Normandie et Bretagne

Fly and drive in Normandia e Bretagna, tra storia, paesaggi, arte e relax
Scritto da: Jamnove
normandie et bretagne
Partenza il: 12/09/2009
Ritorno il: 25/09/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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Normadie et Bretagne

Journal du voyage

Settembre 2009

Sabato 12 settembre 2009

H 11.50

Il viaggio è iniziato. Una calda e umida giornata genovese ha dato il via alla nostra vacanza. Gli zaini, soprattutto il mio, sono stati riempiti in ogni singola tasca e già so che probabilmente, mi servirà meno della metà delle cose che ho preso. Ma tant’è. Ora siamo sul treno che ci porta a Pisa, prima tappa di avvicinamento a Paris Beauvais, dove ci aspetterà la macchina presa a noleggio. Laura ha voluto una Panda o modello simile. Io spero vivamente ci sia un modello simile! È raffreddata, il naso chiuso e la tensione per il suo primo volo sta lentamente salendo. Forse neanche tanto lentamente. A volte vorrei quasi fosse il primo volo anche per me, quei mille pensieri che si hanno quando si sta per fare per la prima volta un qualcosa di sconosciuto. Le domande su cosa si prova a vedere il mondo sotto di te allontanarsi e farsi sempre più piccolo. La sensazione in fondo allo stomaco quando, con i motori al massimo, si inizia la rincorsa che porterà l’aereo a staccarsi da terra. È sempre bello volare ma forse, farlo per la prima volta, lo è ancora di più.

Anche Laura ha iniziato a scrivere, per ora le ho dato dei fogli di blocchetto, poi appena possibile prenderà un quaderno anche lei. Che bello se tutti e due, magari sulle spiagge della Normandia o in qualche altro posto suggestivo, ci mettessimo a scrivere in silenzio. È una bella immagine.

Volo Pisa – Paris

“Il mio osteopata mi ha detto che sono troppo pigra persino per avere paura!” Sì, avrei proprio voluto vederlo questo osteopata a verificare l’infondatezza delle sue azzardate teorie, non appena l’aereo ha acceso i motori, preso la rincorsa e iniziato a decollare! Laura ha chiuso gli occhi, mi ha stretto la mano quasi a volerla stritolare e fino a pochi secondi prima che si alzasse in volo, ha continuato a chiedermi se, volendo, fossimo stati ancora in tempo a scendere! Però devo riconoscere che, a parte il non voler guardare fuori, è stata bravissima! Dopo la paura iniziale, però ora parla a raffica.. non la smette un secondo! Adesso invece, che l’aereo ha iniziato la discesa in vista dell’atterraggio, non riesce più a staccarsi dal finestrino. Beve la sua Sprite come fosse una bottiglia di whiskey cui attingere forza per calmarsi. Ed in effetti sembra rilassata. Magari funziona. Va beh, forse non proprio rilassata, ma per lo meno tranquilla. “Amo..?”

“Dimmi..”

“Ma la gente non ha paura? Sono la sola?”

“Amo..?”

“Dimmi..”

“Ma perché le ali sono storte?

“Amo..?”

“Dimmi..”

“ma perché..”

“.. ma perché non va più veloce così arriviamo prima?!?”

E così, tra mille domande, un mio vano tentativo di dormire, l’Ipod che non si sentiva, siamo quasi arrivati.

Stasera dove siamo? Dove dormiamo?

Boh, intanto andiamo a ritirare la macchina, poi ci dirigeremo verso Rouen e quando troveremo un posto carino dove dormire, ci fermeremo.

Mi piace questo non programmare nulla.

Avere un’idea generale e poi, lasciarci guidare dall’istinto del momento, seguendo ciò che incontreremo lungo la strada.

La nostra macchina è una Peugeot 107 nera, piccola ma molto, molto carina. Ci ha accolto un bellissimo tempo limpido a Beauvais. Aria secca ma piacevole. Ritirata la macchina, con me alla guida, siamo partiti in direzione Rouen. Paesaggio verde, pascoli e poco altro lungo la strada.

Arrivati in città, il primo albergo a cui abbiamo chiesto una camera, era tutto esaurito e il dubbio di dover girare a lungo, come nella nostra prima notte insieme lo scorso Capodanno, si è per un attimo affacciato nei nostri pensieri. Invece, già al secondo tentativo lo abbiamo trovato. Un semplicissimo albergo, piccolo ma pulito, proprio in centro. Ora siamo in camera, sul letto, stanchi ma soddisfatti per la cena al “Le p’tit Bec”, consigliato dalla Lonely Planet. Ed in effetti era grazioso il posto e ottima la cena, fosse anche per il solo fatto di essere gli unici turisti.

Domani, giro per Rouen e poi via, verso il Nord della Normandie!

Piccolo aneddoto.

Nel pomeriggio, poco dopo aver ritirato la nostra macchina, stavamo girando cercando di capire quale fosse la direzione per il centro di Rouen. Laura che era in quel momento alla guida, come tutte le donne assai meno restia di noi uomini a chiedere informazioni, si è affiancata ad una macchina. Eravamo fermi al semaforo. Al volante un ragazzo ed accanto a lui, probabilmente, la fidanzata.

Laura ha abbassato il finestrino. Io mi aspettavo una delle migliori frasi del suo francese, che so, mi immaginavo un’introduzione con un “Perdone moi..” e poi “.. sapreste per caso indicarci per cortesia la direzione per il centro di Rouen?”, qualcosa così.

Invece, dopo averli fissati con scazzo per qualche secondo:

“ROUEN?!?”

La ragazza, non so se spiazzata o intimidita, non ha detto nulla.

Allora Laura, si è girata verso di me un po’ stizzita e ha ribadito, scandendo bene:

“RO – U – EN!?!”

È allora intervenuto il ragazzo che molto frettolosamente ha risposto “A la gauche!”

Quindi ha ingranato la marcia ed è fuggito via senza più voltarsi indietro.

“Meno male che ci sei tu che parli francese, amore…”

Sabato 13 settembre 2009

H 9.33

Mi sembra di aver dormito 10 ore! Che bello… Notte serena, con la copertina addosso, silenzio assoluto benché fossimo proprio in centro. Pare essere davvero una cittadina tranquilla (…sì, vallo a dire a Giovanna D’Arco!), ieri sera che oltretutto era sabato, abbiamo visto solo qualche coppia in giro e alcuni gruppi di ragazzi. Ma per il resto nessuna confusione per le strade. Ora, mentre Laura si prepara, io scrivo ancora due parole. In tv, Tom & Jerry. La giornata è splendida, limpida e fresca. Do un’occhiata alla guida per vedere cosa ci può riservare questa città e poi usciamo.

St Valery aux caux

H 15.00

Siamo in una creperie, ci siamo concessi un pranzo molto soddisfacente! Gallettes con uova, formaggio e prosciutto per Laura e una uguale più Rochefort per me! E siccome non poteva mancare il dolce, crêpe con cioccolato e gelato! Mentre due bicchieri di sidro hanno accompagnato il tutto. Siamo in un posto davvero carino. Il proprietario nonché unico cameriere, è un simpatico piccoletto con un atteggiamento a dir poco “fri fri”, ma solo all’apparenza. Infatti in cucina lavora la moglie. Lui ha un viso solare e un accattivante modo di fare da attore di teatro. Cerca persino di trovare le parole in italiano. E mi ha pure preso il culo dicendo “your french is good”… Non c’è che dire, quest’uomo è un commerciale! Ora ci ha portato il caffè e un cioccolatino, con la sua solita faccetta buffa. Un grande. Lo chiameremo Michel, anche se non è il suo nome e non ci va di chiederglielo.. Ora sta intrattenendo un gruppo di studentesse 15enni francesi, con cui ci sono due ragazze greche, probabilmente di uno scambio culturale tipo Erasmus. Stanno provando a insegnargli delle parole nella loro lingua. E lui si presta. Sì, sì, sembra proprio un teatrante.

In Italia sono iniziate le partite. Ci aggiorneranno sui risultati. Siamo rimasti solo noi adesso nella crêperie. Breve excursus su questa mattina. Abbiamo fatto un ottimo giro. Lasciato l’albergo, abbiamo visitato Rouen, siamo entrati nella Cattedrale di Notre Dame, molto imponente e al cui interno si stava celebrando la Messa. Quindi, passeggiando per la via centrale, Rue de gran horologe, siamo arrivati alla piazza dove, nel 1431, fu arsa Giovanna D’Arco. Aveva 19 anni ed era accusata di eresia, bruciata sul rogo come strega.

Oggi lì, sorge una chiesa dalla curiosa forma a lisca di pesce e alcune rovine in pietra che, immagino, risalgono a quegli anni. Ma l’idea, comunque, di ciò che questa piazza ha visto, è davvero suggestivo. Dopo aver visto il Palace de justice con, sulla facciata ovest (lasciata inalterata a imperitura memoria benché il palazzo sia stato interamente ristrutturato) i suoi impressionanti fori di proiettile risalenti alla 2da guerra, abbiamo ripreso la macchina e ci siamo diretti verso Dieppe. La nostra meta, tuttavia, era il paesino di Veules les roses. E questo luogo è stato davvero incantevole. Una lunga spiaggia ai piedi delle falesie, alte scogliere bianche che sembrano quasi essere state tagliate di netto. Uno spettacolo imponente. Ed anche il paesino si è rivelato una vera sorpresa, grazioso e ben tenuto.

Nel frattempo, il tempo che al nostro risveglio era limpido e sereno, si è volto al brutto e molto presto grossi e neri nuvoloni hanno scaricato un po’ di pioggia.

L’alternanza di sole e pioggia, è di una rapidità sconcertante.

Ma in fondo lo sapevamo ed è bello così.

Laura ha chiesto informazioni a Michel sulle Chambres d’hotes e all’improvviso è spuntata dalla cucina Isabelle, sua moglie. Gentile anche se meno macchietta di lui.

Ora devo mettere via la Moleskine, stanno pulendo i tavoli e credo proprio che vorranno chiudere anche loro.

Froberville

H 23.30

Chambres d’hotes immersa nel verde.

Oggi pomeriggio, stanchi per le lunghe ore in macchina, pressati da necessità impellenti (io) e preoccupati (Laura) x non aver visto molti cartelli di camere in affitto lungo la strada, abbiamo deciso di fermarci a circa 10 km da Etretat.

