Nord del Marocco
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Con l’aiuto di una guida ufficiale del ministero del turismo, abbiamo affrontato la visita dell’enorme medina composta da 9200 vicoli. Non è la prima Medina che vediamo, ma questa è stata impressionante per quanto è tutta un enorme mercato. Siamo passati dal settore dei tintori delle pelli, un vero inferno medioevale, a quello dei ramai, da quello dei fabbri a quello dei falegnami, da quello degli orafi a quello degli incisori, dei tintori della lana , dell’abbigliamento, delle scarpe, delle pelli, degli alimentari… Ci è passato davanti agli occhi un mondo arcaico che non pensavamo potesse esistere ancora. In una piazzetta molto graziosa nel settore dei ramai, il battere continuo dei martelli che forgiano, con il continuo e paziente lavoro grandi contenitori e vassoi di rame, producono un rumore festoso per i primi 5 minuti, ma immagino insopportabile poi. Nel settore alimentare, i profumi delle spezie, dell’ambra, del sandalo e degli incensi, si mescolano agli odori delle carni appena macellate: sono intensi, inebrianti a volte nauseabondi. Un rametto di menta, in vendita ad ogni angolo , messo sotto il naso aiuta. Le macellerie sono le più sconvolgenti: teste appese, di cammelli o pecore, indicano la qualità del prodotto venduto. Galline stipate in gabbie e galli legati col guinzaglio aspettano di essere scelti e macellati ll’istante. Asinelli carichi di mercanzie compiono il loro lavoro quotidiano su e giù per i vicoli, contendendo il passo ai carretti, ai venditori (finti) di acqua che cercano fotografi a cui scucire qualche dirham , ai clienti ed ai turisti. E poi ci sono le moschee con i tetti di maioliche verdi su cui, in questo periodo, cresce una peluria di erba e fiori gialli; ci sono le mederse, antiche scuole coraniche, con bianche fontane in marmo al centro di deliziosi cortili piastrellati. Sono circondati da chiostri finemente cesellati e i piani superiori sono ricoperti di ricami di legno intarsiato. Il tutto di una eleganza ed una sobrietà che ti conquistano. Ci sono i negozi di tappeti di una certa pretesa, che utilizzano ricchi e fastosi riad per esporre la loro merce sulle balconate dei tre quattro piani che li costituiscono. Se sali i ripidi scalini in maiolica e legno, arrivi sull’immancabile terrazza dove si può godere la frescura della sera nelle caldissime giornate estive e da dove godi il panorama della Medina e delle montagne che circondano la città. Ogni tanto una piazzetta o una fontana, fastosa come un antico ninfeo, tutta decorata di maioliche e scritte arabe, lamenta la perdita della sua antica funzione: non vi scorre più acqua e anzi qualche volta ( non sempre per fortuna) diventa ricettacolo di immondizia. E si che sui muri ogni tanto compaiono poesie scritte in arabo che invitano a non lasciare immondizie!. Poi ci sono le porte che permettono il passaggio dalla medina, circondata da mura, alla città nuova. La struttura è tipicamente araba , hanno solitamente tre ingressi, uno più grande centrale e due più piccoli. Alcune sono in murature altre sono impreziosite da maioliche. Ci sono addirittura 2 kasba, fortezze a difesa della città, una a nord e l’altra a sud, le mura merlate con pinnacoli che sembrano disegni di bambini…
MEKNES – VOLUBILIS
Abbiamo lasciato il bel riad di Fez e, con il treno, abbiamo raggiunto Meknes, altra città imperiale. Di notte è piovuto molto ed al mattino sia Fez che Meknes avevano i marciapiedi lucidi pioggia. Ad una prima occhiata dal taxi (azzurro, a Fez sono rossi) la città non fa una bella impressione. Anche Meknes come Fez ha una periferia piuttosto squallida, un quartiere nuovo e moderno (la ville nouvelle) e la Medina (la città vecchia). Rispetto a quella di Fez questa Medina è molto più piccola, meno caotica e più facile da esplorare. I colori dominanti sono il rosa e l’ocra. Iil percorso principale ha una bella copertura in legno rossiccio traforato che frantuma la luce abbagliante del sole e gli scrosci di pioggia. Tra i vicoli è frequente scoprire dei gioielli architettonici: palazzetti quattrocenteschi ricoperti di legno scuro di cedro finemente lavorato, nicchie piastrellate di maioliche verdi e blu che contengono fontane asciutte, stipiti di porte in marmo cesellato, porte in legno vecchissime con doppia apertura, più piccola per il passaggio quotidiano e più grande per le feste, finestre con gelosie finemente lavorate che permettono di vedere senza essere visti, ingressi lussuosi di moschee, mederse, biblioteche e università. Qui i popoli che di volta in volta la storia ha portato ad abitare questi vicoli, hanno lasciato la loro impronta: berberi, arabi catalani, ebrei. Il tempo di lasciare i bagagli nel nuovo riad nel cuore della Medina e con un taxi urbano ed un grand taxi, abbiamo raggiunto la cittadina di Mulay Idriss, un villaggio