New england – dutch country e nyc
Partiamo da casa puntuali alle 02:00. Il volo KLM parte dalla Malpensa alle 06:40 per Amsterdam e poi verso New Jork JFK. Nonostante il rientro a casa, dopo la festa, fosse avvenuto in un orario conveniente, siamo piuttosto stanchi, ma sappiamo bene che l’eccitazione da partenza è peggio della caffeina … All’aeroporto Schipol dobbiamo subire l’interrogatorio di routine relativo al bagaglio. Dopo l’11 settembre, come ci si può immaginare, c’è stato un inasprimento delle misure di sicurezza. In numerose occasioni il bagaglio a mano viene controllato e fatto passato sotto i raggi X ; noi siamo un po’ apprensivi soprattutto nei confronti nei nostri “preziosi” rullini fotografici. Il volo verso New York è molto tranquillo e dura circa 7 ore. Calcolando il fuso orario di – 6, arriviamo all’aeroporto JFK alle 13:30 circa. Inaspettatamente non c’è nessuna coda al controllo passaporti e così, in un batter d’occhio, ci ritroviamo al tapis roulant dei bagagli. Le valige arrivano tutte… tranne la mia. Comincio a preoccuparmi quando per molti giri ne rimane una uguale identica che nessuno ritira e che appartiene ad un certo Gomez di Siviglia. Sono nel panico e penso già alla vacanza rovinata per colpa di un cretino. Alex prende la situazione in pugno e comincia a guardarsi in giro; chiedendo qua e là scopriamo che il gruppo di spagnoli è appena uscito dalla zona bagagli… non so come ci sia riuscito, fatto sta che il mio maritino trova il famigerato Gomez ( con la mia valigia ) a pochi passi dal pullman che lo avrebbe portato a Toronto ! Andiamo all’autonoleggio dove abbiamo prenotato la macchina e troviamo dietro il bancone AVIS una tipa di bell’aspetto ma austera ( nemmeno l’estro comico di Alex è stato all’altezza di strapparle un sorriso! ) . Purtroppo non ci sono molte alternative sul tipo di auto, così optiamo per una nuovissima PONTIAC VIBE con un bagagliaio sufficientemente spazioso a contenere le 3 valige e lo zaino. Terminate le operazioni di stivaggio, lasciamo la zona aeroporto ed attraversiamo i quartieri periferici dai quali si intravede il profilo mutilato di Manhattan. Ci dirigiamo verso il New England. Il clima è caldo ed umido e questo ci coglie di sorpresa. La spossatezza non si fa ancora sentire, così facciamo gli eroi e cerchiamo di spingerci più a nord possibile. L’ideale sarebbe arrivare nei dintorni di New London o Mystic sulla mid-coast del Connecticut. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Niantic e ci sistemiamo al SLEEP INN MOTEL. Decidiamo di fermarci per due notti.
Prima di andare a coricarci, ceniamo da COSTANTINE’S sulla Main St. dove sperimentiamo le prime ondate gelide di aria condizionata e sorseggiamo l’acqua ghiacciata gentilmente offerta dalla deliziosa cameriera del locale. Il nostro grido di battaglia sarà, d’ora in avanti: “No ice, please”.
Welcome in America !
22 LUGLIO 2002 NIANTIC ( CT ) Oggi è il mio compleanno ( 33 ! ) .
Facciamo una buona colazione in hotel circondati da affamate famigliole extra-large… ma quanto ( e cosa ) mangiano questi americani ???? Ricevo anche un regalino da Ornella e Giuliano: che bella sorpresa ! Gli orecchini sono molto belli e li indosso subito.
Decidiamo di partire per Mystic, che si trova a pochi chilometri da dove ci troviamo.
E’ una bella cittadina sul mare, molto conosciuta per la fama dei suoi importanti cantieri navali e per la fervente attività marinara, quindi con l’immancabile porto e tanti negozi a tema. C’è anche un ponte levatoio che attrae la nostra attenzione proprio mentre si solleva per far passare un piccola flotta di splendidi velieri.