La camera non è proprio economicissima, 65 euro + 5 di colazione, però il posto ci è piaciuto subito, forse in parte anche per i proprietari: quando siamo entrati stavano guardando Inter – Parma. Lei, una casalinga sulla sessantina, sdraiata sul divano, senza calze e con una tazza di the in mano. Lui, vaga somiglianza con Steve Martin, seduto in poltrona. E mentre lei commentava le azioni mormorando qualcosa, lui sorrideva ed abbozzava un principio di conversazione con noi. Arrivati quindi i risultati finali delle partite, con una grandissima Samp che ha espugnato il campo di Bergamo con gol di Mannini, siamo saliti nella nostra camera. Un azzurro blu particolarmente rilassante domina le pareti, la moquettes e persino le lenzuola del letto. Due grandi finestre danno nel verdissimo cortile e un silenzio meraviglioso regna intorno. Dividiamo la casa in tutto e per tutto con i proprietari. Anche il bagno, purtroppo. Anche se devo dire che è tutto estremamente pulito e profumato. Il water si trova in uno stanzino in fondo alle scale mentre la doccia è in un’altra stanza ancora di fianco alla cucina. Ah, ovviamente nessuna traccia del bidet. (Nota a margine, perché ha un nome francese se i francesi non sanno neppure cosa sia?!?). In serata, cena e giretto ad Etretat. Cittadina molto bella anche se turistica fino all’eccesso, è praticamente tutta costituita da hotel, crêperie, ristoranti e negozi di cadeaux

Con tutte le sue insegne luminose al neon e l’aria che emanava profumo di fritto e dolci, sembrava quasi di essere al luna park. Quasi, perché in realtà era tutto deserto. Poche persone per strada, praticamente nessuno sulla passeggiata lungo la spiaggia, poche nel posto dove abbiamo mangiato. Tuttavia, lo spettacolo delle falesie di notte, illuminate e imponenti, è un qualcosa di indescrivibile. L’oceano sempre un po’ incazzato ed i cui spruzzi, complice un freddo vento, si alzavano alti nel cielo ed arrivavano lontano. Siamo curiosi di rivedere domani, con la luce del giorno, quale spettacolo siano.

Delusione totale è invece stata nel pomeriggio Fecamp, tanto che non siamo neppure scesi dalla macchina.

Una città industriale, fredda e inospitale.

Laura sta ancora un po’ male anche se forse, leggermente meglio rispetto a ieri.

Sta sempre più riprendendo confidenza con il francese, anche se il cameriere di stasera pareva non capire. Ma forse faceva solo finta… la rinomata scontrosità d’oltralpe!

Lunedì 14 settembre 2009

H 10.10

Colazione tres joli! Puntualissimi, alle 9.30, abbiamo trovato una tavola che ha confermato tutto ciò che altri viaggiatori prima di noi, avevano lasciato scritto sul quaderno di dediche e commenti qui in camera. Due plumcake, torta al cioccolato, una baguette fresca con due barattoli di marmellata di fragole e albicocche fatte in casa e burro. Due vasetti di jogurt, jus de orange. Il tutto, sul tavolo del loro salotto, sotto un arco di legno, con grosse finestre che davano sull’immenso cortile. Un pianoforte e un caminetto. Sul mobile in legno dietro di noi, diverse foto. Laura: “Ma saranno le figlie? Secondo te sono tutte morte?” Ecco che torna il suo inguaribile ottimismo! “Ma scusa, perché dovrebbero essere morte?” “Boh… tutte le foto così… sembra un altarino!” Che bella sensazione, a parte tutto, quella di essere a casa di sconosciuti, dormire nella camera a fianco alla loro, mangiare al loro tavolo. Non ci hanno chiesto un documento, ne’ soldi in anticipo, ne’ sono stati invadenti. Anzi, alla fine ci hanno fatto anche uno sconto di 10 euro e ieri lasciato le chiavi di casa come se fossero nostre. E poi abbiamo riposato di un bene! Adesso raccogliamo le nostre cose e dopo che avremo salutato Mr e Mme Bonneville, torneremo a Etretat per lo spettacolo delle falesie di giorno. Peccato solo che il tempo sia un po’ nuvoloso.

Falaise d’Aval

H 11.20

Siamo nel bel mezzo della passeggiata che unisce le due falesie. Da un lato, quello che Maupassant ha definito “un elefante che immerge la proboscide in acqua”, mentre dall’altro la Falaise d’Amont, resa celebre da uno dei molti quadri che Monet ha dipinto davanti a questo mare.

Lo spettacolo è imponente.

Il sentiero ricorda le alte scogliere dell’Irlanda, una stretta strada battuta tra alti ciuffi di erba che si muovono e danzano che sembrano velluto. E soltanto pochi metri più in là, uno strapiombo di centinaia di metri giù fino all’oceano. Di fronte noi, lontana ed impossibile da vedere ma che si può soltanto immaginare, l’Inghilterra.

La Manica ci divide.

Il cielo è di un grigio cupo, le nuvole corrono sopra di noi ad una velocità folle, non lasciano neppure il tempo di immaginare forme o oggetti. In pochi secondi, compare e scompare un tiepido sole.

Questo vento fortissimo rende il rimanere qui in piedi ancora più suggestivo.

Il rumore dell’oceano è costante e quasi ipnotico.

Incute persino paura la sua immensità.

Un momento come questo, immersi nella natura e nelle sue manifestazioni diverse, è assolutamente impagabile.

Honfleur

H 14.16

Seduti sugli scalini di una chiesa medievale, a Honfleur, là dove la Senna incontra il mare.

Questa cittadina è intrisa di arte in ogni suo angolo, in ogni vicolo, in ogni casetta. Era uno dei posti preferiti dagli impressionisti, Monet e Baudin tra gli altri, ed ancora oggi si continua a respirare questa aria, tanto che gli atelier e le gallerie d’arte sono quasi più frequenti delle crêperie.

Esposizioni di quadri, sculture curiose e scorci paesaggistici che quasi ti obbligano a non lasciare neppure per un secondo la macchina fotografica spenta.

In particolare, è bellissima la zona del porticciolo, ricorda in dimensioni estremamente ridotte, la zona Nyavhn di Copenaghen.

Proprio di fronte a noi, adesso, sulla ringhiera del ponte, sono stese ad asciugare le reti dei pescatori, magnifico esempio di come non si viva in questo luogo di solo turismo o di arte.

Quando siamo arrivati, ci ha accompagnato una forte pioggia mentre ora, un caldo sole non solo ha già asciugato i vestiti ma persino le strade. Un borgo medievale di una bellezza rilassante.

Laura ha comprato il suo quaderno in una papeterie.

Graye sur mer

H 19.10

Andato a vuoto un primo tentativo in una Chambres d’hotes (non affittavano camere per una sola notte) e dopo esserci spinti nella nostra ricerca di un luogo che ci ispirasse, praticamente a ridosso delle spiagge dello sbarco, abbiamo finalmente trovato un altro splendido posto.

Si chiama le “Aux 4 saison”, perché 4 sono le stanze ed ognuna ovviamente ha il nome e i colori dell’arredamento, dedicati alla sua stagione.

A noi è capitata la primavera. Pareti dipinte di verde, parquet chiaro, scaletta esterna che conduce ad un giardino bello e curatissimo e un recinto che racchiude un pony festante che, non appena si esce dalla camera, si avvicina trottando.

Il bagno, questa volta in stanza, è grande quasi quanto la camera. Laura se ne è innamorata subito.

Ora lei è sotto la doccia mentre io, sdraiato sul letto e con i Griffin in francese alla tv in sottofondo, riordino le immagini della giornata.

Dopo la splendida visita a Honfleur e il precedente passaggio sul ponte di Normandia a Le Havre (che una fittissima pioggia ha reso ancora più suggestivo), ci siamo diretti verso Trouville – Douville. Non prima però di esserci sfamati con una meravigliosa baguette e un pezzo di torta alla vaniglia, la tarte flat, che si è prepotentemente inserita tra i miei dolci preferiti di una boulangerie.

Le altre due cittadine invece, sono state una totale delusione!

Sono una sorta di città unica separata da un fiume. La parte al di qua è Trouville, finta e commerciale. Una serie di negozi di souvenir, tipici di una località di mare della nostra riviera, per nulla accogliente. La parte al di là del fiume, Douville, è invece la meta di vacanza dei ricchi parigini, con lussuosi alberghi, residence, spiagge private e in cui persino i parcheggi hanno gli accessi regolati da una sbarra.

Inospitale anche nell’atteggiamento per le strade, grossi macchinoni guidati con prepotenza, che non rispettano le precedenze. Arrogance!

Così, soddisfatti di averle visitate on tour dalla macchina senza la necessità di dover scendere, abbiamo deciso di proseguire lungo la strada per avvicinarci alla Normandia dello sbarco, fino a che abbiamo trovato questa oasi di pace, la cui gentilissima ragazza che ci ha accolto, parlando piano e con il sorriso, ci ha trasmesso un caldo senso di familiarità.

Il bel sole di qualche minuto fa, ha adesso lasciato spazio ad una fitta pioggia. Normale.

Martedì 15 settembre 2009

H 10.15

Altra colazione magnific!

Ho fatto la conoscenza di una confieture ou lait, una specie di mou spalmabile… una bontà!

Ci ha anche fatto la battuta il tipo che ci ha portato il tutto, “ideale perla linea!” ha detto, mimando con le mani la silouhette di un corpo!

Questo rifocillarci, ha in parte compensato la pessima serata di ieri.

Infatti, dopo esserci riposati un po’ in camera (e aver fatto ancora l’amore in modo stupendo), ci siamo preparati per uscire a cena, l’idea era trovare un posticino tranquillo dove poter mangiare un’altra gallettes, e poi tornare a godere ancora un po’ di questa magnifica stanza.

Ci dirigiamo quindi a Courseulles sur mer, luogo che secondo l’operazione Overlord, corrisponde a Juno beach, ma a parte negozi chiusi, strade deserte e un fortissimo vento, ci sono soltanto tristi ristoranti di hotel, estremamente turistici ed assai poco normanni.

Decidiamo così di riprendere la strada e cercare un paesino che sia un po’ meno “artefatto”.

Ma più ci addentriamo, prendendo strade e direzioni diverse, meno troviamo. Soltanto strade buie, cattedrali immense illuminate in modo persino un po’ sinistro e circondate dal nulla. Case e nessun negozio. Nessun locale, bar o crêperie.

Troviamo solamente un camioncino che vende una strana pizza colorata, ci imbattiamo in una specie di festa privata in un ristorante e in un venditore di tapas dall’aspetto assai poco accogliente e rassicurante.

E poi ancora strada con il nulla.

Scoraggiati e sempre più affamati, ci dichiariamo sconfitti, accantoniamo l’idea del posticino tranquillo e caratteristico e facciamo ritorno a Juno Beach e a suoi ristornati turistici.

Entriamo nel primo, sedie girate sopra i tavoli, un paio di persone con i piatti vuoti davanti ed il proprietario che ci viene incontro e ci guarda come se fossero le tre di notte e noi due barboni che elemosinano un tozzo di pane, dopo averlo tirato giù dal letto. Invece sono solo le 21.30.

Ci fissa un attimo, abbozza un mezzo finto sorriso e “finish”, ci dice, cucina chiusa.

Incassiamo perplessi, pensando di aver forse trovato un ristoratore con poca voglia di lavorare e ci dirigiamo verso gli altri locali.

In tutti la stessa storia.

Nessuno che, nonostante le cucine fossero già chiuse, ci propone un piatto freddo, un’insalata, un panino o un tagliere di formaggi.

Mancano venti minuti alle dieci e neppure un ristorante si degna di darci mezzo tavolo!

Altro che Genova e “torta di riso finita!”. Ad ogni rifiuto, cresce la nostra rabbia. Arroganti, maleducati e scansafatiche!

Ci spingiamo persino ad affermare che “hanno fatto bene gli Alleati a bombardarvi la spiaggia!”.