bianco abbarbicato sul fianco di una collina. La sua peculiarità è che è costruito attorno alla tomba mausoleo di questo santo, meta di pellegrinaggio, ma chiusa alle visite. Da qui però con un terzo taxi si raggiunge il sito archeologico di Volubilis, una città romana completa di arco trionfale, decumano, foro, tempio, terme e varie abitazioni. Il tempo è stato clemente e spesso il sole, caldissimo, è uscito dalle nuvole per accompagnarci nell’escursione. Il sito, unico nel suo genere, non ci colpisce particolarmente per i reperti che non possono assolutamente competere con la maestosità di quelli di Dougga, Sbeitla e Bulla Regia visti l’anno scorso in Tunisia; neanche la cura e la manutenzione sono paragonabili a quelle tunisine, ma la passeggiata tra i ruderi, invasi da erbacce , fogliame grasso verde brillante e una miriade di fiori arancio e gialli, sotto il sole ed il venticello primaverile, è stata impagabile. Un bel sentiero fiancheggiato da vecchi ulivi sale serpeggiando all’acropoli dell’antica città. Non manca qualche pecora a punteggiare l’immagine bucolica di questi prati fioriti che confinano con il cielo chiazzato di nubi. I colori son vivi, brillanti, sono quelli che sogno sempre quando sono a casa. Io sono più interessata ad assaporare l’aria, i colori, il profumo di erba appena lavata, a godere dalla commistione di ruderi e natura che ad ascoltare le informazioni della guida che Mario sta leggendo ed ad individuare i luoghi e le funzioni che queste pietre testimoniano. Lungo il decumano massimo in parte lastricato si aprono i cardi invasi dalla vegetazione e dalle pozzanghere delle recentissime piogge e le porte delle domus complete di resti di colonne e peristilio, con le tracce dei cardini delle antiche porte e i resti delle fontane. Gironzolando qua e là ecco comparire pavimenti a mosaici con scene mitologiche varie: le fatiche di Ercole, il carro di Bacco trainato dalle due pantere, il bagno di Diana, ninfe, dei ed eroi. Una scena ci colpisce particolarmente, perché un iconoclasta fanatico ha tolto tutte le tessere che formavano il corpo nudo di una dea, lasciando intatto quello del suo compagno. I mosaici sono lasciati alle intemperie senza nessuna protezione e sono alquanto rovinati. Non sembra esserci molta consapevolezza nei Marocchini del valore della propria memoria storica e culturale e delle cure che questo sentimento comporterebbe. La cima di una colonna è servita ad una cicogna per farci il nido. Ce ne sono parecchie di cicogne e se ne vedono volteggiare maestose sopra le nostre teste, fendendo voli di rondini che garrule sfrecciano in tutte le direzioni. Altre se ne stanno appollaiate in gruppo sugli alberi. Una corona di nubi scure all’orizzonte ci ricorda la promessa di pioggia delle previsioni. Tornati a Meknes abbiamo consumato un rapido spuntino nella piazza Eidem, la grande piazza all’ingresso principale della Medina che la sera si riempie e diventa teatro di esibizioni di vario genere: venditori di sbiancante per i denti con dimostrazione fatta in loco, giovanotti messi in cerchio con canna da pesca che cercano di infilare l’anello nel collo di una bottiglia di bibita, fotografi di professione riconoscibili dal cappellino rosso che aspettano i turisti che vogliono farsi fotografare sui monumentali cavalli bardati ed agghindati con mille pendagli e colori. Prima di affrontare una passeggiata tra i vicoli della Medina e le mura merlate dell’antico palazzo reale, ci rilassiamo sulla terrazza del riad inondata dal sole. Un arancia e la cioccolata portata da casa ci consolano della poca attrattiva che ha per noi la cucina marocchina. Alle quattro del pomeriggio un coro incredibile di muezzin che si rincorrevano per recitare e cantare i propri salmi dalle cinque moschee da cui eravamo circondati, ci ha fatto immergere più che mai nell’atmosfera esotica del paesaggio. La cena è stata il risultato di una lunga contrattazione tra chi voleva la pizza (Matteo) ma non la voleva come quella di due anni fa a Marrakesh (Matteo) tra chi voleva vederla prima di rischiare una pizza come quella di Marrakesh di due anni fa (Matteo) e chi dopo averla vista, curiosando nei piatti di altri avventori, aveva deciso che non meritava perché troppo bassa (Matteo) tra chi ha ordinato la pizza (tutti tranne Matteo) e chi ha detto che forse non era come quella di Marrakesh (Matteo). Io comunque l’ho mangiata e mi è piaciuta, anche se mancavano il pomodoro e le olive proposte dal menu. Una zuppa harira, di lenticchie con tanto cumino, ha dato al pasto quel pizzico di marocchinità che il viaggio pretende. Più tardi in camera nostra , muniti di computerino e mini proiettore , ci siamo sparati un film coreano piuttosto impegnativo. Questa del proiettore è la novità introdotta quest’anno da Adriana , che quanto a inventarne di ogni per godere al massimo, non ha paragoni.
