Nordest canada & usa
La mattina seguente si comincia con un classico: Dunkin’ Donuts, le classiche ciambelle di Homer Simpson, universalmente apprezzate che si trovano in una moltitudine di varietà (le mie preferite oltre alla classica Glazed: Boston Kreme e Coconut Kreme). A pancia piena ci dirigiamo verso Marblehead, un sobborgo marittimo di Boston. Case coloniali dai colori pastellati e passeggiata sulla scogliera, molto piacevole. Da segnalare anche il passaggio per Salem, nota per la famigerata caccia alle streghe seicentesca, ora un’elegante cittadina ricca di belle case. Sosta sulla via del Maine a Portland e Portsmouth, due gradevoli cittadine, che però non aggiungono nulla. In serata arriviamo a Bangor, famosa per essere la residenza di Stephen King. Cerchiamo inutilmente la sua cosa che dovrebbe trovarsi facilmente sulla Main Street (almeno così dice la guida), consolandoci con una cena extralarge in una nuova catena di Family Restaurant, il Friendly’s.
La mattina seguente visitiamo l’unico parco nazionale del nordest degli Stati Uniti, l’Acadia. Splendidi scenari costieri, molto selvaggi, alternati a laghi ancora ghiacciati e una bellissima visuale da un picco sulle numerose isole circostanti fanno di questo parco una tappa veramente piacevole. Ci inoltriamo anche in un trail discretamente faticoso dove mettiamo alla prova la nostra scarsa forma fisica, ricompensati però da belle vedute da un sole che non troveremo più così spesso successivamente. Considerato che la zona ne è ricca, ci togliamo lo sfizio di mangiarci un’aragosta intera a testa. Certo che trovare nel piatto questo enorme crostaceo con l’idea di doverlo fare a pezzi con l’apposito strumento fa un po’ impressione, ma gli sforzi sono ricompensati dalla bontà, anche se rimane un certo senso di disagio. Proseguiamo lungo la frastagliata linea costiera del Maine fino al confine con il Canada e poi più su fino a Saint John. Appena varcato il confine notiamo che i cartelli sono bilingue e con le distanze in km. Ci sistemiamo al Comfort Inn, una catena di motel di ottimo livello, e ceniamo tentando di farci un panino da Subway, che a differenza delle altre catene, ti obbliga a scegliere gli ingredienti e non solo a indicare una foto con un numero abbinato, creando diverse difficoltà.
La mattina successiva visitiamo Saint John che, avvolta dalla foschia, riesce a essere a miei occhi stranamente affascinante, anche se non è altro che una fumosa città industriale. Per risparmiare tempo prendiamo il traghetto che attraversa la baia di Fundy da Saint John a Digby. Qua vi sono numerose balene, ma le escursioni per l’avvistamento cominciano solo ai primi di Maggio. E questa è solo la prima avvisaglia di quello che diventerà per noi una consuetudine, il fatto che siamo fuori stagione e che la maggior parte della bellezza e delle attrattive della Nova Scotia ci saranno negate. E l’inverno più freddo degli ultimi vent’anni non aiuta di certo. I paesaggi tendono purtroppo al marrone invece che al verde scintillante che ha generato il nome di questa regione. Abbiamo perciò cercato di far di necessità virtù, apprezzando il fascino invernale e selvaggio di questa regione appena uscita dall’inverno, con i suoi laghi ghiacciati e i panorami nebbiosi, terra con una ricca storia alle spalle, contesa fin dal 1600 da francesi e inglesi, la storica Acadia. Abbiamo visitato Annapolis Royal con le sue belle case vittoriane e Fort Anne, ovvero ciò che rimane (poco) di un vecchio forte. Visitiamo anche una centrale che