Così, delusi ed affamati, facciamo ricorso all’ultima schiacciatina rimasta dalla partenza e a ben 3 pacchetti di Oreo, che ci appaiono come la manna nel deserto per gli israeliti!

Torniamo in camera, benedicendo la teiera elettrica di cui è dotata, divoriamo famelici delle bustine di latte solubile che Laura esalta al primo assaggio come Galatine sbriciolate per poi abbandonarle nauseata poco dopo. Abbiamo persino meditato il “ratto” di una pizza surgelata in un frigo comune all’ingresso…

Alla fine, sperando in un signora colazione al mattino, spegniamo la luce.

Oggi, appagati che le nostre speranze siano state soddisfatte, siamo pronti per le spiagge del D-day!

Omaha beach – Colleville sur mer

H 20.30

Sala comune di una chambre d’hotes.

Un bel tavolo in legno, un caminetto spento alle mie spalle, un tavolino con riviste di gossip francese, pareti dipinte di rosa, travi a vista e tendine ricamate alle finestre, dietro le quali un bellissimo tramonto sta ormai lasciando la scena ad una limpida serata.

È stata una lunga giornata oggi, ricca di emozioni e stati d’animo, tanto che faccio persino fatica a riordinarle tutte.

Lasciata al mattino la nostra stanza, una pioggia fitta ma costante, ci ha accompagnati nella vicina Juno Beach, la spiaggia che secondo il piano alleato di sbarco denominato Operation Overlord, era stato affidato alle truppe canadesi.

Oggi, di ciò che sono stati quei giorni del giugno 1944, rimane un’ imponente croce di Lorena a indicare il punto in cui il generale Charles De Gaulle mise nuovamente piede sul suolo francese poco dopo lo sbarco.

Abbiamo quindi ripreso la D-514, la strada provinciale che percorre tutto il tratto di costa (oltre 34 km), ove è avvenuto lo sbarco.

Più avanti, di fronte alla zona identificata come Gold beach, la spiaggia che ha visto l’attacco delle forze britanniche (unitamente a Sword beach dove oggi non rimane praticamente nulla), appaiono imponenti e impressionanti, immensi blocchi di cemento armato, semi sommersi dalla bassa marea, al largo delle spiaggia. Blocchi che erano stati trasportati e gettati per creare un porto artificiale (Winston Harbour), in modo di favorire ed agevolare lo sbarco delle navi militari e dei mezzi corazzati.

Guardare l’Oceano agitarsi intorno a questi scuri simulacri, lascia attoniti mentre mille pensieri corrono veloci nella testa.

Nel frattempo la pioggia è aumentata di intensità ed il vento rende quasi impossibile rimanere lì in silenziosa contemplazione.

Decidiamo allora di riprendere la statale, mentre lo sguardo ogni tanto ancora fugge al largo, e di dirigersi verso Bayeux, dove su indicazione del ragazzo della chambre, andremo a visitare il museo della battaglia.

Approfittiamo così anche del fatto che, sotto questo fortissimo temporale, stare un po’ al riparo non ci dispiace affatto.

Il Museo rievoca e commemora tutta la battaglia che si è svolta in Normandia, dallo sbarco del 6 giugno 1944 fino alla presa di Caen e Cherbourg.

I reperti e i cimeli dei primi giorni, quelli immediatamente successivi al 6 giugno, sono senza dubbio quelli che ci hanno affascinato di più. I filmati sui preparativi, le foto dello sbarco e dei soldati, le esposizioni dell’artiglieria, delle divise ma anche di oggetti personali delle truppe, come le sigarette, il rasoio, i quaderni.

Un breve film di 15 minuti, in francese, ha poi ricostruito il tutto attraverso le immagini.

Quando usciamo, è circa l’una, la pioggia è cessata ed un timido sole inizia a fare capolino attraverso le ultime nuvole che si diradano.

Saliamo in macchina e riprendiamo il nostro cammino.

Arriviamo a Longues sur Mer, località ove si trovano, ancora quasi perfette, 4 casematte che custodiscono e proteggono cannoni che erano in grado di colpire al largo della costa fino ad una distanza di oltre 20 km.

Imponenti costruzioni di cemento armato nascoste e mimetizzate nel terreno e alle quali ancora oggi è possibile accedere. È destabilizzante persino mettersi dietro a quelle armi e provare ad immaginare il terrore e l’adrenalina dei soldati tedeschi mentre scrutavano all’orizzonte l’arrivo dei loro nemici. Dei liberatori per gli altri.

Peccato solo che due pullman di ragazzetti tedeschi o svedesi, non so, ci hanno in parte rovinato con le loro urla e confusione, la solennità del momento.

La fame, nel frattempo, inizia a farsi sentire sempre più forte, influendo anche un po’ sul nostro umore.

Proseguendo lungo la strada, giungiamo a Port en Bessen, dove incontriamo finalmente un Super U, supermercato nostro salvatore, e dove facciamo scorta di formaggi, baguettes e croissant, memori anche della serata di ieri e della difficoltà di trovare un posto dove mangiare per cena.

Contenti della nostra spesa, ci dirigiamo verso il centre ville, in zona porticciolo e, parcheggiata la macchina, ci prepariamo il nostro pranzo.

Qui Laura si taglia con il coltellino svizzero, così, trovata una farmacia e medicato il dito con un acqua ossigenata e un cerotto (che abbiamo scoperto si chiamano sparadrap), ripartiamo.

Anche questo paese è stato meta dello sbarco, dal porticciolo è ancora ben visibile l’insieme delle fortificazioni tedesche lungo la collina che sovrasta la spiaggia.

E quindi, giungiamo finalmente a Omaha Beach, la porzione di spiaggia che, compresa tra tre villaggi (Colleville sur mer, Vierville sur mer e St. Laurent sur mer), è stata forse il fulcro dello sbarco con il numero maggiore di soldati e mezzi statunitensi.

Prima tappa, l’imponente e maestoso cimitero americano.

È difficile riuscire a spiegare la sensazione che si prova quando, seguendo il sentiero dall’ingresso che quasi sembra un campo da golf, con il rumore forte dell’Oceano a poche decine di metri più giù, ci si ritrova davanti alle oltre novemila croci bianche di marmo.

Perfettamente allineate, da qualsiasi lato le si guardi. Ognuna ha inciso un nome e un cognome, lo stato di nascita, il grado militare e il giorno in cui il soldato sopra le cui spoglie è stata posta, ha perso la vita.

Si sussegue un nome dopo l’altro, cognomi americani, polacchi, italiani. Immigrati da decine di anni forse che hanno combattuto per la loro nuova patria. O forse per l’unica patria che hanno mai conosciuto, qualunque fosse la loro origine.

Croci ebraiche che spiccano tra le assai più numerose croci cristiane.

Un nome. Un soldato. Un semplice ragazzo. Una vita. Ogni passo in quel campo, una vita spezzata su queste spiagge.

Ogni croce una storia.

Ho pensato a ciò che ogni nome poteva essere stato. Un bambino disobbediente, un fratello maggiore premuroso. Un orfano. E poi quella che poteva essere stata la sua vita “prima”, in Pennsylvania, in Ohio o magari in Texas. Il compagno perduto. Il soprannome con cui certamente lo chiamavano i commilitoni.

La sua eccitazione lasciata l’America e la paura lasciate invece le spiagge inglesi la notte prima dell’attacco. Tra il 5 e il 6 giugno 1944. Poi, forse, pochi passi fatti sulla spiaggia, un colpo che l’ha fatto cadere quando ancora era nell’acqua. O forse la gioia per aver raggiunta la riva incolume, per aver salvato un compagno, per essere parte della Storia. Per poi forse cadere in un’altra battaglia il giorno dopo, o quello dopo ancora.

Leggere queste parole senza essere stati in questi luoghi, potrà risultare stucchevole e marcatamente retorico. Ma è impossibile camminare in quel prato costellato di nomi e non sentire dentro un sentimento profondo per tutti coloro che una volta giunti su queste terre, non hanno più fatto ritorno a casa.

Che hanno visto questo campo diventare la loro casa. Nomi e cognomi, certo, ma anche molti corpi che non sono mai stati riconosciuti, identificati con la frase “Known but to God”.

Completamento di tutto ciò, è stato il Visitor Center, annesso al Cimitero Americano, dove un lungo filmato commemora alcuni dei caduti attraverso molte delle lettere che avevano spedito ai genitori, alle mogli, ai figli.

E le interviste ad alcune di queste persone, mentre foto sbiadite in abiti civili dei loro “eroi”, scorrevano sullo schermo.

Pregni di sensazioni forti, abbiamo così deciso di passare la notte qui a Colleville.

La Chambre trovata, molto bella dall’esterno, dentro ci ha invece deluso un po’. Ma comunque, 38 euro per la notte e la colazione, ci sono sembrati un buon compromesso.

Mentre scrivo in questa sala comune, sono rientrate le altre due coppie che albergano qui, hanno già cenato. Sono le 21.30. Evidentemente, ormai lo abbiamo capito, per cenare bisogna uscire alle otto, per poi fare ritorno già a quest’ora. Se no si rischia di finire come noi ieri!

Comunque, tornando agli episodi della giornata, dopo esserci sistemati in camera, dato che il tempo era molto bello ed ancora chiaro, abbiamo deciso di scendere sulla spiaggia per toccare letteralmente con mano la sabbia dove sono sbarcati i soldati.

A ridosso dell’acqua, lasciati asciutti dalla bassa marea, due grossi blocchi di cemento, probabilmente resti di quel porto artificiale che qui non è sopravvissuto alle tempeste del mare.

Poi, dando le spalle alle onde, la collina dove erano piazzati i tedeschi e da dove, nella loro disperata e vana difesa della posizione, sono partiti i migliaia di proiettili e le bombe contro i soldati alleati.

Siamo saliti sulla collina e, sebbene non fosse segnalata dalla spiaggia, abbiamo trovato una piccola città fortificata di cemento armato. Tunnel sotterranei, bunker, vedette e passaggi. Ogni dieci passi spuntavano i resti di ciò che era stata una postazione. Un grosso cratere sul terreno creato dallo scoppio di una mina. E guardare la spiaggia da lì, dall’alto e andare indietro con la mente di 65 anni, è stato un po’ come vedere un film in bianco e nero.

Pensare a ciò che provavano i soldati tedeschi chiusi in quelle che erano quasi delle celle di cemento armato, mentre un’orda di nemici arrivava dal mare con l’unico obiettivo di ucciderli.

E pensare ai soldati americani sulla spiaggia, travolti dalla paura e dall’insano coraggio, mentre abbandonati gli Higgins, i loro piatti mezzi da sbarco, stavano cercando di impadronirsi della spiaggia disseminata di mine prima, e della collina poi.

Sentivo quasi il rumore degli spari di quella guerra. Mi sembrava di poter vedere i corpi stesi sulla sabbia della spiaggia. Ho passeggiato in silenzio per molti minuti come trasportato in un altro tempo.

Questa non è retorica, lo ripeto. Sono sensazioni che soltanto trasmesse alla carta poco dopo averle vissute, sono certo di poter ritrovare domani in qualsiasi momento.

Mercoledì 16 settembre 2009

H 9.43

Laura si sta finendo di truccare.

