglie giunte allo stadio. La mia seconda domenica a Tokyo, invece, l’ho trascorsa nel magnifico palasport di Sendagaya, dove si disputava la Coppa del Mondo di volley femminile, seguitissima nel Sol Levante, peraltro trionfalmente vinta dall’Italia. Tre match, tra cui quello delle azzurre, ma soprattutto lo straordinario show del pubblico di casa, durante la gara tra Giappone e Serbia. Diecimila anime entusiaste e sorridenti. Difficile descrivere la sensazione, ma mi pareva, a tratti, di vivere in un cartone animato, una delle puntate più felici di Mimì o di Mila e Shiro, mitici personaggi dell’infanzia che fu. Un divertimento davvero unico e che consiglio agli amanti dello sport.
I miei posti Un viaggio in Giappone lascia tracce indelebili nella memoria. Ogni angolo è meritevole di una foto e di un ricordo. Mi piace lasciare ai futuri viaggiatori qualche piccolo suggerimento culinario. La scelta è amplissima. Si può scegliere cosa mangiare e trovarlo in qualsiasi angolo del Giappone, dove i ristoranti, le locande o le osterie tipiche sono sempre settoriali. Ci sono luoghi dove mangiare il sushi, altri per mangiare i ramen o la tempura e via discorrendo. Nel mio girovagare culinario ho amato, in particolare, alcuni luoghi. A Tokyo ho provato e riprovato un locale dove si mangia un sushi straordinario. Si trova a Tsukiji, in una delle viuzze che costeggiano il mercato del pesce. E’ riconoscibile dall’insegna a tenda verde e dalla lunga fila di commensali, che attendono di poter sedere ad uno dei dodici posti disponibili intorno al bancone. Non fatevi illusioni: troverete la medesima fila alle sette del mattino, dopo aver girovagato per il mercato e visto la famosa asta dei tonni, oppure all’ora di pranzo. Pesce freschissimo, che si scioglie in bocca, con una tariffa base di 2200 yen, inclusi i tazzoni di the verde, serviti in continuazione dalla simpatica padrona di casa. Il solo pensiero mi fa tornare l’acquolina in bocca.
A Ueno ho amato e vissuto sino in fondo la mia osteria preferita. Spalle alla stazione di Ueno si attraversa la strada e si va sempre diritti. Dopo circa cento metri, ad angolo vi è lo Yabu Soba, ristorante suggerito dalla Lonely Planet, e che prepara discreti Soba (spaghetti di grano saraceno). Subito accanto vi è un’insegna rossa ed un’Izakaia che rappresenta il cuore pulsante di Ueno. Un bancone lungo e tanti tavolini. Un simpatico cinquantenne, alla griglia che prepara pollo yakitori e diffonde fumo per l’intero locale. L’atmosfera è da bar dello sport. La tv con il baseball e tanti lavoratori, per lo più uomini, appena usciti dall’ufficio dopo una giornata intensa, che consumano il rito quotidiano della birra e dello spuntino prima della cena. Un luogo dove ci si sente parte integrante di quella comunità e verrebbe voglia di intavolare lunghi discorsi filosofici con illustri sconosciuti. Altri trenta metri verso destra e c’è l’uomo dell’ananas, che prepara spiedini di frutta a 100 yen l’uno ed accoglie le soste incessanti di tante signorine.
Avrei provato volentieri, infine, il New York Grill, ristorante panoramico e piuttosto caro, al 52° piano del Park Hyatt Hotel. Vale la pena di perdersi tra le nuvole, mangiare una bistecca e guardare l’immenso che c’è oltre le vetrate.
A Kyoto, infine, ho trovato straordinariamente accogliente la locanda di Kawa, a 30 metri dal ryokan Yuhara ed a 100 dal Riverside Takase, entrambi segnalati dalla Lonely Planet. Mr Kawa è un personaggio da fumetto. Mette gli ospiti a proprio agio, cucina un ottimo pollo yakitori ed altre specialità a buon prezzo. Regala sempre un sorriso ed il buon umore ed ha sorseggiato con me un buon sake. Uno di quei luoghi dove passeresti le ore a dialogare con gli amici. A fine cena consegna agli ospiti un libro su cui raccoglie le dediche ed i pensieri dei tanti commensali. Me n’è rimasto impresso uno, era di un milanese, ed invitava in rigoroso italiano a mangiare tutto, tranne una terribile frittata. Grazie del consiglio, lo divulgo ai prossimi viaggiatori.