produce energia elettrica sfruttando le maree e l’Habitation di Port Royal dove si dovrebbe trovare una riproduzione di un autentico villaggio acadiano, con tanto di abitanti, ma è ovviamente chiuso. In serata ci portiamo a Kentville, accolti da una gentilissima signora che ci ospita nel suo motel e ci sconsiglia di passare in un pub locale di ispirazione irlandese che produce birra in proprio. Scelta azzeccatissima, visto che mi scolo due pinte di ottima rossa che accompagnano un pasticcio con carciofi estremamente buono e un discreto stufato irlandese. Non sono un esperto, ma qua la birra è eccezionale, pure la scura e la bionda. Prima dell’abbuffata eravamo stati a vedere le maree o meglio la bassa marea in un paese vicino. Alla luce del tramonto abbiamo solo potuto vedere quanto effettivamente si abbassi il livello del mare in questa zona. Una barca ormeggiata era sul fondo di un canalone, ma il pontile per accedervi si trovava 4 metri più in alto! E in altre zone si raggiungono anche 12 metri con onde di riflusso alte fino a più di un metro. Esiste persino una tabella con orari di bassa e alta marea, ma purtroppo in quei gironi risultavano lontane dal nostro percorso e dai nostri tempi. Il giorno dopo passando per Wolfville facciamo visita alla locale università per poi dirigerci verso Gran Pré (letteralmente gran prato) luogo che ha riveste un significato storico per gli Acadiani, ma ai nostri occhi non dice poi molto: una chiesa e un bel prato, piacevole per una pausa ma nulla più. Ci dirigiamo infine verso Sidney, sull’isola di Cape Breton, la strada è lunga e panoramica, peccato per la pioggia che ha continuato a cadere lungo tutto il tragitto. Dopo un po’ di shopping a Sidney troviamo finalmente un Taco Bell, il McDonald del cibo messicano, che inspiegabilmente latitano in queste zone. Doverosa l’abbuffata di Tacos, Chalupas, Quesadillas e Gorditas.
La mattina seguente, dopo una breve visita al museo dedicato ad Alexander Graham Bell (l’inventore del telefono, insieme al nostro Meucci), ci aspetta il Cabot Trail, un percorso che si snoda per più di 300 km lungo la costa in un paesaggio collinare che mi ricorda molto Big Sur in California. Siamo fortunati a metà, visto che dopo una mattinata piena di freddo, umidità e nebbia, esce il sole e ci permette di godere di splendide vedute. Pranzo in un ristorante famigliare con Fish & Chips e di nuovo sulla strada verso New Glasgow.
Ci aspetta una nuova lunga giornata di viaggio con solo un paio di fermate, a Fredericton, la gradevole capitale del New Brunswick, unico stato canadese ufficialmente bilingue e al ponte coperto più lungo del mondo che abbiamo percorso due volte. Arriviamo in Quebec in serata a Rivière Du Loup sulle sponde del San Lorenzo, dove la mattina seguente dobbiamo prendere il traghetto per arrivare sull’altra sponda. Giornata di viaggio che ha avuto il suo meglio nei pasti: un delizioso pranzo a un ristorante greco di Fredericton e una sostanziosa cena in un ristorante della catena St. Hubert con Bistecche, Fajitas e dolci superlativi. Il simpatico cameriere ci informa che la neve è una costante di questa zona essendo presente per 7 mesi l’anno! Inoltre notiamo che il Quebec è decisamente francofono, e non solo sui cartelli stradali, la receptionist del motel non sa quasi nulla d’inglese! Pure il paese non presenta l’immancabile griglia stradale con le strade tutte perpendicolari, ma ha un’aria molto europea con tutte le strade che si snodano disordinatamente in modo apparentemente casuale.
