Obrigado, Portogallo! In viaggio da Porto a Lisbona
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Secondo giorno
La mattina successiva facciamo colazione all’ottavo piano dell’hotel. Sotto di noi, la piazza si popola lentamente. Nella luce del primo mattino, il gioco delle ombre, con le sagome allungate degli alberi e delle sedie di legno, si dilegua all’apparire del forte sole di questo fine agosto. Dedichiamo l’intera giornata alla visita di Porto. Adagiata sui colli che degradano verso l’oceano, è oggi una città moderna che convive con un passato ricco di storia. Alla Casa do Infante, Rua Alfândega 10, dove si dice che sia nato, sul finire del XIV sec, Henrique il Navigatore, tra i protagonisti dell’espansionismo coloniale dell’Impero portoghese. Oppure percorrendo la strette vie dell’antico quartiere di Ribeira, dove numerosi sono i monumenti e le chiese costruiti dall’italiano Niccolò Nasoni (al quale hanno intitolato una fermata della metro). E ancora, affacciandosi sulla baia dove il Rio Douro confluisce nell’Atlantico, a guardare i barcos rabelos, le tradizionali barche impiegate per secoli nel trasporto del celebre vino locale. Per lo shopping, invece, siamo risaliti fino a Rua Santa Catarina, con boutique e centros commerciales. Accanto c’è il Mercado do Bolhão, Rua Formosa. Sotto le volte dell’ottocentesca struttura in ferro battuto, tra bancarelle e negozietti, abbiamo trovato una grande scelta di prodotti ortofrutticoli, di formaggi, pesci e carni. Un paio di dritte, per mangiare con pochi euro. Pedro Dos Frangos, Rua do Bonjardim 219, in una traversa a est di Praça Delgado, è frequentato da avventori locali (e dai lettori della Lonely Planet). Sulla strada, a ogni ora gira lo spiedo con i polli (frangos). Da poco è stato aperto un nuovo locale – stesso nome, stesso proprietario – sul marciapiede di fronte. Restaurante Fernanda Dios, Caso 42, si trova all’interno del Mercado. Una tovaglia di plastica a scacchi, un piatto di sarde arrosto e uno di calamari. Abbiamo mangiato con i frequentatori abituali, scambiando con loro parole in relax. Gli abitanti di Porto sono chiamati tripeiros (mangiatori di trippa), perché, secondo la tradizione, inviarono a Henrique il Navigatore, in partenza per la vittoriosa conquista di Ceuta, in Marocco, le migliori carni che i magazzini della città contenevano. Così che ai locali rimasero soltanto le interiora. Le tripas a moda do Porto si cucinano con i fagioli. Piatto impegnativo, con il caldo imperante.
Terzo giorno
Ddalla centrale stazione di São Bento – famosa per gli azulejos che ricoprono le pareti dell’atrio d’ingresso, circondata dalle case che si affacciano direttamente sui binari – raggiungiamo quella di Campanhã, da dove partono i treni a lunga percorrenza. In un’ora e mezzo arriviamo a Coimbra. Varcando l’entrata dell’Hotel Astória, Avenida Emídio Navaro 21, ci accoglie l’atmosfera di quello che fu un Grand Hotel d’inizio Novecento. Tra legni pregiati, grandi specchi e libri antichi. Splendida la sala della colazione (ottima e con grande scelta), dove fa bella mostra di sé il pianoforte, ricordo del bel tempo andato. Rapporto qualità/prezzo assolutamente imbattibile. Lo scricchiolio del letto è la contropartita che paghiamo volentieri a un arredamento che risente un po’ del tempo trascorso. Città universitaria per eccellenza, Coimbra si estende tra il Rio Mondego e le colline intorno. Dall’Arco de Almedina e poi per la ripida scalinata di Rua Quebra Costas, la città vecchia si estende in un reticolo di stradine tortuose, punteggiate dai resti moreschi delle antiche mura fortificate, dalle sedi delle varie facoltà e da numerose chiese, tra le quali l’Igreja de Santa Cruz, in quello stile manuelino, che avremmo poi avuto occasione di conoscere in più occasioni a Lisbona. Ci fermiamo al Fado ao Centro, Rua Quebra Costas 7, dove ogni giorno si realizzano iniziative culturali per tenere vivo l’interesse per questa musica popolare, che rappresenta l’anima più profonda del Paese. Scopriamo che il Fado di Coimbra nasce nell’ambiente accademico, con le serenate degli studenti alle ragazze da conquistare. Ancora oggi è cantato soltanto dagli uomini, con indosso le caratteristiche mantelline scure degli universitari. E’ eseguito da un gruppo formato da una guitarra portuguesa, una guitarra acustica e una voce. Nell’occasione, troppo bravi per non essere citati, nell’ordine, Luís Barroso, Luís Carlos Santos e Carlos Pedro. Insieme a loro, Sara Cruz è l’entusiasta anima organizzativa del Centro. Da non perdere.
