New York – New England – Quebec – orckville

NEW YORK – NEW ENGLAND – QUEBEC – THOUSAND ISLAND Per chi avrà la pazienza di leggermi fino al termine, racconto un viaggio che mi ha permesso di conoscere luoghi da tempo sognati, ma soprattutto che ho avuto la grande fortuna di poter condividere con la mia famiglia. Nessuna pretesa di dispensare chissà quali consigli o indicazioni...
Scritto da: brunocas
new york - new england - quebec - orckville
Partenza il: 17/08/2009
Ritorno il: 02/09/2009
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 3500 €
NEW YORK – NEW ENGLAND – QUEBEC – THOUSAND ISLAND Per chi avrà la pazienza di leggermi fino al termine, racconto un viaggio che mi ha permesso di conoscere luoghi da tempo sognati, ma soprattutto che ho avuto la grande fortuna di poter condividere con la mia famiglia. Nessuna pretesa di dispensare chissà quali consigli o indicazioni tecniche particolari, spero solo di trasmettere un pochino dell’entusiasmo che ci ha accompagnato in quei giorni a chi ha in progetto di intraprendere qualcosa di simile, quindi procediamo con ordine.

Gennaio 2009, quest’anno ricorre il 25° anniversario di matrimonio, le nostre figlie Giulia e Francesca con il suo fidanzato Stefano, ci propongono di festeggiarlo degnamente organizzando un viaggio tutti insieme negli States, siamo colti un po’ di sorpresa e sulle prime titubanti, ma basta una notte di riflessione ed ecco che ci buttiamo con entusiasmo nel progetto. Il “sogno americano” è un forte richiamo, ma soprattutto l’idea di trascorrere ancora una vacanza con la famiglia al completo è la molla che fa scattare la decisione. Rapido consiglio e scegliamo un itinerario di massima che abbia come base di partenza New York e quindi optiamo per un tour on the road nel New England. Seconda importante decisione il viaggio lo organizziamo con il metodo “fai da noi” e detto fatto comincio ad esplorare internet alla ricerca di esperienze altrui e buoni consigli. Vagando nella rete mi imbatto in quello che sarà un fattore fondamentale nell’organizzazione del nostro viaggio, Marco, incallito frequentatore del suolo americano e dispensatore di ottime dritte. Primo passo prenotiamo il volo con British Airways Milano-Londra-New York (JFK) euro 500 a testa, tramite il sito Govolo.Com, quindi fissiamo con precisione le tappe del tour che partirà da NY e seguendo la costa ci porterà ad attraversare Connecticut, Rhode Island, Massachusetts, New Hampshire e Maine, quindi sconfinamento in Canada toccando Quebec City, Montreal, Brockville ed infine rientro a NY. Prenotiamo l’auto ed infine, in considerazione che il periodo scelto è, la sicuramente affollata seconda metà di agosto, per non avere problemi fissiamo pressoché tutti i pernottamenti, sempre coadiuvati dall’ormai indispensabile Marco. Seguendo passo passo l’organizzazione, l’entusiasmo cresce e non vediamo l’ora di partire, ma alla fine di aprile ho sistemato anche i dettagli e non resta che una febbrile attesa del momento.

Che finalmente arriva, 17 agosto ore 15.00 aeroporto di Milano Malpensa ci imbarchiamo sul volo BA direzione Londra dove arriviamo in perfetto orario. Quattro chiacchiere un caffè ed un giro per i duty free aiutano a far trascorre il tempo ingannando la noia nell’attesa della coincidenza per NY, che parte con circa 30’ minuti di ritardo, poco male il volo è molto tranquillo e recuperiamo il tempo perso atterrando alle 22.15, con addirittura 15’ minuti d’anticipo. Confesso che prima della partenza, dopo aver letto di esperienze poco fortunate, sono preoccupato, sia per il regolare arrivo dei bagagli che per le lungaggini della dogana americana, ma al contrario ritiriamo tutte le valige in brevissimo tempo ed impieghiamo ancor meno con le formalità doganali.

Una volta fuori dal terminal 7 si pone il problema di come raggiungere gli uffici della National, società presso la quale ho noleggiato l’auto, ma anche in questo caso il personale dell’aeroporto con efficienza ci indica l’Air Train ed in quattro fermate siamo sul posto. Compilati i moduli del caso, ci viene consegnata una VW Routan, minivan da sette posti con un capiente bagagliaio, che con grande stupore contiene tutto quanto al nostro seguito. Attiviamo il GPS, che ci siamo portati da casa, e ci dirigiamo alla volta di Yonkers, centro a circa 35 km da Manhattan dove abbiamo affittato, tramite il sito homelidays.Com, un appartamento per cinque giorni, per la cifra di $ 625. Nei mesi precedenti la partenza molti dubbi ci hanno assillato pensando che forse la scelta di una sistemazione fuori mano, seppur economica, ci avrebbe penalizzato limitando il nostro raggio d’azione, ma arrivati a destinazione tutto è svanito. La nostra dimora consiste in una piccola casetta bianca a due piani con giardino, sita in una via tranquillissima ed i proprietari, Isabelle e Christian, che abitano al secondo piano, sono a dir poco squisiti, nonostante l’ora notturna ci accolgono con grande piacere, fornendoci tutte le indicazioni necessarie, comprese quella del parcheggio da usufruire il giorno seguente.