I formaggi presi ieri, che hanno rappresentato la nostra meravigliosa cena sul letto, stanno adesso intossicando la camera. Meglio andare via in fretta..

Ieri sera abbiamo riso, tossito, parlato e urlato pure un po’.. e questi muri sono come carta velina. Chissà cosa avranno pensato i vicini di stanza!

Stamattina colazione collettiva, saremo stati in 10! Con di fianco Ciccio bombo cannoniere vestito da militare. E ora. Nous allons!

St Mere Eglise

H 13.15

Siamo in una brasserie, abbiamo appena finito di pranzare con due soupe de legumes, una tarte de citron e un fromage blanc.

“Cosa sarebbe?” Ha chiesto Laura alla signora che ci ha servito, per cercare di capire che tipo di dolce fosse.

La Madame ci ha pensato un po’, ha detto due parole, poi si è fermata, ha provato di nuovo ma era in evidente difficoltà, non sapeva come riuscire a spiegarlo.

A quel punto le nostre aspettative sono cresciute a dismisura, se lei non è riuscita a spiegarci nella sua lingua madre questo meraviglioso dolce, chissà quale delizia, quale sublime opera della cousine dolciaria francese sarà mai.

E poi? Quando ce lo ha portato cosa si è rivelato essere?

Uno yogurt! Uno yogurt, cazzo..

E va beh.

L’ambiente è comunque molto carino. Alle pareti, perlinato di legno, sul soffitto un vecchio paracadute americano. Questa piccola cittadina, è in effetti oggi una costante commemorazione dei paracadutisti, grazie ai quali in quel lontano giugno 1944 fu liberata dall’assedio nazista.

È una storia particolare, la sua. Posizione strategica e per questo assai ben presidiata dai tedeschi, venne scelta come una delle zone di atterraggio per i parà statunitensi la notte precedente il D-Day. Ma a causa delle fitte nuvole che impedirono ai piloti degli aerei di convergere sul punto designato, il lancio fu sbagliato ed invece di atterrare nei campi vicini da dove, poi, avrebbero dovuto preparare l’attacco, i paracadutisti caddero proprio nel centro della città. Come se ciò non bastasse, una delle bombe lanciate per aprire loro la strada, cadde su una casa nel centro e questa prese fuoco. Per evitare il propagarsi dell’incendio, quasi tutta la popolazione si svegliò e si diede da fare per spegnere le fiamme che si stavano alzando alte. E così anche i soldati tedeschi, svegliatisi, si trovavano in piedi, vigili quando alzando gli occhi al cielo, centinaia di paracadutisti stavano lentamente scendendo verso terra.

Molti di loro non riuscirono neppure a toccare il suolo, uccisi da scariche di fucile. Altri imbracciarono il loro ed iniziarono a rispondere al fuoco ancora sospesi in aria.

E poi ce ne fu uno, un certo Ken Russel che, forse per il vento, forse per la paura chi lo sa, sbagliò la sua manovra di atterraggio e finì dritto sul campanile della chiesa, nel bel mezzo della piazza. E lì, forse fin troppo visibile per essere visto davvero o forse ignorato perché creduto morto, vide l’evolversi della battaglia riuscendo infine ad avere salva la propria vita. Ed ancora oggi, un manichino, con il suo paracadute e la sua divisa, fa bella mostra di sé appeso a quello stesso campanile, in quello stesso punto. Fa sorridere questa immagine, il modo in cui si è deciso di ricordare l’episodio, anche se è fin troppo facile immaginare come da sorridere, per lui in quel momento, non ci fosse assolutamente nulla.

La cittadina è carina, molto piccola ma accogliente ed è curioso come, in ogni singola vetrina dei negozi, dal tappezziere all’alimentari a quello di abbigliamento per bambini, vi siano foto dei reduci e persino ritagli di giornali del raduno che si è tenuto qui qualche anno fa. Si respira la gratitudine per la liberazione anche da parte di chi, forse, allora non era neppure nato.

La mattinata, ci ha poi regalato un’altra punta di altissima emotività, uno dei luoghi più belli, sebbene il termine non sia forse il più appropriato, visti finora: Pointe du hoc.

Qui, all’alba del D-day, 285 rangers hanno scalato i 30 metri di scogliere per cercare di colpire al cuore del loro posto di comando nel punto strategico l’avamposto tedesco, mentre i bombardamenti congiunti da parte delle navi e degli aerei, dovevano aprire loro la strada.

Il sito è rimasto pressoché come si ritrovò ad essere dopo quella giornata.

Le voragini aperte sul terreno dalle centinaia di bombe fanno venire la pelle d’oca e testimoniano la potenza devastante di tali ordigni. Buche di oltre 4 metri di profondità, larghe quasi il doppio, che si aprono all’improvviso sotto i piedi, nel campo dove erano eretti bunker e casematte.

Bunker adesso, dopo quella mattina, sfondati, bruciati, a volte soltanto scalfiti. Altri rimasti in piedi ed altri ancora crollati su se stessi.

La devastazione delle bombe ha lasciato dei segni eterni e camminare tra quelle voragini, quasi come si potrebbe camminare nel prato di un parco, ci ha portato a riflettere una volta di più su ciò che deve essere stata quella fatidica giornata, ma anche quella prima o quella dopo. Tre giorni consecutivi ma che non avrebbero potuto essere più differenti.

La calma e la paura.

Il caos e il sangue.

La quiete e la morte.

Tre giorni in cui la vita di migliaia di persone, non solo soldati ma anche contadini, pastori, pescatori e mamme, ha subito una brusca virata. Si è interrotta o è cambiata o è ricominciata.

Ma è stata la sotria allora a cambiare.

Giovedì 17 settembre 2009

Cancale

H 13.15

Strepitosa mangiata di huîtres e moules (ostriche e cozze) in riva al porto di Cancale, in Bretagna.

Siamo in un caratteristico ristorante – pescheria, fuori su un bancone in marmo vendono pesce e molluschi freschi, dentro in un ambiente molto sobrio ed affatto turistico, quel pesce si mangia. E molto bene.

La ragazza che ci ha servito, parla un po’ di italiano ed anche il fatto di aver potuto leggere il menu nella nostra lingua, ci ha evitato l’ordinare piatti potenzialmente pericolosi. È sempre un rischio non sapere i nomi delle cose che si mangiano!

Questo porto è forse il più famoso in Francia per la raccolta delle ostriche.

Si presentano invitanti e gustose davanti a tutti i ristoranti lungo la via principale e assaporarle così, a due passi dal mare è stato persino meglio di quanto potessimo sperare.

Un intenso sapore di mare, un profumo di acqua salata.. sì, me le sono proprio godute in pieno, per l’invidia di Paese che qui potrebbe chiedere dimora fissa!

Le molte barche nel porticciolo, sono adesso arenate sulla sabbia, riverse su un fianco. La bassa marea le ha lasciate così, come se fossero state portate in un campo ed ancorate alla terra.

È una strana visione, come se il mare se ne fosse andato all’improvviso, senza che nessuno se l’aspettasse. Invece tra poche ore tornerà e tutte queste decine di barche in secca, riprenderanno a galleggiare e potranno riprendere la via del largo.

Mentre il porto, asciutto anch’esso, ha portato alla luce le sterminate piantagioni di ostriche dove adesso si muovono tra il fango, trattori e raccoglitori con i loro alti stivali di gomma.

Ed alcune bancarelle a ridosso dei moli, vendono vassoi con ostriche e limone. Il terreno sotto i piedi è tutto costituito da gusci di ostriche mangiate e gettate. Ce ne sono centinaia, migliaia, nell’attesa che il mare torni a prendersele e questo pittoresco pavimento di madreperla, faccia spazio ad altri gusci che verranno lasciati qui da qualcun altro.

Questo ottimo pranzo e soprattutto il luogo rilassante, ci ha in parte consolato della forte delusione di Mont Saint Michel.

La marea arriverà alle 17.30 oggi e per poterla vedere, abbiamo praticamente impiegato una giornata per andare e tornare. Rimanere là un intero giorno, sarebbe stata un’assoluta perdita di tempo.

Ma, d’altro canto, rinunciare alla marea che a detta di tutti è meravigliosa, sarebbe stato un peccato. Così, abbiamo fatto un centinaio di km fino a qui, per poi fare ritorno a Saint Michel, nella speranza inoltre di non perdere troppo tempo alla ricerca di una chambre che ieri ci ha invece portato via quasi un’ora. Nelle vicinanze del Mont, sono tutte occupate fin dal mattino.

Alla fine ieri, comunque, ne abbiamo trovata una molto carina, “Le marquis de la Guintre” e con la proprietaria, Madame Hingan, una signora piuttosto in carne e dall’aria giocosa, molto gentile e sorridente.

Mont Saint Michel

H 16.25

Manca circa un’ora all’arrivo dell’alta marea.

Parcheggiata la macchina, diamo un’occhiata ai cartelli. Vediamo scritto “Oggi la marea coprirà questo parcheggio alle 17.00”

“Ecco perché tutta quella gente se ne stava andando!!!”

Lasciata così la macchina in un luogo sicuro, siamo finalmente saliti sulla rocca. L’impressione, rispetto a ieri sera, è completamente diversa: gente in ogni singolo centimetro della strada del borgo che sale al monastero, giapponesi fermi a fotografare persino tutte le pietre della case, da ogni angolazione possibile.

Uno ci ha pure scaricato in faccia le sue arie intestinali, con estrema indifferenza, lungo la salita.

Persone di ogni nazionalità, gruppi vacanze. La magia del luogo appare molto seriamente compromessa.

La nostra impressione, dal primo impatto, non era stata delle più positive.

Poi le molte complicazioni per capire l’esatta ora di arrivo della marea, non ha fatto che aumentare il nostro scetticismo. Sui parcheggi era indicata mezzanotte e mezza.

Sul cartellone all’ingresso, in una lingua le 17.30, in un’altra le 05.00.

Avevamo anche chiesto alla Madame della chambre stamattina e lei, rapida ed efficiente, ha tirato fuori il libro magico delle maree e senza esitare un secondo, ha detto: “13.50!”

Poi, finalmente, al Tourist office all’ingresso, una cicciona gentile ma che ovviamente parlava solo francese e qualche verso in inglese, ci ha confermato le 17.30.

Così, verificato che i 4 euro del parcheggio valevano per tutto il giorno, abbiamo abbandonato il Mont con l’idea di farvi ritorno intorno alle 16. Ed ora eccoci qui.

Nel mentre, come detto, siamo stati a Cancale che si è rivelata veramente una splendida sorpresa. Un tranquillo posto di pescatori di ostriche, dall’aria calma e pacifica. Piena sì di ristoranti ma generalmente molto poco turistici, come quello dove abbiamo mangiato noi.

Dopo abbiamo fatto un giro per la zona del porto e la nostra sensazione iniziale ha trovato conferma.

Ci sarebbe piaciuto aspettare l’arrivo dell’acqua e vedere come cambiava il paesaggio, come quelle barche addormentate sulla sabbia, si sarebbero svegliate iniziando a galleggiare di nuovo.

Ma oramai, si era fatta l’ora di tornare al Mont.