La sera stessa, convinti dalla positiva esperienza pomeridiana, scegliamo un nuovo spettacolo di fado da À Capella, Rua Corpo de Deus. In questo suggestivo locale, ricavato in una antica cappella, trascorriamo, fino a tardi, ore piacevoli, sorseggiando un porto bianco secco niente male.
Tra i due eventi musicali, una parentesi gastronomica da Adega Funchal, Rua das Azeiteiras 18, frequentato dagli abitanti del quartiere (con noi unici turisti). Menu regionale. Sopa de legumes (minestrone) e caldo verde (a base di verza), videla estufada e chanfana (capra stufata nel vino rosso), piatto tipico dell’entroterra montuoso.
Quarto giorno
La mattina dopo siamo nuovamente in treno. Arriviamo dopo un paio d’ore a Lisbona, “città che non risponde a nessuna logica topografica”, secondo l’azzeccata definizione di Antonio Tabucchi. La città ci sorprende con le sue tante sfaccettature. Le tre grandi piazze della Baixa e quelle minuscole e alberate del Chiado. I becos, viuzze che circondano il Castelo de São Jorge, con le case alte una spanna, e i palazzi imponenti ed eleganti di Estrela e Lapa. Le origini arabe dell’Alfama e lo stile manuelino di Belém. Un susseguirsi di realtà sociali e stili architettonici profondamente diversi. Dai quali emergono le tracce di un passato che spazia dai secoli del dominio dei mori a quelli di un Impero che si spinse oltre i confini del mondo conosciuto. La Lisbona di oggi è quella ricostruita dopo il terremoto del 1755, il più forte che abbia mai colpito una città europea. Ma anche quella sopravvissuta all’incendio del 1988 che sventrò il Chiado.
Oltre alla Lonely Planet, la nostra guida è “Lisbona Quello che il turista deve vedere” di Fernando Pessoa, il maggiore scrittore portoghese del Novecento. Scritta nel 1925, è ancora valida per conoscere la città e il suo passato. Da viaggiatore curioso, prima di partire ho letto “Canton Express” di Giuliano da Empoli. Si parla di un antenato dell’autore, Giovanni, che in rappresentanza dei banchieri fiorentini s’imbarcò al seguito di Alfonso de Albuquerque, contribuendo ad aprire la via delle Indie. Un libro per conoscere i sogni visionari, le lotte e le tribolazioni di quegli uomini che spostarono in avanti la frontiera della conoscenza e dell’economia. A tutti gli effetti, una globalizzazione ante-litteram.
La stazione di Santa Apolónia è al limite orientale del centro storico. Il tempo sembra aver rallentato la sua corsa, se confrontato al caos delle nostre stazioni ferroviarie (ma i treni funzionano che è una meraviglia). S’incrociano personaggi bizzarri, come l’anziano e allampanato facchino che seduto all’entrata, si propone per improbabili servizi ai viaggiatori carichi di valige. Fuori c’è la fila dei taxi in attesa dei radi clienti. Gli autisti discutono dell’imminente partita del Benfica nei preliminari di Champions League.