IL RIF
Giornata di trasferimento. Sarà il più lungo della vacanza: da Meknes a Fes con il treno e poi da Fes a nord fino a Chefchaouene con autobus della CTM, una compagnia statale che offre un servizio comodo e di buon livello. Il tragitto è di circa 230 km, ma ci impegnerà fino alle 3 del pomeriggio. Per arrivare alla meta dobbiamo attraversare il Rif, una zona montagnosa che separa Fes dalla costa mediterranea. Appena usciti da Fes ci viene incontro la campagna. E’ molto verde, in parte coltivata a cereali che coprono una serie di dolci colline, in parte lasciata a pascolo, in parte punteggiate da file ordinate ad ulivi. Ci son ogni tanto anche boschetti di eucalipti ( importati dai francesi ci ha detto la guida ….. Mah , ho qualche dubbio avendone visti altri in Nord Africa) ed anche degli aranceti con i bei frutti ancora sui rami . Non mancano in mezzo a questi spazi ben organizzati piccole lande desolate lasciate in balia del ciarpame e dei sacchetti di plastica testimonianza di una modernità male interpretata. Tutto è reso brillante dalle abbondanti piogge. Negli invasi si sono formati dei piccoli laghi che immagino scompariranno all’arrivo della stagione secca, i pastori muniti di gambali accompagnano le greggi a banchettare in queste distese di abbondante foraggio. I villaggi sono rari e lontani l’uno dall’altro. Da lontano sono dignitosi nel loro aspetto di cubetti bianchi sepolti dagli alberi da cui si staglia l’immancabile minareto. Da vicino invece spesso non riescono a nascondere lo squallore delle strade sterrate ed oggi fangose e piene di pozzanghere né la miseria dei tetti di lamiera che l’antenna parabolica eleva alla dignità di abitazioni. In compenso gli animali sembrano aver trovato il loro paradiso. Quelli al pascolo, pecore, capre e mucche, si godono l’abbondanza di cibo offerta dalla stagione. Gli uccelli come cicogne, garzette numerosissime e aironi, sfruttano gli specchi d’acqua paludosi che si sono formati in fondo ai declivi. I somarelli sono spesso impegnati nel lavoro e trotterellano trasportando grosse ceste piene o vengono cavalcati di lato da vecchi contadini col caftano ma si vedono anche riposare legati all’ombra di un ulivo. Qualche cane si aggira libero attorno si villaggi. Quando arriviamo sul Rif , il paesaggio si fa più aspro, di un verde più cupo. I fianchi delle colline si fanno più ripidi e si ricoprono di sughereti ed altri alberi che non riconosco. Fiumi o torrenti dalle acque limacciose tentano nuovi percorsi sul fondovalle. Scorrono impetuosi, si ingrossano e confluiscono in altri più grandi che interrompono strade ed invadono i pascoli. La pioggia promessa, al terzo giorno finalmente ha la meglio e ci accompagna per un tratto del percorso. Quando arriviamo a Chaouen, la cittadina ci appare emergere dalla nebbia come un sogno, azzurra ed irreale. Azzurra, perché questo il colore di cui sono tinteggiate la maggior parte delle facciate, più che azzurro, celeste o lavanda chiarissimo. Non vedo l’ora di poterla vedere con il sole perché appena scesi dall’autobus uno scroscio di pioggia ci ha costretti a rimanere al riparo in stazione per una mezz’oretta Con un taxi abbiamo poi raggiunto l’hotel di fronte alla Medina, che non era lontanissimo, ma era improponibile percorrere quella ripida salita con il trolley (la prossima volta mi converto anch’io allo zaino come il resto della troupe). Dopo un riposino ed una doccia, abbiamo giusto fatto in tempo prima di cena a dare un’occhiata alla Medina, che ci ha incantato e ci siamo infilati in un ristorantino sulla piazza principale dove abbiamo consumato finalmente il primo soddisfacente e ben cucinato, non solo cotto, pasto marocchino: harira (ottima zuppa di lenticchie e ceci sapientemente speziata) insalata marocchina (cetrioli, pomodori, cipolle tagliati a dadini con origano e uvetta) tajine di acciughe , filetto di manzo con salsa , brochettes di pollo con contorno di patatine e riso, datteri e per finire un ottimo tè alla menta.
CHEFCHAOUEN
Immaginate una cittadina spalmata sul fianco ripido di una montagna, circondata da mura di color ocra, grossolanamente intonacate, con torrette quadrate. Immaginate erte lastricate intervallate da scalini che permettono di affrontare pendenze troppo forti. Immaginate che alla sommità ci sia una kasba (fortezza) ocra come la terra. E poi, a completare e riempire gli spazi, centinaia di facciate e muri colorati degli azzurri più vari: celeste, indaco, lavanda, blu Cina, violetto, turchese più o meno intensi, più o meno di freschi di tinteggiatura, più o meno slavati. Ogni tanto qualche facciata o qualche mezza facciata è lasciata del colore ocra naturale dell’intonaco. Immaginate porte e finestre e balconcini delle fogge più fiabesche, monofore, bifore e trifore, ricami di ringhiere, piccole tettoie, archi ed archetti bordati di mattoni che si rincorrono nei vicoli a fare da contrafforti alle pareti delle case. Immaginate slarghi improvvisi con alberi e fontane decorate. Il tutto immerso in un’atmosfera azzurrina, rarefatta, irreale. Ecco questa è la Medina di Chefchaouene, città di montagna a 700m di altezza. Posso dirlo? la Medina più bella che abbia mai visto. Non ci sono edifici di particolare pregio, ma di pregio è l’opera della comunità nel suo insieme che ha voluto caratterizzare in modo unico il proprio habitat. Alle 9.30 di mattina i vicoli sono ancora vuoti, i negozietti sono chiusi, c’è il tempo di percorrerla e scoprila in santa pace. Ed un vero stupore ci coglie ogni volta che giriamo un angolo, che volgiamo lo sguardo verso un passaggio alla nostra destra o verso una scalinata alla nostra sinistra perché ci vogliono almeno due ore prima che non sentiamo più il bisogno di immortalare queste immagini, perché non ci fidiamo della memoria dei nostri occhi , perché ora che ci siamo riempiti di tanta bellezza, vorremmo trattenerla più a lungo. Nel frattempo i negozi si sono aperti, i colori delle mercanzie per turisti inondano i vicoli; apre il forno pubblico ed aprono i minuscoli negozi di alimentari, il via vai di gente si fa più intenso ed aumenta il vociare ricco di musicalità della lingua araba. Passiamo davanti ad una scuola materna e dalle finestre aperte esce il coro di voci che ripetono le parole dell’insegnante: il paesaggio si fa vivo. Alla sommità della Medina , un ponte scavalca un fiume impetuoso alimentato dalle acque sorgive che sgorgano a fiotti dalla roccia della montagna sovrastante. Sotto, presso due lavatoi bianchi e azzurri con un sistema di canali che portano acqua corrente pulita e freschissima alle vasche, si vedono alcune donne impegnate a fare il bucato. Su una roccia piatta un’altra lava a fondo un tappeto. Gli alberelli tutt’attorno sono pieni di panni messi ad asciugare. È un’immagine di altri tempi che mi riporta dritta alla mia infanzia, All’ora di pranzo ci siamo concessi uno spuntino sulla piazza principale, dietro la kasba, in un ristorante di prodotti bio e del commercio solidale, Il cibo è buono, i prezzi bassi , il proprietario gentile ed onesto. Incredibile ma vero! Matteo propone di lasciargli una mancia. Mozione accolta. Nel frattempo abbiamo deciso di rimandare di un giorno la partenza per Tetouan e di goderci ancora questa meraviglia. Abbiamo applicato anche la filosofia del bar marocchino: il bar per i Marocchini non è un luogo dove si beve qualcosa in piedi, in fretta e poi via, ma un luogo di relazione con chi ti sta accanto e con quelli che passano per la strada. Le sedie infatti non sono messe una su ogni lato del tavolino, orientate nei quattro punti cardinali, ma sono messe su tre lati e tutte orientate verso l’esterno, la strada o la piazza. Così è piacevole conversare e nello stesso tempo commentare quello che succede fuori. Lo abbiamo fatto oggi nella piazzetta della kasba sorseggiando spremuta di arancia e spremuta di mango (deliziosa!)
