Nuova Zelanda

Il nostro viaggio itinerante in nuova Zelanda, da nord a sud, il posto piú lontano da casa che potevamo raggiungere. Un paese bellissimo, molto verde, ordinato, e con attrattive un po' per tutti i gusti se non si cerca la movida...
Scritto da: babisa
nuova zelanda
Partenza il: 22/12/2019
Ritorno il: 11/01/2020
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Km percorsi: 3640

tragitto: ISOLA NORD (1715 km): Auckland – Bay of Island – Matamata – Waiomangu – Rotorua (parchi geotermali) – Wellington

ISOLA SUD (1925 km): Blenheim (regione vitivinicola) – Kaikoura – Greymouth – Franz Joseph Glacier – Wanaka – Queenstown – Te Anau – Milford Sound – Queenstown

Ritorno da Queenstown a Auckland con volo interno.

24.12.2019 – Auckland

Atterriamo alle 10 del mattino ad Auckland dopo una serie di voli interminabili (noi non lo abbiamo fatto, ma è assolutamente consigliato uno stop-over, 30 ore di viaggio sono tantissime…). Passiamo rapidamente l’immigration, e con un taxi cumulativo preso subito fuori dall’aeroporto, raggiungiamo in una quarantina di minuti il nostro albergo, lo Star Park Service Apartment proprio sotto la Sky Tower. E’ bello e pulito, e in una posizione perfetta, la strada è tranquilla e silenziosa, ma siamo a pochi passi da Queen Street e dalla marina. La stanza è già disponibile anche se sono solo le 12:00, così lasciamo i bagagli e andiamo a far scorta di provviste in un supermercato poco lontano: il receptionist ci ha avvisato che sia il 25 che il 26 sarà quasi tutto chiuso. Siamo svegli da quasi 48 ore e siamo decisamente esausti. Tornati in stanza, ci riposiamo un paio d’ore e poi usciamo per la cena. Sarà che è la vigilia di Natale, ma alle 18:00 è già tutto chiuso.

Passeggiamo fino al Ferry Terminal destreggiandoci tra i lavori in corso: la città è una specie di cantiere, stanno facendo nuove linee della rete metropolitana, e in generale ammodernamenti un po’ dappertutto, ma il traffico è comunque abbastanza scorrevole e la passeggiata sul lungomare è piacevole. Fa piuttosto freddo e tira vento, e questa sarà una costante per tutto il viaggio.

Raggiungiamo a piedi il Viaduct, una piccola baia lungo la quale ci sono molti ristoranti e locali, fermandoci lungo il percorso per ammirare un enorme catamarano e altre barche: sicuramente Auckland è il paradiso dei velisti, passeggiando lungo la Marina si respira proprio questa atmosfera.

Ceniamo al Fish Market, che più che altro è un food market dove c’è una sola pescheria e il resto sono take away che però servono ottime pietanze a prezzi tutto sommato convenienti. La vigilia di Natale purtroppo la maggior parte dei chioschi è chiusa ma mangiamo comunque bene con ostriche e un buon curry thailandese con gamberi.

Sulla via del ritorno verso l’hotel ci fermiamo all’Occidental Belgian Beer Cafè, uno dei pochi pub aperti, dove ci beviamo una delle tante birre che hanno disponibili alla spina. In Nuova Zelanda abbiamo scoperto oltre all’ottimo cibo, anche una notevole varietà di birre locali davvero particolari e molto buone.

25.12.2019 – Auckland

Facciamo colazione in camera visto che non esiste una lobby con bar e ristorante. In stanza c’è un frigorifero, il tostapane, il microonde, bollitore per fare il caffè: a parte rare eccezioni, tutti gli hotel dove abbiamo soggiornato erano arredati così, cosa che ci ha permesso di fare sempre una buona colazione in stanza comprando il necessario al supermercato, e risparmiando così un sacco di tempo rispetto a quello che avremmo impiegato facendo colazione nei diners. Usciamo verso le 10, la città è deserta ma ci avevano avvisato. Decidiamo quindi di impiegare la giornata visitando le isole di fronte a Auckland, che dovrebbero essere tutte raggiungibili facilmente in traghetto. Vorremmo iniziare con Rangitoto, ma al desk dove cerchiamo di comprare i biglietti, l’addetto ci dice che siccome è Natale, le corse sono molto ridotte e i viaggi da e per questa isola vulcanica disabitata sono sospesi. Peccato, non ci facciamo comunque scoraggiare e prendiamo un biglietto per Devonport, con ritorno via Waiheke Island. Devonport si raggiunge in pochi minuti di navigazione, è un bellissimo villaggio con belle case e giardini pieni di fiori; anche qui è tutto chiuso ma non importa, passeggiamo fino alla cima della collina (il vulcano?), da dove si gode di una bellissima vista sulla baia e sullo skyline di Auckland. In altri 40 minuti di navigazione raggiungiamo Weiheke Island, anche qui bellissime case e giardini fioriti al centro del paese. Prendiamo al volo un autobus all’uscita del terminal dei traghetti, l’autista è vestito come uno Schutzen e parla con un accento incomprensibile ma riusciamo a fargli capire che vogliamo andare a South Beach, e a farci dire l’orario di ritorno del bus – a quanto pare, anche le corse degli autobus oggi sono alquanto ridotte. Passiamo il pomeriggio in spiaggia, prendendo il sole e facendo brevissimi bagni nell’oceano gelido. Altra parentesi, la Nuova Zelanda offre di tutto, ma di sicuro non acque calde dove programmare vacanze da spiaggia, diciamo che l’acqua va bene per chi è abituato a fare il bagno nel fiume a maggio / giugno. Alle 18:00 prendiamo l’autobus per rientrare, e dopo il tragitto in traghetto fino a Auckland, andiamo alla ricerca di un posto dove cenare. Impresa piuttosto difficile perché è tutto chiuso, alla fine troviamo una specie di takeaway cinese, il BBQ Duck Cafè vicino al nostro albergo, dove mangiamo due piatti insapore a base di pollo e manzo con riso, in un ambiente tristissimo con tavoli di plastica e servizio sbrigativo. Va detto che l’alternativa sarebbe stata un panino dalle macchinette automatiche perché la notte di Natale è davvero tutto assolutamente chiuso.

La città è deserta e quindi torniamo immediatamente in stanza: l’unica nota di colore la dà un tipo coreano che canta sguaiatamente a bordo strada, con microfono e casse, ma è talmente stonato che non credo stia facendo grandi affari stasera.

26.12.2019 – Auckland – Bay of Island

Partiamo molto tardi perché ci vuole un sacco di tempo per ritirare la macchina a noleggio. Gli addetti dell’Avis (l’agenzia è vicina all’albergo) devono compilare una infinità di carte e non lavorano velocissimi, vabbè è giorno festivo anche per loro… Comunque, alla fine ce la facciamo. Siamo costretti a imporre dei limiti al nostro piano di viaggio, che se fin’ora era abbastanza vago, adesso prevede di trasferirci sull’isola Sud il 2 gennaio: infatti su consiglio dell’addetta al noleggio, prenotiamo subito il traghetto per il trasferimento; dice che i posti sono limitati e che rischiamo di restare a terra e ha ragione, infatti l’unico posto che troviamo il 2 gennaio è alle 7:00 di mattina. Il che va bene, perché ci permetterà di goderci tutta la giornata, ma significa una levataccia alle 4:30… pazienza, ne varrà la pena (e sarà proprio così J ).

Il viaggio verso Bay of Island è piacevole, non c’è molto traffico e le strade sono belle e scorrevoli. Sui bordi l’erba è tagliata, è tutto pulitissimo come se fossero tutte strade private.