18 agosto (1° giorno) Sveglia di buon ora, il jet leg sembra non aver creato eccessivi problemi alla compagnia, quindi, preparata una soddisfacente colazione, saliamo in auto direzione Bronx e giunti al parcheggio coperto indicatoci, affidiamo il mezzo al personale per la modica cifra di $ 10 per tutto il giorno. Particolare non trascurabile, notiamo che proprio di fronte c’è una stazione del NYPD, cosa che ci fa percepire un senso di sicurezza. Entriamo nella fermata della sopraelevata dell’87ma, linea 4, e subito acquistiamo la metro card per una settimana a $ 25, noi ci fermeremo solo 4 giorni, ma lo stesso si rivelerà conveniente. Facciamo una sola fermata ed ecco la prima emozione, ci troviamo di fronte al mitico Yankee Stadium, casa dell’omonima squadra di baseball, decidiamo che la mattina successiva ci fermeremo per scattere qualche doverosa foto ricordo. In circa 20’ siamo a Battery Park, con il NY pass fatto da casa tramite internet, anche in questo caso scelta conveniente, evitiamo la coda alla biglietteria di Castel Clinton, ma ci sorbiamo quella inevitabile per i controlli di sicurezza, quindi ci imbarchiamo alla volta di Liberty Island. Mentre il traghetto lascia il pontile e si allontana dalla riva ai nostri occhi si delinea sempre più definito lo sky line di Manhattan, inutile dirlo ci sembra di vivere in film e dopo pochi minuti ecco la sagoma di Miss Liberty … stento a crederci. Facciamo tappa sull’isola, un piccolo parco circonda la statua, è affollato di turisti che, come noi la fotografano da tutte le prospettive, mi accorgerò poi di aver esagerato con oltre 50 scatti. Approdiamo poi ad Ellis Island, l’isola della speranza dove giungevano a migliaia gli immigrati in cerca di fortuna; gli edifici, ora trasformati in musei, trasmettono ancora emozioni, come le tante fotografie alle pareti che raccontano storie di sacrifici e sofferenze. Tornati a Manhattan ci riposiamo sulle panchine del parco osservando una banda di ragazzini che giocano con gli spruzzi della fontana di fronte a Castel Clinton. E’ giunta l’ora di pranzo e ci concediamo uno spuntino da Burger King in Liberty Street, dal primo piano, dove abbiamo trovato posto, si vede l’immenso cantiere del World Trade Center dove una moltitudine di operai è al lavoro, tristemente ci tornano alla mente le tragiche ore dell’ 11 settembre 2001, e pensiamo che qualsiasi edificio sorgerà in quel luogo, non potrà comunque cancellare la ferita. Ora è la volta della Trinity Curch dallo stile gotico che contrasta con il vicinato, circondata dal piccolo cimitero dove riposano i primi newyorkesi illustri. Quindi percorriamo Wall Street, sguardo al NY Stock Exchange ed al colonnato dell’imponente Federal Hall, puntatina d’obbligo alla statua del toro dei “rialzi” , toccatina beneaugurante, così dicono, agli attributi, foto ricordo e via, non senza prima sbirciare la vetrina di Tiffany. La famiglia freme, non vedono l’ora di esplorare Time Square, rapido consulto e ci infiliamo nella metro, emergiamo all’incrocio tra la 34 ma e la sesta, percorriamo la Broadway e, fatti pochi isolati ecco Time Square. Sono le cinque del pomeriggio, le luci degli enormi pannelli pubblicitari che tappezzano i palazzi ancora non risaltano, ma il via vai ed il variegato assortimento umano che affolla l’area è qualcosa di indescrivibile, toglie il fiato. Negozi di ogni genere si affacciano sulla via, noi ci infiliamo nell’ordine: nel Planet Holliwood, dove con il NY pass abbiamo diritto a 10 $ di sconto sugli acquisti, nell’Hard Rock Cafè, acquisto di magliette d’obbligo e quindi per terminare nell’M&M’S Store. Pazzesco, tre piani dedicati ai piccoli confetti al cioccolato, qui puoi trovare gadget, pupazzi, abbigliamento, biancheria a tema e naturalmente tonnellate M&M’S stipate in coloratissimi ed enormi distributori, nel suo genere una cosa strabiliante.

La fatica si fa sentire, decidiamo di rientrare a casa per la cena, ci fermiamo in un piccolo supermarket a Yonkers per la spesa, fuori la temperatura è di circa 30° all’interno non supera i 18° e vicino al reparto surgelati … ci vorrebbe il cappotto ! 19 agosto (2° giorno) Ritemprati da una notte di riposo, con rinnovato entusiasmo ci rimettiamo in strada e torniamo nel nostro autosilo nel Bronx, oggi è la volta del ponte di Brooklyn. Scendiamo in Brooklyn Bridge City Hall; ndr, all’interno delle fermate della metro la temperatura è infernale sbuffi d’aria bollente sembrano poter lessare i passeggeri, a bordo delle carrozze ecco l’aria sparata a temperature polari, speriamo di resistere a questi sbalzi. Fuori la giornata è stupenda ma molto calda, di buona lena attacchiamo la rampa del ponte e già all’altezza del primo pilone possiamo ammirarne la struttura unica con l’intreccio di cavi d’acciaio che sostiene la campata centrale un vero prodigio d’ingegneria, soprattutto se pensiamo che è stato realizzato oltre 120 anni fa. Dal ponte si gode un panorama stupendo sull’East River e sui palazzi che vi si affacciano, lo percorriamo per intero e quindi facciamo ingresso a Brooklyn, quattro passi e siamo nel piccolo parco di Washington Street, da qui si gode una vista meravigliosa, e mi torna alla mente la pubblicità che, per i non più giovanissimi, ha fatto epoca, quella della “gomma del ponte”.