TETOUAN
Con un autobus di una compagnia privata siamo arrivati a Tetouan. La Medina di Tetouan è completamente diversa da quelle viste precedentemente. Innanzitutto è bianca, tinteggiata a calce, è molto antica, vanta quaranta moschee ed è circondata da una potente cinta di mura e torrioni, recentemente restaurati perché patrimonio dell’umanità. Un’ampia zona della Medina è adibita a suk e vi si vende di tutto, anche le cose più improbabili tipo molle di orologi, vecchi copertoni, cianfrusaglie di vario genere che di solito trovano posto in fondo ai cassetti o nelle cantine delle nostre case. Quegli oggetti che non si buttano mai via… che non si sa mai. È impressionante come in queste città il mercato si espanda dai negozi alle strade e ai marciapiedi che sono invasi ogni giorno da una marea di merce di ogni genere. Ogni sera viene raccolta in enormi fagotti e riproposta il giorno dopo. Molte le donne che vendono i prodotti della campagna. Le contadine indossano dei cappelli di paglia a forma di pagoda , decorati con una serie di pompon a volte variopinti, talvolta tutti neri. Stanno accoccolate a terra ed espongono la loro merce:qualche rapa, qualche verza, mazzetti di prezzemolo e piselli, alcuni già sgranati e messi in sacchetti, uova. Una vecchietta vendeva solo erba, un telo annodato pieno di sola erba. Oggi ci ê capitato di vedere i venditori di carbone con mani e volti neri, come fossero usciti da un romanzo di Dickens. Grandi sacchi pieni di grossi pezzi di carbone nero e lucido stavano appoggiati alle porte delle loro rivendite. I negozi si affacciano su una piazzetta al di là della quale , oltre una porta, si estende il cimitero della città. Strane tombe a forma di vasca, senza scritte coprono due colline. All’ingresso un luogo di culto con portici e alcune donne accoccolate a terra che vendono arbusti verdi di mirto, plausibilmente ai visitatori del cimitero. Ogni tanto una tomba più importante a mausoleo aggiunge solennità al luogo. Ci è capitato di vedere tipi di sepoltura simili a questi anche a Chefchaouene, ma là le tombe uscivano in modo disordinato dal recinto per sperdersi nella campagna. Lasciata la zona del suk abbiamo girovagato per i vicoli scoprendo angoli deliziosi, piazzette, archi, stretti passaggi, abbiamo sbirciato dalle porte delle moschee.
All’uscita dalla Medina ci siamo seduti al sole davanti ad una spremuta di arancia e tè alla menta ed abbiamo osservato la varia umanità che ci passava davanti. Ho mandato un sms a Lucia ed è stata l’ultima volta che ho visto il mio cellulare che mi è stato rubato per strada da un tipo che, strusciandosi addosso per un paio di volte, me lo ha sfilato dal taschino laterale della borsa che mi tenevo stretta tra le braccia.
Prima di cena abbiamo passeggiato nei viali della città, la cui chiara impronta catalana testimonia l’occupazione spagnola. Ci sono bei palazzi appena restaurati, decorati con stucchi bianchi e statue bronzee. Sulla piazza principale, davanti alla Medina ed al palazzo reale , ci sono quattro torri progettate da un allievo di Gaudi, che sembrano enormi torri televisive. Alle 6 visto che non avevamo pranzato, siamo andati a cena al ristorante Restinga, segnalato dalla guida, dove abbiamo finalmente mangiato pesce.
TANGERI
E’ sempre un autobus a portarci a Tangeri. Tangeri, un milione di abitanti, crocevia di popoli e viaggiatori. E si vede. Sui palazzi della zona commerciale all’ingresso della città, si alternano scritte in spagnolo, inglese, francese. Lo spagnolo è la lingua straniera più parlata da queste parti, quella con la quale ti si rivolge o ti risponde chiunque, così come lo era il francese nelle città precedenti, conosciuto soprattutto dalle persone più anziane. Si affaccia sul mare di fronte alla costa spagnola, sogno mitico di evasione per la popolazione più giovane. L’impressione è quella di una città sveglia, attiva , che ci crede in un possibile e vicino miglioramento. La guida ( cartacea) ci racconta che è stata per 50 anni zona extra territoriale, suddivisa in settori gestiti da numerose potenze Europee. Dal 1956, data dell’indipendenza del Marocco, è stata abbandonata a se stessa e non è stato fatto alcun investimento fino al 1999 quando il re attuale si è preso a cuore la situazione, ha fatto costruire un porto commerciale sulla costa ed ha sanato e ristrutturato parte della città. Così da luogo malfamato ed evitato dal turismo, in pochissimi anni ha richiamato un sacco di visitatori, soprattutto spagnoli che vengono a trascorrere qui l’weekend. Anche Tangeri ha la sua Medina fortificata ed il suo suk che costituiscono il quartiere vecchio di fronte all’antico porto, ora riservato alle imbarcazioni da diporto. Sul porto si affaccia l’hotel Continental, dove è stato girato “il tè nel deserto”. Abbiamo fatto una rapida incursione all’interno dell’hotel: la hall è molto bella e d’atmosfera. È composta da una serie di salottini arredati con gusto ed un meraviglioso pavimento in cotto antico con piccole piastrelle di maiolica verde. Le camere invece sono un poco vecchiotte ed impersonali, con i bagni ricavati all’interno. Non c’era comunque una camera libera per tutto l’weekend. Il resto della città, la ville nouvelle, si spande tutto attorno, con i suoi palazzoni bianchi, i negozi, i ristoranti, le pizzerie, i saloni da tè, tutti in stile occidentale. Tra la ville nouvelle e la Medina c’è un grande slargo, antico crocevia di strade chiamato Grande Socco, circondato da altissime palme e aiuole con panchine, a metà