In una mattina fredda fredda facciamo la traversata del San Lorenzo e ci dirigiamo verso il Saguenay, un fiume che oltre ad ospitare una colonia di balene dovrebbe avere bellissime viste sul fiordo che ha formato. Dico dovrebbe perché noi non riusciamo a raggiungere nessun punto panoramico, le strade sono chiuse o ricoperte di neve. Mangiamo alla svelta in un McDonald e comincia a piovere a dirotto. La bellissima zona di Charlevoix viene così attraversata senza provocare nessuna emozione, che gran peccato. Dopo una visita a una chiesa che è la Lourdes d’oltreoceano, arriviamo a Quebec City un po’ sconsolati. Un giro per la città, anche se con la pioggia che continua a scendere, risolleva il morale a tutti. E’ infatti un gran bel posto, sembra di essere tornati improvvisamente in Europa, con palazzi e strade che non hanno nulla a che fare con il continente americano. Mi affascina decisamente con le sue stradine, la sua atipica architettura, le sue salite e le sue discese (è infatti divisa in città alta e bassa). Tra il tardo pomeriggio e la serata visitiamo numerosi posti interessanti, dal Frontenac, immenso albergo-castello che domina la città, alla cittadella fortificata, dalla Rue Petit Champlain, strettissima e carinissima, al museo della civilisation, con, fra le tante cose, una originalissima mostra dedicata alla pelle umana e una ai nativi delle regioni del nord (Inuit, Algonchini, Irochesi). In mezzo una cena tipica quebecoise con una specie di pasticcio che sta tra le lasagne e la moussaka, salmone del san Lorenzo e arrosto di maiale. Proviamo anche un locale libanese dove provo i falafel (polpette di farina di ceci) e un dolce densissimo ma apprezzabile. Ci dirigiamo successivamente a Montreal, una grande città (3 milioni di abitanti) che non ha nulla a che vedere con Quebec City, molto moderna ed estesa, ma tutto sommato dimenticabile. In compenso ha i migliori ristoranti d’america dopo New York! Proviamo un buon indiano e il celebre Schwartz’s, locale storico dove cucinano una carne affumicata unica nel suo genere. Stanza piccola in cui la gente fa la fila per mangiarsi velocemente un panino, ma che panino! Ho anche trovato una foto dello Schwartz’s su un National Geographic dedicato ai percorsi gastronomici! Impedibile. Oltre a un rapido giro della città che si esaurisce nell’arco di una mattinata (da segnalare la città sotterranea che si estende sotto tutto il centro e che permette di non prendere freddo nei lunghi inverni) facciamo visita al centro olimpico costruito nel 1976. E’ ancora bello oggi, con la sua torre inclinata (la più alta al mondo di questo genere), lo stadio che ha avuto mille problemi con il tetto detraibile ed ora è fisso e il velodoromo a forma di casco da ciclista, ora trasformato nel Biodome, cioè nella riproduzione di 4 ecosistemi. La sua visita risulta interessante, con animali curiosi e particolari. Molto belli i pinguini, i pulcinella di mare e le linci (non riesco purtroppo a scorgere il bradipo). Non sarà lo zoo di San Diego, ma è apprezzabile. Il tour a questo punto prevedeva una tappa a Toronto, ma le notizie preoccupanti che arrivavano da casa, con parenti e amici preoccupatissimi per la SARS, ci ha fatto propendere per Ottawa. In realtà il caso SARS è una montatura colossale, almeno per quanto riguarda Toronto. Basta leggere i dati riportati sui giornali locali. Nei due mesi in cui ci sono stati 16 morti per polmonite atipica, quasi tutti anziani e con altri problemi di salute, sono morte 30 persone per incidenti stradali, 40 per influenza (!!!) e 100 per danni causati dal fumo. Inoltre ogni caso era riconducibile alla fonte, quindi il contagio non avviene per caso, camminando per strada. Ricorda un po’ la storia della mucca pazza, tanto clamore e preoccupazione per nulla.
Comunque Ottawa risulta una città abbastanza anonima se non fosse per i palazzi del parlamento (per chi non lo sapesse anche è la capitale del Canada, scelta a discapito delle più grandi Toronto e Montreal per non scontentare né inglesi né francesi). Edifici molto British e tutto sommato piacevoli. Facciamo una visita guidata all’interno (gratuita) assistendo persino a un dibattito parlamentare e notando che l’assenteismo non è una caratteristica solo italiana. Visto che ciò che la città ci può offrire non va oltre ci dirigiamo verso le cascate del Niagara. Una tappa intermedia, breve ma molto interessante, è nella zona denominata 1000 Islands, dove il fiume San Lorenzo esce dal Lago Ontario formando una moltitudine di isolette. Per avere una visuale migliore saliamo su una torre di 120 metri che ben ripaga i soldi spesi. Peccato non avere più tempo per approfondire la conoscenza di questa regione. Dormiamo a Batavia nei pressi di Buffalo, dove l’unica cosa interessante è un Taco Bell che ci permette ancora una volta di ingozzarci di cibo messicano a poco prezzo.