Il pomeriggio lo dedichiamo alla visita guidata al Madison Square Garden, vero tempio dello sport, che ha ospitato eventi memorabili. Questa ora è soprattutto la casa dei New York Kniks la squadra di basket che milita nel campionato NBA ed io, appassionato di pallacanestro guardo con grande orgoglio la foto del nostro Danilo Gallinari esposta tra i giocatori della squadra. Quello che appare subito evidente è l’enorme differenza tra questa struttura e le nostre, qui assistere ad un evento sportivo equivale ad andare ad uno spettacolo, da apprezzare in tutta tranquillità e nel massimo confort. Ora è arrivato uno dei momenti più attesi, la salita sull’Empire. Entriamo nell’atrio principale e con grande stupore lo troviamo semideserto, decidiamo di provare l’esperienza dello Sky Ride, un simulatore di volo che propone una visita virtuale dall’alto della città a tutta velocità con tanto di picchiate, io e mia moglie lo troviamo divertente, le mie figlie troppo breve e antiquato, forse non siamo proprio al passo con i tempi. Ci rechiamo quindi alle ascensori, anche qui poca fila, sia fortunati e in men che non si dica siamo all’86° piano e lo spettacolo che si apre ai nostri occhi ci lascia senza fiato. Il tempo è leggermente cambiato e nel cielo si affolla qualche nuvola, ma ugualmente restiamo affascinati dalla miriade di palazzi e grattacieli che compongono la strabiliante struttura della città, per una buona ora osserviamo dal Est River all’Hudson scattando una quantità di foto esagerata, quindi soddisfatti abbandoniamo la terrazza per far ritorno al suolo. Alle mie figlie viene l’idea di terminare la giornata da Madame Tussauds, la cosa non mi entusiasma particolarmente, ma in considerazione del fatto che per il momento ho dettato tempi e tappe del tour, aderisco alla proposta e così entriamo nel museo delle cere. Devo ammettere che dopotutto è stato divertente farsi ritrarre in compagnia di personaggi celebri, insomma un’oretta passata in allegria. Usciti ci accorgiamo che si fatto tardi e che comunque dobbiamo assolutamente trovare spazio per la cena, la scelta cade su Bubba Gump. Il locale è affollato e dobbiamo attendere, ma alla fine ne è valsa la pena, tutti apprezziamo i gamberi di Bubba e il costo non è affatto proibitivo.

20 agosto (3° giorno) Giornata dedicata ai musei, o meglio alla piccola selezione che il tempo tiranno ci consente, mia moglie, Francesca e Stefano, optano per il MoMA, io e Giulia non ce la sentiamo, l’arte moderna non ci suscita particolare trasporto, quindi decidiamo per il più semplice Museo di Storia Naturale. Tutti insieme arriviamo davanti all’austero Metropolitan, quindi, mentre il trio prosegue per il MoMA, noi entriamo in Central Park alla volta della nostra meta. Anche qui il NY pass si rivela utile, evitiamo la lunga coda alle biglietterie ubicate nel meraviglioso ed imponente salone d’ingresso e cominciamo ad osservare la quantità di diorami che riproducono l’habitat di svariate specie animali, veramente ben fatti. Poi rapido passaggio nelle sale dedicate alle antiche civiltà di tutto i mondo. Sale curate e ben disposte un vero piacere percorrerle peccato che il tempo a disposizione sia veramente esiguo. Ore 14.00 il gruppo si ricompone, chi ha visitato il MoMA esprime commenti lusinghieri giudicandolo interessante, ma dalle loro espressioni penso di aver scelto bene. Ne discutiamo davanti ad un frugale pranzo costituito da un panino veramente striminzito decisamente in controtendenza con le maxi porzioni fin qui incontrate, dettagli. Ci troviamo seduti in prossimità del Belvedere Castel che sorge sulle rive dell’omonimo laghetto, un luogo veramente gradevole, dalla terrazza del Belvedere si gode una bella vista sulla parte sud del parco. Riprendiamo la marcia e lo attraversiamo in direzione nord, notiamo molti ragazzi che giocano, chi a baseball chi a basket, altre persone nei prati leggono, conversano, corrono il tutto nella più assoluta tranquillità, niente inutili schiamazzi o eccessive esuberanze, bello. Arriviamo al Jaqueline Kennedy Onassis Reservoir il laghetto, nemmeno tanto piccolo, sul quale si riflette la sagoma a due torri dell’Eldorado appartaments, delimitato da una cancellata in ferro lungo la quale corre un sentiero in terra battuta, emozione, subito mi torna alla memoria la scena del film il Maratoneta, dove Dustin Hoffman lo percorre in estenuanti allenamenti. Usciamo dal parco per osservare la particolare architettura a spirale del Solomon Guggenehim Museum, quindi sulla quinta strada saliamo su un bus che ci riporta verso down town, destinazione il Rockfeller Center. Scediamo in Central Park south e proseguiamo a piedi sulla quinta incontrando il Palza Hotel, il cubo della Apple, la stupenda Trump Tower con i suoi giardini pensili e la Cattedrale di S.Patrick, intrusa tra giganti di vetro e acciaio. E che dire ancora, ci infiliamo anche nell’NBA Store, dove sentendomi come un topo nel formaggio, faccio scorta di magliette e quindi ingresso nel Disney Store, un carnevale di colori dove tutti tornano un po’ bambini. Finalmente al tramonto, ora fissata con scrupolo, siamo all’ingresso del Top of the Rock, vogliamo godere della vista sulla città con le luci della sera. Operazione perfettamente riuscita, arriviamo in vetta proprio mentre il sole tinge di luce rossastra il cielo e la città accende le sue luci, fantastico, ho esaurito gli aggettivi, anche qui scatto 100 foto, che con molta delusione dovrò eliminare per la scarsa qualità, per fortuna Stefano è equipaggiato con fotocamera di livello superiore e attingerò alle sue immagini per documentare la vista. Scendiamo soddisfatti, ma nel contempo affamati e, dopo un certo girovagare ci ritroviamo, come magneticamente attratti, nei pressi di Time Square. Solito bagno di folla, questa sera la temperatura è veramente disagevole, notiamo un capannello di persone, incuriositi ci avviciniamo, sono tutti in attesa di poter fare una foto con una squadra di vigili del fuoco che ha parcheggiato l’autopompa poco distante. Siamo tentati dal metterci in fila a nostra volta, ma al momento dobbiamo pensare alla cena, casualmente la scelta cade su Maxie’s, cucina americana, ordiniamo dei sandwiches e ci servono piatti enormi dove su due fette di pane si trova impilata una quantità di cibo ragguardevole. Fatichiamo ad arrivare in fondo, ma apprezziamo l’ottima qualità. Tornando verso Yonkers possiamo accertare personalmente come sia vero il detto che NY è la città che non dorme mai, la mezzanotte è passata da un po’, ma sulle carrozze della metro sembra l’ora di punta a Milano.

