new york city before 11/09/2001

Ore 12,40… bar l’Ile de France… una birra davanti alla superba cattedrale gotica di Notre Dame, con l’immancabile croissant, la Senna, gli artisti di strada con le loro opere dal fascino particolare, probabilmente è più facile farlo che dirlo. E’ un viaggio comodo, basta alzarsi di buona mattina, imbarcarsi sull’aereo che in un’ora...
Scritto da: Stefano "Teto"
new york city before 11/09/2001
Partenza il: 11/08/2001
Ritorno il: 18/08/2001
Viaggiatori: in coppia
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Ore 12,40… bar l’Ile de France… una birra davanti alla superba cattedrale gotica di Notre Dame, con l’immancabile croissant, la Senna, gli artisti di strada con le loro opere dal fascino particolare, probabilmente è più facile farlo che dirlo. E’ un viaggio comodo, basta alzarsi di buona mattina, imbarcarsi sull’aereo che in un’ora e mezzo arriva a Parigi, prendere il treno nella stazione sotto l’aeroporto, et voilà le jeux sont fait, ma la storia è un’altra… Facciamo un passo indietro, estate 2001 io e la mia compagna Rita non abbiamo molte ferie per intraprendere lunghi viaggi in paesi lontani, con una settimana a disposizione decidiamo di visitare la grande mela, the big apple, meglio conosciuta come NYC.

Il piano di volo ci lascia un piccolo margine di tempo al cambio di vettore al Charles de Gaulle lo scalo parigino, per ammazzare il tempo, l’unica alternativa percorribile con l’adrenalina che abbiamo in corpo per l’imminente avverarsi del “sogno americano” è una toccata e fuga alla vecchia capitale.

Raggiungiamo l’imponente cattedrale simbolo della città e ci sediamo ai tavolini di un elegante cafè respirando avidamente la magica atmosfera del luogo. Notre Dame è immersa nel verde dei colori estivi e risulta ancora più bella della prima volta che l’ho vista. Il tempo passa velocemente parlando della storia, dei fasti antichi, di niente… Ritorniamo all’aeroporto dove ci attende un’estenuante attesa per l’imbarco, una volta che siamo in abbondante anticipo, non poteva che ritardare il volo del boing 747. 747 come 7 sono le ore che ha dormito ininterrottamente Rita durante la traversata oceanica. America, l’impatto è nudo e crudo, non c’è un ufficio informazioni, non capiamo il funzionamento della scheda telefonica pre-pagata, la fauna locale è preoccupante. Decidiamo di prendere il primo taxi con direzione Manhattan, NYC e lasciar fare al caso.

Come prima impressione sembra di essere in un paese di fascia sub tropicale del terzo mondo, ed anche giunti sull’isola di Manhattan nel quartiere Chelsee, l’idea non cambia.

Piccoli bar on the road, odori variegati, confusione esponenziale, clima caldo umido, mescolanza di razze, “ma dove siamo finiti?” Abbastanza agevolmente troviamo una buona sistemazione, o almeno secondo gli standard di un detenuto di Alcatraz, al Chelsee hostal d’altronde per le nostre finanze e l’unica alternativa percorribile.

La nostra stanza è arredata in modo funzionale con un letto, un lavandino e un “armadio” multi funzione di cemento, il bagno è al piano, e all’interno c’è una piccola area cortiliva per pranzare.

Come prima sera, per mantenere la tradizione dei nostri viaggi, puntiamo a un locale messicano citato anche nella guida, le porzioni sono meno abbondanti di quelle di certi paesi del nord Europa e possiamo andare a letto leggeri. C’è spazio per un ultima vasca nella via principale per vedere le tendenze americane, ma più che tendenze mi sembrano molto pendenze come il remake della pubblicità delle cicles con il biondino e il bestione.