Pranziamo in una curatissima area di sosta accanto a un fiumiciattolo quindi ripartiamo verso Ruakaka beach, una spiaggia di circa 25 km sulla Bream Bay dove ci fermiamo per fare qualche foto ai numerosi surfisti. Di entrare in acqua non se ne parla nemmeno, è nuvoloso, c’è un po’ di vento e l’acqua tanto per cambiare è gelida. La vista è inquietante ma in un certo senso affascinante, a sud è aperta per 20 km fino al promontorio di Mangawhai, mentre a Nord si vede distintamente la raffineria di Marsden Point lavorare a pieno regime. Ripartiamo alla volta di Kawakawa dove ci fermiamo per ammirare dei cessi pubblici. Sì, dei gabinetti, le Hundertwasser Public Toilets, progettate dal famoso artista austriaco trasferitosi in Nuova Zelanda. Hanno uno stile che in un certo senso ricorda Gaudì, e se ci si trova sulla strada per Bay of Island, vale sicuramente la pena fermarsi.

Arriviamo nel tardo pomeriggio al nostro hotel, il Bay of Island Beach House a Paihia, non facile da trovare ma è in una posizione tranquillissima con meravigliosa vista sulla baia. Si tratta di tre monolocali moderni dotati di tutti i confort, lavatrice e asciugatrice inclusa, gestiti da un olandese molto gentile che ci aiuta ad organizzare la crociera sulla baia per domani (stesso prezzo della compagnia dei ferry locale) e ci dà un sacco di suggerimenti su dove andare a cena. Scendiamo in paese in macchina. Ci avevano suggerito di scendere a piedi ma per farlo bisogna fare attenzione alla marea, che quando è alta sommerge il sentiero quindi preferiamo evitare – ci sono comunque un sacco di posti dove parcheggiare. Andiamo da Al Fresco, che di italiano ha solo il nome, e mangiamo delle ostriche strepitose (come ovunque in NZ), una buonissima clam chowder e un fish and chips che abbiamo chiesto non fritto ma spadellato. Ottima anche la birra IPA alla spina (e anche questa sarà una consuetudine per il resto della vacanza). Con la pancia piena ce ne torniamo al nostro cottage, anche perché non c’è nulla da fare qui la sera.

27.12.2019 – Bay of Island

La crociera che abbiamo prenotato tramite l’hotel parte alle 8:00, così ci svegliamo presto e facciamo colazione sulla terrazza del nostro piccolo appartamento guardando sorgere il sole… bellissimo!. Il traghetto parte puntuale, il mare non è particolarmente agitato ma diversi passeggeri stanno male – i marinai comunque sono efficientissimi e il disagio per tutti gli altri è veramente ridotto al minimo.

Arriviamo a Hole in the Rock ma purtroppo non possiamo attraversarlo perché c’è una risacca fortissima e sarebbe troppo rischioso, così procediamo con il nostro viaggio avvistando numerose isolette, un delfino che corre dietro al nostro ferry per parecchio tempo e uno squalo piccolo e piuttosto pigro. Durante la navigazione incontriamo un sacco di barche di tutti i tipi e passiamo vicino anche ad un mega yacht da 80 mt (il Rocinante) che fa davvero impressione.

Alle 11.00 arriviamo nelle bellissime acque color smeraldo di Otehei Bay a Urupukapuka Island, e l’equipaggio ci indica una meravigliosa villa affacciata su questa baia che ci dicono essere del proprietario di Sky New Zealand.

Una volta sbarcati, ci offrono un pranzo a base di carne alla griglia e verdure, è tutto buono ma l’effetto è un po’ da gita scolastica. Sazi e rallegrati da un paio di birre, rinunciamo a fare escursioni sull’isola e decidiamo di passare ancora qualche ora in spiaggia. La piccola baia dove siamo è piena di barche, kayak e moto d’acqua, ma ci sono comodi cuscini per sedersi e un bar ben fornito nelle vicinanze, anche se nonostante gli splendidi colori l’acqua è così fredda che non facciamo il bagno.

Alle 16:00 parte il traghetto che ci riporterà a indietro. Scendiamo a Russell, con l’idea di fermarci lì per la cena, ma dopo una passeggiata di circa 10 minuti decidiamo di rientrare a Paihia. Non che Russell sia un brutto posto, anzi, ma non c’è davvero nulla di interessante: tutto il paesetto è sul lungomare, che sarà lungo in tutto 500 metri, dove si trovano delle casette coloniali molto carine, qualche ristorante, bar e negozietti per turisti. Fossimo arrivati qui alle sette ci saremmo fermati per cena ma non ci va di stare due ore al bar ad aspettare di sederci a tavola. Prendiamo il traghetto per tornare a Paihia e la sera torniamo a cena da Al Fresco, oggi però non ci va bene come ieri, in cucina pasticciano con le ordinazioni e dopo un’attesa di più di un’ora e varie proteste, riceviamo le nostre cozze stracotte e dei calamari salt and pepper gommosissimi. Almeno per scusarsi ci offrono da bere.

28.12.2019 – Trasferimento verso Matamata

Anche oggi facciamo colazione presto sulla meravigliosa terrazza del nostro appartamento e questa mattina la vista cambia, sta arrivando un’enorme nave da crociera. Fa sempre una certa impressione vedere un mostro da 300 metri navigare placidamente in queste baie così strette.

Oggi il nostro viaggio prevede molte lunghe tappe di trasferimento, quindi abbiamo cercato di renderle interessanti con qualche sosta e deviazione. Ci fermiamo subito per ammirare le Haruru Falls che però ci deludono un sacco, o meglio, sono delle cascatelle qualsiasi che si possono vedere in qualsiasi fiumiciattolo del mondo. Non sono colorate, non sono potenti, non sono alte… insomma, banali, e non meritano sicuramente alcuna deviazione (e fortunatamente non ci siamo andati a piedi visto che il Haruru Falls Trail era menzionato nella LP…).

Ripartiamo immediatamente verso la costa ovest per vedere il Copthorne Hotel su suggerimento di un amico e che secondo la LP dovrebbe essere particolarmente pittoresco e raffinato. In realtà non è niente di che, mentre sono molto belle da vedere le dune di sabbia gialla che si vedono dalla costa, peccato che il tempo nuvoloso non ne faccia risaltare i colori ma sono davvero spettacolari a picco direttamente dentro il mare, cosa che solo in Brasile avevamo visto.

30 km più a sud, entriamo nella Waipoua Forest, una foresta di Kauri (albero endemico che cresce solo in Nuova Zelanda) dove previa disinfezione delle suole delle scarpe per evitare di portare nel bosco parassiti che potrebbero far ammalare gli alberi, possiamo fare una passeggiata per arrivare a vedere il Kauri più alto di tutta la Nuova Zelanda, il Tane Mahuta. Più che gli alberi, troviamo impressionanti le enormi felci che crescono nel sottobosco, sembrano piante preistoriche.

Continuiamo verso sud, tra campi verdi e migliaia di pecore che sono ovunque. Speravamo in qualche scorcio sul mare, ma la strada corre tutta sull’interno. A parte l’attraversamento di Auckland, praticamente non c’è traffico e il nostro viaggio scorre veloce, quindi chiamiamo le Waitomo Caves perché potremmo farcela per l’ultimo tour. Purtroppo è tutto occupato e troviamo posto solo il 30 dicembre. Abbiamo avuto la stessa esperienza quando abbiamo cercato di prenotare la visita guidata a Hobbiton, i posti erano estremamente limitati e abbiamo dovuto cambiare il nostro itinerario per riuscire a fare tutto: è essenziale prenotare con vari giorni di anticipo qualunque escursione guidata, almeno nei periodi di alta affluenza.

Comunque pazienza, non avendo prenotato nulla decidiamo di andare a Matamata dove arriviamo in serata. Già all’ingresso del paese c’è un cartello che dà il benvenuto a Hobbiton, l’ufficio informazioni è fatto a forma di casa Hobbit e perfino nel ristorante dove ci fermiamo per cena il menu delle pizze è a tema.