21 agosto (4° giorno) La sveglia suona sempre alle 07.30, ma per il momento il gruppo è compatto e motivato e non si levano dissensi, primo appuntamento della giornata Grand Central Terminal, monumentale stazione ferroviaria con un meraviglioso atrio sul cui soffitto a volta sono dipinti i segni dello zodiaco. Considerando che oltre mezzo milione di persone si serve della stazione ogni giorno, quello che colpisce è l’ordine con il quale il traffico pedonale la percorre e l’estrema pulizia di ogni suo angolo. Ci spostiamo velocemente in Union Square, qui apprezziamo il mercatino dove oltre ai banchi di frutta e verdura troviamo artigiani che espongono i loro manufatti, giocatori di scacchi e musicisti assortiti, luogo aggregante. Decidiamo quindi di dare un’occhiata al Village, ma sarà stato il caldo o l’approssimarsi dell’ora di pranzo, l’idea viene accantonata dopo pochi isolati. Nel primo pomeriggio ci muoviamo con il bus in direzione della NY Pubblic Library, imponente edificio con due leoni in pietra che vigilano sull’ingresso, purtroppo parte della facciata è interessata da lavori di restauro e quindi non possiamo apprezzarne a pieno la struttura. L’enorme sala lettura con i soffitti a cassettoni, i magnifici lampadari, le lampade da tavolo in bronzo ed una fila interminabile di scaffali sui quali sono ordinati migliaia di testi, incute rispetto e trasuda cultura. Consideriamo però che il continuo andirivieni di turisti e curiosi non aiuta certo chi è li per concentrarsi e per studiare. Usciamo e veniamo sorpresi da uno scroscio di pioggia che ci costringe a trovare riparo in un bar, ci consoliamo con dei maxi frullati che ci ritemprano. Non smette di piovere, quindi ci infiliamo in un negozio di souvenir dove spendiamo una congrua cifra acquistando una serie disparata di oggetti ricordo. Finalmente la pioggia è cessata ripercorriamo la quinta strada fino al Flatiron Building, uno dei primi grattacieli di NY alto 21 piani, dalla pianta triangolare e struttura molto elegante; ci arriviamo proprio mentre le nuvole si aprono facendo spazio agli ultimi raggi di sole che colorano il cielo di un arancio intenso, la torre della Metropolitan Life Insurance che con il suo splendido orologio si affaccia sul piccolo Madison Square Park, sembra dipinta. Concludiamo la nostra ultima giornata nella Grande Mela con una cena da Sbarro, catena di ristoranti di chiara impronta Italica, in cui ritroviamo vagamente i sapori di casa.

22 agosto (5° giorno) Con un po’ di tristezza e di buon mattino, carichiamo i bagagli, salutiamo gli stupendi Isabelle e Christian ed impostato il navigatore partiamo alla volta della costa del Connecticut. Il traffico intorno alla città si fa sentire e siamo costretti in coda per qualche chilometro, ma una volta imboccata l’Interstate 95 procediamo spediti, naturalmente sempre nei limiti di velocità consentita, che è di 65 miglia orarie e che qui sembra tutti rispettino senza problemi. Nel primo pomeriggio facciamo tappa a Mystic un piccolo paese conosciuto per essere stato d’ispirazione al film “Mystic Pizza” con Julia Roberts. Oltre a questa particolarità cinematografica, il paesino è molto bello, composto da tipiche casette in legno e da un porto-canale sul Mystic River le cui sponde sono unite da un ponte che, ogniqualvolta transiti un’imbarcazione le cui dimensioni lo richiedono, viene sollevato. Nel canale si trovano ormeggiati alcuni velieri a due o tre alberi molto pittoreschi e nelle vicinanze c’è un acquario piuttosto importante che purtroppo non abbiamo il tempo di visitare. Facciamo solo quattro passi nella ricostruzione del borgo storico: una vera cartolina. Risaliamo quindi in auto e percorriamo i 160 km che ci separano da Middleboro, dove abbiamo prenotato presso l’Holiday Inn Express, confortevole struttura che ci ospiterà per due notti. Terminiamo la faticosa giornata con una buona cena in un piccolo ristorante che mi ricorda tanto il locale di Arnold nella serie televisiva Happy Days, dedicato ai meno giovani.

23 agosto (6° giorno) Purtroppo ci svegliamo sotto il cielo del Massachuesset che non promette niente di buono, infatti appena il tempo di salire in auto e comincia a piovere, pazienza non ci scoraggiamo e partiamo in direzione Plymouth che dista solo 20 km. Entriamo in un Dunkin Donuts e decidiamo di consolarci con una colazione a base di ciambelle, scegliamo le più colorate e piene di glassa e, come Omer Simpson, le divoriamo in un amen. Il tempo di rifornire il parchimetro di monetine per regolarizzare la sosta e, con nostra grande sorpresa ha smesso di piovere e in men che non si dica il cielo è terso, incredibile. Ci dirigiamo verso la spiaggia e visitiamo la Plymouth Rock, piccolo tempio dove viene conservata la pietra sulla quale, si dice, abbiano messo piede i primi pellegrini che qui sbarcarono nel 1600 … o poco più. Ormeggiato a pochi passi si trova la fedele riproduzione del veliero Myflower, imbarcazione con la quale, appunto i padri pellegrini raggiunsero le coste americane.