Facciamo una passeggiata in down-town e poi diamo un’occhiata al famoso Mystic Seaport. La visita richiederebbe un bel po’ di tempo, ma all’unanimità decidiamo di andare a vedere l’Aquarium di Mystic. Non è molto grande, ma ci divertiamo. La cosa che ci affascina maggiormente sono i beluga ( assomigliano ai delfini e sono bianchissimi ! ); per parecchio tempo rimaniamo dietro il vetro per ammirare i loro volteggi sott’acqua. Poi ci sono i leoni marini, i pinguini, gli squali e tante specie di esseri piccoli e piccolissimi come le meduse ed i crostacei. Dopo aver pranzato nel fast-food all’interno dell’ Aquarium, facciamo un ultimo giretto fino ad imbatterci in un laghetto con delle meravigliose ninfee che catturano il nostro interesse. Sono bellissime ! Un ultimo salutino ai beluga e poi via verso la prossima destinazione: Gillette Castle. Per chi non sa cos’è ( non è la fabbrica dei rasoi ) è la stravagante residenza progettate e costruita nel 1919 da William Hooker Gillette, il famoso attore che impersonò Sherlock Holmes. Per arrivare a East Haddam percorriamo una strada fra il bosco e le praterie, quindi il panorama non è un granchè; arrivati a destinazione troviamo il castello chiuso ( forse a causa dei lavori di ristrutturazione ), quindi non ci resta che goderci il bel panorama sul Connecticut River e scattare qualche fotografia.
Sulla strada del ritorno ammiriamo ancora le belle case bianche in stile inglese con giardino curatissimo e l’immancabile bandiera stelle e strisce davanti al portone di ingresso. Facciamo poi una capatina su una bella spiaggia sabbiosa. Tira un fresco venticello così, dopo la passeggiata di rito e ricolmati i polmoni di aria salmastra, facciamo rientro in motel. Per cena, ci facciamo una pizza da ILLIANO’S ( un simpatica pizzeria di fronte al nostro hotel ) e poi a dormire.
23 LUGLIO 2002 NIANTIC ( CT ) – HYANNIS ( MA ) Fatta colazione e caricati i bagagli, partiamo per raggiungere la nostra prossima destinazione: Cape Cod.
Decidiamo però di fare una sosta a Newport ( RHODE ISLAND ) e dopo un’oretta di macchina ( I-95 e la 138 ) raggiungiamo questa famosa cittadina sul mare. Fondata nel 1639, grazie alla sua posizione favorevole divenne ben presto uno dei maggiori porti marittimi. Una curiosità: i capitani, al ritorno da lunghi viaggi per indicare il loro ritorno a casa, ponevano un ananas di fronte all’ingresso della loro casa. Oggi, a Newport, questo frutto è il simbolo di benvenuto ai visitatori.
A Newport negli anni ’30 iniziarono anche le prime gare della celebre America’s Cup. Parcheggiata l’auto al sicuro ( è stipata di bagagli ! ), cominciamo il nostro giretto a piedi. Thames St. È deliziosa e pullula di gente. Il “cuore” di questa cittadina è rappresentato dalla zona portuale: il Bowen’s Wharf. Praticamente passiamo qui la maggior parte del tempo per fotografare i bei scorci che il panorama offre e per ammirare i splendidi velieri che attraccano o che sono pronti a salpare. Giunge velocemente l’ora di pranzo. Ci facciamo sedurre da un coupon distribuito in strada ed andiamo a mangiare nel ristorante pubblicizzato: rimaniamo un po’ perplessi per il tipo di locale ( buio ed al piano interrato ), poi ci accorgiamo che siamo gli unici clienti… Il cibo è comunque di nostro gradimento e rimaniamo ugualmente soddisfatti.
Un ultimo giretto a piedi e poi ripartiamo in macchina. Prima di lasciare Newport, facciamo la “scenic road” segnalata dalla guida e che ci conduce ad ammirare, solo dalla strada, le dimore più lussuose e le ville appartenute un tempo a famiglie celebri come i Vanderbilt ed oggi trasformate in musei con ingresso a pagamento.
Lasciamo così definitivamente il Rhode Island e puntiamo verso il Massachussetts. Cape Cod è una lunga penisola a forma di uncino famosa per essere la meta estiva di bostoniani e newyorkesi più o meno famosi ( Nel luglio 1999 John Kennedy Jr. precipitò con il suo aereo proprio qui, nelle acque vicino a Martha’s Vineyard ).
Arrivati a Hyannis, ci sistemiamo in motel e, visto l’orario, ci prepariamo per uscire a cena. Una gustosa pizza in un pub del centro e poi a dormire. Oggi il cielo è plumbeo e minaccioso; speriamo che domani sia una splendida giornata di sole.
