Oman la terra degli angioletti
Martedì 17 fatta colazione e caricati i bagagli in macchina lasciamo l’hotel Corniche e ci dirigiamo verso la grande moschea che si trova a circa metà strada fra Muscat e Seeb. La moschea è aperta ai visitatori dalle 9 del mattino fino alle 11 per cui è meglio sbrigarsi. All’ingresso ad attenderci ci sono due omaniti un uomo e una donna che controllano se l’abbigliamento dei visitatori è corretto. La nostra compagnia è passata quasi indenne, a parte qualche aggiustatina al copricapo, che è obbligatorio, per il resto tutto a posto. Il problema grosso lo ha una ragazza romana, proveniente da un’escursione di una crociera, che molto spavaldamente si presenta in tenuta da spiaggia con pantaloncini corti e un topettino che è un bijou in quel contesto. La signora omanita addetta al controllo non si limita a dire semplicemente”No” ma credo che tutte le parole ingiuriose che conosce gliele abbia dette e con tutto il disprezzo di cui era capace. Naturalmente aveva tutte le ragioni di inveire e per quel che riguarda la sfrontata era sufficiente che pensasse come ci si veste per entrare nelle nostre chiese per evitare lo scandalo e a noi la figura in quanto connazionali. La moschea è davvero grande e bella con tanto marmo bianco e all’interno il pavimento è coperto non da un tappeto ma dal tappeto, quello fatto a mano più grande del mondo( 60m. X 70 m.) Lasciata la Grande Moschea su suggerimento di Elena andiamo a visitare la città di Seeb. Anche qui troviamo il suq, naturalmente niente a confronto di quello di Muscat, c’è un piccolo forte e la spiaggia non eccessivamente bella. La giornata è bella e fa caldo è ora di pranzo ma nessuno ha appetito, ma proprio di fronte a noi c’è un bar ristorante e ci si ferma per un gelato. Oggi pomeriggio libero e che c’è di meglio di un po’di relax in spiaggia? La guida della lonely consiglia di andare in un albergo e chiedere il permesso di usufruire della loro spiaggia in modo da sentirci più libere nell’indossare il costume. Ci siamo andati ma per poche ore di sole il prezzo era eccessivo e poi proprio di fronte alla loro spiaggetta c’è quella libera molto più grande e abbastanza attrezzata. Il costume… ecco il costume lo abbiamo tutti ma nessuno ha pensato di indossarlo e in spiaggia non ci sono le cabine, ma noi siamo pieni di risorse e non ci fermiamo di fronte a un problema così piccolo e allora una parte di noi a turno si cambia in macchina e la scostumata di Maria Angela fra quei due parapetti fatti a semicerchio posti per avere un po’ di privacy durante la doccia. La spiaggia non è affollata e nessuno ci guarda neanche i passanti per cui non ci sentiamo a disagio.
Khargeen Cafè si chiama il ristorante che la nostra guida ci consiglia caldamente per la cena e noi ci andiamo. Fissiamo l’appuntamento alle 22 al taxista con il furgoncino per il ritorno in albergo e lui non solo accetta ma dice che si ferma ad aspettarci, noi ci lamentiamo dicendo che non è il caso, ma lui insiste e allora va bene così. Come spesso succede nei locali un po’ ” in “ è gradita la prenotazione e noi non l’abbiamo e siamo in otto, ma la signora si dà da fare e il posto ce lo trova all’aperto. E’ un bel giardino, grande, poco illuminato così da dare un’atmosfera di intimità, ci sono piante e fiori e un canaletto dove scorre l’acqua, sicuramente per innaffiare il verde. E’ proprio un bel localino e visto che è frequentato sia da turisti che da omaniti è bello osservare un po’ le abitudini locali. Ci stavamo giusto chiedendo a che cosa servisse quella specie di grande cubo di fianco a noi fatto in vetro con le tende all’interno, quando vediamo arrivare un cameriere con un vassoio colmo di vivande, si avvicina al cubo, apre la porta e scosta la tenda per entrare e da quel triangolo di luce si intravedono degli omaniti, rigorosamente vestiti con il tipico abito candido e inamidato che, seduti a gambe incrociate sul tappeto che copre il pavimento, aspettano di essere serviti. Solo a cena ultimata viene tirata la tenda e aperta la porta di quel famoso cubo fatto di vetro o plexiglass. Inutile dire che la nostra curiosità fu più forte di ogni comportamento dettato dalla buona educazione e quindi ci siamo voltati tutti a guardare e qualcuno ha addirittura scattato delle foto. Quel che mi ha fatto specie è che sentendosi osservati si comportavano come tante ragazzine timide al loro primo affacciarsi al mondo degli adulti. Tutta questa attenzione li metteva a disagio così uno di loro si alza e chiude la porta la porta.
Anche stasera il menù scelto ha soddisfatto il nostro palato e il servizio è stato ottimo. Adesso andiamo a vedere se il nostro taxista è stato di parola e se davvero è fuori che ci aspetta. Naturalmente c’è e ci viene incontro con un gran sorriso.