Abbiamo prenotato Albergaria Residencial Insulana, Rua da Àssunção 52, situato com’è nella zona centrale della Baixa. Tra i motivi della scelta non erano potute rientrare, ovviamente, le conversazioni alla reception con Jaime Ferreira. Sulle quali torneremo più avanti. Cominciamo la nostra visita da Praça do Comércio. Immensa, magica porta affacciata sull’oceano. Prima del low cost e del turismo di massa, qui i piroscafi scaricavano i viaggiatori provenienti da ogni dove. Con l’immaginazione rivediamo le scene di vita quotidiana del tempo. La banchina del molo affollata, i funzionari della Dogana e dell’ufficio immigrazione indaffarati, le carrozze in attesa. In questa piazza, nel 1908, fu assassinato il re Carlos e il principe ereditario. Dal balcone del Municipio, nella vicina Praça do Municipio, il 5 ottobre 1910 fu proclamata la Repubblica. Attraverso l’elegante Rua Augusta, arriviamo nella piazza popolarmente conosciuta come Rossio. Costeggiata di eleganti caffè, con al centro la statua di Dom Pedro IV, che dà il nome ufficiale alla piazza. Da sempre il luogo d’incontro di chi frequenta la città, lo fu in particolare nei mesi successivi alla rivoluzione del 25 aprile 1975, la rivoluzione dei garofani. Allora, avevo preso alloggio in una mansarda che si affacciava sulla piazza. Ricordo i capannelli di giovani. Si discuteva, ci si confrontava, in un clima di fervore e di entusiasmo, come sempre accade quando le rivoluzioni sono giovani.
Appena a est, Praça da Figueira. Fitta di negozi (tra i quali, sul lato nord, uno che vende abiti con l’insegna Firenze), fino al dopoguerra sede del mercato centrale cittadino, conserva la sua antica anima popolare. Ai lati della Baixa, si sviluppano i quartieri di Alfama e Graça da una parte e Chiado e Barrio Alto dall’altra.
Quinto giorno
Trascorriamo la giornata girovagando a piedi e facendo un giro sui tram elettrici. Come il mitico, giallo n. 28, su e giù per gli stretti vicoli dell’Alfama, dove le rotaie sfiorano le basse case abbarbicate sulla collina. Chi si affaccia alle finestre, per un attimo si ritrova a tu per tu con i viaggiatori in transito. La visita dell’Alfama è assolutamente da non perdere, anche se il quartiere non è certo più quello dei tempi di Pessoa, con “le genuine abitudini della gente che vive una vita piena di timore, di chiacchiere, di canzoni, di povertà e di sporcizia”. A bordo del tram, scendiamo dal Castello e passiamo davanti alla Cattedrale Sé, che prende il nome dall’essere stata sede vescovile. Attraversata la Baixa – con un percorso a ferro di cavallo – risaliamo dall’altra parte del centro storico, fino alla Basilica da Estrela e al Palácio da Assembleia da República, il Parlamento portoghese. Ci fermiamo al Café A Brasileira, Rua Garrett 120. Stile art déco, era il ritrovo quotidiano di Fernando Pessoa e dei letterati aderenti ai movimenti d’avanguardia degli anni Venti e Trenta. Fuori dal locale, nel 1988 l’Amministrazione comunale ha posto la statua in bronzo dello scrittore. Il monumento lo rappresenta a grandezza naturale, davanti a un tavolo, di lato una sedia vuota, come se fosse davvero in attesa di un caffè. La scultura quasi si confonde tra i tavolini degli avventori, che numerosi si fanno fotografare seduti sulla sedia di bronzo. Al centro della piccola piazza si trova la statua di António Ribeiro Chiado, poeta satirico del XVI secolo. In una delle mansarde soprastanti, Pessoa aveva posto l’abitazione di Bernardo Soares, uno degli eteronimi con i quali firmava i suoi scritti.
Tra i mezzi da utilizzare nella visita di Lisbona, non possono mancare gli elevadores, le tipiche funicolari della città. Anch’esse di un giallo acceso, ci portano ai miradores, belvederi naturali dai quali ammiriamo la skyline di Lisbona, fino alla lontana campata centrale del 25 de Abril, uno dei ponti sospesi più lunghi d’Europa. L’Elevador de Santa Justa, a due passi dal Rossio, è invece un ascensore in ferro battuto di fine Ottocento che ci porta al Convento do Carmo. In cima, a 45 metri d’altezza, ci fermiamo per un caffè al Bellalisa, elegante locale italiano dal quale si domina il centro cittadino.
Questa è anche la città delle librerie. Tante. Ci sono quelle fasciate da antiche pareti di legno scuro ricolme di libri, come la Livraria Bertrand Chiado, Rua Garrett 73, e quelle piccole, con i pavimenti e ogni dove coperti da colonne di riviste, pubblicazioni e stampe impilate, come quella in Calçada do Carmo.