Inciso: abbiamo adottato una baguette. L’abbiamo presa l’altro giorno al “Super U”, ma poi, mangiando sempre fuori, è rimasta in macchina talmente tanto che ci si siamo affezionati. L’abbiamo ovviamente chiamata Michelle. Viaggia sempre sul sedile dietro della macchina, con la cintura inserita e quando fa un po’ più freddo le mettiamo anche la sciarpetta. Oggi, invece, abbiamo abbandonato i formaggi nella chambre. Gli odori che emanavano erano ormai più corrosivi delle scarpe di Laura lasciate al sole. Speriamo domani di non sentire in tv che la Madame è morta asfissiata aprendo la porta della camera.

Aneddoto: arrivati a Pointe du Hoc, parcheggiamo la macchina e facciamo per scendere quando da quella davanti, esce un ragazzo con delle improponibili scarpe viola vellutate. Inguardabili! Quasi quanto i suoi enormi occhiali da sole da mosca. Laura, al vedere questo spettacolo, dice ad alta voce, in un farsetto milanese: “Uè, c’hai le scarpètte viola?”

Ed io: “Amo, parla piano! Magari ti capisce!”

“Ma và.. guarda la macchina, ha la targa francese!”

“Eh.. magari l’hanno affittata come noi!”

Ed appena finito di parlare, sentiamo il tipo delle scarpe urlare:

“Mà.. Ah mà.. ‘ndo sta a machina de foto?”

Il viso di Laura è diventato dello stesso colore delle scarpe del romano..

Considerazioni in itinere:

Laura parla bene francese ma quando le capita di non capire, fa “sì” con la testa e uno sguardo strano, tanto che la beccano subito. Vorrei fotografarla!

Un’altra cosa che abbiamo imparato, è che Laura ha poteri divinatori al contrario.

Eravamo in macchina l’altro giorno, stava piovendo, ma non molto, appena appena. Posteggio e lei dice: “Con questa pioggerellina va benissimo camminare!”

E sulla “e” di camminare, si scatena il più grosso temporale finora visto in Normandia!

Ieri invece, dopo che giravamo da tempo alla ricerca di un supermercato, dice: ”No, qui mi sa che ci stiamo addentrando troppo, non c’entra con la nostra strada, siamo lontani!”. Alzo lo sguardo, e ci compare magicamente davanti l’indicazione che stavamo cercando e che conferma, quindi, quanto fossimo sulla strada giusta.

Però devo ammettere, che come navigatrice è imbattibile! Un occhio alla cartina ed uno ai cartelli et voilà, la strada è trovata!

Siamo seduti in terra, aspettando sempre questa benedetta marea. Ancora mezz’ora.

È arrivato un gruppo di romani e noi facciamo finta di essere francesi , bofonchiando parole a caso per non farci riconoscere e dover iniziare così un principio di conversazione. Va beh, io bofonchio parole a caso, Laura si limita a sorridere..

H 18.25

Siamo seduti su alcuni sassi fuori dal Mont, la marea sta portando l’acqua a non più di tre metri da noi.

Arrivano piccole onde, lente e docili che cullano come su una spiaggia d’estate dopo il tramonto. Un timido sole rosa si affaccia tra le nuvole e si riflette sull’acqua, nello spazio dove fino a poco fa c’erano soltanto melma e sabbia.

Colori stupendi.

Delle oche si inseguono nell’acqua.

L’acqua sta avanzando ancora. Ha quasi interamente coperto il parcheggio e l’ultimo pullman ha dovuto abbandonare l’area con le ruote già nell’acqua.

C’è silenzio intorno, nonostante i molti turisti, tutti intenti ad immortale per sempre queste immagini.

È stato affascinante vedere arrivare la marea da dentro le mura, vederla avanzare lentamente e distendersi fino a ricoprire tutto. Ma forse stare qui, ed esserne quasi avvolti, è per certi versi persino più appagante.

Arrivi a sfiorare l’acqua, a giocare con lei, a sentirne l’odore.

Un bambino si fa inseguire dall’avanzare delle onde.

Due metri da noi.

Laura mi aspetta e fissa il momento attraverso la digitale.

Si alza il vento.

Un metro e mezzo.

Credevo comunque che arrivasse molto più in fretta, o meglio, con molto più rapido impatto.

Quasi come un’onda liberata da una diga, che con forza travolge quegli spazi dove, fino ancora a 5 prima, qualche impavido camminava. Invece avanza, ma lentamente. Scivola, non travolge.

Qui fuori invece, come dicevo, si è più parte stessa della marea.

Un metro.

Ci alziamo, è ora di tornare alla macchina.

Adieu, Mont Saint Michel.

H 19.51

Gli zaini, lasciati nella chambre prima di andare a Saint Michel, hanno rischiato di rimanere orfani.

Infatti, visto che non avevamo preso nessun biglietto, ne’ nome del paese, ci siamo fidati della sola nostra memoria visiva ma avendo sbagliato una direzione, una sola, abbiamo rischiato di finire chissà dove! Sono tutte uguali queste strade!

Poi, per fortuna, la mente si è illuminata e.. eccoci qui!

Ed ora, a mangiare gallettes!

H 22.05

Sembrano le 4 di notte, strade deserte, locali chiusi, nella chambre tutto spento.

Ormai abbiamo capito come funziona ed alle otto usciamo a mangiare. Stasera, merita una menzione d’onore la “crêperie du Cuesnon” a Pontorson: le migliori gallettes mai mangiate! (sì, è vero che le conosciamo da soli 4 giorni..)

Un bel localino con una ragazza gentile e un po’ sfigata, che raccoglie le ordinazioni e, miracolo, parla anche inglese! Mentre quello che secondo me è il marito, che in cucina le prepara sul momento.

Ne abbiamo mangiate 3 salate, una dolce, sidro e acqua per un totale di 22 euro.

Questo è proprio ciò che immaginavamo noi per crêperie. Un ambiente familiare e caldo, un sottofondo di musica classica ad accompagnare la cena. Speriamo di incontrare altri posti simili lungo il nostro cammino.

Ora siamo in camera e Laura ha le crisi di paura.. dice che questa stanza la inquieta, tutto troppo silenzioso. C’è un non so che di misterioso.

Io, da parte mia, non ho fatto che alimentare le sue fobie, togliendo una bambola dallo sguardo inquietante che era su un cuscino vicino alla tv e mettendola fuori nel corridoio. Magari ci svegliamo nel cuore della notte e la bambola è di nuovo lì..

Ora però non vuole neppure andare in bagno da sola!

Venerdì 18 settembre 2009

H 8.38

Colazione. Sulla tavola, croissant, baguettes, marmellate fatte in casa di tutti i tipi, caffè, latte, succo. Laura, delusa che per la seconda volta, non trova anche lo yogurt, dice:

“Si vede che in Bretagna non si usa!”

Un secondo e mezzo dopo entra Bernard con un vassoio ed almeno 13 vasetti di yogurt! Il suo straordinario potere di far realizzare il contrario di tutto ciò che dice, funziona sempre di più.

Tempo incerto, la notte è passata bene nonostante le inquietudini di Laura.

Dice che appena mi sono addormentato (pochi secondi dopo aver spento la luce, come al solito), ho emesso un risolino satanico che l’ha spaventata ancora di più.

Comunque, stamattina la bambolina era ancora posata sul cuscino della sedia in corridoio dove l’avevo messa ieri. Sono andato a controllare. Forse siamo salvi!

Dinard

H 14.05

Seduti ad un tavolino, aspettando io una omelette ou jambon et fromage, mentre Laura una niçoise.

C’è un tiepido sole, in felpa si sta benissimo mentre un’oretta fa eravamo in maglietta con i piedi a bagno nel mare, in una striscia di sabbia che la marea, ritirandosi, ha lasciato in superficie, mentre il mare è rimasto ai due lati.

Un posto meraviglioso, mentre tutto intorno, raccoglitori di molluschi con retina e secchiello, setacciavano scogli e sabbia.

Dinard è bellissima.

La lunga promenade du claire de lune, seguendo gli scogli per oltre un chilometro, apre degli scenari stupendi su St Malo di fronte e sulle moltissime isole e isolette che emergono con il ritirarsi del mare.

È arrivata la mia birra, una Pelforth blonde. E ora anche l’omelette.

L’insalata di Laura ha un aspetto invitante, con riso e acciughe. Che strana.

H 14.20

Ottima. Un pranzo davvero soddisfacente mentre le nuvole hanno fatto leggermente abbassare la temperatura.

Mi convinco sempre più di quanto sia davvero bella questa cittadina, ha l’aspetto di una ricca località di villeggiatura degli anni ’30, ville imponenti ed eleganti, con la sua stupenda passeggiata e graziosi localini e ristoranti.

Siamo arrivati quando la marea già si era ritirata, anche se non del tutto ed ancora erano ben visibili i segni lasciati dall’acqua..

Adesso la spiaggia appare libera per 500 metri o più, ma quando la marea è alta, arriva fino a ridosso della passeggiata, e forse in parte la copre anche.. C’è una grossa piscina, che da alcune foto lungo il percorso, si evince risalga ai primi anni del secolo scorso, piscina che a quanto ho capito, viene direttamente riempita dal mare con le maree. L’acqua ha il suo stesso colore e sul fondo c’è della sabbia.

È arrivato il caffè. Un tazzone di acqua calda colorata. Ma sono talmente sereno che mi piace fin questo!

In mattinata siamo stati a St Malo, o meglio nella sua parte chiamata Intramuros, una cittadina interamente circondata da alte mura pedonali, che permettono una visuale della città e della bellissima spiaggia.

Abbiamo letto che proprio lì si registra la più alta escursione tra alta e bassa marea, ed in effetti il segno dell’acqua che si era ritirata da forse non più di un paio di ore, era impressionante.

Gli alti pali di legno posti tutti intorno alle mura, sulla spiaggia, sono alti circa tre metri o forse più ed oltre i due terzi, erano ancora bagnati. Così come sulle mura c’era il segno della schiuma del mare. Lo spettacolo però, una volta che il mare si ritira, è imponente. Appare una magnifica spiaggia dorata, dove, camminando a piedi, è possibile trovare centinaia di conchiglie. Il colore dell’acqua, in quei punti dove degli avvallamenti la trattengono, è di un azzurro cristallino.

Si apre anche una sorta di passaggio verso l’Ile de Bes, un fortino che quando la marea è alta, rimane inaccessibile, circondato dall’acqua ed isolato per oltre sei ore.

Stupendo poter camminare dove fino a poche ore prima c’erano due metri di mare.

Così come farlo a piedi nudi, poco fa sulla spiaggia di Dinard.

L’interno della cittadina di St Malo, è poi molto carino anche se decisamente commerciale, negozi di moda e vie in tutto simili al centro di una grande città, anche se ciottolati e pedonali.

Qui abbiamo scoperto delle marmellate al caramello, che sono una goduria.

Pare che la produzione di torte, creme e biscotti al caramello, sia una delle specialità di St Malo. E per questo la città mi piace ancora di più.

Arrivati davanti ad un negozietto, c’erano dei barattoli aperti con dei cucchiaini di plastica, pronti per la degustazione. Crema caramello con nocciole, caramello con cioccolato. E un croccante di una bontà esagerata.