24 LUGLIO 2002 NANTUCKET IS. ( MA ) Che brutta giornata quella di oggi e fa pure freddo ! Lasciamo l’hotel e ci dirigiamo verso Hyannis Port. Facciamo colazione in un caffè sulla via principale. La scelta del posto non è casuale: il bar è ovviamente gestito da qualche nostro connazionale ed ovunque è esposta pasticceria di produzione italiana ( Ferrero, Granturchese, Colussi… ). Dopo un’abbuffata di cappuccini e brioches ci avviamo verso il porto: il nostro traghetto per Nantucket parte fra mezz’ora e così prendiamo posto a bordo. Tira un vento freddissimo e decidiamo di stare “sotto coperta”. La traversata dura poco meno di 2 ore, durante le quali ci si distrae ammirando il bel panorama marino e scattando fotografie. Giunti a Nantucket rimaniamo subito affascinati per il bellissimo aspetto della cittadina. Il clima non è per nulla favorevole e l’umidità è elevatissima… Alex fa subito un acquisto: una giacca cerata gialla ( da marinaio ) per proteggersi dalle fredde sferzate del vento. Trascorriamo tutta la giornata a passeggiare per Nantucket : questo posto è molto attraente e romantico.
Camminare per le viuzze del centro è a dir poco delizioso poi, qua e là, curiosiamo nei piccoli negozi di artigianato e antichità ( Ornella sta cercando una di quelle papere intagliate nel legno ); nonostante varie “perlustrazioni” nelle numerose botteghe si non riesce a trovare nulla di simile a quello che aveva in mente e così si lascia perdere … Ora è presto tempo di pranzare. Con sommo dispiacere notiamo solo adesso che i ristoranti/bar non sono così numerosi come lo sono i negozi di souvenir… oltretutto ci sono molti turisti ! Dopo un’affannosa ricerca, decidiamo di fare la fila nell’unico locale che presenta un menù allettante. Venti minuti più tardi ci assegnano un bel tavolo rotondo: ora siamo felici e più rilassati.
Nel primo pomeriggio il cielo si schiarisce un pochino e lascia passare qualche timido raggio di sole. Trascorriamo così le ultime ore a Nantucket a passeggiare pigramente sul molo ad osservare il fervore della vita portuale e ad ammirare le splendide imbarcazioni ormeggiate.
Alle 17:00 ripartiamo per Hyannis; questa volta le dimensioni del traghetto sono più modeste e i passeggeri sono molto meno rispetto al viaggio di andata. Ci sono numerosi posti liberi e così, vista la stanchezza, ce ne appropriamo con lo scopo sdraiarci e riposare; solo Alex rimane insonne e veglia su di noi… Giunti a destinazione, decidiamo di andare direttamente a cena e questa volta optiamo per il ristorante SCHOONERS. Scopriamo che il locale è stato inaugurato poche settimane fa ed è per questa ragione che la clientela scarseggia. L’aria desolata del posto è rallegrata da un bravissimo cantante ( e musicista ) con il quale, fra un pezzo e l’altro, scambiamo qualche battuta; le pietanze ordinate sono di nostro gradimento e la posizione del nostro tavolo è in posizione strategica proprio vicino alla vetrata che dà sulla Main St. E a quell’ora è percorsa da molti passanti : tutto ciò contribuisce a rendere la nostra serata particolarmente piacevole e lieta, insomma da ricordare ! Vista l’oscurità e lo scarso senso di orientamento, fatichiamo non poco nel trovare la strada del ritorno; finalmente dopo un lungo pellegrinare per Hyannis intravediamo l’insegna al neon del nostro motel… siamo stanchissimi e non vediamo l’ora di andare a dormire.
25 LUGLIO 2002 HYANNIS – PROVINCETOWN ( MA ) Liberiamo la stanza e salutiamo il grasso proprietario del motel accompagnato dal suo inseparabile cane con criniera alla Lion King. Facciamo colazione nello stesso caffè di ieri mattina e ripartiamo per Provincetown, che si trova all’estremità settentrionale di Cape Cod. Facciamo una sosta a Chatham per ammirare lo splendido panorama costiero e poi puntiamo verso nord. Lungo la strada proviamo a deviare verso la famosa Nauset Beach, acclamata località presente su tutti gli opuscoli turistici. Con nostro profondo dispiacere, arrivati alla spiaggia, ci troviamo di fronte ad un “posto di blocco” con tanto di sbarra abbassata; sembra una dogana con relativo pedaggio da pagare. Il posto sarà pure bello, ma decidiamo di ritornare sui nostri passi e proseguire sulla Route 1.