Mercoledì 18, come sempre verso le 8 ci alziamo e si scende a fare colazione insieme, ma stamattina ne manca una ed è Elena. Maria Angela, che divide la stanza con lei, dice che non è stata bene per tutta la notte, probabilmente problemi di digestione, magari ha mangiato un po’ troppe cremine ottime al palato ma pesanti allo stomaco, pare che abbia già ingerito dei farmaci per cui è meglio lasciarla riposare ancora un po’. Questa mattina bisogna lasciare l’albergo per scendere giù verso la spiaggia delle tartarughe quindi, caricati i bagagli in macchina, aspettiamo che Elena arrivi e poi via verso l’emozionante incontro. La prima cittadina che incontriamo lungo l’autostrada è Qurayat, un villaggio di pescatori dove ci fermiamo a fare provviste. Anche oggi è una giornata calda e a parte qualche capretta in cerca di cibo non c’è in giro nessuno. Siamo sul lungomare e cerchiamo un negozietto di alimentari, ne scorgiamo uno dall’altra parte della strada e ci andiamo, ma le uniche cose che troviamo sono pane e acqua. E’ d’uopo prendere la macchina e cercare all’interno del villaggio qualcosa d’altro. Con il caldo si mangia volentieri tanta frutta, così, trovato un fruttivendolo, ne abbiamo comprata una quantità industriale, ma dopotutto siamo in otto. Il nostro viaggio continua verso Sur fino quando non incontreremo l’indicazione di uscita per un wadi per fare pic nic e l’indicazione arriva e noi usciamo a Tiwi al Wadi Shab. Come già detto questa regione è indicata come il giardino dell’Oman e quindi è facile trovare dei wadi lussureggianti ma questo è il primo che vedremo. I cartelli stradali non sono molto chiari perciò andiamo a intuizione e prendiamo per una stradina sterrata in discesa che a un certo punto diventa quasi un dirupo e a questo punto Gina scende dalla macchina e, fatto a piedi il breve tratto scosceso, ci chiama perché proprio a due passi da lì incomincia il wadi. È di una bellezza sconvolgente! Alle spalle appena dietro l’angolo abbiamo lasciato asfalto, terra e cemento e adesso ci troviamo di fronte un paradiso. È uno spettacolo della natura, delle alte palme ombrose fanno da cornice ad un verde laghetto che attraversa tutta la valle e ai lati altissime rocce sembrano sporgersi come a proteggere questo eden. E’ stato il primo pic nic di soddisfazione. Però a ragion del vero va anche detto che all’entrata del wadi c’erano degli operai che stavano lavorando col cemento e sopra di loro passava l’autostrada, piccolo neo in un posto d’incanto.
Riprendiamo l’autostrada e proseguiamo verso Sur, entriamo in città per cercare un albergo ma poi ci accorgiamo che la spiaggia delle tartarughe è piuttosto lontana da qui e allora vale la pena di rischiare e continuare fino a Ras Al Hadd e cercare un albergo lì. L’impiegato della reception di Ras Al Hadd Beach Hotel ci ha detto che le stanze per otto turisti “fai da te” ci sono e non solo, l’albergatore si fa carico di prenotarci la guida per la spiaggia delle tartarughe. Era proprio quello che volevamo noi.
Sono le nove di sera ed è ora di andare a trovare le tartarughe. Sulla nostra macchina sale la guida che si mette al volante e Vanni ci seguirà con la sua. Percorsi quegli otto km che ci separano dalla spiaggia di Ras Al- Jinz ci troviamo di fronte una costruzione, quella è la stazione dove gruppi di turisti attendono il loro turno e dopo aver pagato, anche noi ci mettiamo in attesa. Ecco è arrivato il nostro momento e come tanti soldatini seguiamo la guida che con una fievole luce azzurra ci fa strada. E’ di rigore il silenzio e noi con scrupolosità osserviamo la regola. Ci dirigiamo verso la spiaggia e sotto un cielo stellato come poche volte ho visto,un enorme tartaruga sta deponendo le uova in un buco profondo precedentemente scavato. Tutti chi più chi meno abbiamo visto nei documentari questo spettacolo ma dal vivo ti emoziona proprio, ma non è tutto, poco più in là un’altra ha finito e sta ora coprendo di sabbia il suo tesoro. Eravamo ormai convinti di aver visto tutto, quando la guida di un altro gruppo ci chiama perché poco lontano nei pressi della batigia tanti tartarughini stanno uscendo dalla sabbia e corrono verso il mare. Naturalmente niente foto perché i flash disturberebbero troppo. Questo momento è dal vivo non è un documentario e mi rendo conto delle proporzioni e i tartarughini sono proprio piccoli e sembra impossibile che da adulti possano arrivare ad avere dimensioni così importanti. Ecco una baby tartaruga che nella corsa ha forse incontrato un granello di sabbia che l’ha ostacolata e adesso si trova a pancia in su e muove velocemente le zampette come a darsi una spinta per girarsi e riprendere la sua corsa verso la vita, ma con tutta la sua buona volontà da sola non ci sarebbe mai riuscita e allora ecco la nostra guida che con una semplice penna a sfera le da quell’ aiuto necessario per evitarle la morte sicura.
Che meraviglia!!! Che spettacolo!!! Non so se siamo stati fortunati o se ogni notte c’e la tartaruga di turno che depone le uova e quella che le copre e i tartarughini che corrono verso il mare, so soltanto che questa non è la stagione per il rito della procreazione e allora mi sento fortunata.