Interessante la storia del capo indiano Massasoit della tribù dei Wampanoag, originari abitanti del luogo, la cui statua troneggia dominando il bel lungomare.

Lasciata Plymouth ci spostiamo in direzione della penisola di Cape Cod, per fortuna non ci sono tracce del previsto urgano Bill che , secondo le previsioni di Weather Channel avrebbe dovuto imperversare nei pressi. Al contrario il sole ore ci sorride, arriviamo a Sandwich e dopo aver dato un occhiata al centro abitato e ad uno splendido laghetto nelle vicinanze, ci ritroviamo ancora sulla costa dove adocchiamo Seafood Sam’s che ci preparerà cinque ottime fritture di calamari e gamberi. Nel pomeriggio arriviamo fino a Yarmouth la cui tranquilla spiaggia è racchiusa in una piccola baia punteggiata da isolotti d’erba che formano una sorta di piccola laguna. Ci attardiamo godendoci la tranquillità del luogo e rientriamo in albergo che è buio, giusto in tempo per ripetere la cena nel locale di Happy Days.

24 agosto (7°giorno) Questa mattina siamo a Cambridge, sobborgo di Boston, visitiamo la famosissima università di Harward, il più antico ateneo d’America, con il suo campus, gli edifici di mattoni rossi e la stupenda Memorial Hall e mi emoziono quando scopro che il presidente Obama si laureato qui. Il tempo è bello e vogliamo tornare verso il mare, quindi rotta di nuovo verso la costa e prima di mezzogiorno siamo a Rockport, un paesino di pescatori d’aragoste fatto proprio come lo immaginereste, cassette in legno colorate che si affacciano sulla via principale, il porto zeppo di piccole barche, montagne di galleggianti e nasse per i crostacei. Abbiamo il tempo per un oretta in spiaggia, bagniamo i piedi nell’Atlantico, non oltre perché l’acqua è veramente gelida, ma al contrario di ieri il cielo presto si copre ed abbiamo appena il tempo di entrare in un localino, che si scatena un bel temporale. Approfittiamo per dedicarci alla pausa pranzo, osservando dai vetri la pioggia battente sul mare. Tornato il sereno ci spostiamo alla volta di Gloucester con il suo stupendo lungomare, al momento completamente pavesato con bandiere a stelle e strisce. Qui incontriamo la famosa statua dell’uomo al timone dedicato ai lavoratori del mare ed all’estremità della passeggiata ammiriamo un parchetto cittadino stupendo, costituito da un rigoglioso boschetto a ridosso del mare, prati curatissimi ed una spiaggetta incantevole. Ci intratteniamo fino al tramonto osservando l’occidente che prende i colori della sera e apprezziamo il fresco venticello. Questa sera pernottiamo al Days Inn di Danvers a pochi chilometri da Boston, struttura più spartana della precedente, ma decorosa. Prima del meritato riposo cena con grande insalatona di gamberi da Applebee’s.

25 agosto (8° giorno) Giornata che dedichiamo completamente alla visita di Boston, dove arriviamo di buon ora, ma purtroppo fatichiamo non poco a trovare parcheggio per l’auto, al contrario di NY, qui i garage hanno prezzi esorbitanti. Il programma prevede di seguire il Freedom Trail, il sentiero della libertà, un percorso segnalato da una striscia rossa tracciata sull’asfalto che tocca i siti di maggior interesse storico, che identificano Boston come città culla dell’indipendenza Americana. Prima d’intraprendere il percorso, decidiamo però di fare un salto alla Jhon Hancock Tower per avere una visione panoramica della città dall’alto dei suoi 225 metri e anche se Boston e “the American’s walking city” la città da girare a piedi, un gentile signore ci consiglia di prendere la metro, poiché ci troviamo a circa quattro miglia dalla torre. Arriviamo così in Copley Square ed entrati nell’atrio della torre, sede di un’importante compagnia di assicurazioni, chiediamo alla signorina della reception come fare per accedere all’osservatorio del 62° piano, questa con aria seccata ci risponde che da tempo non è più aperto al pubblico. Mi rendo conto che forse avrei dovuto acquistare una guida un pochino più aggiornata, poco male la piazza e comunque molto interessante, chiusa da un lato dal bell’edificio della Boston Public Library e da quello opposto dalla Trinity Church grande chiesa edificata a fine ottocento che si riflette nelle vetrate della prospiciente J.Hancock Tower. Al centro della piazza aiuole curate, una bella fontana e numerose bancarelle di verdura, frutta e fiori.