Sesto giorno
Per arrivare a Belém prendiamo il tram n. 15 da Praça da Figueira. In questa località, a pochi km. dal centro della città, si trovano gli stupendi monumenti del periodo aureo della storia del Portogallo. La Torre di Belém fu voluta dal re Manuel I. Fu costruita, a difesa della città, dentro il fiume. Al posto di una precedente cappella dove si fermavano a pregare i Grandi Navigatori, la notte prima di partire per uno di quegli straordinari viaggi verso l’ignoto che duravano anni. E dai quali gli equipaggi tornavano ridotti a poche unità, stremati da tempeste, battaglie e pericoli di ogni sorta. Oggi il Tejo si è ritirato e la Torre sfiora la terraferma, alla quale è collegata da un ponte di legno. Il Mosteiro dos Jerónimos è un capolavoro architettonico assoluto. L’esempio più alto di quello stile manuelino – dal nome del sovrano dell’epoca – che si caratterizza come un tardo gotico, eccessivo e ridondante. Sovraccarico di figure, rilievi e stemmi in pietra che riempiono ogni spazio del Monastero. Lungo il Tejo, il Padrão dos Descobrimentos rappresenta una gigantesca caravella proiettata verso l’oceano. Costruita nel 1960, a ricordo dei cinquecento anni dalla morte di Henrique il Navigatore. Sulla prua della nave si affollano sovrani, navigatori, poeti, pittori e quant’altri contribuirono a fare grande l’Impero portoghese.
Settimo giorno
Oggi visitiamo Sintra. La stazione ferroviaria Rossio, dietro l’omonima piazza, ha la facciata in stile manuelino con grandi porte a forma di cavallo. Un treno ogni 20 minuti. Ventotto km che si percorrono in una mezz’ora. Sintra si trova a 300 metri di altezza, circondata da boschi e foreste, con un microclima umido e fresco anche in estate. Ci appare, anche in pieno agosto, nell’arco della stessa giornata. Amata per prima dai mori – così diversa dalle loro terre d’origine – è stata sempre il luogo di villeggiatura dei sovrani e della nobiltà lusitana. Tra i numerosi castelli, conventi e parchi che meriterebbero una visita, abbiamo scelto il Palácio Nacional da Pena.
“Il re del Portogallo volea ballar la samba…”. Nel visitare il castello, mi sorprendo a canticchiare le strofe di una famosa canzone del dopoguerra dell’orchestra di Pippo Barzizza. Allegra e scanzonata, come l’effetto che procura la visita del Palácio Nacional, per mezzo secolo residenza estiva della corona portoghese. Infatti questo è davvero il castello delle fiabe. L’architetto prussiano che lo costruì, fuse lo stile manuelino con influssi gotici e barocchi portati all’estremo della fantasia. Gli imponenti bastioni che dominano la valle e le torri di avvistamento, i balconi come le finestre – dagli improbabili colori pastello che sfumano dall’ocra al rosa – appaiono disegnati in modo bizzarro e folle. Anche l’interno è un susseguirsi di saloni e camere arredate dando libero sfogo alle stravaganti visioni dei committenti. Oggi potrebbe essere il castello di un cartone animato. O trovarsi all’interno di un parco “alla Disneyland”. Nel 1840 divenne la residenza estiva della regina Maria II. Le stanze sono state lasciate come si trovavano al momento dell’improvvisa partenza della regina Amélia, quando nel 1910 fu proclamata la Repubblica. Ciò sorprende ancora di più, pensando quanto, in quel frangente storico, la monarchia fosse lontana da un Paese che in modo traumatico conquistava i propri diritti.