Giovedì 19, la nostra destinazione finale è il deserto e nello specifico Al Qabil, ma lungo la strada ci fermeremo per il solito pic nic e quale occasione migliore di consumare il pasto in un altro favoloso wadi? La località è Al Kamil e il wadi Bant Khalid. La cartina non è molto chiara e allora arrivati al villaggio chiediamo informazioni a dei passanti. In effetti non era molto semplice trovarlo e gentilmente il ragazzo ci ha disegnato una piantina del percorso. Al Kamil è solo un punto di riferimento in realtà il wadi è piuttosto lontano, ma ne è valsa la pena fare qualche chilometro in più per vederlo. A differenza dell’altro qui si vede che l’uomo ha messo le mani però con discrezione, un ponticello qua una scaletta là una zona pic nic, ma quella l’abbiamo vista dopo perché noi abbiamo consumato il nostro frugale pasto in un palmeto vicino al parcheggio. Le piscine, le chiamano i residenti, in realtà sono due laghetti a tratti azzurri e a tratti verdi, davvero uno spettacolo. Finito il pranzo ci incamminiamo per una passeggiata per goderci questa meraviglia della natura. Man mano che ci inoltriamo nel verde ci accorgiamo che il posto è solo apparentemente deserto in realtà è molto affollato , infatti da sotto le palme si intravedono gruppi di persone seduti sulle coperte che riposano, qualcuno suona la chitarra altri, come noi passeggiano. Quel che ci salta subito all’occhio però è che non sono turisti o meglio sono turisti ma del posto, quello che si chiama turismo interno.
Resthouse è l’hotel che abbiamo trovato ad Al Qabil, del resto non c’era una grande scelta ma a noi va bene così. Appena sistemato i bagagli in camera chiediamo subito al gestore quali sono i tours per il deserto e lei ci dice che se ci sbrighiamo alle 17.30 c’è ancora la possibilità di fare le gimcane in macchina sulle dune e allora noi via di corsa al “Al Reesh Desert Camp “. Il sole stava calando e cominciava ad indorarsi la sabbia. Al campo c’erano tante casette di paglia sparse qua e là e dietro di loro una jeep color blu ferma a metà duna con una pendenza di circa il 50%, era impressionante, sembrava dovesse rotolare giù da un momento all’altro. Ci siamo resi conto subito che per questo giorno era impossibile qualsiasi tour, presto sarebbe arrivato il buio e tutto sarebbe diventato più difficile, tanto valeva prenotare per il giorno dopo. Silvia guardava le casette con una lacrimuccia fra le ciglia, le sarebbe piaciuto tanto dormire lì, ma ormai avevamo già preso possesso delle stanze all’hotel e non era il caso di cambiare, sì è consolata al pensiero che l’indomani avremmo corso nel deserto su e giù per le dune, 12 ore aveva detto che voleva fare, a noi tutti è sembrato un po’ troppo tempo però l’importante era prenotare poi avremmo deciso l’indomani. 8.30 puntuali, meglio prima che dopo, ecco adesso possiamo anche tornare all’albergo. Venerdì 20, evviva oggi si va sulle dune. Ci siamo alzati presto perché il capo delle guide era stato perentorio per cui finita la colazione via di corsa verso il campo. Siamo arrivati puntuali ma non vediamo nessuno che ci aspetta, le solite prime donne! Anche oggi è una bella giornata calda senza nuvole e noi ci sediamo su una piccola duna in attesa che le guide ci vengano a chiamare. Dopo circa una mezz’oretta le guide arrivano. Sono due ragazzi giovani e appena individuate le nostre macchine incominciano ad armeggiare alle ruote per sgonfiarle un po’. Che meraviglia si parte per il deserto. Prendiamo posto sulle macchine eeeee via tutti eccitati per l’avventura che ci aspetta. Dapprima, la nostra guida, scala una dunetta e la scavalca poi prende la rincorsa e fa il giro della morte su un’altra molto alta e in forte pendenza. Finito il giro della morte prende velocità e poi su di nuovo sulla duna ma dalla parte più bassa per poi scendere a picco dall’altra parte. A volte sale fin su in alto, si ferma qualche secondo poi giù di traverso dall’altra parte. I nostri gridolini di divertimento la incoraggiano a fare ancora di più. Dietro di noi Vanni e gli altri amici ci seguono e vivono due volte la stessa emozione perché vedono le nostre evoluzioni e sanno che la stessa sorte toccherà anche a loro. Ogni tanto spio Vanni per cercare qualche espressione sul suo viso che indichi divertimento o sofferenza ma è impassibile e non riesco a capire. Ad un certo punto, finita l’ennesima discesa, il nostro autista si ferma apre la portiera e scende, l’altra macchina dietro di noi non c’è più. Scendiamo tutti dalla jeep per andare a cercarli. Li troviamo dietro la prima duna con le ruote sprofondate nella sabbia. Con l’aiuto di tutti piano piano l’auto si libera e si porta a fianco della nostra. Vanni disse poi che il loro autista, dopo l’insabbiamento, perse un po’ di fiducia in se stesso e di conseguenza per i nostri amici finì allora il divertimento e cominciò la paura. Il divertimento finisce anche per noi perché abbiamo capito che questo gioco può finire in tragedia e allora preghiamo l’autista di tornare al campo senza più gimcane, ma a lui piace troppo e non ascolta continuando le sue scalate finché Paola apre la portiera e finge di saltare giù dalla jeep. Allora allarmato alza le braccia e dice:”Ok” e si torna al campo … e son passate 2 ore e mezza, meno male che anche a Silvia è bastato e non ha più parlato di 12 ore nel