Lasciata la piazza entriamo nel Public Garden, uno dei primi giardini pubblici d’America, dove nel piccolo laghetto centrale navigano lente le barchette a forma di cigno cariche di turisti e nei prati gli scoiattoli, per niente timidi vengono a prendere il cibo dalle mani. Anche noi ci concediamo uno spuntino veloce e quindi dopo aver passeggiato per il caratteristico quartiere di Bacon Hill, percorriamo qualche tappa del Freedom Trail: l’Old State House, la Feneuil Hall, dove assistiamo all’esibizione di alcuni artisti di strada afroamericani che compiono esercizi a tempo di brake dance degni di affermati ginnasti, bravissimi. Infine passiamo davanti alla casa di Paul Revere, eroico messaggero dell’esercito d’indipendenza e terminiamo il giro al molo dove è attraccata la USS Constitution, gloriosa nave che ebbe ruolo decisivo nella guerra contro il inglesi; purtroppo arriviamo tardi e l’orario per la visita è passato. La stanchezza si fa sentire, quindi decidiamo di prendere il traghetto pubblico che, costeggiando i docks del Boston Inner Harbor ci riporta dove avevamo lasciato l’auto. Tornati a Danvers ceniamo ancora da Applebee’s, il locale che ieri era semideserto, questa sera è strapieno di ragazzi, a fatica troviamo posto e con grande stupore constatiamo che nonostante l’affollamento, l’atmosfera resta tranquilla e sommessa, mi stupisco molto, ma mi piace, come la Claim Chowder, zuppa di vongole e patate che ho ordinato! 26 agosto (9° giorno) Reduci da una giornata piuttosto faticosa decidiamo di trascorrere una mattina di completo relax ed arrivati a Plum Island scopriamo di aver a disposizione circa 3 chilometri di spiaggia semideserta un vero spasso. Nonostante la mia frenesia di girare e vedere nuove cose, devo mantenere la promessa fatta al gruppo, stendiamo i teli e ci crogioliamo ai raggi del sole. Per il pranzo ci spostiamo a Newbury, bella cittadina dal cui porto partono le imbarcazione per il Whale Watching, l’avvistamento delle balene, decidiamo in fretta, ci piacerebbe farlo, ma un po’ per il costo e un po’ per il poco tempo a disposizione, rinunciamo. Ecco forse se ora potessimo tornare sui nostri passi avremmo fatto una scelta diversa, anche in considerazione del fatto che abbiamo privilegiato la visita a Potrsmouth che tutto sommato, nonostante lo Strawberry Banke il villaggio mueseo, ci ha deluso. Pazienza per consolarci, visto che il nostro albergo di giornata , il Microhotel di York, si trova a pochi chilometri da Kittery sede di un grande outlet, ci facciamo una puntatina. Si sa che al momento l’Euro è forte e fare acquisti conviene, con questa ferrea convinzione la famiglia presa dalla sindrome da shopping compulsivo, comincia a fare incetta di capi d’abbigliamento, per fortuna qui chiudono presto e alle ventuno siamo costretti a lasciare libero il campo, un sollievo per la carta di credito. 27 agosto (10° giorno) Come detto oggi siamo a York sulla costa del Maine, località famosa per il suo faro, il Nubble Light, dicono uno dei più belli dello stato, quindi come prima cosa andiamo a rendercene conto personalmente. Percorriamo la strada che ci porta a Cape Neddick ed arrivati ad un centinaio di metri dall’estremità scorgiamo il faro, abbarbicato ad uno sperone di roccia separato da pochi metri di mare dalla terra ferma, accanto una linda casetta ed un praticello curatissimo. Purtroppo non potremo fare paragoni, poiché il corso degli eventi non ci porterà ad incontrare altri fari, ma possiamo affermare con certezza che il Nubble Light è un luogo da copertina. Torniamo sulla strada costiera US1 sempre in direzione nord, dopo pochi chilometri facciamo tappa a Kennebunk piccolo centro alla foce dell’omonimo fiume. Paesino molto tranquillo con le sue case colorate costruite su palafitte, ora c’è bassa marea e i piloni di sostegno sono allo scoperto. Facciamo un giro nella pittoresca Ocean Ave, entriamo prima in un negozietto di candele profumatissime e dai mille colori, poi in un’altro di oggettistica marinara con al centro una porzione di albero da veliero con tanto di sartie. Scattiamo la nostra solita razione d’immagini e dopo la pausa per il pranzo riprendiamo il viaggio che ci porterà fino a Bar Harbour. Durante il percorso abbiamo il tempo di fare tappa a Camden centro turistico sulla baia di Penobscot con il suo meraviglioso porticciolo che troviamo gremito di barche e velieri. E’ ormai il tramonto quando arriviamo sulla Mount Desert Island estremità nord occidentale del Maine, ove sorge Bar Harbour, ma soprattutto dove ha sede l’Acadia Park che sarà il nostro obbiettivo di domani. Prendiamo possesso dei nostri alloggi al Quality Inn e usciamo per la cena, purtroppo avremo una sgradita sorpresa qui tutti i locali chiudono alle ventuno e quindi ci accontentiamo di un gelato passeggiando nell’area di un campo da minigolf ambientato sull’isola dei pirati molto carino.

28 agosto (11° giorno) Splendida giornata di sole, ma la temperatura e scesa di diversi gradi, dopo una colazione rigenerante, senza indugi ci dirigiamo al Visitor Center dove paghiamo l’ingresso al parco, 20$ il costo per ogni veicolo, ed imbocchiamo la Park Loop Drive percorso di 43 miglia che attraversa il parco. Pur non essendo un parco vastissimo, l’Acadia offre una varietà di paesaggi: dal massiccio montuoso centrale con foreste di conifere e laghetti, fino al digradare sulle rive del mare con belle spiagge. Ed è appunto sulla Sand Beach che ci fermiamo, un paradiso di sabbia fine circondata da abeti e mentre siamo seduti a goderci il sole un aquila marina dalla testa bianca ci sorvola sparendo oltre le cime. Proseguiamo ammirando la costa granitica intervallata da macchie di conifere e spiaggette arrivando così al Jordan Pond un lago d’origine glaciale, luogo da segnalare con il circoletto rosso. Terminiamo la visita con l’ascesa alla cima del Cadilac Mountain, niente di faticoso ci arriviamo in auto, qui dall’alto dei suoi 500 metri si gode una vista incantevole su tutto il parco ed il mare circostante punteggiato da svariate isolette. Peccato dover lasciare questo paradiso, ma ci aspetta un viaggio di circa 400 km fino alla frontiera con il Canada e conteremo di arrivarci prima di sera. Il traffico è pressoché inesistente, alternandoci alla guida ed ammirando gli spazi che si susseguono davanti a noi, il tempo corre senza noia, anzi poco prima della frontiera facciamo il gradito incontro con una volte che, nemmeno troppo intimorita, ci attraversa la strada. Giunti alla dogana, siamo stupiti dalla puntigliosità della funzionaria di polizia canadese che ci accoglie molto gentilmente, ma ci tartassa con una sorta d’interrogatorio, che comunque si conclude con bel sorriso e via. Arriviamo a Quebec City, o meglio Ville de Quebec, e dopo qualche difficoltà troviamo il Four Points dove abbiamo prenotato due pernottamenti.