Risultato, tre barattoli e un sacchettino di croccante da sgranocchiare presi .

Appena torniamo in macchina me ne mangio ancora un po’.

Poco fa, subito dopo la nostra passeggiata a piedi nudi sulla sabbia, abbiamo fatto due chiacchiere con uno strano personaggio solitario.

Prima ci ha detto, mentre stavamo risalendo dagli scogli, “complimenti, che coraggio!” e ancora non avevamo capito se si riferisse al fatto che eravamo scesi in spiaggia nonostante glia allarmismi dell’alga tossica che pare ci fosse in queste spiagge fino a poche settimane fa, o se al fatto che camminavamo a piedi nudi tra le cozze, ostriche ed altri molluschi attaccati agli scogli, o se invece fosse perchè Laura aveva le sue scarpe in mano e noi fossimo ancora vivi!

Ci ha raccontato, in inglese, di girare per il mondo, di essere stato un’estate in Italia, e poi 6 mesi in California, e altri mesi in Nordafrica. Sulle braccia, era completamente ricoperto di tatuaggi e mi ha chiesto del mio, che si vedeva sul piede. Quello di Laura, meglio non l’abbia visto!

Ha detto di scrivere poesie, in diverse lingue. Ha voluto lasciarmi la sua mail, ma non è riuscito a scriverla lui sulla moleskine, per via delle medicine che ha detto di stare prendendo. Tremava troppo. Poi si è acceso una canna.

Dinan

H 21.20

Le P’tit Bistrot

Seduti fuori ai tavolini di un locale dove suonano dal vivo del jazz e del blues.

Serata strana. Dinan mi ha generato sensazioni molto contrastanti. La cittadina è carina, casette a graticcio e vicoletti medioevali, molto belli da guardare.

Ma mi trasmette un senso di vaga insicurezza. Come un paese di provincia dove i ragazzini sono arroganti e litigiosi, dove la gente è scarsamente incline a seguire le regole e si sente in diritto di prevaricare.

Sensazione, questa, che mi deriva oltre che dal normale camminare per strada, da una serie di episodi. Il primo in macchina. Qui corrono, ti stanno attaccati al culo, lampeggiano, tentano dei sorpassi in qualsiasi punto.

La seconda, poco fa. Camminando tranquillamente con Laura per le vie del centro, un negretto di non più di 20 anni, mi ha scontrato seccamente. Pensando fosse una cosa fortuita, mi sono girato, aspettandomi un sorriso, un gesto di scuse. Questo invece con la testa bassa e il cappuccio della felpa sulla testa, ha continuato nella sua camminata molleggiata. Sperava forse fossi io a dirgli qualcosa. Che forse lo provocassi in qualche modo. E per quanto atteggiamenti di questo tipo, in genere, mi facciano salire il sangue al cervello, ho fatto finta niente e lasciato correre. Non si sa mai la reazione che la gente, soprattutto in un paese che non conosci, possa avere.

Poi abbiamo cercato un posto dove mangiare e a Laura ispirava molto una crêperie che sulla porta aveva tutti i “recommandè par Routard” degli ultimi 15 anni. Il locale era molto carino, ma sembrava popolato solo da turisti. Con due italiani proprio nel tavolino appena entrati.

Non c’era posto, almeno per altri 10 minuti, così siamo usciti ed attratti da questo sound di jazz ci siamo diretti qui e devo dire che, almeno a me, sta quasi cambiando l’umore. Sento di essere in un posto di Dinan, dove vanno gli abitanti di Dinan.

È arrivata la nostra cena, delle tartines, specie di baguettes con condimenti vari.

Anche la pesante litigata con Laura di poco fa, si sta lentamente dissipando. Molto lentamente però.

Tutto ottimo, cibo e sound.

Una bambina di un paio di anni, con ancora il ciuccio in bocca, è scatenata. Balla, salta, batte le mani a ritmo di musica.

Esce un tipo strano, un omone con l’aria da motociclista sporco, braccia tatuate, lunghi capelli biondi legate in una coda, orecchini, birra in mano. Sorride alla bambina, e inizia a battere le mani con lei, sotto gli occhi sereni della mamma.

Un baffone dall’aria del vecchio lord inglese decaduto, fuma un sigaro e beve birra ascoltando pensieroso la musica.

Una coppia è in silenzio, lei beve una birra, lui un thè. Nel dehors, altre 5 o 6 persone. Dentro, il locale è strapieno. Esce un signore muovendosi al ritmo del sax. Sorride. Il musicista finisce il suo pezzo. La bambina applaude soddisfatta. Sorseggio al mia bier blanche. C’è un’aria fresca, quasi fredda ma molte persone sono in infradito. Anche il Lord sorride alla bimba, che è tornata nel suo passeggino.

È la Regina stasera.

Passa la Madame, raccoglie offerte per i musicisti.

Anche lei sigaretta in bocca, un foulard colorato in testa a legarle i capelli. Avrà circa 50 anni e il viso dolce. Ascolta la musica e con i suoi occhi chiari controlla chi arriva e soprattutto chi lascia i tavoli.

Chitarra, basso, sax e batteria continuano a far muovere a tutti le gambe.

Sensazioni serene.

Sabato 19 settembre 2009

H 10.45

Scoperta di un’altra Dinan.

Stamattina siamo scesi al porto del fiume Rance, portandoci dietro i malumori tra noi della serata di ieri.

Lasciata la macchina subito passato un meraviglioso ponte di pietra, ci addentriamo un po’ casualmente in un grazioso vicolo in salita.

Iniziano a susseguirsi atelier di scultori, altri di pittori. Boutiques di piccola gioielleria e crêperie che sembrano arrivare direttamente da 10 secoli fa.

Case in pietra con infissi e travi di legno logorate da centinaia di anni.

Un ciottolato pulitissimo fiancheggiato da tutti questi piccoli edifici, i cui balconi sono adorni di innumerevoli fiori colorati.

Oggi e domani inoltre, si celebra un qualche anniversario della città. Così, alcuni dei cittadini, sono vestiti con abiti medioevali, un colpo d’occhio bellissimo che per qualche momento sembra davvero portare indietro nel tempo.

Camminare immaginando come dovessero essere a quei tempi queste strade.

Mi fermo a guardare una casa che sembra essere uscita da “I pilastri della terra” di Ken Follet e mi chiedo quante persone l’avranno abitata nel corso degli anni. Quante vite saranno state spese tra quelle spesse mura di pietra.

Continuando a salire, arriviamo infine proprio di fianco al locale dove abbiamo cenato ed ascoltato musica ieri sera. Ci rimaniamo di sasso.

Un po’ per i nostri malumori, un po’ per il timore che ci aveva lasciato addosso questa cittadina, avevamo rinunciato a prendere il vicolo un po’ buio in discesa.

Avremmo così scoperto prima la vera Dinan, quella che in effetti ci aspettavamo di trovare.

Beh, comunque, rivalutiamo in parte questo posto, per lo meno per quanto riguarda la zona del fiume, del porto e del suo borgo medioevale.

Paimpol

H 13.37

Orgasmo culinario alla crêperie Merel.

Abbiamo appena finito un dolce che si chiama Kerarzic (les gourmandises), una crêpe ripiena di caramello con gelato alla vaniglia.

Appena messo in bocca il primo boccone, un’estasi.

Il secondo, il nirvana.

Tutto il locale in realtà è molto carino ed anche le gallettes hanno soddisfatto il nostro appetito ed il nostro piacere.

La Lonely planet, ridicolizzata finora dalla Routard per quantità di posti e locali segnalati, in questo caso almeno ci è venuta incontro.

Il paese è tutto costruito intorno al porto.

Purtroppo, una fitta pioggia ci ha sconsigliato di passeggiare, mentre tutte le persone sedute ai bar o sorprese dall’acqua mentre erano in giro, si sono fermate al riparo di qualche tettoia, a contemplare senza fretta il temporale.

H 15.40

Spiaggia di granito rosa di Ploumanach. Un vero miracolo della natura.

Siamo arrivati qui quasi per caso, la Lonely non parla neppure di questo posto. Meno male che ci eravamo documentati noi.

Siamo circondati da enormi massi di un colore tra il rosa ed il marrone chiaro, che sembrano quasi essere rotolati qui, caduti dall’alto ed adagiatisi intorno alle strada come gigantesche pedine di shangai.

Sembrano enormi tartufi dalle forme più strane, rocce di cartapesta come nei presepi.

È un paesaggio talmente magico e surreale da sembrare artefatto.

Saltiamo su questi massi come bambini, stupendoci ogni volta delle forme e di ciò ce troviamo dietro.

Ma ora forse sta arrivando la marea.

Meglio andare.

Domenica 20 settembre 2009

H 11.30

Quimper. Piazza della cattedrale.

Siamo seduti sugli scalini della piazza, mangiando due meravigliose baguettes.

O meglio, io la mia al tonno, uova, pomodoro e insalata, l’ho divorata in un attimo. Laura invece sta gustando lentamente la sua con prosciutto e formaggio.

È una bellissima giornata, il sole sulla faccia, ci da’ una piacevole sensazione di calore.

Di fronte a noi la Cattedrale, alta ed imponente ma un po’ come tutte da queste parti a dire la verità. Dopo andremo a visitarla dentro.

Una giostra per bambini, di quelle che con aeroplani, cavalli e macchine da corsa, girano in tondo. Mi hanno sempre fatto un’enorme tristezza. Non so perché. Un po’ come i clown per molti.

Una giovane mamma dall’aria arrabbiata guarda suo figlio che ha preso posto su un aeroplanino. Seduta su una sedia, gonna lunga, calze marroni e stivali. Mastica nervosamente un chewin-gum.

Passa un’altra coppia, lei di colore, lui sensibilmente più vecchio.

Laura sta dando le briciole del pane delle nostre baguettes ad una colonia di passerotti.

Arrivano sempre di più. Tra poco beccheranno anche noi.

Un vociare un po’fastidioso alle nostre spalle. Mi giro, sono tre ragazzine che parlano tra di loro.

La giostra ha finito il suo giro ed il bambino è stato costretto a scendere ma ora fa i capricci. Vorrebbe salire ancora. Urla. Piange. La mamma gli asciuga il naso, gli dice qualcosa con fermezza e lentamente si allontana. Lui le va dietro riluttante. Lei controlla che lo segua ma senza voltarsi. Sono più lontani ora, ma sento il suo pianto in dissolvenza.

Un anziano signore con il bastone.

Padre, madre e figlio piccolo per mano.

Una ragazza con un grosso cane bianco che gioca con gli spruzzi della fontana.

Un uomo in bicicletta che traina un passeggino con dentro un bimbo piccolo! Questa ancora non l’avevo mai vista! Mentre la moglie è su un’altra bici, con una bimba sul seggiolino ed un terzo figlio li segue invece sulla sua di bicicletta.

Mi sa che devono avere un garage solo per tenere tutta questa attrezzatura!

Ed in questo evolversi di immagini in movimento, un continuo passare di persone con le loro baguettes sotto braccio.

H 12.15

Interno della Cattedrale.

Atmosfera particolare. È da poco finita la Messa, noi siamo entrati a visitare la Chiesa proprio mentre la moltitudine di gente stava uscendo e molta comunque, è ancora dentro.