Troviamo da dormire al Maple Lodge Motel, probabilmente l’alloggio meno bello di tutta la vacanza, piuttosto datato anche se pulito. Molliamo i bagagli e ce ne andiamo subito a fare un giro in centro, ma non c’è molto da fare né da vedere, perciò andiamo dritti a cena al Redoubt Bar and Eatery di fronte all’ufficio informazioni, e mangiamo due ottimi piatti di agnello (assolutamente consigliato in Nuova Zelanda!) fatti in due modi diversi e un servizio super. A nanna presto anche oggi perché come dappertutto, nemmeno qua sanno cos’è la vita notturna…

29.12.2019 – Hobbiton – area geotermica di Waimangu

La giornata è splendida, cielo azzurro e sole, per fortuna perché oggi faremo la visita ad Hobbiton! Facciamo un breve giro in auto per Matamata e vistiamo l’ufficio informazioni, poi ci dirigiamo verso la fattoria dove è stato ricostruito il set del Signore degli Anelli. La visita guidata è obbligatoria, non si può semplicemente arrivare lì e gironzolare per le colline. Abbiamo trovato a fatica due posti chiamando il 25 dicembre, mentre se si vuole partecipare alla cena a tema, serve prenotare con mesi di anticipo. La visita dura circa due ore, inclusa la sosta alla Taverna del Drago Verde per un bicchiere di ottima birra locale, e ne parte una ogni 10 minuti. Il set è fatto benissimo e tutto è molto curato, fin nei minimi dettagli. La nostra accompagnatrice ci spiega tutto su come sono state realizzate le casette degli Hobbit e ci lascia il tempo di girovagare un po’, facendo moltissime foto.

Lasciata Hobbiton, in circa due ore di guida raggiungiamo Rotorua, dove visitiamo il sito geotermico di Waimangu. La visita si fa da soli, almeno qui non serve prenotare, all’ingresso ci viene data una cartina ben dettagliata dove sono indicati i percorsi e le caratteristiche dei vari laghetti e pozze ribollenti che si incontrano lungo il tragitto. Il sito è molto suggestivo, ci sono tante pozze di fango e un paio di laghetti colorati molto belli, ma rispetto alle altre aree geotermiche questa è più interessante per i minerali che per i geyser.

Per percorrere tutto il sito in una sola direzione si impiegano circa 4 ore camminando in discesa lungo un tragitto adatto a tutti, con vari punti di osservazione ben indicati e con i cartelli descrittivi ad ogni sosta, e alla fine del quale si può prendere un bus navetta per tornare all’ingresso.

Durante la visita facciamo conoscenza con due tedeschi che hanno una seconda casa in Austria vicino al confine con l’Italia, visitano spesso il Friuli Venezia Giulia (la nostra regione) e viaggiano a bordo di una specie di monovolume attrezzato a camper. Ne abbiamo visti tanti in giro, si chiamano Jucy, ma sbirciando dentro non sembrano particolarmente confortevoli. E siccome noi stasera vogliamo esserlo, alloggiamo all’hotel Ibis di Rotorua, moderno, silenzioso, pulito e in una posizione ottima perché a piedi si raggiunge il centro cittadino, che è piccolino ma molto vivace. Si vede che questa cittadina è fatta per accogliere un gran numero di turisti. Come al solito, tutto è pulitissimo e perfettamente ordinato.

Ceniamo con un ottimo agnello e beef brisket da Wholly Smoked nella Eat StrEat dove c’è una vasta scelta di ristoranti e locali dove poter mangiare, bere e passare il tempo. Finalmente troviamo un posto dove alle nove di sera non è già tutto chiuso!

30.12.2019 – Area geotermica di Wai-o-Tapu e Te Puia – Waitomo Caves

Sotto un cielo nuvoloso – almeno non piove – ci dirigiamo verso il sito geotermico di Wai-o-Tapu, che da Rotorua è il più lontano dei due in programma per oggi, ma alle 10.15 c’è l’eruzione del Lady Knox Geyser e non vogliamo perdercela.

Come al solito siamo in ritardo e dobbiamo sbrigarci perché per assistere all’eruzione bisogna prima andare al visitor center a fare i biglietti validi sia per il sito principale che per il geyser, il quale però si trova un paio di Km prima dell’ingresso di Wai-o-Tapu e quindi della biglietteria. Purtroppo noi non siamo riusciti a farli on line per dei non specificati problemi al loro server. Arriviamo quindi in zona poco prima delle 10.00 e troviamo una coda di macchine lunghissima! Fra la coda di macchine, tempo per trovare parcheggio, coda alla biglietteria e altri due km per ritornare al Lady Knox, perderemo di sicuro lo “spettacolo”… non ci resta che fare un’inversione a U all’italiana e andare dritti al geyser facendo gli gnorri.

Imbocchiamo una stradina e dopo poche centinaia di metri incontriamo un’altra coda di macchine che sta lentamente entrando nell’area di parcheggio. Vanno a passo d’uomo e così non arriveremo mai in tempo, quindi prendiamo esempio da un altro gruppo di turisti (evidentemente non siamo i soli), parcheggiamo lungo la strada che porta al sito e ci incamminiamo di buon passo. A metà strada veniamo fermati da una addetta che smista le macchine nel parcheggio principale (stracolmo) e controlla i biglietti. Le spieghiamo la situazione e riusciamo a convincerla a far finta di non vederci dicendo che lo faremo dopo per visitare il resto dell’area geotermica.

Pieni di entusiasmo ci avviamo in quella che a tutti gli effetti sarà la più grande fregatura di tutto il viaggio. Il geyser si trova al centro di una specie di anfiteatro già affollatissimo, con panchine disposte tipo cinema (tutte ovviamente occupate) e un mucchio di gente in piedi. L’eruzione è indotta mediante una sostanza chimica che viene versata nella bocca del geyser da una ragazzina, è schiumosa, alta circa tre metri, dura forse un minuto scarso dopodiché tutta la zona si svuota alla velocità della luce. Praticamente si buttano via un paio d’ore fra parcheggiare, camminare fino al sito e fare la coda, per ritrovarsi lì, spesso in piedi, schiacciati in mezzo a centinaia di turisti a vedere una cosa che più finta non si può. Nella zona geotermale principale si vedono geyser molto più belli, con getti naturali più puliti e non schiumosi.

Perciò circa 10 minuti dopo il nostro arrivo, ce ne andiamo accodandoci alla mandria e ci dirigiamo alla svelta verso il visitor center. Almeno adesso non c’è più coda o quasi perché tutti avevano già fatto il biglietto prima, sbrighiamo le formalità e partiamo alla scoperta del sito. Ci sembra meno spettacolare di quello di Waimangu, sarà che il tempo non è dei migliori e i colori non risaltano, ma non è niente di speciale. Ci mettiamo circa 2 ore e mezza a fare tutto il giro.

Ci rimettiamo in marcia e appena raggiunto l’incrocio sulla Highway 5 che ci porterà a Te Puia, c’è una stazione di servizio con annesso negozio di miele, la Arataki Honey Ltd che vende il buonissimo miele Manuka al prezzo più conveniente che abbiamo trovato in Nuova Zelanda. Il prezzo deriva dalla cosiddetta classificazione UMF, che è l’organizzazione di controllo del miele Manuka, la quale determina il livello di MGO contenuto nel prodotto, e cioè la concentrazione della sostanza che svolge la funzione antibatterica per cui questo miele è famoso. Più questa concentrazione è alta e più il miele è pregiato e quindi costoso. Ad Auckland abbiamo trovato confezioni da 250 gr. a 1.900 NZ$. Incredibile! Qui ci sono tutte le qualità, ma rispetto alla capitale costa circa la metà. Noi non siamo molto esperti in materia, ci piace solo il miele (e questo è davvero buonissimo), perciò ne facciamo una piccola scorta e ripartiamo.