Giungiamo a P-town in tarda mattinata. Cerchiamo un posto dove dormire e lo troviamo dopo numerosi tentativi: non che non ci fossero stanze libere ma i prezzi sono alle stelle ! La nostra intenzione è quella di andare a vedere le balene. In città ci informiamo sulle escursioni e decidiamo di prenotarci per l’uscita delle 17:00; abbiamo così tutto il tempo di andare a pranzo e di visitare la città. Oggi la temperatura è più calda; speriamo che il mio tremendo torcicollo mi passi velocemente… Ci imbarchiamo per primi ( a giudicare dalle espressioni dei turisti appena scesi, sembra che non abbiamo avvistato quello che speravano ). Il battello è zeppo di “avventurieri” che, come noi, non vedono l’ora di ammirare i maestosi cetacei … Dopo circa una mezz’oretta di navigazione, l’imbarcazione accelera improvvisamente facendo respirare, al nostro gruppetto posizionato a poppa, il denso fumo nero dei motori. Di lì a poco comprendiamo il perché che questa manovra improvvisa … A qualche centinaio di metri da noi si vede uno sbruffo d’acqua e poi un dorso liscio e lucido. Che bello, ecco una balena ! I nostri sguardi cercano altri movimenti all’orizzonte e li trovano, peccato che siano troppo lontani. Il battello avvista di nuovo qualcosa ed accelera nuovamente per avvicinarsi; anche questa volta riusciamo ad intravedere qualcosa che assomiglia ad una pinna … credo che il troppo rumore dei motori le spaventi ! Abbandoniamo questa zona e ritorniamo indietro verso il porto do P-Town. Il sole sta calando e così anche la temperatura. Il freddo penetrante e l’aria irrespirabile e poco salubre renderanno il tragitto molto gravoso. Per scaldarmi e per tirarmi su il morale mi bevo una buonissima cioccolata, ma non sarà sufficiente… Stanchi e affamati sbarchiamo. L’avventura di oggi, nonostante tutto, ci rimarrà impressa nella memoria; il “contatto” ravvicinato con le balene rientrerà a far parte delle più straordinarie esperienze naturalistiche fin qui provate. Prima di andare a riposare, ci fermiamo a cenare in un ristorante molto carino NAPI’S. Qui mangiamo discretamente; Alex fa la sua prima “degustazione” di aragosta del New England e ne rimane piacevolmente deliziato. Ritorniamo in hotel e ce ne andiamo a riposare felici e contenti.
26 LUGLIO 2002 PROVINCETOWN – BOSTON ( MA ) Anche questa mattina ci alziamo presto. Ricarichiamo per l’ennesima volta i bagagli e partiamo. Oggi lasceremo la penisola “ad uncino”, non prima però di aver dato un’occhiata alla Cape Cod National Seashore. Troveremo però difficile trovare un accesso alla costa… non ci sono indicazioni specifiche, così andiamo a casaccio. Giungiamo ad un parcheggio che sovrasta la spiaggia lunga e sabbiosa che tanto avevamo ammirato sulle guide fotografiche del Massachussetts; l’estasi per il panorama dura poco: un tipo, dopo aver controllato la nostra auto, ci avverte che non avendo il permesso per rimanere lì, ce ne dobbiamo andare alla svelta – pena una salatissima multa ! -. Riusciamo così a fotografare qualche scorcio ed, a malincuore, abbandoniamo questo paradiso di pace e tranquillità.
Ci consoliamo facendo una ricca colazione in un ristorante lungo la strada principale. Percorriamo la 6, facciamo tappa a Rock Harbor per una breve sosta, e poi imbocchiamo la 6A: altra via panoramica sulla baia. Ci gustiamo gli ultimi bei paesaggi costieri ed usciamo definitivamente da Cape Cod. – p.S. Da non confondere con Cabot Cove – la cittadina di Jessica Fletcher in LA SIGNORA IN GIALLO ! -.
La nostra destinazione finale è la città di Boston. Prima di arrivarci facciamo una sosta con visita alla Plimoth Plantation. Un vero e proprio villaggio con capanne, orti e recinti per animali a rappresentazione dello stile di vita condotto dai pellegrini sbarcati nel 1627, anno in cui arrivarono dall’Europa a bordo della MayFlower. Ci sono anche degli attori con abiti dell’epoca che “vivono” e “lavorano” nel villaggio. C’è anche un museo ed un ristorante, dove prontamente ci rifocilliamo con hamburgers e french fries. A parte per quest’ultima attività, Plimoth Plantation si rivela una vera e propria fregatura, a partire dal costo del biglietto di ingresso: $ 20 a testa.
Scocciati per l’assurda spesa, risaliamo in auto: ora la nostra destinazione è Boston. Dopo non poche difficoltà, troviamo una stanza al ECONO LODGE di Malden, un sobborgo a nord della città; che, oltre al buon prezzo, dista poco più di 15 minuti da down-town. E’ già pomeriggio inoltrato così, dopo una bella doccia, ci rilassiamo facendo un po’ di zapping televisivo. Quando arriva l’ora di cena, non ci accontentiamo di andare nel locale a due passi dall’hotel, ma ci avventuriamo in auto alla ricerca di qualcosa di più invitante; dopo un infinito girovagare, ci imbattiamo in un ristorantino dal nome vagamente italiano. La scelta si rivelerà un disastro e la nostra digestione ne risentirà per tutta la notte…
27 LUGLIO 2002 BOSTON ( MA ) Sabato. Ci alziamo abbastanza di buonora; trascorreremo l’intera giornata a visitare la città di Boston. Peccato per il tempo: il cielo è coperto e non promette nulla di buono.