29 agosto (12° giorno) Le previsioni avevano sentenziato: sabato brutto tempo. Infatti ci svegliamo che già piove e sembra anche faccia fresco; arriviamo in prossimità del centro e parcheggiata l’auto ci rendiamo subito conto che “fresco” non è il termine adatto, diciamo pure che fa freddo, la temperatura è di 13°. Indossati maglione e Kway entriamo nella città vecchia, ancora cinta dalle mura, unica città del nord America nel suo genere. Ha smesso di piovere, ma si è alzato un vento che ci congela, sentiamo il bisogno di guanti e cappello. Nonostante la rigidità del clima riusciamo ad apprezzare questa elegante città che sorge sulle rive del San Lorenzo, il cui centro storico è stato proclamato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Qualcuno, sicuramente esagerando, la definisce una piccola Parigi, ma effettivamente si può concordare sul fatto che ci sia una chiara impronta del vecchio continente sia nell’architettura degli edifici che nello sviluppo della pianta viaria. Percorse le belle vie del centro arriviamo al Chateau de Frontenac decorato con torri medioevali sembra un castello delle fiabe, in realtà ora è un lussuoso albergo, da qui ci dirigiamo verso la Terrasse Dufferin dalla quale si gode un eccellente panorama sul fiume San Lorenzo. Al termine di questa promenade pedonale si trova l’antica fortezza della Citadelle edificata sul terreno dove nel 1759 si svolse una cruenta battaglia tra inglesi e francesi. Decidiamo di entrare a visitarla, ma essendo ancor’oggi sede di unità operative dell’esercito canadese siamo costretti a seguire in gruppo una guida che spiega, in inglese, la storia e le caratteristiche della fortezza; indubbiamente interessante ma sinceramente avremmo preferito dedicarvi meno tempo. Proprio mentre percorriamo le antiche mura abbiamo la fortuna di assistere alle evoluzioni della pattuglia acrobatica dell’aviazione francese che si esibisce proprio nei cieli di Quebec, uno bello spettacolo fuori programma. Usciamo dalla Citadelle intirizziti dal vento gelido che non da tregua e senza esitare entriamo nell’Omelette un bel ristorantino dove servono frittate di tutte le specie, quindi sazi e riposati riprendiamo il cammino. Arrivati alla funicolare scendiamo nella città bassa nella frequentatissima Rue du Petit Champlain piena zeppa di negozietti di souvenir e di artigiani, ma ora la mia attenzione è distratta dalle notizie che arrivano via sms da Milano, oggi è giorno di derby, io interista e Stefano milanista attendiamo con ansia, la fortuna arride ai colori nerazzurri e il 4 a 0 finale mi trova esultante vicino al vecchio porto sul fiume, ma non infierisco perché Stefano mi sembra alquanto provato. Terminiamo la giornata stanchi e infreddoliti con una veloce pizza e poi via tutti a riposare.

30 agosto (13° giorno) Siamo proprio soddisfatti di aver incluso Quebec City nel nostro itinerario è stata una scelta azzeccata, lo stesso non si può certo dire per Montreal che a dispetto di un bel colpo d’occhio del suo profilo mentre ci avvicinavamo, ci è sembrata, sorprendentemente, una città trasandata. A onor del vero il nostro si deve considerare un giudizio sospeso poiché abbiamo visitato rapidamente, il vecchio porto, le vie del centro e poco altro, comunque questo è quanto. Delusi risaliamo in auto, facciamo tappa in un centro commerciale dove siamo costretti a comperare una capiente valigia per contenere i nuovi acquisti, quindi via alla volta di Brockville cittadina sulle rive del San Lorenzo, il grande fiume che segna il confine con gli Stati Uniti, qui si apre un’ampia ansa che ospita l’arcipelago detto delle 1000 isole. Arriviamo nel tardo pomeriggio e prendiamo alloggio nel Days Inn, anche questa struttura comoda e confortevole, dove scopriamo con piacere che la colazione è inclusa a differenze di tutte le altre sistemazioni fin qui incontrate. Purtroppo una leggera ed insistente pioggerella ci accompagna. Una volta sistemati decidiamo di fare un salto in città per la cena, ma sono appena passate le venti e qui sembra esserci il coprifuoco, non un locale aperto e nessun anima viva per le vie. Torniamo così verso l’albergo dove fortunatamente abbiamo notato un ristorante aperto, questa sera decido di esagerare e ordino costine di maiale con salsa barbecue, patatine e per finire una mega fetta di cheese cake, poco dietetico ma sublime. Prima di dormire mi sintonizzo su Weather Channel che mi conforta, prevedendo sole e cielo limpido per domani.