deserto. Roberto ha telefonato e dice che è guarito e che arriva stasera perciò lasciamo l’hotel Resthouse e andiamo ad accoglierlo all’aeroporto di Seeb. E’ ancora presto e allora facciamo un giro per la cittadina di Barqa e poi al Seeb International Hotel a prenotare per la notte, lo stesso della notte in cui siamo arrivati. Si è fatta l’ora della cena così gioco forza andare a cercare un ristorantino nei dintorni, ma causa sensi unici giriamo tanto per poi approdare a poche centinaia di metri dall’hotel. Per curiosità devo dire che ci siamo persi in un rondò, ci siamo sentiti sul cellulare con gli altri ma alla fine decidiamo di smettere di correrci dietro e che ogni macchina faccia da sé e allora noi ci fermiamo in un ristorantino e ordiniamo il Kebab di pollo per tutte . Siamo lì tranquille in attesa che ci portino i nostri piatti quando vediamo arrivare il resto della compagnia e allora si siedono anche loro e ordinano lo stesso piatto che abbiamo scelto noi. Convinti che il Kebab si trattasse di quella carne a strati posta su uno spiedo che gira e una fiamma azzurra posta in verticale sul dietro la lambisce appena e lentamente l’arrostisce, quando vediamo arrivare i nostri piatti con dentro mezzo pollo e una montagna di riso. Solo la sera dopo veniamo a sapere che la parola Kebab in arabo significa arrosto e quello che intendiamo noi si chiama Shawarma. Si torna in hotel tranne Paola e Gina che vanno in aeroporto a ricevere Roberto. Sabato 21 Roberto viene a svegliarci con un bicchiere di caffè fumante e fresco di moka, con dentro tutto il profumo e il sapore italiano, è molto gradito a maggior ragione perché l’hotel non prevede la colazione. La sveglia è all’ora di sempre, infatti intorno alle otto e mezza stiamo già caricando i bagagli in macchina. La meta oggi è Nizwa, è tutta autostrada sono circa 300 km. Non c’è mai tanto traffico e la strada è bella non dovremmo impiegarci molto. Qui non c’è mai il dubbio che forse domani piove, male che vada può essere nuvoloso ma non di più. Arrivati in città, come sempre andiamo alla ricerca di un albergo di modo da scaricare i bagagli e viaggiare leggeri. La Lonely planet ci da qualche indicazione per quanto riguarda l’hotel e noi seguiamo il consiglio. Silvia ed Elena entrano per la prenotazione delle stanze e a stento riescono a capirsi perché il receptionist non conosce l’inglese, però le stanze ci sono anche se lasciano un po’ tanto a desiderare ma non abbiamo tempo per girare in cerca dell’hotel ideale per cui scarichiamo i bagagli e poi via verso il Forte. Ogni città e villaggio hanno il proprio castello o forte, ma questo di Nizwa è uno fra i più grandi e importanti e noi lo visitiamo. A pochi chilometri da Nizwa si trova Bahla una città molto carina anche lei con il suo imponente forte e un suq molto vecchio. Lungo la strada che ci riporta al nostro hotel ci fermiamo e notiamo lì nei dintorni un bel albergo che messo a confronto con il nostro di certo lo avrebbe fatto arrossire e desiderare di sprofondare per la vergogna. Silvia mi dice:“Ci stai che cambiamo alloggio? “ Certo che sarebbe piaciuto anche a me, ma chi glielo dice all’altro albergatore? Sempre Silvia mi dice che di questo non ci dobbiamo preoccupare perché ci pensa lei con Elena e Vanni, naturalmente avrebbero inventato una scusa plausibile, allora via a cercare di recuperare il nostro bagaglio. Io non so quanto abbiano capito gli addetti alla reception, ma di sicuro vedendo tre clienti che agitavano freneticamente le braccia su e giù, di certo non hanno pensato che volessero dire che per un imprevisto dovevano urgentemente prendere l’aereo per tornare a casa, ma sicuramente avranno pensato a dei pazzi piuttosto pericolosi usciti testé dal manicomio per cui meglio non indagare oltre e lasciarli andare. Bene ce l’abbiamo fatta e siamo soddisfatti anche perché qui ci dobbiamo stare per due notti. Al-Diyar Hotel senza essere di lusso è proprio bello e qui parlano inglese così è più facile intenderci. Domani vorremmo visitare AL Hotta Cave la grotta con le stalattiti e stalagmiti però sappiamo che questo luogo è molto gettonato e va prenotato per tempo e allora chiediamo aiuto al receptionist il quale ci risponde che di sera non c’è nessuno che risponde al telefono e che lo avrebbe fatto volentieri l’indomani mattina. Tutto a posto allora e ormai è ora di andare a cercare il ristorantino per la cena. Silvia ha letto sulla guida di un posticino tipico e abbiamo già individuato il cartello dove lo segnala e noi ci andiamo. Sì, tipico lo è davvero, tanto che, per un istante, ho pensato di essere ancora in Yemen dove era la normalità accovacciarsi sul tappeto e mangiare con le mani dal piatto appoggiato a terra davanti ai propri piedi. Ognuno ha scelto il piatto che più preferiva nel limite della propria esperienza in fatto di piatti omaniti. Io, molto sicura del fatto che ormai qualsiasi menù arabo abbia scelto ha sempre incontrato il mio gusto, sono andata tranquilla su un piatto che includeva del pane, io adoro il pane arabo e quindi non aspettavo altro che di assaporarlo. Mio Dio che errore madornale ho fatto, di pane ce n’era e in abbondanza ma era cotto e io il pancotto l’ho sempre odiato. Poco male ho mangiato il resto che comunque ce n’era in abbondanza e ho memorizzato l’accaduto in modo da non ripetere più lo stesso errore.