strada tra la piazza e il giardino. A nord del porto c’è una grande spiaggia, molto larga , di sabbia chiara separata dal passeggio da una sequela di strutture di ristorazione e spazi organizzati per il tempo libero, come quelli delle spiagge adriatiche. A sud del porto c’è la corniche. Ma Tangeri gelosa delle sua bellezze non si lascia svelare da noi. Vento e pioggia battente ci consentono solo brevi uscite nei dintorni dell’albergo ( un hotel con una grande e frequentatissima hall, uscieri in costume tradizionale, con pantaloni e giubba alla zuava color coloniale e fez bordeaux) per mangiare qualcosa a pranzo e a cena. È così che , all’ora di pranzo, abbiamo scoperto il Prince Service, “Salon de thé” dove in un ambiente moderno semplice ma pulitissimo, i giovani gestori ci hanno riservato un’accoglienza attenta e calorosa, ci hanno servito come si fa in un grande ristorante, con abbondanza di piatti e posate, delle buone pizze preparate con estrema cura, anche estetica, delle ottime insalate marocchine, delle omelette al formaggio ben cucinate, tè alla menta con biscottini e, udite udite, vero caffè Lavazza. Il tutto per una cifra veramente modica. La pioggia ci ha negato la passeggiata sulla corniche, la visita al capo Spartel ed un ulteriore e più approfondita visita alla Medina, interrotta ieri dal maltempo. Il museo Lorin. una fondazione che raccoglie tra l’altro decine di fotografie in bianco e nero del passato della città, che avevano destato il nostro interesse , è chiuso di sabato. Insomma la nostra abituale fortuna questa volta ci ha tradito. Lascio questa città con un senso di mancanza, di occasione perduta. Chissà se la rivedrò.
ASILAH
Il treno ci ha portato da Tangeri ad Asilah. Siamo partiti dalla bella stazioncina di Tangeri, due soli binari per una città di 1 milione di abitanti, sotto continui scrosci di pioggia. All’uscita dalla città, ai palazzoni si sono sostituiti i villaggi, con le case di mattoni forati senza intonaco, che danno l’impressione di non essere finite. Le piogge abbondanti di queste ultime settimane, insolite per questi luoghi, hanno trasformato i campi in acquitrini e i corsi d’acqua disorientati cercano incerti uno sfogo. Asilah ci appare in lontananza appena scesi alla stazioncina costruita ad un paio di chilometri . Galleggia in una nebbiolina sottile che la fa sembrare un miraggio. Man mano che ci avviciniamo, vediamo le mura della Medina arroccata sugli scogli, in riva al mare. Sono color seppia , munite di torrioni portoghesi, le case invece sono di un bianco luminoso. Ad est, addossati alle mura ci sono ristoranti, bar, negozi e giardini. Varie porte introducono all’interno della città vecchia, sono passaggi che penetrano queste mura spesse e imponenti, ma lo fanno con grazia , ingentilite da forme sinuose e decorazioni tipiche del gusto arabo. È proprio vero che non c’è una Medina uguale ad un’altra. Questa ha le strade larghe, lastricate e luminose e le case tutte bianche o con un alto zoccolo colorato. Ad ovest confina con il mare e le mura diventano bastioni a picco sugli scogli. Un molo a forma di uncino si insinua nell’oceano e permette uno sguardo d’insieme sulla città, sul porticciolo dove trovano riparo alcune barchette e rari pescherecci, sulle corone di frangiflutti che proteggono la spiaggia. Nella piazzetta della torre principale e nei due o tre vicoli circostanti, alcuni negozi discreti propongono le loro merci ai turisti. Ma dov’è finito il suk, dove sono finiti i suoni le voci i colori del mercato, dove le guide improvvisate? È un altro mondo signori! Eppure siamo in pieno Marocco, 50 km a sud di Tangeri! Poi scopriamo che il suk in realtà c’è, si è solo spostato fuori dalla Medina, sta a ridosso di una strada già ricca di negozi che contendono alle bancarelle i numerosi clienti, ma è meno ampio e meno pervasivo del solito. All’uscita della porta principale una bella “corniche” lastricata, con palme ed aiuole accompagna per un lungo tratto la spiaggia e le aree di campeggio gratuito per caravan. Ce ne sono parecchi di camper, nonostante la stagione precoce e molti , ci dicono, sono gli italiani che con il loro camper svernano in Marocco. La spiaggia è grande, color ocra , battuta dalla risacca che ha abbandonato sulla sabbia numerosi rifiuti. Una decina di persone, forse di più, son al lavoro per ripulirla e prepararla per la bella stagione. Anche i giardinieri sono al lavoro e lasciano nell’aria un odore di erba fresca che inebria. Sulla spiaggia due ragazzine spagnole in pantaloncini corti e canotta si rincorrono correndo sulla spiaggia e raggiunto il bagnasciuga si spogliano e restano in costume. Noi indossiamo giacca e sciarpetta. Un ragazzo. marocchino seguito da una pecora , gironzola loro intorno. Ha già provato a riportare la pecora lontano dalla spiaggia e a ritornare da solo. Ma quella è arrivata poco dopo trotterellando e poi addirittura galoppando ( avete mai visto una pecora che galoppa?) e l’ha seguito belando a gran voce, gelosa delle attenzioni che il suo padrone rivolgeva ad altre. Per la seconda notte abbiamo cambiato sistemazione ed abbiamo optato per un piccolo bed & breakfast molto raffinato, di recente costruzione ma ispirato alla struttura del riad. Abbiamo così potuto assaggiare una serie di prodotti della pasticceria marocchina ( o forse spagnola?) che non avevamo mai trovato. Eccellenti. Il proprietario dell’hotel ,un signore spagnolo gentilissimo, ci ha intrattenuto e ci dato indicazioni riguardo alle nostre prossime mete.