Arrivati a Te Puia si capisce subito che è il sito più visitato (ed effettivamente è quello che ci è piaciuto di più) il parcheggio è enorme, così come l’ingresso. Andiamo subito al Kiwi Conservation Centre dove riusciamo finalmente a vedere i kiwi in un ambiente buio dietro a delle enormi vetrate, sono grandi più o meno come dei polli ma più rotondi, sono carini. Per la visita del sito avremmo voluto unirci ad uno dei tour guidati ma ci mettono troppo a raggrupparsi e la guida parla con un accento incomprensibile, quindi li abbandoniamo e proseguiamo da soli. Il sito è molto bello, il geyser Pohutu è veramente spettacolare, la colonna sarà alta una decina di metri e l’eruzione dura parecchio tempo. Dovendo scegliere, potevamo tralasciare Wai-O-Tapu, che è il meno spettacolare dei tre.

Ripartiamo e in circa due ore raggiungiamo le Waitomo Caves, dove abbiamo prenotato il tour per vedere i gloworms. Prima ci fanno scendere in una grotta con belle formazioni calcaree, in fondo alla quale riusciamo già a vedere alcuni di questi strani animaletti. Ma la meraviglia è durante la gita sulla barca, dove navighiamo in silenzio nelle profondità della grotta e il soffitto sopra di noi sembra un cielo stellato da tanti ce ne sono. Ne vale davvero la pena, è un’esperienza unica per chi visita la Nuova Zelanda. Ritorniamo in superficie verso le 20:00, tardissimo per mangiare. Dopo qualche telefonata e giri a vuoto troviamo il Tomo Bar & Eatery ancora aperto dove possiamo cenare fuori ma dobbiamo adattarci al cibo di qualità piuttosto scarsa. La buona birra non riscatta quella che a tutti gli effetti sarà la cena peggiore della vacanza.

Dormiamo a Otorohanga al Palm Court Motel, classico motel “all’americana” con le macchine parcheggiate davanti alle porte delle camere. Decisamente datato ma tutto sommato pulito e come al solito dotato di tutto il necessario per prepararsi in autonomia un’ottima colazione il mattino successivo.

31.12.2019 – Trasferimento a Wellington

Oggi ci aspetta una lunga tappa di trasferimento, interrotta da un ottimo pranzo alla Brewing Union Company a Palmerston North, il migliore di tutto il nostro soggiorno. E’ un birrificio con tutta la produzione a vista, ovviamente birra spettacolare, ambiente bellissimo e ottima cucina. Piatti abbondanti e molto saporiti con costi davvero limitati. Ci siamo fermati a Palmerston per caso, solo per fare una breve sosta e riposarci e abbiamo avuto molta fortuna. La cittadina sembra anche carina, almeno da quel poco che ne abbiamo visto, e molto vivace.

Ripartiamo e facciamo una deviazione lungo una strada panoramica molto tortuosa che ci fa allungare il tragitto di 40 minuti ma lungo la quale vediamo bellissimi panorami, colline e campi costellati di pecore.

Arriviamo a Wellington verso le 17:00 e scarichiamo i bagagli all’hotel Mercure Central Wellington, albergo che avrebbe bisogno di un rinnovamento ma situato in una posizione davvero perfetta, lontano dal caos ma a due passi dal centro. La nostra stanza comunque andava più che bene, una specie di suite con camera da letto separata dalla “zona giorno” con salottino e immancabile angolo cucina. Al piano terra c’è anche una lavanderia a disposizione per gli ospiti.

Usciamo subito per esplorare la zona di Cuba Street che dovrebbe essere quella più animata della città, ma è già quasi tutto chiuso in vista delle celebrazioni di Capodanno: ci affrettiamo a trovare un posto per cenare perché i locali ancora aperti sono davvero pochi. Ci ispira molto la griglieria argentina El Matador anche se ci dicono che per avere un tavolo bisogna aspettare circa mezz’ora. Nessun problema, ci accomodiamo al banco e beviamo un paio di ottime birre nell’attesa. L’ambiente è carino, minimale e con pochi tocchi hanno sfruttato al meglio le pareti grezze da magazzino per dare un aspetto molto caratteristico al ristorante senza spendere molto. Abbiamo mangiato della carne strepitosa spendendo con due birre poco più di 20 Euro a testa. Cerchiamo di tirare la cena per le lunghe in modo da arrivare svegli a mezzanotte (sarebbe una novità per noi, sono anni che siamo in viaggio a Capodanno e non lo festeggiamo praticamente mai): ce la facciamo e andiamo a vedere i fuochi sul lungomare. I festeggiamenti sono iniziati molto presto, c’è un gruppo che suona ormai da ore e un sacco di gente accampata sui prati attorno alla marina, molti seduti su sedie pieghevoli o coperte e con contenitori pieni di cibo, come se stessero facendo un picnic. Facciamo un giretto per i chioschi che vendono cibo e bevande, un avventore un po’ troppo allegro rischia di morire cadendo dal molo ma fortunatamente per lui si schianta su una passerella in legno sotto ad una barca. In generale comunque tutti sono molto tranquilli e l’atmosfera è molto rilassata. A mezzanotte esatta partono i fuochi – siamo i primi ad entrare nel nuovo anno stavolta! – e dopo poco più di 7 minuti, si accendono delle luci da stadio, i musici se ne vanno in tutta fretta, le persone si alzano, raccolgono coperte e masserizie varie e si avviano ordinatamente verso il centro cittadino. Pazzesco, a mezzanotte e un quarto è tutto finito!!! Non resta che incamminarsi verso l’albergo, passiamo davanti a una discoteca silenziosa dove all’ingresso distribuiscono delle cuffie per ballare in silenzio, le strade si svuotano rapidamente. Niente festa in strada quindi, ma penso che tutti fossero nei club perché verso le 4 del mattino la strada sotto la nostra stanza è piena di gente che schiamazza.

01.01.2020 – Wellington

Siamo nel nuovo decennio! Usciamo con calma e per una volta non facciamo colazione in stanza ma andiamo al Flight Coffee Hangar, uno dei pochi locali aperti, dove dobbiamo fare la fila per avere un tavolo ma non importa, oggi non abbiamo fretta e comunque non abbiamo scelta… Mangiamo un uovo benedict e un omelette farcita in un ambiente carino e rilassato.

La città non è del tutto deserta come ce la aspettavamo, lungo Cuba St. c’è perfino qualche negozio aperto. Passiamo la giornata gironzolando, visitiamo il museo Te Papa – è un museo interattivo di scienze naturali, più adatto ai bambini che agli adulti – e poi con il cable car saliamo in cima alla collina al centro della città, da cui non c’è una gran vista a causa della folta vegetazione che cresce incolta: se solo tagliassero i cespugli un po’ più bassi, sarebbe molto meglio. Scendiamo verso il centro con una bella passeggiata attraverso il giardino botanico e continuiamo piacevolmente a passeggiare per una Wellington pressoché deserta.

Stasera per cena abbiamo voglia di cambiare e decidiamo di andare al ristorante giapponese Origami che a dire il vero da fuori non è molto attraente. All’interno invece è molto curato, pulito ed essenziale, i piatti sono presentati benissimo, e il cibo tutto davvero strepitoso. Splendido finale nella capitale, prima di rientrare in hotel a preparare i bagagli: ci aspetta la levataccia per prendere il traghetto verso l’isola Sud.

02.01.2020 – Wellington – Renwick

Sveglia alle 4:30. Operazioni di check out in hotel rapidissime vista l’ora e riconsegna della macchina a noleggio senza intoppi: pochissimo traffico, il piccolo terminal traghetti è a dieci minuti di guida dal centro, e il parcheggio del Rental Car vicinissimo.

Purtroppo il tempo non è granché bello e siamo molto assonnati, ma per fortuna il traghetto non balla e durante le due ore e mezza di navigazione si vedono molti begli scorci sui fiordi, incluse alcune case stile Hollywood, così la traversata passa veloce e prima di rendercene conto, veniamo sbarcati… praticamente su un altro pianeta. Il clima qui è completamente diverso, finalmente fa caldo, il sole splende e dopo qualche discussione con un’addetta della AVIS scortesissima (abbiamo anche fatto reclamo), ritiriamo la macchina: non era quella che avevamo prenotato online, ma c’era poco da fare con quel cerbero.