Bene anche oggi è stata una giornata piena e interessante ed è ormai giunta a termine, non ci resta pertanto che andare a riposarci per poi essere freschi e riposati per affrontare un’altra giornata piena di interesse e di emozioni.
Domenica 22 , come promesso il receptionist ci ha prenotato l’entrata per la grotte e così subito dopo colazione partiamo. Come già detto al Al-Diyar Hotel ci fermiamo due notti per cui non dobbiamo preoccuparci del bagaglio e viaggiamo leggeri. Il posto non è molto lontano e i cartelli tutto sommato sono chiari e precisi e senza difficoltà arriviamo alla meta. Dalla costruzione che accetta i visitatori parte un trenino che arriva fino all’interno della montagna , ma quel giorno è fermo, non va, lo dovranno sistemare, nel frattempo si va a piedi. Il percorso per arrivare all’entrata non è lungo e penso che il trenino ci sia solo per fare un po’ di scena, comunque sia appena arrivata la guida noi entriamo. Sì siamo contenti di averla visitata, ne valeva la pena. Ci stavamo appropinquando verso l’uscita quando la guida ci dice che c’è un manager italiano che lavora lì da loro e se ci fa piacere ce lo presenta. Sì certo perché no. E’ un ingegnere ed è di Torino ci parla del suo rapporto con gli arabi che dice di essere buono e di essere contento di lavorare in Oman, l’unico neo è il fatto che per lavoro ha dovuto spostarsi a Nizwa e la famiglia ce l’ha a Muscat. E’ piacevole parlare con lui ma la nostra agenda è molto fitta ed è meglio avviarci, così salutandoci ci consiglia di aggiungere al nostro programma il villaggio di Misfat perché è molto più carino e caratteristico di Al-Hamra. Al-Hamra l’abbiamo scelta perché ha un gruppo di case che molto ricordano villaggi e città dello Yemen, ma a questo punto ci incuriosisce Misfat e quindi non solo lo visiteremo ma ne approfitteremo per fare il nostro pic nic. Il palmeto per consumare il nostro pranzo c’è e c’è pure il solito canaletto con l’acqua per irrorarlo e tenerlo sempre verde e fresco. La cittadina di Al-Hamra la visiteremo al ritorno da Jebel Shams. Jebel Shams è il monte più alto di tutto l’Oman e supera i m.3000 e noi ci andiamo, però rimarremo un po’ delusi perché ce lo figuravamo popolato, da turisti naturalmente, però popolato, invece no c’eravamo solo noi e non abbiamo visto nemmeno i venditori di tappeti di cui tanto ci avevano parlato, niente di niente, solo dei residenti di passaggio ai quali abbiamo chiesto se fossimo sul monte Jebel Shams e loro hanno risposto di sì. Pazienza questa per il momento è l’unica delusione che abbiamo avuto in questo viaggio. Scendendo però abbiamo visto non so se una parte o tutto il Gran Canyon d’Arabia certo era molto profondo comunque la vista era molto suggestiva. Tornati al nostro bell’albergo ci siamo sistemati un po’ e poi abbiamo deciso di consumare la cena in hotel. All’esterno del ristorante c’era un gabbiotto di vetro dove vendevano lo Shawarma ai passanti, quale occasione per finalmente assaggiarlo e toglierci definitivamente la curiosità? Infatti è stato qui che ci siamo informati del motivo per il quale si chiedeva Kebab e ci veniva servito tutto al di fuori di quelle fette di carne infilate dentro un bastone e fatte arrostire a fuoco lento. Finalmente con pazienza il nostro cameriere ci spiegò tutto. Anche oggi è andata bene, abbiamo avuto la nostra quotidiana porzione di emozioni e soddisfatto la nostra curiosità.
Lunedì 23 partenza per Nakhal. In linea d’aria non è molto lontano ma dobbiamo aggirare i monti Hajar e quindi ci viene lunga, ma è tutto calcolato e di tempo ne abbiamo a sufficienza. Arrivati in città la prima cosa che visitiamo è sicuramente il castello perché con quello di Nizwa sono i più belli dell’Oman e questo di Nakhal è anche in parte arredato dando così l’idea di realmente vissuto. Poco lontano dal centro c’è una sorgente di acqua calda che scorre come un ruscello e di tanto in tanto forma delle pozze; è Ayn Athwarah. E’ bello potersi togliere i sandali e mettere i piedi in ammollo in quella meravigliosa acqua calda. Dopo un momento che siamo in acqua tanti pesciolini vengono a mordicchiarci la pelle, è come fare una pedicure soft perché ci tolgono la pellicina intorno alle unghie ma non è sempre facile resistere al solletico provocato dai loro morsi. E’ strano però che i pesci sopravvivano in un acqua così calda eppure sono vivi non sono lessati! A Nakhal tutto quello che volevamo vedere lo abbiamo visto, tanto vale che ci avviamo verso Rustak dove sceglieremo un albergo per la notte. Al-Shomokh Guest House Management, così si chiama l’Hotel scelto e consultando la guida leggiamo che in questo hotel c’è un ottima cucina e quindi ci prepariamo a gustarla. Non so cosa sia successo, so soltanto che a nessuno è piaciuta la cena. La carne troppo dura e il resto niente di speciale. Va però detto che non è stata cucinata da loro ma hanno preso il cibo già cotto. Dopo cena ci fermiamo a chiacchierare un momento e poi ognuno va nella propria stanza. Mirella divide la camera con me e quando ormai è pronta per entrare nel letto sposta coperte e lenzuolo e poi caccia un urlo; che cosa ha visto??? Una grossa ciocca di capelli neri. Di sicuro quelle lenzuola non sono state cambiate dopo l’ultimo ospite. Mirella schifata richiude il tutto, tira indietro solo la coperta e prende dal borsone il suo lenzuolo. Per fortuna noi tutti, quando andiamo in giro per il mondo, abbiamo l’abitudine di portarci il lenzuolo fatto a sacco in modo che ci avvolga tutto il corpo, e una federa da tutelarci in casi come questo. La mattina a colazione, fatta di pane tostato e marmellata, parliamo di quello che è successo a Mirella, e Gina dice che è certa che non cambino le lenzuola ad ogni avvicendamento di ospiti perché a lei è successo di lasciare la stanza per scendere a colazione ma, avendo dimenticato qualcosa, è tornata indietro subito e ha trovato il suo letto già fatto e nessun carrello con le lenzuola sporche, quel che è certo è che è mancato il tempo materiale per il cambio delle lenzuola. Questo è un piccolo scotto che dobbiamo pagare se vogliamo girare il mondo a 360 gradi.