La mattina seguente risolviamo il problema dell’alloggio a New York prenotando via internet un Comfort Inn, caro (65 € a testa a notte), ma almeno nella zona della riconsegna. Le cascate del Niagara (che sono in effetti due) sono davvero impressionanti, non tanto per l’altezza del salto (60 metri), ma per la quantità d’acqua che si riversa da un lago all’altro formando una nuvola di goccioline che raggiunge un’altezza ben maggiore a quella delle cascate stesse impedendone addirittura la vista. Facciamo il Journey Behind The Falls, una discesa ai piedi delle cascate, con relativo impermeabile per evitare di uscirne fradici, percorrendo anche un tunnel che ci porta proprio sotto le cascate. Impressionante il forte rumore e gli effetti che provoca l’acqua in caduta. Visto che amiamo le vedute dall’alto saliamo sulla vicina Skylon Tower, che ci permette di ammirare le cascate da 200 metri di altezza. Tutto questo dal lato canadese, che è decisamente il migliore. Il pranzo lo facciamo in un diner vecchio stile consigliato dalla Routard, dove suppongo i classici turisti non vadano, con giornali, vecchie riviste e oggettistica varia sparsi alla rinfusa, ma che davano un tocco di originalità e autenticità. Altro che il Planet Hollywood o l’Hard Rock Café!! Tutto sommato la visita alle cascate non ci porta via più di 2 o 3 ore (ma come fanno a trascorrere l’intera luna di miele qui?) e così nel pomeriggio riusciamo anche a fare una doverosa visita al campus di Syracuse, considerato che la squadra di basket quest’anno ha vinto il titolo NCAA. Bello e ordinato, niente a vedere con le università italiane e soprattutto con il campus di Parma! Ma non è una sorpresa. In serata, assaggiamo la più buona bistecca del tour, al Cracker Barrel di Binghamton, una catena che ha cibo di alta qualità. Decisamente superlativa, alta, tenera e saporita! Arriviamo a New York passando per il New Jersey, che a un primo impatto sembra davvero il Garden State delle targhe e non come è stato soprannominato Garbage (spazzatura) State, e uscendo dal Lincoln Tunnel l’impatto è davvero sorprendente. Ha tutto un fascino particolare, molto probabilmente perché qui sembra tutto familiare pur essendo la prima volta. Colpa o merito soprattutto dei film, ma anche della cronaca. Per me è amore a prima vista. Seguono due giorni veramente intensi che ci permettono di vere un assaggio della Big Apple, ma mi lasciano ancora con molta fame. Da segnalare la commovente visita a Ground Zero, sarà banale ma un groppo in gola è venuto a tutti, il traghetto (gratuito) per Staten Island che permette di vedere lo Skyline di Lower Manhattan e la statua della libertà; la vista al Metropolitan Museum (MET), immenso e interessantissimo, spazia dall’antico Egitto alle armi, dall’arredamento agli strumenti musicali, impossibile non trovare qualcosa di proprio gradimento; Central Park, enorme e curatissima isola verde nel cuore di Manhattan; la vista sulla città dalla cima dell’Empire State Building, Times Square di sera con le decine insegne pubblicitarie animate. Ma tante altre piccole e grandi cose: il ponte di Brooklyn, i palazzi in ghisa di Soho, Wall Street, la via dei gay del Greenwich Village, il bellissimo negozio di gastronomia di Dean & DeLuca, il Winter Garden del World Financial Center con il suo soffitto in vetro e le sue palme del deserto del Mojave, il Flatiron Building, il primo grattacielo di New York con la sua originale pianta triangolare, le lunghe Avenue che vanno da una capo all’altro dell’isola simili a viali con i grattacieli al posto degli alberi, l’interno cavo del Marriott con i suoi ascensori a vista che salgono e scendono come scoiattoli dalla torre centrale, l’eleganza dei palazzi che circondano Central Park. E abbiamo solo visto una parte di un quartiere di New York! E mangiato solo in alcuni degli infiniti ristoranti etnici che sono presenti (per la cronaca: ungherese, messicano, taperia spagnola e giapponese). Insomma un ritorno da queste parti appare molto probabile! Appendice – Nota spese Biglietto aereo (British Airways) e tasse aeroportuali: 397 € Assicurazione: 51 € Noleggio auto: 195 € Vitto, alloggio, traghetti, benzina, pedaggi e parcheggi, entrate a musei e attrazioni varie: 857 € TOTALE: 1500 €