12/09/2001 E’ la prima mattina in America, la giornata si presenta cupa, il cielo è coperto da dense nubi e minaccia pioggia. Ci dirigiamo verso l’up town passando a fianco del mitico Madison Square Garden, tempio del basket e della boxe memoria di storici eventi sportivi. I grattacieli non sembrano tanto alti, ma è solo perché sono coperti dalle nuvole, siamo alla ricerca di un bar dove poter fare colazione, ma un violento rovescio ci sorprende. Troviamo frettolosamente riparo dentro un McDonald’s. Il menu offre una scelta incredibile, proviamo il breakfast, “eccezionale!”, uova, salsiccia, una specie di crescenza, pankake con burro e succo d’acero e per finire mega mc cappuccino, “yeah!” Il tour prosegue con il Rockfeller center dove approfittiamo di un wc di servizio. Visioniamo velocemente la suggestiva chiesa di san Patrik distinguersi tra alti grattacieli, e proseguiamo verso il Cruiser building, 320 metri di bellissima art deco, come dice la giuda.

L’escursione è resa molto dura da una miriade di negozi che calamitano all’interno Rita. La cima del Cruiser è nascosta dalle nubi, perciò proseguiamo verso il palazzo dell’ONU situato sull’estriver di fronte al mare. Troviamo la spinta per entrare nel luogo dove i potenti decidono le sorti del pianeta, si percepisce un atmosfera solenne, anche un po’ d’emozione traspare, ma la coda per il giro guidato è eccessiva decidiamo di ritornare al Rockfeller per un piccolo break. Individuare un bar non è semplice come in Italy dobbiamo camminare per altre tre avenue, tra l’altro occupate da file di bancarelle prima di scovare un piccolo locale. Ci togliamo la voglia del muffin, una “ciambellina” grande come un panettone e svuotiamo il portafogli sul bancone, (Per due bevande e due paste, 40.000 lire).

Pianificata la passerella nella via delle grandi firme, raggiungiamo la quinta avenue e come si dice in termine ciclistico, partiamo all’attacco del tappone più duro. Vengono visionati in sequenza DKNY, CK, BARNEY, HERMES, ARMANI, VALENTINO prima di una sosta fisiologica in un ristorante di Madison avenue, per poi ricominciare con KENZO, MAX MARA, VERSACE, prima di invertire la rotta per rientrare alla base costeggiando il mitico Central park. Da notare che adesso siamo alla 71° street e il nostro ostello è alla 20°, se aggiungiamo parecchie avenue potremmo veramente affermare che “ne vien una gamba, si una gamba di legno”.

A New York non c’è tempo di pensare alla strada fatta, perché tanta è ancora quella da fare. In fondo a Central park sulla 5° ecco comparire la sagoma di uno dei più famosi hotel del mondo, il Plaza. Quanti film, quante storie d’amore, sembra di conoscerlo da sempre, un susseguirsi infinito di deja vu. Davanti al plaza si erge maestoso il Trump tower un imponente grattacielo caratteristico per una cascata alta sei piani sita al suo interno. Visitiamo anche il Fao Schwartz il più massacrante negozio di giocattoli che abbia mai visto, non osiamo pensare a come potrebbe essere a natale quando una promessa è una promessa (film USA con Arnold Swarzenegger). Con un buon compromesso infra nos decidiamo di galoppare fino alla 34° dove c’è Macy’s, il più grande magazzino del mondo per la gioia di Rita e l’Empire State Building per la mia esaltazione.

Sono entrambi obiettivi grandiosi, ma il detto di quella maglietta molto in voga, “barcollo ma non crollo”, sta per venire clamorosamente meno. Dopo una fugace visita al pianoterra di Macy’s e due foto all’Empire rientriamo stremati al nostro “nido”. Non è ancora il tempo per la maratona, ma l’allenamento oggi sicuramente l’abbiamo fatto. Finalmente è il momento del meritato relax, dobbiamo però fare i conti con il caldo al limite del sopportabile che staziona nella nostra camera costringendoci a riposare con la porta aperta per sperare in un po’ di corrente.

Ci riprendiamo verso le 22.00 e usciamo per la cena, scegliamo un locale dall’aspetto tipicamente americano dal nome e tematiche spaziali “ galaxy 2”. Optiamo per un panino di “carnazza” con patatine fritte in puro stile USA. Se le torri gemelle sono i grattacieli più alti del mondo, se Macy’s è il magazzino più grande del mondo, sicuramente questo è il panino più farcito del mondo.