Martedì 24, più o meno alla solita ora ci alziamo e subito dopo colazione ci avviamo , abbiamo la cittadina da visitare e il forte che osserveremo solo dall’esterno e poi ci sono le derrate alimentari da comprare se vogliamo fare pic nic in qualche wadi. Quello del pic nic è un rito a cui difficilmente rinunciamo. In qualsiasi paese del mondo troviamo sempre un pretesto e un posto ideale per poter consumare il pasto di mezzogiorno all’aperto. Certo se ci fossero sempre le baguette sarebbe meglio, Silvia preparerebbe dei panini per sé e per gli altri da fare invidia a qualsiasi paninoteca, però ci si adatta sempre volentieri. Non ci resta che lasciare la città e avviarci verso Ras Sawadi, destinazione finale per questa giornata, e intanto guarderemo i cartelli in cerca di un wadi che ci ospiti almeno per il tempo di un pic nic. Come dicevo, questa regione chiamata giardino dell’Oman, è ricca di wadi e di lussureggianti vallette con laghetti o bucolici ruscelletti, perciò non ci siamo meravigliati se poco dopo vediamo l’indicazione che stavamo cercando e quindi mettiamo la freccia e ci avviamo verso il Wadi Hawq. Abbiamo fatto tanta strada ma del wadi nemmeno l’ombra. Noi siamo abituati ad associare il wadi ad un’isola verde ma non è sempre così, a volte, di rado veramente, è una semplice valle rocciosa dove al centro, al tempo delle piogge, scorre un fiume e questa è una di quelle, perciò il wadi lo abbiamo girato tutto ma l’oasi non l’abbiamo trovata, sicuramente ci sarà stata, ma noi non l’abbiamo vista e non sia mai detto che si debba pranzare sotto il sole senza almeno una palmina che ci faccia ombra e un ruscelletto che con il suo melodico strepitio unito al cinguettio degli uccelli ci faccia sentire parte della natura e allora via, si lascia l’arida vallata e si va in cerca di un palmeto. Non abbiamo fatta tanta strada e l’area pic nic l’abbiamo trovata. Del resto non avevamo dubbi.
Quando a casa avevamo approvato l’itinerario abbiamo lasciato dei punti in sospeso perché davamo per scontato che non ce l’avremmo fatta a visitarli. Arrivati invece al nono giorno di viaggio ci siamo accorti che invece di tempo ne avevamo d’avanzo. Questo è dovuto per primo al fatto che siamo stati un po’ larghi nel programmare per non essere sempre in corsa, ma una parte è anche dovuta al fatto che le carte stradali non sono state aggiornate e là dove si leggeva una pista sterrata adesso è un’autostrada oppure una strada asfaltata per cui i tempi di percorrenza si sono alquanto ridotti, ecco perché adesso stiamo andando ad Al-Sawadi. Infatti sarà da lì che partiremo per visitare le isole Damanayat. Io sono felicissima perché anche Vanni, Silvia, Maria Angela ed Elena riescono a venire con noi visto che il loro aereo parte il 26 mattina. Al-Sawadi Beach Hotel il receptionist ci dice che c’è posto per noi e se ci si ferma due notti c’è uno sconto speciale. Ora, i quattro pellegrini sopra citati si fermeranno solo una notte perché poi quella prima della partenza la passeranno a Seeb per essere più vicini all’aeroporto. Però per noi altri cinque pellegrini ci dobbiamo sì fermare due notti e allora, visto che, nonostante l’albergo sia quasi di lusso, il prezzo è buono accettiamo l’offerta e ci fermiamo. L’impronta di questo albergo, si è vista subito, è quella di un villaggio turistico come ce ne sono tanti in tutto il mondo, non so quante stelle possa avere, so soltanto che mi è venuta un po’ di malinconia e mi sono sentita subito in gabbia. Tutto così organizzato, non ti danno neanche la possibilità di sbagliare una mossa: anche una gallina, basta che sia già stata in uno qualsiasi di questi villaggi seminati nel mondo, saprebbe come muoversi. C’è una bella piscina grande, una Jacuzzi ribollente e i famosi teli da bagno appoggiati sulle sdraio vuote. Chissà dove sono i proprietari degli asciugamani, forse a fare un giro in città e al loro ritorno vogliono essere certi di avere la sdraio. Sì è vero è un villaggio a tutti gli effetti. Però non sempre i dipendenti di queste strutture sono efficienti e questo lo sa benissimo Roberto che, nonostante abbia denunciato il fatto che il suo materasso aveva un puzzo insopportabile, si sono limitati a mandare un ragazzo con un deodorante spray ritenendo così il caso chiuso. Ma il bello doveva ancora venire. Essendo in una struttura del genere abbiamo deciso di non andare a cercare ristorantini in giro ma di fermarci lì per la cena. Non è stata un idea felice. Noi, in nove abituati nei ristorantini in giro per la città spendevamo una media di 15 reals a pasto. Quella sera Maria Angela, la nostra cassiera ufficiale, ci avvisò che lei fino a 65 reals sarebbe arrivata ma non oltre. Da 15 a 65 reals ce ne stava, e quindi andiamo via tranquilli. Accidenti, abbiamo fatto l’errore di non valutare il fatto che lì nel villaggio, come in tutti del resto, non è più come essere nel paese in cui siamo ospiti, ma vengono calcolati i prezzi come fossimo nel nostro di paese ed è così che Maria Angela, senza cambiare espressione, ci ha detto :”Ci hanno spennato, la nostra cena è costata 137 reals.”!!!! Abbiamo prenotato per le isole, l’indomani mattina alle ore 8.00 si parte, è gradita la puntualità. Intanto ci attardiamo un po’ a tavola a chiacchierare e poi a nanna.