Arrivati in città e parcheggiata l’auto nei pressi del porto, iniziamo il nostro tour a piedi. Il primo impatto con Boston è con il quartiere italiano di North End. Lo si nota dalle insegne dei bar e dei ristoranti. Poi, entrati in una cafeteria per fare colazione, sentiamo numerose persone che si scambiano battute nella nostra lingua ( e questa volta non sono turisti ! ); sembra di essere in uno di quei bar di paese dove tutti si conoscono… Da qui in poi seguiremo il famoso FREEDOM TRAIL, un percorso che ci porta attraverso i tre secoli della storia coloniale e rivoluzionaria di Boston; l’itinerario da seguire è contrassegnato da una linea rossa sui marciapiedi che conduce ai vari punti di interesse come: la State House, Park Street Church and Granary Buryng Ground ( cimitero ), Old Corner BookStore, Old State House, Quincy Market e il Faneuil Hall,… Il cielo è grigio cupo e fa freddo/umido, speriamo che non piova ! Giungiamo al Boston Common, un grande parco dove tanta gente si rilassa, passeggia oppure gioca con i bambini; è sabato e c’è anche un concerto di musica classica. Dopo aver anche noi approfittato di questa piacevole atmosfera ( seduti su un muretto nei pressi della fontana chiamata Frog Pond ), ci incamminiamo di nuovo; questa volta verso Beacon Hill.
Beacon Hill è l’elegante quartiere residenziale di Boston costruito attorno al 1800. E’ molto piacevole passeggiare fra le sue strette vie e, fra un sali-scendi e l’altro, si possono ammirare le stupende e ben conservate abitazioni. Ora ritorniamo a Quincy Market, il grande mercato coperto che in prima mattinata era chiuso. Con nostra sorpresa c’è una ressa spaventosa, ma entriamo ugualmente. Al suo interno si trovano molti ristoranti take-away che preparano qualsiasi tipo di pietanza, dai cibi asiatici a quelli africani, poi una moltitudine di negozi e bazar. I profumi che aleggiano ci fanno venire l’acquolina in bocca così, visto l’orario, ci fermiamo per pranzare. Facciamo una passeggiata al porto e poi decidiamo di ripartire in auto. Sono appena le 15:00, così decidiamo di andare a visitare Salem, la cittadina tristemente famosa per la caccia alle streghe perpetrata alla fine del 1600. Prendiamo la 1A North, sicuramente allungheremo il percorso di qualche decina di miglia ma ne varrà la pena visto che, per buona parte, percorreremo il litorale atlantico. La costa in questa zona del Massachussetts è incantevole, soprattutto la cittadina di Marblehead.
Arrivati a Salem, e non avendo cartine della città molto dettagliate, “perdiamo la bussola”. Non riusciamo a trovare il centro-città o il punto di maggiore interesse che è il Salem Whitch Museum. Complice anche la stanchezza, lasciamo la città senza nemmeno scendere dall’automobile per fare due passi ! Per ritornare al nostro hotel a Boston, questa volta imbocchiamo la 1, molto più veloce e scorrevole; un WAL-MART lungo la strada attira la nostra attenzione, così decidiamo di fermarci per prendere qualcosa da mangiare ( sarà la nostra cena ) che consumeremo in camera in tutto relax.