Tanta carne così io non la mangio nell’arco di un anno.

Inevitabile l’epilogo, tutti a letto ostaggi di una mega digestione.

13/08/2001 Ci svegliamo presto complice il fuso e la luce che entra dalla finestra rigorosamente senza scuri e imbastiamo un programma soft comprendente visione del Nike town e del Levi’s store poi svago e curiosità al MO.MA. Museo di arte moderna. Partiamo determinati verso il locale della sera prima e ordiniamo una colazione tipicamente americana. Finalmente un breakfast come quelli dei film con la cameriera sempre pronta a riempire la tazza di caffè, pankeke eccezionali e uova in abbondanza.

Gli impegni tranquilli della giornata ci permettono di evadere complicate formalità burocratiche la cui risoluzione dona nuova carica al nostro spirito.

Apprendiamo l’uso della carta telefonica e acquistiamo le tessere per il metrò, molto conveniente l’abbonamento settimanale e ci dirigiamo verso la 59° street fermata Columbus dove troneggia la statua di Cristoforo Colombo all’entrata sud di Central park. C’incamminiamo orizzontalmente per avenue e incontriamo i mitici locali Hard rock caffè, dove rimembriamo la sera che ci siamo addormentati a Cancun nel mezzo di uno scatenato concerto e Planet holliwood.

Veniamo attratti da una forza magnetica dentro allo Swatch store e al Levi’s store intravedendo eccezionali businnes futuri. L’edificio successivo è il palazzo del Nike town 7 piani di negozio con mega schermo centrale per spot e intrattenimenti. Camminando per un’altra avenue ci troviamo davanti al MO.MA. Il museo di arte moderna ed entriamo d’istinto attratti dalla fama. Il primo piano passa tra i “Mirò”, i “Picasso” e atre opere di pittori a me meno conosciuti. Il secondo piano con i progetti delle case di Berlino e troppo “avanti” per noi, decidiamo di ritornare on the street vagando un po’ qua e in là senza una meta precisa.

Entriamo per una sosta in un parco artificiale creato nel collegamento tra due edifici in una specie di serra. Fuori regna il caos, rumori, macchine, mentre all’interno sotto una sorta di cupola di vetro tra tavolini e alberi cantano gli uccellini che in principio pensavo fossero finti. Dopo una bibita in quel posto idilliaco visioniamo un altro incredibile negozio, il Sony center perdendoci tra l’avanguardia della tecnologia. Rientriamo nella nostra zona dove optiamo per un aperitivo da Nisos un locale greco molto carino dove ordiniamo un vodka martini. Del martini c’è solo l’odore mentre di wodka una quantità industriale. Sull’onda dell’entusiasmo decidiamo di darci due nomi americani, dont’ walk per me perché girando costantemente con gli occhi all’insù alla ricerca della cima dei grattaceli, non guardo i semafori, e one way per Rita perché ad ogni incrocio che ci fermavamo per controllare la posizione lei diceva sempre “se questa è la prima strada dobbiamo andare…” ma non centra niente perché one way vuol dire senso unico.

Da quel goliardico momento alla branda il passo è breve, saltiamo la cena a piedi pari.

14/08/2001 Ci svegliamo molto affamati ci dirigiamo verso il Green village scegliendo di scendere alla fermata successiva al confine con Tribeca, c’è una via piena di bar molto caratteristici e lontani dai nostri canoni. La gente entra con la bicicletta a far colazione. Scegliamo il menu più americano e prendendo due strade diametralmente diverse, dolce per me, e salato per one way, come sempre lei non sbaglia mai. Imbocchiamo la 42° street per andare alla volta del circle line per il giro in battello dell’isola di Manhattan. Approfittiamo di un McDonald’s per l’uso della toilette, poi ci appuntiamo un ristorante per la sera, il Mars 2012. Camminiamo per lunghe avenue fino alla costa dove ci attende l’imbarco per il giro dell’isola. Decidiamo per il mezzo tour per ottimizzare gli orari, ma forse alla fine è l’opzione migliore, perché tre ore sotto un sole che “ciocca” di brutto sono più che sufficienti. Si parte con lo scatto selvaggio, non c’è persona sull’imbarcazione che abbia meno di una macchina fotografica. L’Empire State Building è la prima “preda”, poi appaiono imponenti le torri gemelle con il financial center, e subito dopo senza lasciare un attimo di respiro, la statua della libertà, che non mi godo pienamente dalla foga di scattare delle foto. Per fortuna domani torniamo, perciò nessun problema e grande concentrazione per il ponte di Brooklyn tante volte visto nei film, nella pubblicità e nei sogni. E’ veramente fantastico con la sua struttura in pietra in stile gotico. Il tour prevede anche la parte destra dell’isola con il palazzo dell’ONU e il Cruiser building, già visionati da terra il primo giorno. Dopo queste ultime icone mondiali il battello si gira su se stesso per far ritorno alla base. Finalmente mi posso godere lo skyline della downtown con i 411 metri del World Trade Center a svettare più in alto di tutti.