Mercoledì 25, stamattina bisogna alzarsi presto perché alle 8 ci dobbiamo trovare in spiaggia pronti alla partenza per le isole Damanayat. Noi, come sempre, siamo puntuali ma dimentichiamo una cosa fondamentale che siamo in un paese arabo e la puntualità per loro è solo un optional, comunque la giornata è bella, siamo al mare ed è molto meglio che essere chiusi in un ufficio o in un negozio a lavorare. Verso le nove un ragazzo, senza scusarsi, viene verso di noi e dice che, per chi di noi vuole affittare muta, pinne occhiali e boccaglio di entrare nel locale a fianco al ristorante che avrebbe scelto quello che gli sarebbe servito. Noi per curiosità siamo entrati ma solo Roberto ha scelto boccaglio e occhiali, d’altronde sapevamo che in quella parte di mare c’era la possibilità di vedere dei coloratissimi pesci ma si confidava nel fatto che fosse possibile vederli anche senza imbragarsi. Qualche minuto dopo le 9 siamo pronti a partire e il comandante ci fa salire su una piccola imbarcazione. Siamo circa una dozzina ma c’è il posto a sedere per tutti. La giornata è bella e il sole scotta e sotto abbiamo tutti il costume da bagno. Dopo circa 20 minuti che siamo in mare il comandante ferma l’imbarcazione e fa scendere quelli che hanno la muta, e con loro scende anche Roberto con la maschera e boccaglio. Non molto lontano ci sono gli scogli e penso facciano parte dell’isola dove scenderemo noi. Infatti poco dopo si vede da lontano una bianchissima spiaggia circondata da rocce abbastanza scure da far apparire, se possibile, ancor più chiara la finissima sabbia. E’ una meraviglia! Sembra di camminare sul borotalco e il mare è di un bel color turchese proprio di quelli che invitano ad entrare e fare il bagno. In effetti qualcuno entra in acqua ma subito dopo si sentono dei gridolini e Gina esce lamentandosi di essere stata orticata da una medusa, ma di meduse non se ne vedono, probabilmente sono degli organismi, dei micro organismi che non si vedono ma si sentono. Di questo sicuramente ne é al corrente il comandante che subito dopo arriva con una boccettina contenente un liquido dal forte odore di aceto e lo porge alle malcapitate. Il fatto non ha influito sul nostro umore, abbiamo continuato i nostri bagni di sole e quando ci hanno detto che era ora di rientrare a malincuore siamo saliti sulla barca. Siamo arrivati sulla spiaggia del nostro albergo che era ancora presto e allora ci siamo fermati sulle sdraio in riva al mare per tirare le somme. E sì stasera metà della compagnia se ne va a Seeb a dormire perché domani torna a casa, noi invece ci fermiamo fino a domenica. E’ sì tirare le somme in tutti i sensi sia in termini monetari che per quel che riguarda il viaggio. Ci siamo detti tutti contenti del viaggio, perché abbiamo visto tante cose nuove e poi è andato tutto bene, poi per quanto riguarda la cassa comune, andando via Maria Angela, doveva passare il testimone a qualcuno di noi e visto che nessuno se la sentiva di tenere la cassa ho deciso di farlo io, in fondo si trattava solo di 3 giorni. E’ brutto vedere degli amici andare via prima, del resto lo sapevamo già fin dall’inizio, però c’è di bello che abbiamo fatto in tempo a vedere tutto quello che c’era da vedere in quelle regioni che avevamo stabilito di visitare. Nel tardo pomeriggio li abbiamo accompagnati alla macchina e li abbiamo salutati, ci saremmo poi sentiti per telefono. Memore della pettinata ricevuta a cena la sera precedente questa sera abbiamo deciso di andare a cercarci un ristorantino in paese. Non è stato difficile trovarlo e per tutti abbiamo ordinato riso e pollo arrosto e non abbiamo speso neanche la decima parte di quanto speso la sera precedente al Resort Sawadi, in più il proprietario del ristorante era così contento che ci ha detto che ci avrebbe aspettato anche l’indomani a colazione, naturalmente glielo abbiamo detto che avrebbe aspettato inutilmente, ma lui continuò a sorridere e dire di si. Tornati all’albergo ci siamo dati la buonanotte e Roberto sbuffò al pensiero di andare a coricarsi in quel letto dal cui materasso salivano dei miasmi insopportabili. Giovedì 26, lasciamo l’albergo di Sawadi e ci dirigiamo verso Sohar, adesso non dobbiamo più controllare se l’altra macchina ci sta seguendo perché i nostri amici a quest’ora sono in volo per l’Italia. Da Sawadi a Sohar è tutta autostrada per cui non abbiamo impiegato