LARACHe
Per arrivare a Larache abbiamo dovuto affidarci ad un taxi perché non è raggiunta dalla ferrovia e i collegamenti con l’autobus sono rari. Larache è costruita sulla riva sinistra del fiume Lixos, proprio dove sfocia nell’oceano. Sulla sponda opposta una grande spiaggia con bosco alle spalle, attende di soddisfare gli appetiti delle multinazionali di resort e villaggi turistici. La bella ed ampia strada che arriva fin lì non è che l’avvisaglia di cosa c’è in serbo per questo pezzo di costa incontaminata (ma non risparmiata dai rifiuti). A cinque km dalla spiaggiona c’è il sito archeologico di Lixos, una città prima fenicia, poi cartaginese, poi romana ed infine araba come dimostrato dalla presenza di una moschea e di una casa con patio e mura ricoperte di stucco colorato. Era costruita sulla collina dalla quale si domina l’oceano e la vasta pianura a sud. Il sito è scavato solo al 20% ed è al solito invaso da erba e fiori di campo gialli, arancio, blu, viola e fucsia, di tipo sconosciuto. Tra le rovine vi sono resti di bagni, templi, mura, un pavimento a mosaico e ciò che rimane della collina del Campidoglio. Il sito è molto suggestivo al di là della significatività dei reperti, e la passeggiata che ci ha portato sulla cima della collina è stata molto piacevole. La città invece si arrocca su uno sperone di roccia non troppo alto, a picco sul mare. Sulla punta, un vecchio fortino portoghese con le torrette coperte da cupole in uno stato di avanzato abbandono e pieno di rifiuti, da lontano fa ancora bella mostra di sé ma testimonia ancora una volta il poco interesse, oltre alla penuria di fondi, che questo paese investe per la sua storia. Dal porto fluviale popolato di pescherecci, si dipartono i vicoli della Medina che salgono verso la piazzetta del mercato. L’ho già detto che tutte le medine sono diverse l’una dall’altra? Questa è più diversa da tutte. Nulla a che vedere con i vicoli ariosi e lastricati di Asilah, nulla a che vedere con le mura possenti di Tangeri o i palazzi quattrocenteschi di Meknes o le moschee di Fez o l’azzurro pervasivo di Chefchaouene. Questa è una Medina popolare, povera ed autentica. Niente turisti e niente negozi per turisti. Le case portano le tracce scolorite di vecchie tinteggiature rigorosamente bianche con finestre e porte azzurre e con alto zoccolo azzurro. Abbiamo scoperto che l’azzurro viene utilizzato per difendersi dai moschitos, che pare vengano disorientati da questo colore e lo rifuggano. I vicoli sono suggestivi, con scalinate, porticati, archi, contrafforti, biancheria stesa, cavi elettrici volanti, coperture traforate che frammentano la luce. Ogni tanto dalle porte aperte si intravvedono scale ripide e dissestate, antri bui e umidi, ingressi di case non certo confortevoli. Quello che per noi è pittoresco per loro è fatica di vivere. L’incuria è palese: i rifiuti sono ovunque, davanti alle case e davanti ai negozi e il vento li sposta da una parte all’altra. Viene voglia di prendere una ramazza e dire “Su ragazzi, dai che vi do una mano!” In mezzo all’immondizia razzola un numero considerevole di bambini. Mai visti così tanti, maschi e femmine che vivono la strada come unico spazio di gioco. Sono belli, allegri e ben vestiti. Li si incontra spesso con gli zaini sulle spalle e le loro divise da scolari, diverse per ogni scuola. Sono aperti , masticano parole in tutte le lingue, ti interpellano, ti salutano , a volte ti scimmiottano e desiderano comunicare. Anche la piazza del mercato è particolare. A forma di lungo imbuto, è limitata sui due lati più lunghi da una fila di portici bianchi con colonne azzurre sotto i quali si assiepano negozi e piccolissimi bar, che vendono tè e succhi di frutta. È molto animato il mercato, a tutte le ore: è il cuore pulsante della Medina. Vi si vende di tutto: dai materassi ai cacciavite, dai trapani alla biancheria, dal pane alla frutta e verdura. Sotto il portico che porta fuori dalla Medina e sbuca nella piazza principale della città, venditori di cd e musicassette sparano musica pop araba a tutto volume. La Place de la Liberté, una bella piazza a forma ellittica è circondata da armoniosi palazzetti bianchi e azzurri a tre o quattro piani, separati da strade che convergono a raggiera. Due di queste strade, corte e ripide si tuffano letteralmente nel mare un centinaio di metri più sotto. È singolare l’effetto che fa il mare: sembra un’alta parete d’acqua. Sulla piazza si affacciano alcuni caffè con le sedie rivolte al sole ed i clienti che sorseggiano bevande analcoliche: tè alla menta, tè con il latte, caffè, caffè con il latte e succhi di frutta. Al di là della piazza si stende la città nuova con tutte le sue contraddizioni di strutture nuove e funzionali, (strade pedonali ben illuminate e lastricate, un nuovo hotel, il mercato coperto) e le strutture fatiscenti come la stazione degli autobus, i marciapiedi dissestati, il cimitero, dove fra l’altro è sepolto Jean Genet, coperto da erbacce e fiori di campo. E poi rifiuti, abbandonati un po’ ovunque. Qualche decrepito palazzo spagnolo ti disorienta: per un attimo hai l’illusione di essere a Cuba. C’è persino un bar ristorante dedicato a Che Guevara. I mendicanti sono numerosi, più che nelle città precedenti e sono più numerose anche le persone che vivono alla giornata e quelle che sembrano aver perso la coscienza di sé. Qui si capisce cosa vuol dire terzo mondo e quanto siamo fortunati ad essere stati destinati ad aree del mondo più benestanti.