Partiamo alla volta di Renwick, che sarà la nostra base per la visita della regione vinicola della Nuova Zelanda del Sud. Alloggiamo al Cork and Keg, le stanze sono dei bungalow sul retro del giardino del pub omonimo. Pranziamo lì con un ottimo panino di bistecca di angus e patatine, poi prendiamo le bici che ci sono state messe a disposizione dal motel e partiamo per il giro delle cantine. Le biciclette sono abbastanza disastrate, il sellino è durissimo e la mia ha un pedale scassato ma questo non ci impedisce di raggiungere la prima cantina, Cloudy Bay, dove ci si aprono le porte del paradiso. Degustiamo 4 ottimi calici di vino, facciamo merenda con ostriche e vongole crude acquistate presso il loro bar, e decidiamo di cancellare la gita al parco Abel Tasman e al French Pass prevista per domani per rimanere un altro giorno qui a goderci il vino e il buon cibo. In particolare ottimi il Sauvignon, lo Chardonnay e il Pinot Nero per il quale tutta questa zona è famosa.

Dal momento che torneremo sicuramente domani a Cloudy Bay per pranzo, decidiamo di proseguire con il nostro tour e andiamo da Hans Herzog (sì, ci sono un sacco di tedeschi e austriaci che hanno investito proficuamente in Nuova Zelanda con il vino), cantina molto rinomata che però ci delude. Accoglienza fredda, servizio scadente, prezzi alti e nemmeno il vino ci impressiona particolarmente.

Perciò ce ne andiamo abbastanza alla svelta dal momento che si sta facendo tardi e pedaliamo fino alla cantina Giesen, fondata da tre fratelli tedeschi. Arriviamo alle 16.30, quasi all’ora di chiusura (le 17:00), ma rimaniamo a chiacchierare con un ragazzo francese che lavora lì e che dice di essere venuto ad imparare come fanno il vino in Nuova Zelanda per poi “riportare” questa esperienza in Francia, visto che i metodi di produzione sono totalmente diversi. Ci accompagna nella degustazione di svariati calici e alla fine, un po’ alticci, ce ne andiamo portando con noi una bottiglia di Syrah che ci berremo con calma durante il viaggio. Lungo la via del ritorno ci fermiamo al bar del Whitehaven Wines Cellar Door sulla statale 62 dove compriamo due calici per bere il nostro vino da viaggio e degustiamo un ottimo gin tonic con gin auto prodotto. Davvero una giornata splendida.

Rientrati al motel e restituite le bici, riposiamo un po’ sulle sedie di fronte alla stanza e veniamo abbordati da uno degli avventori del pub che è evidentemente venuto ad “annusare i forestieri”, e che si stupisce che siamo seduti qui a bere acqua nel giardino di un pub. Ingenuo…

Abbiamo già pranzato qui e non vogliamo anche cenarci, quindi decidiamo di andare a Blenheim dove però è quasi tutto chiuso dal momento che in Nuova Zelanda anche il 2 gennaio è festa. Andiamo al Eat Thai dove mangiamo ottimo cibo tailandese.

03.01.2020 – Renwick

Per prima cosa troviamo un nuovo alloggio per stanotte: staremo all’Anglesea Motel, una casa in stile shabby chic con decine di centrini e soprammobili appoggiati ovunque, e un’incomprensibile ventola che dalla cucina soffia l’aria verso le stanze, col risultato che tutta la casa puzza di cibo fritto tranne la cucina. La cosa incredibile è che la signora che gestisce il motel, quando le facciamo notare che la ventola funziona a rovescio, fa una faccia stupefatta e ci dice che sa che questa esiste, ma non ha mai capito come fare per spegnerla o sistemarla. La nostra stanza è piccola e abbiamo il bagno in comune, ma è tutto pulito e soprattutto avevamo poche alternative avendo deciso solo ieri sera di fermarci un’altra notte a Renwick. Ci offrono gratuitamente le bici per tutta la giornata e stavolta fortunatamente hanno il sellino morbido e funzionano bene. Non possiamo cominciare con le degustazioni subito dopo colazione perciò passiamo la mattinata a Blenheim che è carina ma piccolissima, la si gira in un’oretta al massimo.

Rientriamo al nostro motel a lasciare la macchina e prendere le bici per cominciare il secondo giorno di Winery Tour. Andiamo subito alla cantina Fromm, poco distante dal nostro motel dove facciamo una degustazione di 5 vini rossi, tre ottimi Pinot Nero, un Syrah e uno spettacolare Malbec. Peccato non poter portare niente a casa… Anche qui l’ambiente è molto curato, tutto molto moderno ma senza dimenticare la tradizione, e con la degustazione dei vini si possono anche ordinare affettati e formaggi.

Rimontiamo in sella e ritorniamo a Cloudy Bay dove incontriamo degli amici svedesi che come noi hanno deciso di passare le ferie in Nuova Zelanda anche se con itinerario diverso, ma vista l’entusiastica descrizione che gli abbiamo fatto di questa cantina, hanno optato per una modifica ai loro piani di viaggio. Ordiniamo un paio di bottiglie di vino e pranziamo condividendo vari piatti, ostriche e vongole crude, tartare di tonno servita su guacamole e riso sushi, tartare di manzo e bun con pulled pork. Non so se questo servizio lo offrano tutto l’anno o solo in determinati periodi, fatto sta che abbiamo fatto uno dei pasti migliori della vacanza e a prezzi più che onesti dato il contesto stupendo.

Ripartiamo tutti insieme alla volta di Wairau River dove facciamo una degustazione di vini bianchi buoni, ma non memorabili. La proprietaria ci spiega che fanno vino solo biologico (come moltissime cantine in questa zona) e pertanto non è fatto per invecchiare, dopo un paio d’anni si degrada e non è più bevibile, motivo per cui usano solo tappi a vite.. bah, non ci ha convinti. Ci racconta inoltre fieramente che fanno potature e vendemmia interamente a mano come se la cosa fosse straordinaria!

Ad ogni modo nel Marlborough abbiamo trovato usanze molto diverse dalle nostre, ma non per questo peggiori, anzi, abbiamo degustato ottimi vini ma soprattutto la cosa straordinaria di questa zona è la collaborazione che c’è fra tutte le cantine che alla fine ha creato un polo di attrazione turistica notevole, ben organizzato, con prodotti di qualità e tanta cortesia. Bravi.

Lasciamo i nostri amici nordici con la promessa di rivederci a Queenstown tra qualche giorno. Rientriamo in albergo per lasciare le bici, farci una doccia veloce e montare in macchina in direzione Havelock, la patria delle green lip mussels. Ceniamo benissimo al Captains Daughter con chevice, clam chowder e un piatto delle cozze più grandi e polpose che abbiamo mai visto. Questo posto vale decisamente il viaggio da Renwick.

04.01.2020 – Kaikoura

Il programma di oggi prevede di arrivare a Kaikoura per fare una crociera per avvistare le balene. Facciamo un’ottima e abbondante colazione nella sala da pranzo dell’Anglesea Motel, chiacchierando con un’altra ospite che sta lì da una settimana e ha fatto la crociera ieri. Ce ne parla in tono entusiastico, e ci mostra il video della balena che hanno avvistato. Partiamo quindi alla volta di Kaikoura, fermandoci lungo la strada per ammirare il panorama della costa rocciosa e selvaggia sotto di noi dove in una certa zona vediamo una grande colonia di leoni marini, ci sono anche tanti piccoli molto carini. Rimaniamo a guardarli per un po’, nonostante l’odore tremendo che arriva fino alla strada. Non è la prima volta che vedo una colonia di leoni marini, e puzzano esattamente come ricordavo.