31 agosto (14° giorno) Possiamo affermare che i meteorologi locali sono affidabili, la giornata è magnifica il cielo è terso e il sole splende, lasciamo l’albergo e consultata la cartina ci dirigiamo verso Guananoque, piccolo centro dal quale partono le crociere sul fiume. Ci imbarchiamo su un piccolo battello e saliamo sul ponte scoperto, l’aria è fresca e pungente e, cominciata la navigazione ci addentriamo nell’arcipelago. Attorno a noi si apre un paesaggio fantastico, nella larga ansa del fiume, che in alcuni tratti è largo più di sette chilometri, incontriamo una miriade di isolotti, su pressoché ognuno di essi è stata costruita una casa, un cottage o addirittura una villa a seconda delle dimensioni dell’isola, alcune sono coperte da una fitta vegetazione di cespugli e conifere, altre hanno bei giardini curati. La guida ci spiega che molte di queste fiabesche dimore sono abitate tutte l’anno, nonostante il fiume d’inverno geli quasi completamente, altre invece sono case per le vacanze, comunque per darci un idea ci dice che, per chi fosse interessato, le più piccole hanno attualmente un costo si aggira sul un milione di dollari. Certi che non potremo mai sperare di trasferirci qui, ci accontentiamo di godere del momento sublime, ora qualche nuvola solca il cielo, i colori sono fantastici e una miriade di gabbiani e cormorani segue il battello per andarsi poi a posare su di un isolotto brullo e roccioso. Torniamo sulla terra ferma con la convinzione di aver visto uno dei luoghi più singolari del pianeta. A malincuore lasciamo le sponde del San Lorenzo e varchiamo nuovamente la frontiera rientrando negli Stati Uniti, non prima di aver subito una gragnola di domande dall’agente di servizio alla dogana. Scegliamo, forse sbagliando, di non percorrere le piccole strade che attraversano il Parco Adirondak, preferendo affrontare il più lungo e probabilmente sicuro tragitto autostradale che ci porterà a Syracuse, quindi ad Albany per arrivare nel pomeriggio Lake George, cittadina sulle rive dell’omonimo lago ai margini del citato Parco Nazionale. Senza difficoltà troviamo il nostro albergo, il Clarion Inn, e scopriamo che lo stesso ha sede nell’area di un grande outlet. Che “fortuna” abbiamo avuto, possiamo dedicare l’ultima sera per completare gli acquisti, le mie figlie non posano nemmeno i bagagli e già sono per negozi, io e mia moglie decidiamo di fare prima un salto in riva al lago per ammirarne i colori al tramonto, poi raggiungiamo la gioventù e a nostra volta completiamo lo shopping. Nonostante l’ingente spesa sostenuta, che il prossimo mese con l’arrivo dell’estratto conto della carta di credito mi farà sudare, bisogna ammettere che far compere in questi outlet della provincia americana è effettivamente conveniente, facendo un raffronto con l’acquisto degli stessi capi, in Italia avremo speso mediamente il 40% in più.

Concludiamo la serata in una pizzeria “italiana” da Gino e Tony, così almeno dice l’insegna, ma si esclude qualche vago tocco italico alle pareti, il personale assolutamente americano e le pizze idem, comunque discrete, ci disilludono in fretta.

1 settembre (15° giorno) Ultimo giorno sul suolo americano, ci svegliamo già con un po’ di malinconia, ma ci resta ancora la vista a Lake George che è una cittadina carina, molto frequentata turisticamente e, come dicevo poco sopra, situata sulle rive dell’omonimo lago solcato in lungo e in largo da pittoreschi battelli a vapore con tanto di ruota a pale. Il lungo lago e la main street sono un susseguirsi di negozietti di souvenir, ristoranti e botteghe artigiane. Poco distante dal centro sorge Fort William Henry, una fantastica ricostruzione del fortino inglese del settecento che sorgeva proprio in questo luogo. Mi sembra di tornare bambino e con entusiasmo mi precipito all’ingresso per visitarlo, solo Francesca condivide parzialmente questo sentimento ed è l’unica a seguirmi. Comunque sono gli altri ad essersi sbagliati, il forte è stato riprodotto in maniera perfetta con le palizzate in tronchi anneriti, il cortile con il quartier generale, gli spalti dai quali sporgono le bocche dei cannoni, le prigioni e quant’altro si possa immaginare. Gli edifici adibiti ad una sorta di museo ospitano un’ esposizione di suppellettili, armi, strumenti chirurgici ed utensili dell’epoca. Terminiamo la visita poco prima di mezzogiorno e dobbiamo partire in direzione di NY se non vogliamo rischiare di perdere il volo alle 18.20. Effettivamente arrivati in prossimità della città siamo costretti, prima qualche rallentamento, poi addirittura a fermarci in colonna ed un pochino d’ansia ci viene, ma poco dopo restiamo stupefatti dal comportamento di un motociclista che, mentre siamo in attesa di pagare il pedaggio per l’accesso ad un ponte, ci supera con una manovra non proprio corretta. Senza lasciarci andare ad esternazioni plateali commentiamo tra noi che in fondo tutto il mondo è paese, se non che arrivati al cospetto dell’addetto al casello, questi ci dice che possiamo proseguire perché il pedaggio per noi l’ha pagato il motociclista, restiamo a bocca aperta con i nostri dollari in mano. In perfetto orario siamo alla National per la riconsegna dell’auto, che lasciamo con molta nostalgia, quindi veloce corsa sull’Air Train e dopo una lunga fila al ceck in ci imbarchiamo, partenza in perfetto orario ed a parte qualche scossone durante la prima ora, il volo procede tranquillo, ancora scalo a Londra e alle 11.45 atterriamo a Malpensa. Così termina la nostra esperienza negli States, tanti luoghi abbiamo visto e tanti altri avremmo voluto vederne, ma nel tempo a disposizione abbiamo dovuto fare delle scelte che speriamo siano state le più azzeccate. E’ stata una vacanza vissuta intensamente, alle volte faticosamente, ma che ci ha ampiamente gratificati e, come scrivevo all’inizio ci ha permesso di condividere tutti insieme questo piacere. Bruno e famiglia.



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