Il sole non da tregua ci sediamo per rifiatare un momento. Raggiungiamo il porto leggermente cotti ma nuovi stimoli ci attendono passo dopo passo. Nel tragitto di rientro verso la zona servita dal metrò visioniamo un centro diving e un negozio di articoli militari. C’è la determinazione per l’ascesa all’Empire State Building quindi sosta alla 34° e avanti dentro al mito. Purtroppo la fila è chilometrica e scoraggerebbe chiunque, meglio rinunciare e riprovare alla mattina presto. Un buon mc qualcosa rinfrancherà lo spirito. La stanchezza accumulata il primo giorno si accusa ancora, rientriamo all’ostello per riposare e sorseggiare una birra nel cortile con gli studenti prima di un po’ di relax ante cena. Usciamo verso le 22,00 e scendiamo nel metrò dove fatichiamo a comunicare con un cassiere pignolo per fortuna una signora molto gentile ci indirizza nella giusta direzione. Time square appare come un esplosione di luci come nei film di fantascienza, la scelta del nostro locale Mars 2012 è quindi perfettamente azzeccata. All’entrata ci danno una carta d’imbarco per marte, e ci fanno accomodare in un modulo d’astronave, si vive il viaggio virtuale con scossoni della cabina e si giunge ad una ricostruzione del pianeta rosso molto simile al film atto di forza con Arnold Swarzenegger. Camerieri e menu sono a tema, la scelta è varia, dal greco al texano, passiamo una piacevole serata ma poi dobbiamo raggiungere l’uscita al più presto perché ci sono rimaste solamente due monetine per la mancia e il contesto sembra a rischio figuraccia. Ci buttiamo nella mischia della notte newyorkese, dai tombini escono colonne di vapore come nel film 1997 fuga da New York con il mitico Yena Pliskin interpretato da Kurt Rossel, i mega schermi impazzano ogni dove, camminiamo tranquilli, lo sguardo svaria a destra e a sinistra dalle quotazioni della borsa del nasdaq ai notiziari sportivi.

Perdiamo di vista la fermata per il rientro, perciò dobbiamo procedere ulteriormente, diciamo per restare in allenamento. Anche di notte ore 12,30 –1,00 il metrò ha un aspetto rassicurante quindi rientriamo all’ostello senza problemi. Cerchiamo anche un bar per un drink finale, ma i pub sono già tutti chiusi. Ripieghiamo inevitabilmente in branda dopo il consueto salto al supermercato aperto 24 su 24.