Troviamo un motel senza troppe difficoltà, e nell’attesa di partire per la crociera, andiamo a pranzo al Groper Garage Pub, un gastropub dove, dopo un’attesa incredibile, ci rimpinziamo di green lip mussels, pollo fritto e patatine. Col senno di poi, forse non è stata un’ottima idea… arriviamo all’info point da dove partirà la nostra crociera. Abbiamo prenotato on line in anticipo per evitare brutte sorprese e andiamo a ritirare i biglietti dall’addetto il quale ci avvisa che il mare è un po’ agitato (it’s a bit rough out there, testuale), ma rifiutiamo le pasticche per il mal di mare che ci offre: pessima scelta. Le onde sono belle alte e si balla parecchio. La presentazione della crociera, con video nella cabina della barca, non aiuta e parecchi passeggeri soccombono al mal di mare. Praticamente una strage, ma gli addetti comunque sono molto bravi e preparati, ci spiegano tutto e intervengono tempestivamente dove necessario. Dopo qualche tempo le facce di tutti noi passeggeri sono verdognole, chi più chi meno, ma ne è valsa la pena perché avvistiamo due balene, un capodoglio e una megattera che si fa riprendere mentre gioca tra le onde. Abbiamo anche la fortuna di vedere un Albatross che plana quasi sopra la nostra barca: bellissimo! Ha un’apertura alare incredibile, è enorme, e passa a pochissimi metri sopra la nostra testa, purtroppo è così veloce che non riusciamo a fotografarlo. Il tutto dura circa tre ore. Rientrati a terra abbastanza sballottati, ci rimettiamo in sesto con una tazza di tè caldo su consiglio di una dei marinai – funziona!!!

Siccome a Kaikoura si viene non solo per guardare le balene ma anche per mangiare le aragoste, andiamo a cena al The Pier Hotel, alla fine della penisola vicino all’attracco dei pescherecci. Siamo andati a prenotare già la mattina appena arrivati, e per fortuna perché ci hanno dato l’ultimo tavolo disponibile per il secondo turno della cena (20.30). L’ambiente non è niente di che, sembra una qualsiasi un autogrill con scarso arredamento ma data la posizione sul mare, è carino per chi può avere un tavolo con vista. Nonostante lo stomaco non fosse tornato al 100% abbiamo preso un paio di birre, mezza aragosta e abaloni, molluschi locali che sanno vagamente di fungo. Tutto ottimo, l’aragosta cotta alla perfezione e piena di polpa, e gli abaloni sicuramente da provare. Due piatti più che sufficienti per una cena.

Anche qui la sera non c’è niente da fare, nulla di particolare da vedere né belle passeggiate, c’è un venticello frescolino e una notevole puzza di bassa marea, quindi decidiamo di rientrare a dormire visto che anche domani ci aspetta una lunga giornata.

05.01.2020 – Kaikoura – Greymouth

Oggi tappona di trasferimento per passare dalla costa est a quella ovest. Lungo il tragitto piove e fa freddissimo, non ci sono villaggi o altri posti dove fermarsi per pranzo a parte una scalcagnata stazione di servizio con annesso diner che serve roba che sembra precotta un po’ di tempo fa e riscaldata a microonde, quindi ci arrangiamo con i nostri biscotti alla frutta secca e le patatine e andiamo avanti. Non ci sono neanche troppi distributori di benzina, passo gran parte del viaggio tenendo d’occhio la lancetta dell’indicatore del carburante. Lungo il tragitto ci fermiamo a comprare del miele Manuka e delle marmellate in un container abbandonato a bordo strada dove è tutto lasciato all’onestà degli acquirenti. Si prendono i prodotti che sono tutti prezzati e si lasciano i soldi dentro una scatoletta che probabilmente il proprietario provvederà a svuotare in serata. La cosa triste è che ci siamo messi a ridere pensando che in Italia gli avrebbero portato via anche il container, mentre in paesi civili come questo è una cosa del tutto normale.

La pioggia finalmente sembra darci tregua quando verso le 16.00 arriviamo a Greymouth, amena cittadina che non offre nulla, e dove i turisti si fermano esclusivamente per andare alle Pancake Rocks, anche se bisogna dire che il meteo oggi non è di aiuto per farne risaltare le eventuali bellezze. Troviamo posto all’Alpine Rose Motel, la stanza è basica ma rimodernata e almeno nel bagno ci sono delle lampadine alogene che scaldano un po’, e oggi ce n’è bisogno! Fa parecchio freddo e la pioggerellina insistente ha ripreso a cadere, perciò ci bardiamo con felpe e impermeabili e andiamo a vedere le Pancake Rocks. Tutto il giro ci porterà via circa tre ore. Nonostante il grigiore e la scarsa luce, il panorama è molto bello, e lungo la strada facciamo numerose soste per ammirare la bellissima costa sferzata dal vento.

Arrivati all’ingresso del sito, facciamo il biglietto e entriamo nel percorso con pochi turisti. Sono molto belle e valgono sicuramente la visita. Assomigliano vagamente ai dodici apostoli (che in realtà sono otto) che si possono ammirare in Australia lungo la Great Ocean Road, anche se qui l’ambiente è un po’ meno scenografico. Decidiamo di non scendere alla spiaggia in quanto il fondo roccioso è molto scivoloso per via della pioggia e le onde sono altissime. Non avrebbe avuto molto senso correre rischi dal momento che il panorama che si gode da sopra è sicuramente migliore.

In Nuova Zelanda ci sono moltissimi birrifici artigianali che producono ottima birra e molti hanno anche dei fantastici ristoranti annessi come abbiamo già sperimentato alla Brewing Union Company a Palmerston North l’ultimo dell’anno. Anche a Greymouth c’è una birreria artigianale piuttosto famosa, la Monteith’s Brewing Company dove decidiamo di andare per la cena. All’interno è molto moderna, con i silos di fermentazione a vista, un lungo bancone con numerose spine e un’ampia scelta di tavoli sia alti che bassi. Optiamo per una degustazione da tre birre piccole a testa, una porzione di ribs e un salmone. Tutto molto buono, passiamo una piacevolissima serata, peccato solo non aver trovato un albergo più vicino e dover guidare perché la tentazione di continuare con gli assaggi è stata molto forte.

06.01.2020 – Greymouth – Franz Josef Glacier – Wanaka

Stamattina il tempo è leggermente migliorato, speriamo bene. Dopo la solita colazione in camera, impacchettiamo tutto e decidiamo di approfittare del timido sole per rifare un pezzo della strada panoramica che abbiamo percorso ieri per ammirare la costa e fare delle foto con una luce migliore, prima di partire verso sud. Ne vale veramente la pena, fotografiamo degli scorci bellissimi e restiamo impressionati da un cartello che non avevamo notato ieri a causa della pioggia, appena fuori Greymouth “NO FUEL FOR 90 km”!!! Restiamo stupefatti, bisogna fare veramente attenzione al carburante nell’isola del sud, dato che pochi giorni dopo, andando a Milford Sound ne troveremo uno che indica “no fuel for 185 km”.

Riprendiamo il viaggio verso sud su una strada non larghissima ma comunque in buone condizioni e poco trafficata e in circa tre ore arriviamo al Franz Josef Glacier. Lasciamo la macchina al parcheggio e partiamo per una passeggiata non impegnativa della durata di due ore fino al punto più vicino al ghiacciaio che sia consentito raggiungere. Ci sono molte persone ma si riesce comunque ad ammirare la maestosità del ghiacciaio, ancora più impressionante perché dal parcheggio fino al punto al quale il ghiacciaio si estendeva nel 1908, ci vogliono solo dieci minuti di cammino, mentre oggi per arrivare al view point più vicino, ce ne vogliono almeno quaranta. Le foto dei vari cartelli rendono l’idea di quanto si stia consumando con il passare del tempo e come sia aumentata la velocità dello scioglimento negli anni. Si prova una sensazione davvero brutta, di fronte alle prove del disastro a cui stiamo portando il nostro Pianeta… Ad ogni modo siamo fortunati con il meteo, nonostante il cielo non prometta bene, durante la nostra camminata cade solo una leggera pioggerellina, e neanche sempre.