Sono tutte persone giovani. Bambini che giocano e si rincorrono lungo le navate come su di un prato in montagna. I genitori parlano tra loro, come fossero all’uscita della scuola.

Sembra la normalità. Non c’è l’aria sacra e persino un po’intimidatoria di una chiesa. Sembra davvero essere un luogo di ritrovo per le famiglie.

Conferma delle belle sensazioni di questa città.

Ci è quasi dispiaciuto lasciare Quimper.

Una della cittadine che finora ci è piaciuta di più, sia per la città in se’ stessa che per la gente.

Ci ha dato l’impressione di essere un posto dove le persone vivano bene. I volti per strada erano sereni. Un po’ l’opposto di Dinan l’altra sera. E poi è una città molto giovane, non come storia ma come età media degli abitanti.

Un peso non indifferente poi, nella nostra personale scala di apprezzamento, l’ha avuto il fatto che mentre passeggiavamo, un ragazzo, vedendo le felpe che io e Laura oggi indossiamo, ci sorride e ci dice: “Sampdoria, Genova!”

Poi ci indica la sua maglietta del Rennes, ci fa segno “su” con il pollice, e se ne va.

A Quimper, ci eravamo finiti quasi alle otto e mezza ieri sera, mentre stava imbrunendo.

L’idea originaria era quella di fermarci a Morlaix.

Avevamo deciso di cercare un albergo, così lasciata la macchina in centro, abbiamo iniziato a girare senza fretta, con la convinzione di trovarne uno ad ogni angolo. Ma più camminavamo e più le nostre speranze assumevano il contorno della delusione.

La cittadina è piuttosto carina, ma di chambre e alberghi, neppure l’ombra. O meglio, ce n’è uno solo in tuta la città, che chiedeva quasi 60 euro per una camera.

E visto che fermarsi qui, non era proprio tra le nostre priorità, decidiamo di riprendere la strada e dirigerci a Quimper. E la scelta, fortemente voluta da Laura, si è rivelata vincente.

Siamo arrivati in circa un’ora ed all’inizio anche qui, gli alberghi non è che si trovassero come le crêperie, ma anche grazie alla Lonely, andati nella zona della stazione dei treni, troviamo una camera all’Hotel de la Gare, che è molto molto carina. Con un cortile interno che non fa neppure sembrare di essere in città.

Per cena, però, solito disastro! Dalle 21.30 in poi nessuna crêperie fa più nulla e persino molti ristoranti ci respingono sorridendo, dicendo che la cucina è chiusa.

Ma infine riusciamo a trovare cibo ed accoglienza, in un bellissimo ristorante in stile africano, che ci traghetta a dormire con lo stomaco pieno e l’animo soddisfatto.

Pont Aven

H 13.40

Siamo sdraiati su un prato, in maniche corte. Un sole caldo ci abbronza il viso ed un vento leggero rende tutto ancora più piacevole. Accanto, l’ombra di un salice piangente è pronta ad accoglierci se soltanto il caldo si facesse un po’ più pressante.

Non abbiamo ancora visitato questo luogo di artisti. Siamo arrivati ed appena visto questo prato, con l’erba perfetta tagliata meglio ancora che se fosse un campo di calcio, non abbiamo esitato un attimo a venire a stenderci qui e goderci un meraviglioso relax.

Accanto a noi, in basso, in quello che non ho capito se sia il greto di un fiume o un canale di mare, decine di barche poggiano su un ampio letto di melma, come se l’acqua se ne fosse andata all’improvviso, sorprendendole.

Visto da qui, sembrerebbe proprio essere un fiume ma invece il fatto che vi siano così tante barche all’asciutto ed il greto sia bagnato di fresco, non lascia dubbi al fatto che si tratti di mare. Un altro paesaggio post alta marea.

Non siamo i soli a goderci questa meravigliosa giornata. Alcune persone improvvisano un pic nic su una panchina poco lontano.

Altre passeggiano serenamente.

Sembra una giornata di inizio estate. Sono curioso di visitare il borgo, ma senza alcuna fretta. Voglio prolungare il momento.

Veloce rewind

Arrivati a Dinan, iniziamo come al solito a guardarci intorno alla ricerca di una chambre che ci aggradi. Sono circa le 16.

Ne scartiamo un paio perché ci sembrano dei prefabbricati. Prendiamo stradine un po’ fuori, seguiamo indicazioni che sembrano non portare a nulla.

Poi troviamo la Chambre bel air.

Da fuori è stupenda. Tipica casa bretone in pietra e tetto spiovente. Un ampio giardino curatissimo. Fiori ovunque. Ci piace subito. Ma purtroppo, per quanto suoniamo e risuoniamo, nessuno ci viene ad aprire. Decidiamo di allontanarci ed eventualmente, provare a tornare più tardi.

Proseguendo nei nostri giri, a caso ovviamente, troviamo e seguiamo un altro cartello di chambre che ci porta in un posto interno e un po’ nascosto. La casa da fuori è molto bella. Suoniamo. Ci viene ad aprire una vecchia signora che ci guarda in modo diffidente. Pensiamo di avere sbagliato, di aver suonato alla casa di un comune abitante che non ha nulla a che vedere con l’affitto di chambre.

Invece dice di sì, di seguirla.

Entriamo e ci accoglie un forte odore di vecchio e di muffa. Saliamo le scale mentre la Madame alle nostre spalle arranca e ansima. Ci apre una porta: la camera è terribile! Fredda, spoglia, senza bagno.

Facciamo segno che non ci interessa, lei allora apre una seconda porta, poi una terza, ed ancora una quarta ed ogni volta ciò che vediamo, ci terrorizza di più.

Le diciamo che avremmo fatto un giro intorno, quindi prendiamo le scale e di corsa, scendiamo al piano terra, ringraziamo la Madame che tuttavia non sembra averla presa tanto bene, ed inizia ad urlarci qualcosa. Ci assale la certezza che in realtà sia una strega bretone e che ci stia mandando le sue maledizioni! Metto in moto, temendo quasi di veder sparire la macchina da un momento all’altro. Usciamo dal cortile, siamo salvi.

Intanto sono quasi le cinque.

Seguiamo altri cartelli, ma sembrano tutti un po’ improvvisati, scritti con la vernice su pezzi di legno. Nulla a che fare con le ufficiali gites de france.

E sembrano tutti posti con un non so che di inquietante. Ma forse è soltanto la strega bretone ad averci condizionato.

Seguiamo un cartello “non ufficiale”. Un km di qua, 600 mt di là, altri 55 mt su di qua. Finalmente arriviamo. Scende Laura e prima ancora che possa suonare si apre la porta e spunta un ragazzino con la faccia inquietante e brufolosa, una via di mezzo tra Norman Bates di Psycho e Superchunk dei Goonies. Balbetta qualcosa. Dice di avere delle chambre libere e ci sorride in modo sinistro. Dal naso gli scende una goccia. A Laura viene un lampo e gli chiede se le camere hanno il bagno e tutti e due speriamo che ci risponda di no, per poter scappare via.

Le nostre speranze vengono esaudite e prima ancora che possa aggiungere altro, siamo già sulla macchina sgommando via. A me era pure parso muovesse le orecchie mentre parlava.

Diciassette e cinquanta.

Torniamo al bel Air, ma ancora nulla.

Cambiamo direzione. Cartelli pochi.

Ne seguiamo un altro che si addentra per oltre 4 km. Ci accoglie un vecchio che ci chiede se abbiamo prenotato. Rispondiamo di no, ma lui dice che tanto è lo stesso perché ci sono molte camere libere. Mah. Arriva la figlia, grassoccia e sudata che ci accompagna su per le scale a vederle.

La prima, è in fondo ad un corridoio stretto che sembra portare a un ripostiglio. Ci sono due letti singoli con il materasso arrotolato sopra ed un matrimoniale sfatto.

Mobili antichi, o meglio vecchi e stanza freddissima.

Leggendo le nostre facce, ce ne mostra un’altra.

Sono stanco, sono quasi le sette, ho fame e voglia di una doccia. Prenderei qualsiasi stanza a questo punto. Ma a Laura proprio non piace. Finge di non capire ciò che la Madame ci dice, farfuglia qualche scusa mentre prendiamo le scale per scendere. E mentre in macchina faccio manovra per andare via, la vedo dallo specchietto retrovisore parlare con il vecchio, hanno tutti e due il viso tirato ed ogni segno di gentilezza è scomparso.

E trovare una camera in albergo a Dinan, dove ci hanno invece accolto sorridendo, ci è sembrata quasi la fine di un lungo calvario..

Lunedì 21 settembre 2009

H 9.50

Plescop

Splendida chambre. Finalmente ci siamo lasciati alle spalle le brutte esperienze dell’altro ieri. Qui sono stati fin troppo calorosi, la Madame si è seduta al tavolo con noi a colazione e non la finiva più di parlare. E anche ieri sera, appena arrivati, con la voglia di salire in camera, fare una doccia e cambiarci, lei ha invece preso una cartina e indicato tutti i posti nelle vicinanze da visitare, ci ha dato poi i biglietti di un paio di posti dove poter andare a mangiare e ci ha fatto mille domande sul nostro viaggio. Per fortuna parla pochissimo inglese così se l’è dovuta sostenere per lo più Laura.

Ha un bel cane nero che sembra stare in piedi per miracolo, si trascina e ansima.

Secondo me però è solo stressato dalla padrona, che continuerà a parlare anche a lui ogni secondo e lo seguirà fin nella cuccia.

No, a parte gli scherzi, ci siamo trovati benissimo, lei è stata molto piacevole e la casa è très joli!

Laura si sta finendo di preparare, io dopo un’abbondantissima colazione, mi riposo due minuti e penso alle prossime tappe.

Domani dovremo riconsegnare la macchina.

Laura mi continua a parlare.

Le rispondo a monosillabi. Mi chiede:

“Cosa hai detto?”

“A-ha”.

“E cosa vuol dire?”

“Niente, era un modo per sostenere la conversazione fingendo di ascoltare..”

Ieri la visita a Pont Aven si è rivelata bellissima, anche nel suo borgo interno.

Moltissime gallerie d’arte e atelier di pittori. E un piccolo corso d’acqua (l’Aven appunto), che ci ha regalato dei meravigliosi scorci bucolici.

E in tutto questo, arrivavano i messaggi dei gol della Samp a Marassi e noi due, in ansia ogni volta che arrivava il bip – bip sul telefonino, ci mettevamo poi a esultare come due bambini per le strade.

4-1 sul Siena e primato in classifica con la Juve!

Giverny

H 20.42

Siamo a poche centinaia di metri dalla casa di Claude Monet.

E tutto il paesaggio, persino intorno alla nostra chambre, sembra un suo quadro.

Epilogo meraviglioso di una lunga giornata di viaggio e di una disperata ricerca di una camera per oltre 40 km!

Stamattina, lasciata la bellissima chambre e la sua logorroica padrona con il cane sciancato, abbiamo deciso di seguire un paio di consigli della Madame e siamo stati ad Avron. Ci aveva parlato di una stupenda passeggiata lungo il mare. Dopo altri venti minuti di macchina, tra lavori stradali e deviazioni, siamo arrivati in un porticciolo un po’ sfigato e la passeggiata consisteva in un breve tratto di cemento a ridosso del mare.