Quando scende la sera le strade si animano, la gente scende in strada, i bar ed i locali si affollano: è l’ora della movida . Gruppi di giovani percorrono le strade principali, le ragazze vanno a braccetto incuranti della pioggia. Loro non portano ombrello, accettano la pioggerellina fine e tiepida , e continuano senza scomporsi la passeggiata e le chiacchiere… Domani con un taxi copriremo i 35 Km che ci separano dalla stazione ferroviaria più vicina, a Ksar el Kebir, e da lì con il treno raggiungeremo la capitale.
SALÉ – RABAT
Salè, una città che sorge di fronte alla capitale, sulle rive opposte del fiume Bou Regreb. Da lì abbiamo gettato il primo sguardo su Rabat ed alla sua kasba che domina dall’alto la foce del fiume. Qui secondo il romanzo di Defoe è sbarcato Robinson Crusoe. Anche Salè, città tranquilla e tradizionalista, con l’atmosfera di un tipico villaggio marocchino ha la sua Medina circondata da mura e torrioni molto ben conservati, ha una bella moschea e una medersa di un certo pregio, ha strette viuzze con negozi, ha la spiaggia, grande, oceanica ed ha il cimitero. I cimiteri hanno sempre esercitato un’attrattiva su di me perché ritengo che siano una tessera per comprendere un popolo. Finora avevo spesso visto cimiteri musulmani deserti, incolti, con tombe spezzate, addirittura senza iscrizioni, senza la possibilità di individuare la tomba di un conoscente. Questo invece mi ha riservato una sorpresa. Entrando nel grande cimitero che confina con la spiaggia ed offre una spettacolare vista sulla kasba di Rabat, si potevano osservare numerose donne sedute sul bordo del lungo viale che lo taglia per lungo. Chiedevano la carità. Erano per lo più anziane, ma non mancavano alcune giovani donne con bambini e qualche disabile in carrozzella. Come mai così tanti? Come mai tutti lì? Poi abbiamo capito. Era venerdì. Il giorno della preghiera. Il venerdì è doveroso per ogni musulmano benestante fare l’elemosina. E loro stavano lì sedute sul bordo del viale, in faccia al sole, dividendosi le offerte di denaro e cibo che veniva loro elargito. Fatti pochi passi titubanti all’interno, abbiamo notato alcuni parenti che salmodiavano a voce alta cantilenando sulle tombe dei loro cari. Improvvisamente ci ha colto un grande disagio, la sensazione di essere entrati pesantemente in uno spazio privato che nessuno desiderava condividere con noi e le nostre macchine fotografiche. Ci siamo ritirati in punta di piedi dando solo una sbirciatina veloce alla distesa sterminata di piccole tombe bianche con iscrizioni che si perdevano in un mare di erbe verdi e rigogliose.
Una metropolitana leggera di superficie, scavalcando il fiume collega le due città. È modernissima, bella ed efficiente , porta in pochi minuti nel cuore di Rabat, lungo il grande viale completo di palme che divide la Medina dalla città nuova. Siamo stupiti, ci pare un elemento di rottura con quanto visto finora, col paese povero, sporco ed arretrato che ci è capitato di frequentare nei giorni precedenti. Ma questa è una grande città e , valore aggiunto, è una capitale e residenza del loro adorato re. Come ultima sistemazione ci siamo concessi un riad di prim’ordine all’interno della Medina. Così dopo aver costeggiato per un tratto le belle mura color ocra, siamo entrati in un vicolo che l’attraversa tutta ed abbiamo cominciato subito a viverne il clima. La solita animazione, pensi, i soliti negozi e le solite bancarelle. Invece c’è sempre qualcosa che non hai visto prima: un bugigattolo in cui si vendono teste lessate di cammello, un angolo occupato da un negozietto, pittoresco , che vende fasci di camomilla, menta ed altre erbe aromatiche ed in una grande ciotola, zagare, fiori d’arancio profumatissimi… Ma subito questo profumo si mescola a quello di lumache fritte che proviene da un ingegnosa cucina mobile che si è piazzata in mezzo alla strada. Più avanti una serie di tappeti e stuoie accostate hanno ricavato uno spazio per la preghiera ed un uomo , solitario, se ne sta inginocchiato, con gli occhi chiusi, raccolto in meditazione. E ancora: in uno stanzino completamente ricolmo di libri usati, il proprietario, un signore magro, ieratico, con zuccotto di cotone e occhialini, ha ricavato una nicchia fatta di libri in cui sta semisdraiato completamente assorto nella lettura. È un’immagine bellissima… Un’altra immagine d’altri tempi …una donna porta al forno il pane da cuocere; lo porta su un’asse, coperto da un panno… Arriviamo nel vicolo in cui dovrebbe trovarsi il nostro riad: nessuna insegna , nessuna scritta. Eppure questa deve essere la via. Cerchiamo il numero. Al 13 un portone chiuso, nessun campanello, un caseggiato alto, anonimo, con poche finestrelle. I colpi del battente risuonano secchi nel vicolo. Finalmente si apre il portone e veniamo accolti, ospiti attesi, con un grande sorriso. Il riad è veramente bellissimo con un cortiletto a cielo aperto su cui si affacciano per tre piani, stanze sontuose. Un profumo di sandalo pervade gli ambienti e candele sparse un po’ ovunque … La nostra è sul tetto: un salone piastrellato di maioliche bianche blu, sul letto pendono dei teli (zanzariera) e un divanetto. La sala da bagno ha due lavandini negli angoli e una vasca al centro della stanza. Per il vater e la doccia un altro vano piastrellato di maioliche con nicchie illuminate porta oggetti. Si affaccia su un terrazzino inondato dal sole che domina i tetti ornati di parabole delle case circostanti. Qui i canti dei muezzin si rincorrono e ti avvolgono cinque volte al giorno. Le preghiere della vicina madrassa ti ronzano nelle orecchie per ore come un mantra.