Proseguiamo ancora verso sud, e decidiamo di saltare il Fox Glacier perché non abbiamo intenzione di fermarci qua a fare alcun tipo di attività quindi sarebbe una visita tutto sommato ripetitiva. Arriviamo finalmente a Wanaka e dal momento che come sempre non abbiamo alcuna prenotazione, ci mettiamo alla ricerca di un posto dove pernottare. Dopo una mezz’oretta troviamo un alloggio al Golf Course Road Chalet grazie all’assistenza dei noti motori di ricerca (qui Booking non è il migliore, consiglio di scaricarsi anche le app di Trivago e Agoda). E’ un po’ fuori dal paese ma è bellissimo, vicino al campo da golf in una zona tranquillissima, nuovo e ben curato. La stanza è molto spaziosa e ha uno stupendo bovindo, una finestra sporgente rispetto al muro della casa, con una panca sulla quale ci si può sedere e godere il panorama gustando un ottimo bicchiere di vino. Purtroppo la gestrice non ritiene necessario accendere il riscaldamento e nella stanza, così come in tutta la casa, fa un po’ freddo. Qui niente angolo cottura perché la mattina si fa colazione in una sala comune al piano terra. Questo è stato il miglior alloggio di tutto il viaggio.

Per la cena scendiamo in “centro” a Wanaka, ma nonostante la luce sia ancora ben alta, è già tutto deserto. La cittadina è piccolina ma sembra carina e quindi decidiamo di fare un giro l’indomani quando i negozi saranno aperti e ci sarà un po’ di gente in giro. Per cambiare la solita cucina, andiamo a mangiare al The Spice Room, uno dei pochi ristoranti aperti che propone ottimo cibo indiano e servizio cortese, la cameriera sembra provenire dall’Europa dell’Est almeno dall’accento. Soddisfatti dalla cena, usciamo dal ristorante verso le dieci e c’è ancora molta luce così decidiamo di fare una passeggiata fino alla riva del Lake Wanaka con una meravigliosa vista dei ghiacciai all’orizzonte. Siamo soli ed è davvero tutto molto suggestivo.

07.01.2020 – Wanaka – Queenstown – Te Anau

Oggi niente colazione in stanza, scendiamo nella grande cucina comune nel cui frigo abbiamo lasciato le nostre scorte, e facciamo colazione in compagnia di due coppie di inglesi, una super sportiva e l’altra meno (moglie truccatissima e marito con una bella pancia), entrambi over 60, che chiacchierano tra loro come se si conoscessero da anni anche se si sono appena presentati – e noi naturalmente origliamo… entrambe le coppie sono in viaggio da inizio dicembre, hanno fatto diverse tappe in giro per il mondo e capiamo che sono abbienti pensionati che si godono la vita.

Prima di muoverci, facciamo un giretto per Wanaka, di giorno è decisamente più carina, si affaccia su un bel lago e c’è anche una piccola zona commerciale con bei negozi non troppo turistici.

Dopo qualche acquisto, partiamo alla volta di Queenstown evitando la statale 6 consigliata da Google e dalla segnaletica stradale, ma prendendo la strada interna Crown Range Road più stretta ma molto più breve e panoramica. Dopo 22 km ci fermiamo a Cardrona che divenne famosa negli anni ’60 dell’ottocento per la corsa all’oro. E’ carina, molto piccola, con edifici caratteristici e adesso è molto gettonata per il turismo invernale.

Dopo qualche altra fermata ai vari view point, arriviamo nella periferia di Queenstown e andiamo a vedere dov’è l’aeroporto visto che il 9 gennaio alle 8 di mattina abbiamo l’aereo per Auckland. Vediamo un bell’albergo, il Wyndham Garden, molto moderno, in posizione comodissima per la sveglia all’alba e decidiamo di prenotare lì per la notte dell’8. Nei pressi c’è un centro commerciale dove decidiamo di fermarci per il pranzo. Andiamo al Meat Preachers, un posto molto semplice ma accogliente, dove prendiamo due ottimi e giganteschi panini col brisket e una buona IPA.

Satolli raggiungiamo il centro di Queenstown, dove troviamo parcheggio con qualche difficoltà. E’ una cittadina molto vivace e piena di turisti. Sembra essere il paradiso degli sport estremi: ad ogni angolo c’è una qualche agenzia che offre ogni genere di escursioni adrenaliniche, dal rafting al bungee jumping alle corse sul lago a bordo di una strana imbarcazione a metà tra un sottomarino e una moto d’acqua. Passiamo davanti al famoso Fergburger di fronte al quale c’è una coda pazzesca. Ci dicono che ci vuole quasi un’ora per avere il tanto decantato hamburger, troppo anche se in cucina ci fosse Cracco. Per oggi la nostra visita dura poco, ci attende ancora tanta strada prima di arrivare a Te Anau, la nostra base per la raggiungere Milford Sound.

Arriviamo in serata, dopo un trasferimento fin troppo lungo che sarebbe stato meglio spezzare in due giorni, avendone la possibilità. Troviamo alloggio al Fiordland Motel, piuttosto squallido in generale, ma fortunatamente siamo nell’ala rinnovata di recente. La nostra stanza è piccolina ma pulita e ordinata e per una notte non è un grosso problema, anche se comunque non avevamo molta scelta, a quanto pare la cittadina è strapiena – non so da chi, perché quando usciamo per cena, è quasi tutto chiuso e c’è ben poca gente in giro… Andiamo a mangiare al Ranch Café Bar and Grill, dove aspettiamo un po’ per avere un tavolo perché ci dicono di essere molto impegnati con un grande gruppo al piano di sopra. Ma noi non abbiamo fretta e vista l’ampia scelta di birre, inganniamo l’attesa con una buona IPA. Una volta seduti, il cibo é buono e abbondante. Anche oggi abbiamo optato per dell’agnello neozelandese.

08.01.2020 – Te Anau – Milford Sound – Queenstown

Partiamo verso le 8:00 e in circa due ore arriviamo a Milford Sound, dove abbiamo prenotato una crociera sul fiordo. La strada è piuttosto tortuosa ma in ottime condizioni e passa in mezzo ad una bella foresta e, anche se ci aspettavamo scorci molto più scenografici, facciamo qualche sosta per goderci i panorami e fare qualche foto. Una decina di km circa prima dell’arrivo, ci fermiamo al “The Chasm car park” per fare una breve ma piacevole passeggiata fino alle rapide sul Cleddau River. Vale la pena se avanza un po’ di tempo. Bisogna fare attenzione a partire con il pieno perché non ci sono distributori, nemmeno a Milford Sound, quindi occhio al livello del carburante. Lungo la strada abbiamo incontrato un solo chioschetto che vendeva caffè per asporto e un bagno pubblico, per il resto solo autobus di turisti.

Arrivati a Mildford Sound la prima sorpresa è il costo del parcheggio nelle vicinanze del molo dal quale partono le crociere, 10 €/ora, un vero e proprio furto considerato che l’alternativa è parcheggiare lungo la strada a qualche km di distanza. Non abbiamo tempo da perdere, quindi paghiamo al parchimetro e ci affrettiamo al molo. La crociera dura circa due ore, il sole fortunatamente splende e riusciamo ad avere un’ottima visuale ma fa piuttosto freddo. Navighiamo lungo le acque calme del fiordo fino a raggiungere il Mar di Tasmania, facendo qualche sosta tra le quali una per arrivare fin sotto ad una delle numerose cascate: leggenda vuole che porti fortuna farsi bagnare, noi ai primi spruzzi corriamo al coperto e ci divertiamo a vedere gli altri passeggeri che si lasciano inzuppare dall’acqua gelida, incluso un tipo vestito da pope che avevamo già visto in altre occasioni. Durante la navigazione incontriamo una piccola colonia di foche che si godono placidamente il sole sugli scogli, una moltitudine di uccelli e tante cascate, alcune veramente altissime. Tutto sommato non so se ne è valsa la pena venire fin qua, farsi una sfacchinata del genere e impiegare due giorni della nostra vacanza per vedere un fiordo come tantissimi altri, e forse anche più belli, si possono vedere in Norvegia. E in più, per chi ha l’abitudine di prenotare, è un rischio altissimo, perché se c’è brutto tempo non si vede niente.