15/08/2001 E’ il grande giorno, ci svegliamo di buon ora, si percepisce nell’aria una sorta di eccitante elettricità. Oggi il programma prevede la visita della statua della libertà, una delle immagini più famose del pianeta, un giro a wall street, il cuore economico del mondo, e la visita alle torri gemelle le più alte del globo, più altre sorprese ancora. Adesso non c’è Nisida davanti agli occhi, ma New York caro Bennato. Prendiamo il metrò fino all’ultima fermata, la South ferry e ci addentriamo per down town per fare colazione ed aumentare la “potenza” fotografica. Notiamo immediatamente molta più frenesia, e un particolare curioso attira la nostra attenzione, tutte le donne hanno le scarpe da tennis come nel film “donne in carriera” con Melanie Griffith. Dopo la solita dose esagerata di caffè io e one way partiamo per il tour, acquistiamo il biglietto al Castle Clinton e ci imbarchiamo sul traghetto senza aspettare un solo minuto in fila. (Questo è già un buon indice per guardare con ottimismo al proseguo della giornata). Il tragitto per l’isola è breve e la statua è proprio very, very bellissima. Iniziamo la visita del monumento inquadrandolo da tutte le angolazioni possibili, salire è impossibile, occorrerebbe un giorno di attesa in coda. Comunque le sensazioni da terra sono egualmente eccezionali con lo sfondo di Manhattan da una parte e la sagoma della “libertà” dall’altra quasi a simboleggiare una sottile metafora. Proseguiamo il nostro giro verso Ellis island entrando dalla stessa porta dove milioni di persone hanno varcato la soglia per iniziare la loro avventura nel nuovo mondo. Molto suggestiva la sala al primo piano ancora capace di trasmettere forti emozioni.

Ritorniamo a down town dove testiamo un burger king ma solo a livello NAS. Ci dirigiamo verso wall street dove con sorpresa notiamo che tra i manager, i “macchinoni”, impiegati, ci sono anche bancarelle di “ciofeche”, venditori ambulanti, fast food on the road, insomma non è come uno se lo aspetta, Il NYSE New York Stock Exange, la borsa più importante del mondo in quel suo edificio in stile greco romano qualche vibrazione la trasmette. Per non rovinare la dieta troviamo un buon McDonald’s e testiamo altri panini. Altra curiosità che in tutti locali visionati attorno a wall street servivano insalate di ogni genere, dai mille tipi preconfezionati a quelle su ordinazione. Caratteristici anche i piccoli parchi con panchine dove centinaia di persone consumano il loro pasto nella pausa pranzo. Dopo il pieno di mc carburante ripartiamo alla volta del WTC il cuore finanziario del mondo. Nel frattempo prendiamo anche il biglietto per visitare l’interno della borsa e se non fosse perché è gratuito e se non fosse per quel detto “io c’ero” se ne potrebbe tranquillamente fare a meno. Imbocchiamo una via piena di bancarelle fino a Trinity church poi attraversiamo un parchetto fino alla visione delle mitiche twin towers, le torri gemelle che vengono fotografate in tutte le possibili combinazioni, singole, in coppia, in coppia con luce, o senza luce in mezzo, come, parlando col senno di poi, fosse l’ultima occasione di ammirarle imponenti toccare il cielo. (11/09/01 le torri gemelle sono state drammaticamente cancellate dalla terra). Esaurita la visita alla borsa di wall street passata più in fila che altro, torniamo al World Trade per prendere il metrò ed andare in zona Chelsea. Sotto le torri vi sono numerosi negozi che attirano l’attenzioni di one way. Optiamo poi per un aperitivo da Nisos il greco, per festeggiare la splendida giornata. L’euforia è alle stelle tanto che bissiamo il super coktail di absolute wodka. One way è veramente ai massimi livelli, tanto che al ritorno da un pit stop in bagno la ritrovo impegnata in una vivace conversazione con la vicina di bancone, e non so in che lingua stavano parlando, però sembrava capirsi benissimo. Dopo altre quattro chiacchiere si ripiega nel giardino dell’ostello. Da lì alla branda il passo è breve e il primo “a letto senza cena” è inevitabile. Verso le due di notte però l’arsura è insopportabile e mi tocca scendere in strada per far rifornimento di liquidi al supermarket.