Un po’ delusi e dubbiosi, abbiamo concesso alla nostra amica un’altra chance e siamo andati a Port Anne, a Serè. Piccolo porticciolo raggiunto dopo mille giri. Assolutamente banale e privo di attrattiva.

Abbiamo così deciso di riprendere la nostra strada e dirigerci verso Vitrè.

Laura è finalmente uscita dalla doccia, vado io.

Poi ceneremo qui in camera con baguette, formaggio e prosciutto.

Il resto della giornata, più tardi..

H 13.16

Giardino della casa di Calude Monet. Un paradiso.

Sono talmente tante le emozioni che questo posto riesce a trasmettere che faccio quasi fatica a scrivere. Mi sembra tutto così banale e scontato. Siamo seduti su una panchina nel giardino del laghetto delle ninfee, quello così molte volte dipinto nei suoi meravigliosi quadri. È una splendida giornata di sole.

I mille fiori ed i loro colori regalano degli scorci che verrebbe voglia di immortalare ad ogni passo.. Vorrei fotografare, scrivere, dipingere. Vorrei fare tutto, vorrei cogliere la magia di tutto ciò che ho intorno attraverso ogni manifestazione dell’arte, pur non essendone in grado praticamente in nessuna.

Questo giardino eviscera l’animo artistico che ognuno di noi si porta dentro.

Un piccolo rivo scorre lento a mezzo metro da me, il vento muove le foglie e i fiori, e anche se la primavera è ormai un ricordo lontano, il loro profumo è forte come se fossero appena sbocciati.

Mi immagino Monet a passeggiare tra queste piante, cercare l’ispirazione, pensare.

Io non sono affatto un esperto di arte, anzi conosco ben poco di pittura ma le sue tele sono quelle che apprezzo di più e pensare che nella sua mente abbiano preso forma magari proprio nel punto in cui sono io adesso, o guardando un istante di natura come quello che noi abbiamo davanti, mi fa apprezzare la sua arte ancora di più.

Non vorrei alzarmi e andare via.

Ci si sente benissimo, qui.

Ci si sente riempirsi di qualcosa che esula dai normali pensieri di lavoro, di vita. Dai malumori e dalle depressioni.

Forse, è proprio questo il potere dell’arte.

H 16.54

Pullman per Parigi.

Abbiamo lasciato la nostra cara macchinina, la 107 nera che ci ha scorazzato per le strade di Normandia e Bretagna.

Laura si era talmente affezionata alla nostra macchina che voleva persino tenerla i prossimi quattro giorni a Parigi.

Beh, visti i 26 euro di biglietto del pullman, forse sarebbe stato più conveniente!

Qui finisce la prima e più lunga parte del nostro viaggio. Ora ci abbandoneremo alle gioie di Paris.

Le emozioni fino a qui sono state moltissime, dalle spiagge dello sbarco ai giardini incantati di Monet. Le chambre ci hanno quasi sempre regalato ottime nottate e persino girare a volte anche per più di un’ora per cercarne una che ci piacesse, è stato divertente.

Le tanto temute autostrade francesi, care a detta di tutti in modo esagerato, non le abbiamo praticamente mai incrociate.

Solo 50 centesimi per un brevissimo tratto dopo Honfleur. Per il resto, strade statali scorrevoli, a volte a doppio senso a volte uguali in tutto e per tutto alle nostre autostrade. Ma gratuite.

Una grossa pecca è però costituita dai camion. Che invadono le strade. Rallentano e formano lunghe code in alcuni casi e ci tirano come matti in altri.

A guidare ci siamo trovati molto bene, a parte un giorno che Laura ha preso una rotonda al contrario e per poco ha rischiato di farci fare un frontale. E mentre la vecchina nell’altra macchina era spaventata, lei ha iniziato a ridere come una matta.

Le chambre si trovano, ma con estrema facilità in alcuni posti ed altrettanta estrema difficoltà in altri.

Ieri, per esempio, pensavamo di trovare un posto per la notte lungo la strada per Vernon ma nulla invece per km e km. Solamente una volta arrivati a Giverny, abbiamo scoperto decine di chambre!

E comunque, non avrebbe potuto andarci meglio, data la magia del luogo. Degno epilogo dei nostri soggiorni nei b & b francesi.

Nota di biasimo x la Lonely Planet. Di solito guida impeccabile, in queste zone ha peccato e non poco. Non cita posti come Ploumanach, parla solo in poche righe di Giverny, tralascia moltissimi luoghi che invece, girando, si vede portano l’adesivo “recommendè par Routard”. Mi spiace, ma in questo viaggio, la guida dei trotamundos, batte la Lonely 4-1. Perché proprio 4-1, non lo so, ma mi sembrava un bel punteggio.

La benzina in Francia, sembra si possa fare solo con le carte dotate di microchip, il self non accetta contante e omini della benzina praticamente non se ne trovano! E le mie super carte da bancario, questa volta mi hanno abbandonato, meno che Laura aveva la sua bella carta della Cr Alessandria..

Capitolo ristoranti. I francesi, abbiamo capito, sono l’esatto contrario degli spagnoli! Alle nove, smettono di darti da mangiare, anzi neppure ti fanno entrare nei locali!

accompli, accompli!” Cazzo, vi fanno proprio schifo 20 euro in più??

Non usano il bidet, ma questo già lo sapevamo..

La niçoise, qui si fa con il riso.

Laura, ha sforato finora le 1.100 foto. E ancora manca Paris!

Se vuole farle vedere a qualcuno, dovrà far prendere un giorno di ferie!

Ora si è messa in testa che l’orologio lampeggiante del pullman, in realtà indica i chilometri percorsi. E non c’è verso di farle cambiare idea!

“Mi fai Ligabue?”

“Mi dici Giovanna D’Arco?”

“Vediamo i video?”

Queste sono alcune delle piccole cose che possiamo capire solo noi…

Abbiamo abbandonato la nostra baguette Michelle a Giverny. Laura ci ha posato sopra un fiore e si è commossa.

In Bretagna sono molto più maleducati che in Normandia. Persino per strada. Sono napoletani.

La Normandia è più gentile.

Le gallettes ci hanno conquistato. Soprattutto quelle delle crêperie più piccole che te le preparano sul momento.

Il sidro è stato per me una piacevolissima alternativa alla birra, praticamente ignorata.

Il tempo ci ha quasi sempre regalato giornate serene. La pioggia è caduta poco, il temporale più grosso ci ha portato a vedere il museo della battaglia di Normandia a Bayeux. Niente visita all’arazzo più lungo del mondo, però. Che non è una cosa volgare.

Le colazioni francesi ci hanno estasiato. Marmellate quasi sempre fatte in casa, su baguettes croccanti ammorbidite dal burro. Jus de orange, cafè ou lait. Croissant. Fromage blanc.

Io non faccio testo in quanto mi era bastato un solo giorno per innamorarmi anche delle colazioni irlandesi alle 8 del mattino con uova e pancetta fritta, ma credo mi mancheranno moltissimo.

E ora, pronti per Paris.

Tre giorni sono pochi, ma basteranno credo per respirare un po’ l’aria e forse, farcene innamorare.

Mercoledì 22 settembre 2009

H 17.10

“Sulle rive della Senna, mon amour, dans le Bateaux Mouches!”

Proprio come cantava Rino.

Siamo qui a goderci questo meraviglioso sole, la Senna scorre sonnolenta sotto di noi, mentre i battelli Bateaux Mouches passano regalando immagini da cartolina.

Ci sono molte altre persone qui, come noi.

Una coppia di ragazzi, lui legge un libro e lei un giornale, tutti e due senza scarpe e sdraiati per terra.

Un altro ragazzo è in costume e sta mangiando della frutta da un contenitore che si è portato con se’. Un’altra coppia si sta dividendo una sigaretta.

Sta passando di fianco a loro un ragazzo di colore in tuta. Beve una bottiglietta di acqua.

Dall’altro lato del fiume, la Rive Droite, ancora tanta gente e le risate di alcuni di loro arrivano fino a qui.

Chissà quanti parigini vengono qui a rilassarsi, magari dopo il lavoro, stanchi della loro giornata. Chissà per quanti altri venire qui a leggere è una delle poche certezze della loro giornata.

C’era anche una ragazza poco fa che, ispirata, disegnava su un quaderno.

Due giorni sono troppo pochi per visitare Paris.

La si riesce soltanto a sfiorare, accarezzare da fuori. Ammirarla con la promessa di tornare a trovarla molto presto.

Per questo motivo, abbiamo deciso di evitare tutto ciò che, facendoci fare delle code, ci avrebbe sottratto tempo . Giriamo, ci prendiamo una visione di tutto senza approfondire nulla, cercando di respirare la città.

Alcune parti ci hanno un po’ deluso, come ad esempio la Tour Eiffel.

A parte che vederla dal vivo, dopo averla ammirata mille volte nelle foto, nelle cartoline o nei film, lascia un senso di incompiutezza. Sembra essere stata lasciata a metà.

Ma è soprattutto tutto ciò che ruota attorno alla Tour a mettere tristezza. Venditori di cadeux e souvenir di ogni tipo, zingare che ogni 3 passi ti si avvicinano, senegalesi che ti allungano la mano come se fossero i tuoi migliori amici che non vedi da tempo e che ti parlano in italiano

Forse tutto questo fa svanire parte della magia che ci si aspetta di trovare qui.

Di tutto il resto, stiamo cercando di prendere una visione, seppur fugace.

Ci manca ancora il colle di Montmatre.

Ma è soprattutto passeggiando tra i vicoli del quartiere latino, tra le bancarelle di venditori di libri usati, guardando e osservando i mille volti sul metro, che mi sento di vivere meglio Paris, la ville de lumiere.

Venerdì 25 settembre

H 12.45

Ancora riva della Senna.

Il posto migliore per mangiare la nostra baguette e godere ancora di questo meraviglioso sole.

Ultime ore parigine, tra poco riprenderemo il pullman per Beauvais, aereo e sarà di nuovo Italia.

Laura stamattina ha fatto shopping. Due maglie da bohemièn e un paio di ballerine che non smette di rimirarsi.

Era così contenta di averle prese, ma ancora più eccitata all’idea di rispondere all’ipotetica domanda di una sua amica:

“Che belle, le vorrei tanto anche io!”

“Eh, non puoi..”

“Perché? Le hai prese in centro?”

“In un certo senso..”

“Ti prego, dimmi, dove le hai comprate?”

“A Parigi..”

Eh già, me la vedo proprio!

Anche lei adesso non vorrebbe essere riconosciuta per turista e per italiana, vorrebbe vestirsi e muoversi liberamente come una Parisienne. Anzi, una petit parisienne!

È questa la vera essenza del viaggio secondo me, smettere di sentirsi viaggiatori e voler diventare cittadini del luogo in cui ci si trova.

Il sole picchia, i molti battelli che passano generano delle onde che fanno salire altri spruzzi.

I gabbiani in fila sul muretto sembrano essere pronti per la partenza di una gara di nuoto.

Vorremmo fermarci qui a lungo.

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