Terminata la crociera, in 4 ore circa rientriamo a Queenstown dove ci incontriamo con gli amici svedesi con cui avevamo fatto il giro delle cantine una settimana fa, e ceniamo insieme al Fat Lamb con ottime costolette di agnello accompagnate da un buonissimo Pinot Nero della zona in un bell’ambiente raffinato. La cameriera è tedesca, molto carina e simpatica ma con piglio decisamente teutonico. Prima di rientrare in albergo facciamo una passeggiata in una cittadina finalmente non deserta e alle dieci e mezza è ancora chiaro! Siamo decisamente molto a sud…

09.01.2020 Queenstown – Auckland

Sveglia alle 6:00 per prendere il volo per Auckland. Lasciamo la macchina al parcheggio dell’autonoleggio in aeroporto e andiamo al check-in. Il terminal è molto piccolo e sbrighiamo le formalità in un attimo. Il volo scorre tranquillo, fortunatamente il cielo è limpido e possiamo goderci la vista delle montagne e dei laghi dall’alto.

Purtroppo si avvicina la fine della nostra vacanza e vogliamo goderci un po’ la vita di città dopo tanta natura. Atterriamo alle 10:00 e, come il giorno del nostro arrivo in Nuova Zelanda, prendiamo un taxi cumulativo per andare al nostro ultimo albergo, lo Stamford Plaza, hotel molto elegante in posizione ottima a pochi passi dalla marina e dalle vie dello shopping pur restando in una zona tranquillissima. Molliamo i bagagli nella nostra spaziosissima stanza e andiamo a zonzo, per una volta senza alcuna meta né attrazione turistica da visitare, decidendo di goderci a piedi l’atmosfera della città.

Verso l’ora di pranzo vogliamo toglierci la curiosità di provare un hamburger da Burgerfuel, una catena neozelandese di cui molti turisti avevano parlato bene sui vari forum. Che dire… solito panino plasticoso con le solite patatine fritte. Molto meglio il Fish Market (e molto meglio qualsiasi altra cosa forse…) che oggi è decisamente più animato di quanto non lo fosse il 24 dicembre scorso. Dopo l’immancabile vassoio di ostriche, green lip mussels e panino di aragosta, passeggiamo un po’ per la marina, arriviamo fino al Britomart e gironzoliamo un po’ ma la città è una specie di cantiere a cielo aperto e per ora è poco fruibile. Con una lunga passeggiata arriviamo fino alla cittadella universitaria, i cui edifici però sono quasi tutti moderni casermoni grigi che non hanno niente di interessante, checché ne dica la Lonely Planet. Ci riposiamo un po’ sulle panchine dell’Albert Park e rientriamo in hotel.

Verso sera andiamo nella zona del Viaduct Harbour per un aperitivo da Dr. Rudi Rooftop godendoci la bellissima vista sulla baia al tramonto sorseggiando un paio di ottime birre. Ci spostiamo di pochi metri e andiamo a mangiare al Soul dove dobbiamo attendere a lungo un tavolo perché si sono persi la nostra prenotazione. Visto che comunque è tutto strapieno preferiamo aspettare, ma alla fine non ne è valsa tanto la pena. Abbiamo scelto il ristorante che ci sembrava più tranquillo, senza musica alta per poter parlare e anche i piatti da fuori sembravano ottimi, invece per noi la scelta si è rivelata errata. Internamente è bruttino, ma fortunatamente avevamo prenotato un tavolo nella veranda esterna, tutto sommato carina. Purtroppo la tartare di tonno era priva di gusto e il filetto di Red Snapper cotto perfettamente ma con talmente tanto olio che si faceva fatica a mangiare. Peccato. Alla fine vale ovunque la regola che nei posti ad alta affluenza turistica è meglio non andare…

10.01.2020 Auckland

Ultimo giorno in Nuova Zelanda (e col senno di poi, ultimo giorno ovunque altro che a casa, staremo bloccati per piú di un anno…). In mattinata saliamo sulla Sky Tower per una vista dall’alto della città. Il panorama è bellissimo e stiamo su parecchio tempo, nonostante la passerella sia affollata. Al piano sotto di noi c’è un gruppo di pazzi imbragati, che camminano sul bordo della balaustra sospesi sul vuoto. Per pranzo immancabile sosta al Fish Market dove ci ingozziamo di cozze, ostriche e una buonissima key lime pie. Ci rimettiamo in marcia ammirando gli enormi mega yacht che sono in fondo alla marina e rientriamo verso il centro dove trascorriamo il resto della giornata gironzolando per la Queen Street e facendo gli ultimi acquisti, finché alle 18:00 ci sediamo al Occidental Belgian Beer Cafè dove gustiamo un ultimo piatto di cozze verdi con salsa al vino bianco e dell’ottimo agnello. Dopo una bella cena e un paio di caraffe di birra, rientriamo in albergo a ritirare i bagagli e a farci una doccia nella spa all’ultimo piano che ci viene gentilmente messa a disposizione. Così, rinfrescati e con i vestiti puliti, aspettiamo nella hall il nostro taxi cumulativo, che viene a prenderci puntuale alle 21:00, e 1 minuto prima di mezzanotte decolliamo sul primo dei 3 interminabili voli che ci riporteranno, dopo circa 28 ore, in Italia.

La sosta all’aeroporto di Shanghai è piuttosto surreale. Mangiamo degli ottimi dim sum mentre tutto il personale cinese indossa le mascherine, tiene le distanze e di tanto in tanto misura la temperatura corporea agli ignari turisti. In Nuova Zelanda erano arrivate le notizie dell’epidemia di Covid-19 ma i media non vi avevano dato molta importanza, come del resto in Italia. Cerchiamo di connetterci a internet, ma bisogna registrarsi dando gli estremi del passaporto e comunque moltissimi siti come Google sono bloccati, inclusa la possibilità di entrare in chat su WhatsApp. Arriviamo in Italia e ci accoglie un tempo tipicamente invernale, freddo e pioggia, ancora ignari del fatto che a breve le nostre abitudini turistiche (e non solo) sarebbero cambiate per sempre.

NOTE

Il clima è freddino e ovunque, mentre noi eravamo lì, c’era sempre vento: anche se era piena estate, erano indispensabili pantaloni lunghi e una felpa calda per la sera.

Le escursioni vanno assolutamente prenotate con giorni di anticipo, sempre. Sono tutte prenotabili online. Invece non è necessario prenotare gli hotel in anticipo: noi lo abbiamo fatto alcune volte per comodità, quando arrivavamo da trasferimenti particolarmente lunghi, e comunque sempre solo per il giorno successivo. In altri casi, siamo semplicemente arrivati in un posto e con una breve ricerca, al massimo mezz’oretta, abbiamo trovato una stanza.

Cibo: noi abbiamo mangiato sempre molto bene, a parte un caso (ma è stata sfortuna nella scelta del piatto). Ci sono tanti piccoli birrifici artigianali che servono ottime birre prodotte sul posto. I prezzi sono ragionevoli, sia per il mangiare che per il bere (almeno nei locali dove siamo stati noi).

È perfettamente inutile prelevare grosse somme in contanti: si paga tutto, inclusi i taxi, con la carta di credito. Inoltre, anche se si preleva con il bancomat abilitato ai circuiti esteri, gli ATM applicano una commissione molto alta, soprattutto quelli all’aeroporto.

Per chi ha già visitato il parco di Yellowstone non è consigliatissimo farsi tutte le zone geotermali, non c’è davvero paragone. Te Puia è l’unico sito che potrebbe meritare, geyser alti e puliti, bei colori e si possono vedere anche i kiwi.



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