più di tanto. Entriamo in città e ci dirigiamo verso il centro, la cittadina non è male con tutte quelle case di un bianco quasi abbagliante, da il senso dell’immacolato, ma ci accorgiamo che non c’è in giro nessuno e non c’è neanche un centro vero e proprio, viene quasi la malinconia. Nonostante ciò andiamo in cerca di un hotel, Elena e Silvia non ci sono più e quindi tocca a me sciorinare il mio inglese, bella responsabilità! Ho chiesto ad un paio di alberghi ma i prezzi sono fuori di testa, sicuramente anche questi faranno parte della lunga serie di villaggi, perché in fondo questa città vanta una bella e grande spiaggia e allora giustamente ne approfittano. Giriamo ancora un po’ in cerca di qualcosa che ci inviti a restare, ma inutilmente, anche la spiaggia non è molto diversa da quella di Muscat e allora dico:” Questa cittadina è troppo quieta, non mi piace molto preferisco Muscat.”Paola che è sempre alla guida mi risponde:” Io faccio in fretta a girare la macchina e tornare alla capitale.” Ebbene sì meglio rivedere la briosa Muscat che ciondolare in una cittadina completamente piatta, tutti d’accordo giriamo la macchina e con rinnovato entusiasmo torniamo indietro. Ormai si è fatta l’ora di pranzo e ci fermiamo in un ristorante lungo la strada. C’è pesce fresco se vogliamo approfittarne, io senza pensarci due volte dico sì e gli altri mi seguono a ruota. E’ buonissimo ma è anche tanto e faccio fatica a finirlo. Roberto ordina ancora da bere e il cameriere, sorridendo, gli accarezza la barba e gli manda un bacio, meno male che se n’è andato subito perché Roberto aveva già il pugno pronto, eeeee gli arabi! Si capisce che ci stiamo avvicinando alla capitale. Che spettacolo! Che meraviglia! Mancano ancora diversi chilometri ma già l’autostrada è un tripudio di colori. A dividere le corsie, dell’andata e del ritorno, aiuole di coloratissimi fiori nel pieno della fioritura e a distanza di circa 20 metri l’uno dall’altro lampioni di elegante fattura sembrano chinati sui passanti a dar loro il benvenuto a chi viene e l’arrivederci a chi va. Ma non è tutto, ai lati dell’autostrada sulle alte pareti piegate verso l’esterno, una cascata di fiori scende fino quasi toccare l’asfalto e da qualche spazio vuoto lasciato dai cespugli non ancora in fiore si intravede l’immane lavoro dell’uomo fatto di tantissimi tubicini da dove passa l’acqua per dare ai fiori l’umidità necessaria. All’avvicinarsi della città di Seeb fino a Muscat, là dove si intersecano due o più strade ci sono i rondò dove al centro si possono ammirare le più disparate rappresentazioni. Quello dove al centro è posta una torre con un grande orologio la conosciamo benissimo, l’avremo girato almeno 10 volte la sera in cui ci siamo persi e poi ritrovati al ristorante. La rappresentazione che maggiormente ha attirato la mia attenzione è sicuramente quella di un grande bricco e se non sbaglio c’è anche una tazza, ecco ho sempre pensato cosa volesse significare, mentre quei tre volumi uno sopra l’altro sicuramente vorranno raffigurare il sapere, ma quando ormai siamo alle porte della capitale ecco come sparti traffico delle maestose fontane che di sera si tingono dei colori dell’arcobaleno. Davvero affascinante e, godendo di queste meraviglie, senza accorgercene siamo arrivati alla Corniche proprio davanti all’hotel dei primi giorni e allora non ci resta che scendere dalla macchina e prenotare le stanze per due notti. A Muscat non ci si annoia, una passeggiata sul lungomare, un giro al grande Suq e di giorno è bello lasciarsi andare nella grande spiaggia a un relax totale. In questi ultimi due giorni decidiamo di prendercela con comodo, e poi così facendo, diamo a Roberto la possibilità di vivere quello che noi già abbiamo vissuto giorni indietro, si tornerà anche al famoso e bel ristorante Khargeen e sicuramente al palazzo del Sultano. E’ stata una bella esperienza e di questo viaggio innanzi tutto ricorderò la gentilezza e l’ospitalità della gente e la bellezza delle loro vesti candide e inamidate, portate con grande dignità e consapevolezza. Ricordo una frase di Roberto quando, guardando dei bambini giocare al pallone con l’abito rigorosamente bianco e inamidato, disse: “ Sembrano tanti angioletti.” Curiosità
Compagnia aerea = Turkish air line Costo del biglietto = Euro 470 Fuso orario = + 3 ore Moneta = Real Euro = 0,42 Real Km percorsi = 2600 circa