16/08/2001 Il giorno dopo i bagordi è sempre meno grintoso dei precedenti, ma la vista dell’Empire State Building è sufficiente ad innalzare lo spirito a buoni livelli. Alle 8.00 con biglietteria ancora chiusa la fila è già robusta, ma a confronto di quella degli altri tentativi viene giudicata fattibile. Saluto one way diretta da Macy’s lasciandola in balia di tutti quei negozi col timore di quello che potenzialmente potrebbe comprare e mi appresto rispettoso all’ascesa del grattacielo più famoso del mondo. Non l’ho cronometrato ma credo che per i primi 80 piani l’ascensore abbia impiegato meno di un minuto, poi con un altro ascensore si raggiunge la cima, e una certa soddisfazione sazia lo spirito. Mi gusto in tranquillità il panorama che spazia da down town fino a Central park, la nostra prossima meta. Mi rimetto in moto per riunirmi con il mio amore. Al primo sguardo mi appare provata e non euforica come mi aspettavo, d’altronde l’hanno sempre detto che troppa aria condizionata fa male. Ci dirigiamo verso Central park sostando in un buon mc per colazione e imbastire un pic nic nel grande parco. Camminiamo in lungo e in largo per sentieri che salgono e scendono le colline artificiali dell’area. Immersi nel verde ci estraniamo talmente dalla megalopoli circostante che trovato un angolo tranquillo, il mc pic nic e la “gabanella” pomeridiana si conquistano un posto di merito nella classifica delle cose indimenticabili.

Dopo due ore di relax proseguiamo verso il Metropolitan museum, incontrando laghetti per romantici e laghetti per hobbisti, fino ad un obelisco egiziano incastonato nel verde segno inequivocabile che siamo arrivati. Optiamo per l’ala egiziana molto pregevole per il tempio di Dendur e l’ala moderna tra quadri e oggetti particolari. Rientriamo nel parco per raggiungere il famosissimo anello dove correva Dustin Hoffman nel film cult “il maratoneta”. Sono senza parole, vorrei correre scattare ed ancora correre, perché dopo aver visto varie volte il film adesso le immagini sono reali, e l’emozione è incontenibile. In questo luogo il footing è veramente un culto, tanto che anche le mamme con il passeggino viaggiano ad un ritmo ragguardevole (penso che farei fatica a tenere il passo). Dopo un altro po’ di giro in giro come avrebbe detto Crocodile Dandee ci rilassiamo in un immenso prato dove è molto in voga il baseball. Dopo aver recuperato energie siamo pronti per altri “film”: Little Italy e China Town. Raggiungiamo la fermata del metrò passando vicino a gruppi di persone impegnate in veri e propri picnic professionali. Questa americanata dona nuovo vigore alla nostra “esplorazione”. Giunti a Little Italy fatichiamo un po’ ad ambientarci, il luogo è proprio bruttino, tutti negozi sono chiusi, nulla balza agli occhi come particolare, e già compaiono le scritte in cinese. La guida avvertiva che China Town stava inglobando Little Italy, ma non pensavamo in modo così opprimente. Lo storico quartiere italiano appare agli occhi del turista come un’unica via identificata in Mulberry street dove la densità dei ristoranti di nostri connazionali e del 200 per 100. Girovagando tra le via di China-Italy come ribattezzerei il quartiere, c’è il primo grande acquisto di one way, due ciabatte, che a posteriori faranno la lingua lunga a parecchie persone, peccato non aver preso tutta la serie. Dopo una “vasca” in Mulberry street per convincersi che non è il caso di mangiare spaghetti, ricarichiamo le batterie con un buon “espresso”, poi vagando nel cuore della New York cinese arriva l’ora di cena e cresce la voglia per due ravioli al vapore. Dopo aver visionato vari locali, entriamo nel più orientale di tutti, cinese di Shangay per la precisione. Sono tutti tavoloni rotondi comuni, come nelle migliori tradizioni. La nostra tavolata è composta da un libanese che parlava l’italiano, una coppia, lei giapponese lui americano, e una famiglia cinese, per l’ordinazione si fa veramente dura, ma con l’aiuto del libanese che si spacciava per un esperto di ristoranti, riusciamo a ordinare dei buoni ravioli e un secondo generico, non chiedetemi cos’era. Il problema delle bacchette viene risolto dalla giapponese che ci fa pervenire un cucchiaio che utilizziamo per tutte le portate, si crea una piacevole ballotta. La serata passa velocemente, rimaniamo gli ultimi del tavolo e lasciamo una mancia al servizio come avevano fatto gli altri. Al momento di pagare il cassiere non pare accettare la mancia e sembra volerci correre dietro. Ma! I problemi di lingua sono sempre insidiosi. Da segnalare il biscotti della fortuna con proverbio finale come nei migliori film.