28 LUGLIO 2002 BOSTON – BOOTHBAY HARBOR (MAINE) Dopo una scorpacciata di dolci e caffè lungo consumati in un angolino del motel, ricarichiamo i bagagli e partiamo alla volta del Maine. Oggi è domenica e le strade, compresa la I-95, sono meno trafficate del solito. Da alcuni giorni sto stressando i compagni di viaggio e mio marito per convincerli a fare una sosta negli outlet di Kittery… loro non sanno nemmeno di che cosa sto parlando … ma, appena arrivati in questa cittadina giusto al di là del confine, comprendono il motivo del mio insistere tanto: Kittery è il paradiso dello shopping di marca a prezzi ridotti. Fra Ralph Lauren, Timberland, Reebok, Tommy Hilfiger, Donna Karan, Gap e Levi’s passiamo qui tutta la mattinata e ci fermiamo pure a pranzo. Ora il problema sarà il bagaglio; con tutti questi acquisti il volume è aumentato a dismisura… e temiamo ( solo ora ) che tutta questa roba non riesca a starci nelle valige. Ornella e Giuliano sono pure passati allo spaccio di SAMSONITE per vedere di acquistare una borsa, in caso di emergenza. Il tempo non promette nulla di buono; forse anche questo ha contribuito alle spese pazze di oggi; la cosa importante è che siamo felicissimi e soddisfatti ( nonostante le nostre carte di credito abbiano subito un brutto colpo ! ). Sono le 15:00 ed è ora di partire. Percorriamo la strada costiera in direzione Bath poi decidiamo di andare verso Boothbay Harbor. Ciò che vogliamo vedere del Maine sono le sue coste frastagliate ed il percorso che stiamo facendo comincia a darcene un’idea. Il sole sta tramontando e dobbiamo sbrigarci a trovare un motel; fortunatamente non ci sembra una zona molto battuta dai turisti ed infatti, al primo tentativo, troviamo una spaziosa e bella stanza al FLAGSHIP MOTOR INN sulla Route 27. Ci facciamo consegnare anche una cartina dettagliata della zona e chiediamo indicazioni su un bel posto dove andare a mangiare l’aragosta. Una bella doccia rilassante è quello che ci vuole dopo una giornata trascorsa in auto. Diamo un’occhiata anche agli acquisti di oggi ( solo abbigliamento ) e ci facciamo i complimenti a vicenda.
Ora piove. Ci prepariamo per uscire sotto questo acquazzone e con la macchina ci dirigiamo al porto di East Boothbay, dopo 10 minuti ci troviamo seduti al LOBSTERMAN’S WHARF RESTAURANT. Questo posto è incantevole; rimaniamo subito estasiati per l’atmosfera marinara e l’accoglienza squisita che ci riservano al nostro arrivo. Qui dentro siamo gli unici stranieri ! Gli avventori del ristorante ci osservano incuriositi soprattutto quando, armeggiando con macchine fotografiche, flash e cavalletti, cerchiamo di immortalare il momento “clou” con le aragoste nei piatti. Scattiamo anche una foto con una bottiglia di Pinot Grigio RITRATTI ( proveniente dalla cantina del nostro paese ) che sorprendentemente era presente sulla carta vini del ristorante. Trovare un vino di Lavis nel Maine ha dell’incredibile, soprattutto in un posto sperduto come questo ! Io non sono amante dei crostacei e del pesce in genere; mi limito così ad assaggiare un po’ di polpa dal piatto di Ornella; il sapore non mi convince e arriccio il naso fra lo sbigottimento generale della compagnia. Traboccanti di felicità e soddisfazione ce ne ritorniamo in hotel. “ Che serata ! “ continuiamo a ripetere ad alta voce prima di addormentarci …
29 LUGLIO 2002 BOOTHBAY HARBOR – BANGOR (MAINE) Partiamo verso le 09:00 per visitare Boothbay Harbor, la giornata è grigia ma non piove, fortunatamente. Nella zona del porticciolo troviamo un piccolo bar, il BLUE MOON CAFE’, dove ci rifocilliamo con una gustosa colazione. Una fitta nebbia avvolge la baia e si intravede a malapena oltre il molo davanti a noi. Nonostante tutto, un paesaggio simile ha qualcosa di magico e suggestivo e nelle nostre fantasie sul Maine ci aspettavamo anche questo. Ci godiamo lo spettacolo passeggiando nella zona del porto dove molte attività, visto l’orario, sono ancora chiuse e poi proseguiamo verso nord. La nostra prossima tappa è Pemaquid Point, che sorge sulla punta estrema dell’omonima penisola. Arriviamo nei pressi di una scogliera di roccia scura e dalla quale si domina una bella veduta sul mare ( nonostante la fitta coltre di nebbia ); il faro più famoso e fotografato dello Stato si trova proprio là. Troviamo molto romantico camminare sulle rocce nude della scogliera dove il vento ci spettina i capelli e un buon odore di salsedine ci riempie i polmoni … Improvvisamente il cielo si apre ed esce il sole; è incredibile come il panorama ed i colori si trasformino totalmente. Bellissimo ! Lasciato Pemaquid, ci dirigiamo verso Camden e quindi verso Bangor. Lungo il tragitto facciamo una sosta per pranzo in un affollatissimo ristorante dove ordini, prendi posto e attendi che il numero sul tuo scontrino sia urlato dal megafono ( sembra di essere in una sala – bingo ! ); solo allora potrai “goderti” il tuo pasto, che non è niente male… Nel curiosare dalla terrazza del locale, ci fermiamo ad osservare dei pescatori che, accostata la barca, scaricano sul pontile le nasse piene di aragoste. E’ la prima volta che vediamo gli addetti ai lavori “armeggiare” con le bestiole vive, pesarle e ributtarle in acqua dentro apposite gabbie… per poi finire in qualche pentola, of course. Mi fanno pena ed in questo momento sono felice di non essere un’estimatrice di aragoste.