Oltre alla Medina Rabat ha altri gioielli da scoprire. La Kasba occupa la parte più antica della città, si arrocca su una rupe e domina l’estuario del Bou Regreb e l’oceano, regalando dall’alto della grande spianata, panorami davvero incantevoli sulla spiaggia e su Salé. La piccola Medina bianca e azzurra, alla quale si accede attraverso la porta Bab Oudaia del secolo XII che vanta elaborate decorazioni ed una serie di archi scolpiti, è diventata zona residenziale anche di stranieri, ma molto pittoresca per farci una passeggiata. Da un ingresso laterale della Kasba si raggiungono gli splendidi giardini andalusi, che ricordano tanto quelli dell’Alhambra di Granada, e che sono un vero rifugio ombroso. La scorsa notte la Kasba è stata oggetto di una singolare ed affascinante performance nata da una collaborazione tra Marocco e Dipartimento Francese. La scalinata che conduce alla porta Bab Oudaia, le mura e lo spiazzo sotto le mura, erano illuminati da centinaia di fuochi contenuti in vasetti di coccio che, sostenuti da strutture in ferro, assumevano forme varie. C’erano poi bracieri, cilindri fumanti, tubi sparafuoco, vari congegni in ferro tra cui una fontana da cui sgorgavano contemporaneamente acqua e fuoco, un foresta di lampade fatte con T-shirt bianche appese alle palme… trampolieri giocavano col fuoco. Sul fiume barche illuminate dai fuochi facevano la spola tra le due rive, anche quelle illuminate .Nel frattempo dei musicisti suonavano,accompagnando con musica adeguata, questo spettacolo galleggiante in una nuvola di fumo leggero. Spettacolo inaspettato e piacevole di futuro medievale che mai avremmo pensato di vedere.
Circondato da giardini coltivati con cura, il sito della torre di Hassan e del mausoleo di Mohamed V ed Hassan II, nonno e padre dell’attuale re, è il più famoso monumento di Rabat, quello presidiato da coreografiche guardie a cavallo con lunga lancia. Stanno ritte, nelle loro lussuose divise rosse con mantello bianco su bellissimi cavalli color champagne immobili pure loro. È il momento della preghiera del venerdì e la moschea che dà sul piazzale non riesce a contenere tutti i fedeli che dilagano all’esterno ed in file ordinatissime fanno le loro genuflessioni, seguendo le preghiere del muezzin. Per me è sempre uno spettacolo emozionante, mi piace osservare la sincronia dei loro inchini e la perfezione delle loro file. Il cortile è una spianata con una selva di colonne in rovina a ricordare l’antico progetto di costruire la moschea più grande dell’Islam, crollata in fase di costruzione durante un terremoto. A nord la torre di Hassan la cui ambiziosa costruzione fu bloccata a due terzi per la morte del sultano committente; a sud il Mausoleo costruito in marmo nello stile tradizionale marocchino con elaborati mosaici e decorazioni in gesso scolpito. Alla fine della funzione religiosa , un orda di questuanti ha circondato i fedeli benestanti che generosamente hanno elargito il loro obolo settimanale. Sono evidentemente tantissime le persone che non hanno nessuna tutela sociale ed hanno bisogno di aiuto in Marocco.
Nonostante siano fatiscenti e invase dalla vegetazione le rovine della città romana di Sala Colonia e la necropoli di Chellah, appena fuori dalla città eppure già campagna, sono un gioiello poco conosciuto e poco visitato di Rabat. Dalla porta principale delle mura da cui è protetta, si diparte un sentiero che si snoda in un parco invaso da alberi da frutta e da fiori selvatici, fichi, profumati glicini in fiore, olivi ed aranci, molto bello da percorrere a piedi immerso com’è in un’atmosfera suggestiva. Giunti ad una specie di piattaforma panoramica si dominano le rovine della città romana. Ci vuole un po’ di immaginazione per farsi un’idea di come doveva essere questo antico insediamento. Molto più facili da distinguere sono le rovine del complesso islamico con il suo elegante minareto sormontato da un nido di cicogna. Le cicogne rubano decisamente la scena alle rovine e sono i soggetti privilegiati degli scatti dei turisti. Un’incredibile colonia di cicogne ha preso infatti possesso e domina il sito dai nidi situati sugli alberi. In sottofondo il rumore dei becchi di questi uccelli in fase di riproduzione ci accompagna nella passeggiata. Accanto alla moschea, lungo un sentiero che sale sulla collina, al quale è vietato l’accesso, alcune tipiche tombe di marabutti ( i santi islamici) costituite da un cubo sormontato da una mezza sfera occhieggiano tra gli alberi e i nidi di cicogne. Un altra colonia di uccelli bianchi con ciuffetto popola altri alberi e li punteggia di bianco come se fossero fiori. Le acque torbide di una vasca cinta da mura richiamano ancora oggi, pare, le donne del luogo che portano delle uova sode alle anguille che li vivono, per propiziarsi la fertilità ed un parto facile. Al nostro passaggio una donna velata e vestita completamente di nero, novello Caronte, munita di una lunga pertica scandagliava il fondo della vasca per ripulirlo.
Uscendo dalla stazione ferroviaria di Rabat, un altro gioiellino di efficienza e modernità, l’ultima immagine che mi ha lasciato la città è proprio quella della Chellah, circondata dalla cinta di mura rossicce e dalle colline circostanti, con le greggi al pascolo ed i nidi di cicogne (quelli non li ho visti con gli occhi perché ero troppo lontana, ma so che c’erano, e li ho visti col cuore).
Il treno, puntuale, pulito ed efficiente conclude il nostro tour del nord del Marocco, riconducendoci a Fez e da lì alla nostra quotidianità con qualche ricchezza in più. E’ il 30 marzo. Domani sarà Pasqua.