17/08/2001 Dopo una buona dormita siamo pronti per nuove avventure nella città dei mille volti. Partiamo con una abbondante colazione al Galaxy II per riequilibrare la dieta dopo la parentesi cinese della sera prima, poi raggiungiamo agevolmente il Green village, il quartiere universitario dove vaghiamo tra le viuzze guardando negozi e localini molto carini, giungiamo all’arco di Washington square che ricorda l’arc de trionfe francese, passando per un piccolo parco pieno di scoiattoli immerso in una tranquillità incredibile, turbata solo da qualche clochard ma anche per questa università vale il detto tutto il mondo è paese ricordando la zona universitaria di Bologna. Dopo le foto di rito tra gli edifici del campus ci spostiamo in un altro quartiere “Soho” e lo scenario cambia nuovamente. Si respira l’aria della tendenza massimale, la parola d’ordine e loft spazio aperto come arredamento, ci fermiamo un attimo alla birreria alpina per un breve momento di relax prima di affrontare una moltitudine di negozi dove one way ha già messo gli occhi passando da una “firma” all’altra. Incrociamo anche un set cinematografo dove fantastichiamo partecipare ad una puntata di friends la mitica serie televisiva. Ormai esperti del metrò ci trasferiamo da Soho a Lower Manhattan per l’appuntamento con il più filmato, il più famoso, il più romantico ponte del mondo. Il “Brooklyn bridge”. Giunti al Municipial building girovaghiamo alla ricerca di un locale per una sosta “tecnica” finché non troviamo un bar ristorante gestito da un italiano che ci accoglie a braccia aperte pur di scambiare quattro chiacchiere nella nostra lingua. Ripartiamo dopo il solito “caffettone” verso l’imbocco del ponte e varchiamo la soglia virtuale del sogno. Ci sono podisti che vanno avanti e indietro tra Brooklyn e Manhattan, ciclisti che viaggiano sicuri sulla pista a loro riservata e migliaia di auto che sfrecciano sotto i nostri piedi al livello inferiore. One way dopo una partenza sicura accusa una botta (che gotta, c’era anche Kaori ieri sera a China Town) di vertigine e deve fermarsi alla prima panchina. Può comunque gridare ai quattro venti “ io sono stata sopra al ponte di Brooklyn”. Con passo veloce mi avvio verso il centro del ponte e passate le gotiche arcate mi fermo un attimo a contemplare lo splendido panorama. Sono sicuro che se abitassi in questa città, questa visuale non smetterebbe mai di folgorarmi e rilassarmi al tempo stesso.

Raggiungo velocemente l’altra sponda per posare i piedi sul suolo di Brooklyn poi mi ricongiungo con one way per continuare li tour. Il programma originale prevedeva una visita a Coney Island sulla spiaggia dei guerrieri della notte, ma la lontananza ci spinge verso un altro pezzo da novanta, lo Yanky stadium il tempio del baseball nel temutissimo Bronx. Effettuiamo la telefonata per confermare i voli del ritorno poi saliamo sul metrò cin direzione Bronx. La distanza tra la punta sud dell’isola e il temutissimo quartiere è parecchia e più passa il tempo, più mi tornano alla mente tutti film violenti girati in quella zona di New York. Il panico inizia a crescere man mano che le fermate passano e soprattutto quando i binari si sdoppiano e lo Yanky stadium viene sorpassato senza fermate e ci si addentra nel cuore del Bronx. Cambia anche la gente che sale, gli incravattati della city sono rari, la maggioranza sono persone di colore tipo rapper. Sono psicologicamente ed anche esternamente terrorizzato, one way non sembra particolarmente tesa, forse non è influenzata dai film. Dopo parecchie fermate decidiamo di scendere per invertire la rotta e ritornare a Manhattan. Usciamo dal metrò e ci accingiamo ad attraversare la strada in punta di piedi per non dare nell’occhio. Notiamo immediatamente due agenti di polizia all’uscita e due all’entrata dall’altra parte della via. La prima impressione è rassicurante ma fa subito spazio ad una seconda di timore. L’attesa del metrò appare come una delle più lunghe di sempre, ma finalmente arriva e man mano che scorrono le fermate riprendo il mio colorito abbandonando quel bianco pallido che mi mascherava. Ringalluzziti dalla ritrovata tranquillità decidiamo di scendere da Harlem per dare un occhiata al rinnovamento sbandierato dalla guida. Probabilmente c’è rimasta della tensione da prima, sento gli occhi di tutti addosso, mi sembra di essere la classica mosca bianca, decidiamo di aumentare il passo per raggiungere al più presto la punta nord di Central park immediatamente fuori dai confini di Harlem.