Il nostro viaggio prosegue ed arriviamo a Bangor in tardo pomeriggio. Dopo esserci sistemati al RAMADA INN, ceniamo nel ristorante adiacente. Oggi non ricordo cosa abbiamo mangiato, ma rimane vivo nella memoria la temperatura ( bassissima ) che usciva dal condizionatore proprio sopra le nostre teste.
Bangor è la città di Stephen King, lo scrittore. La mia proposta di andare alla ricerca della casa dove risiede, famosa per la cancellata “horror” che rievoca l’atmosfera dei suoi romanzi, si arena all’istante … lo sfiancamento da esplorazione prende il sopravvento e alle 21:30 siamo già nei nostri letti.
30 LUGLIO 2002 BANGOR – BRATTLESBORO ( VERMONT ) La giornata di oggi sarà caratterizzata da una lunga permanenza in auto. Infatti, il percorso programmato ci porterà nella zona montuosa del New Hampshire e del Vermont; in questa stagione non ci sono grandi attrattive, visto che molti turisti vengono da queste parti per ammirare lo spettacolo del “foliage” ( la natura del New England è nota infatti per le stupende colorazioni di cui si veste nel periodo autunnale ). Questa mattina pioviggina ma la cosa non ci disturba più di tanto. Percorriamo la Route n°2 in direzione ovest e per qualche ora il paesaggio rimane pressappoco lo stesso: molte fattorie e vasti terreni coltivati. La strada non è molto trafficata ed in alcuni tratti è talmente diritta che non se ne vede la fine … Arrivati a Betel – quasi sul confine tra Maine e New Hampshire – facendo una piccola deviazione dalla strada principale, andiamo a visitare uno dei ponti coperti menzionati anche dalla nostra guida del TCI: l’Artist’s Covered Bridge e per chi ha visto il film “I Ponti di Madison County” sa a cosa mi riferisco. Forse le nostre aspettative erano troppo elevate e così non lo abbiamo apprezzato un granchè; ci è sembrato un po’ abbandonato a sé stesso, così solitario in mezzo al bosco… quelli carrozzabili hanno sicuramente un fascino maggiore.
Ammiriamo il Mt. Washington da un piazzola di sosta ( ora ci troviamo nella White Mountains National Forest ) e poi proseguiamo con il nostro viaggio in auto. Ci fermiamo a pranzare in un ristorante, i cui unici clienti erano, fino a quel momento, due camionisti. La proprietaria deve essere una fan sfegatata di Betty Boop e ha trasformando la tavola calda in un tempio del gadget monotematico. Tutti i “cimeli” sono appesi alle pareti e, fra un boccone e l’altro, li osserviamo con curiosità.
Imbocchiamo quindi la I-91 verso sud; la nostra intenzione è quella di arrivare a Brattlesboro nel tardo pomeriggio. In poco più di un’ora e mezza ci arriviamo, cerchiamo un motel e troviamo una stanza al DAYS INN. Pure la trasferta di oggi ha messo a dura prova i nostri fisici, ma riesco comunque a convincere la “truppa” ad andare ad Ashuelot dove si trova un altro ponte coperto. Sarebbe bello arrivarci in tempo per fotografarlo con i colori del tramonto ! Purtroppo giungiamo troppo tardi ma, constatando che è davvero pittoresco, ci ripromettiamo di ripassare l’indomani mattina. Ceniamo in un grazioso ristorantino sul lago, all’aperto ed illuminati da torce. La serata è molto piacevole e ci godiamo in pieno relax la tranquillità di questo posto, gustandoci una pizza ed uno squisito tiramisù. Soddisfatti e felici ce ne ritorniamo nella nostra modesta stanza per un bel sonno ristoratore: domani ci attende la trasferta più lunga del viaggio.
31 LUGLIO 2002 BRATTLESBORO – EASTON (PENNSYLVANIA) Facciamo un’abbondante colazione in hotel e scambiamo quattro chiacchiere con una coppia di italiani … i primi connazionali che troviamo sul nostro percorso … strano, perché di solito sono ovunque ! La giornata si preannuncia molto buona, in senso atmosferico. Partiamo, quindi, alla volta di Ashuelot – contea di Winchester ( N.H ).