Torniamo al nostro soggiorno all’Albergaria Insulana. Jaime Ferreira lavora alla reception nel turno pomeridiano. Le chiacchierate con lui mi hanno aiutato ad approfondire gli aspetti della vita portoghese che più mi interessavano. In particolare, a conoscere meglio il fado, così radicato nella cultura popolare di questa città. Al di là delle sue origini, che si perdono nel tempo con influenze della dominazione araba, il fado come s’intende oggi nasce con Maria Severa. Prostituta e cantante del quartiere popolare di Mouraria, vissuta nella prima metà del XIX secolo, ebbe una combattuta storia d’amore con il Conte de Vimioso. Severa morì giovanissima, ad appena ventisei anni. Da lì nacque il suo mito, indissolubilmente legato alla storia del fado. Anche Amália Rodrigues, la sua interprete più famosa nell’arco del secolo trascorso, era di Mouraria, dove a quindici anni vendeva arance per strada. Volevamo trascorrere una serata in una Casa do Fado. Seguendo i consigli di Ferreira, siamo andati da A Severa, Rua Das Gáveas, 51-61. Piacevole. Anche se eccessivamente caro. La sera successiva, per la cena ci ha consigliato A Licorista, Rua dos Sapateiros, 222-224. Cucina popolare con un buon rapporto qualità/prezzo. Chiedete di Miguel. Vi sarà di aiuto nella scelta dei piatti. Seduti accanto noi, abbiamo fatto amicizia con una giovane coppia di Torino, Cristiane e Roberto. Due dei tanti, tantissimi italiani che abbiamo incontrato nella nostra settimana lusitana. Abbiamo concluso la serata insieme, facendo un giro per i locali alternativi e di tendenza del Barrio Alto, dove si beve e si ascolta musica elettronica e house fino a notte fonda.
Ancora qualche indicazione enogastronomica. All’Alfama, di lato alla Cattedrale, abbiamo provato una tasca (trattoria) a gestione familiare, con piatti ben cucinati, a cominciare da un’ottima zuppa di legumi: A Tasca da Sé, Rua Augusto Rosa, 62. Da visitare il minuscolo bar che si affaccia dietro il Teatro Nacional de Dona Maria II, al Rossio. Dalla prima metà dell’Ottocento, da A Ginjinha, Largo de São Domingos 8, si beve l’omonimo liquore alla ciliegia, inventato dall’antico proprietario. Oggi si beve in bicchieri di plastica. Scegliendo la ginjinha con o senza ciliegie intere, come vi chiederà il barista quando sarà il vostro turno. Perché davanti a questa piccola bottega è un flusso ininterrotto di clienti, tra abitanti del quartiere e turisti. A Sintra ci siamo fermati a Casa Piriquita, Rua Das Padarias 1-5. In questo caffè, incredibilmente affollato a ogni ora, troverete le loro famose queijadas, torte dolci di formaggio, che già nel 1926, all’Exposição Regional, si distinsero con il riconoscimento del “Diploma d’Honra”.
Per l’esperienza di questi giorni, la cucina portoghese è semplice. Pochi piatti di sapore con ingredienti genuini. Il bacalhau. E poi sardine alla griglia, polpi e calamari. Polli e carne di manzo o di maiale (porco preto). Le pietanze sono abbondanti e accompagnate con contorni di patate, riso e insalata (da preferire, quando prevista, la mezza porzione). Come abitudine, nei ristoranti servono degli stuzzichini (di formaggi locali o altro), che possiamo rimandare indietro, anche in parte.
Ottavo giorno
E’ tempo di tornare. Riavvolgiamo il nastro del percorso. In treno di nuovo a Porto. Dalla stazione di Campanhã a quella di São Bento. La metropolitana per l’aeroporto. Un paio di notazioni. Esiste un sentimento, o meglio un’insieme di sensazioni che troviamo soltanto nella lingua portoghese (e brasiliana). Saudade. Parola intraducibile. Ricordo nostalgico di ciò che è perduto. Dove convivono l’accettazione del passato e la forza del futuro. Lo struggimento per un ricordo al quale vorremmo tendere. Sarà forse per la saudade se i portoghesi sono così spesso di poche parole. Poco propensi al comunicare esteriormente i propri sentimenti. Questi pensieri mi sono venuti alla mente il giorno della visita a Belém. Eravamo seduti da A Margen, Rua Professor Queiroz Veloso 28, a metà strada tra due monumenti simbolo, il Padrao dos Descobrimentos e la Torre di Belém. Il locale, moderno e dalle linee stilizzate che si rifrangevano nel sole del tramonto, è affacciato sulle placide acque del Tejo. Mi sono lasciato prendere dalla tranquilla bellezza del luogo, mentre a pochi metri i pescatori continuavano ad attendere i pesci che sarebbero abboccati all’amo. Ho pensato che deve essere in luoghi come questo che nasce la saudade. L’altra osservazione. I portoghesi pronunciano in ogni situazione una e una sola parola. Che traduce il nostro grazie. Forma di saluto e di comunicazione. Usata per scusarsi e con senso di rispetto. Obrigado. Per questo, mentre l’aereo della Ryanair decolla da Porto, il nostro saluto va a questa bellissima terra. Obrigado, Portogallo!