Nuovamente l’atmosfera torna tranquilla, optiamo per una sosta in riva ad un laghetto incastonato nel verde del parco e ritroviamo suggestioni da favola. Finalmente il lungo peregrinare è giunto alla fine e ci concediamo su consenso unanime un buon aperitivo da Nisos. Durante il tragitto ci fermiamo anche in un magazzino di grandi firme letteralmente preso d’assalto da una moltitudine di persone, peccato non aver capito l’entità della “bazza”. Dopo un breve momento di relax all’ormai familiare ostello siamo pronti per l’ultima sera nella grande mela. Ci dirigiamo a Time Square dove il solito sfavillio di luci illumina la piazza. E’ affollata di persone che corrono frenetiche, forse per via del fine settimana, probabilmente è questa la City che ci aspettavamo, milioni di persone riverse sulle strade tra mega schermi, insegne e luci nel caos più pazzesco, ma per fortuna non è quella che abbiamo scoperto nei giorni precedenti, più umana, a misura d’uomo.

Abbiamo ancora la forza per visitare un negozio della Walt Disney con Harry Potter in ogni dove padrone della scena. Ci mettiamo in moto per cercare un locale dove cenare, girovaghiamo in lungo e in largo la zona, alla fine decidiamo di entrare in un “Tex Mex” dove per non smentire la fama dei locali messicani all’estero consumiamo una robusta cena. Il ristorante è molto carino, ma la digestione inizia a operare, perciò ci rituffiamo tra lo sfavillio di luci di neon colorati di Time square prima di addormentarci.

18/08/2001 E’ l’ultimo giorno, ma ci sono ancora energie sufficienti per un “Empire state e un Macys”, colazioniamo in un fast bar sperando anche stavolta nel burro di arachidi, ma dobbiamo accontentarci del solito pankake con succo d’acero e del solito muffin accompagnati dalla consueta dose di caffè. Affrontiamo determinati Macy’s per gli ultimi tentativi di spesa di one way, che vengono coronati con l’acquisto di una borsetta Guess di super tendenza. All’uscita dal megastore dove comunque il dispendio di forze è sempre molto alto ci dissetiamo in un grazioso parchetto di dieci metri per dieci all’ombra dell’immancabile grattacielo. Sulla via del ritorno un’altra gradita sorpresa appare davanti ai nostri occhi, il flirt building, letteralmente il ferro da stiro, scattiamo le foto di rito poi con one way soddisfatta per l’acquisto e io elettrizzato dal flirto ci prepariamo al rientro in Italia.

All’aeroporto un senso di nostalgia pare già impadronirsi di noi, un senso di vuoto sembra strangolarci. Un inconveniente sui voli dell’air france ci dirotta a consumare dei buoni pasto al mc donald’s sito al piano superiore, e se si poteva esagerare per colmare il vuoto nello stomaco… abbiamo esagerato. Un volo infinito ci riporta nella vecchia Europa e tra mille traversie arriviamo in Italia dove già una domanda si pone, “quando torneremo a New York?” 11/09/2001 Sono in ufficio impegnato ad inserire dati contabili nel computer, la radio in sottofondo gracchia qualcosa, un edizione speciale, “un aereo si è schiantato contro il WTC”.

Mi fermo per un momento come impietrito, fatico a realizzare la portata dei fatti, poi mi scuoto, corro sul computer collegato a internet e mi collego all’ANSA.

“Le torri gemelle sono crollate, distrutte da un attentato terroristico, migliaia le vittime.” Rimango incredulo davanti allo schermo, sono sconvolto… Da quel momento il mondo non sarà più lo stesso.



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