Il ponte coperto è bellissimo e ben tenuto nonostante l’età ( anno 1864 ); probabilmente è stato riverniciato di recente ed il suo tetto rosso brillante è in perfetto contrasto con le fiancate bianco latte. L’intera struttura è in legno e le auto possono transitare lentamente e a senso alternato. Spendiamo almeno un’oretta ad ammirare l’opera architettonica ed a fotografarla da ogni angolazione fra gli sguardi incuriositi dei residenti.
Lasciamo quindi la cittadina di Ashuelot ed il New Hampshire per entrare nel Massachusetts. Dopo un breve tratto di strada verso sud, imbocchiamo la Route 2 in direzione ovest. Siamo nelle Berkshire Hills, nota località di villeggiatura per le classi sociali ricche ( si parla di qualche tempo fa ! ). Il Mohawk Trail è un percorso panoramico in mezzo alla natura; sicuramente nel periodo autunnale, con il suo splendido scenario multicolore, la strada si popola di automobili… da una parte siamo contenti che non sia molto trafficata ! Il termine Mohawk deriva dai nativi che, oltre trecento anni fa, tracciarono il sentiero originale. I pionieri successivamente allargarono il percorso e nel 1914 fu inaugurato come la prima “autostrada panoramica” d’America. Facciamo una sosta al monumento “Hail to the Sunrise” ( è una statua in bronzo che raffigura un indiano Mohawk durante il saluto al sole ). Niente di particolare… Proseguiamo in direzione ovest e, dopo un’ora abbondante di viaggio, ci fermiamo a Williamstown, una graziosa cittadina con un college, che è il più importante del New England ( infatti, possiamo notare numerosi studenti in divisa che bazzicano per le strade ) ed una sontuosa cattedrale gotica che, da sola, vale la tappa. Proseguendo verso sud sulla Route 7 ( 35 km. Ca. ), arriviamo a Pittsfield, nel cuore delle Berkshire Hills, e più precisamente all’Hancock Shaker Village. Istituito come museo open-air nel 1960, l’Hancock Shaker Village vuole rappresentare la storia, lo stile di vita e lavorativo di questa comunità religiosa che visse qui dalla fine del 1700 agli anni ’60. Più che per visitare le fattorie od i laboratori, a noi interessa acquistare qualche prodotto artigianale, così visitiamo solo il negozio. Qui possiamo ammirare una vasta collezione di sedie, mobili, tappeti, oggetti per la casa e tanti altri articoli che riflettono il ruolo significativo che gli Shaker ebbero nella vita sociale, economica e religiosa d’America. Il design è semplice ed essenziale e ci piace moltissimo: come souvenir acquistiamo dunque le famose scatole e due cestini.
Con la macchina stracarica ( gli oggetti shaker sono fatti di legno e non si possono schiacciare ! ), cerchiamo un posto dove rifocillarci e dopo alcuni chilometri troviamo un ristorante con terrazza sul lago Onota. Dopo un pranzo a base di Caesar salat & grilled chicken, ripartiamo. Lasciamo definitivamente il Massachussets ed entriamo nello stato di New York. Percorriamo la Taconic State Parkway verso sud, poi la 84-West e siamo in Pennsylvania. La mancanza di una cartina stradale dettagliata ci obbliga a fare una sosta per acquistarla … Vogliamo avvicinarci il più possibile alla Lancaster County, la 476-South ci porta sempre più a sud; vicino a Allentown ci accorgiamo che sta per imbrunire e, poichè siamo in auto già da diverse ore, cerchiamo un motel per la notte. L’impresa risulterà un po’ difficoltosa ( per due volte, sbagliamo imbocco e ci ritroviamo sulla Highway che va in tutt’altra direzione ), ma poi il solito DAYS INN ci accoglierà fra le sue mura. Siamo a Easton, una cittadina anonima e alquanto inquietante; usciamo ugualmente per una cena veloce ad un Family Restaurant ( dove non si servono alcolici ) e poi ce ne andiamo a riposare.
1 AGOSTO 2002 EASTON – LANCASTER (PENNSYLVANIA) Consumata la colazione ( in piedi nella hall del motel ) e ricaricata in auto la mole di bagagli, ripartiamo per la Dutch County. Dopo alcune ore di viaggio arriviamo a Lancaster. Facciamo una sosta al Visitors Center per prendere una mappa dettagliata del posto ed alcuni depliants turistici. Lo scopo del nostro spostamento fino a qui è quello di visitare la campagna ma soprattutto quello di incontrare gli Amish. Su indicazione dell’impiegata dell’ufficio turistico, ci spostiamo in auto verso le due cittadine di Intercourse e di Bird-In-Hand ( nomi alquanto bizzarri per dei paesini … ) e da qua inizia la consueta ricerca per trovare un posto dove dormire. Scartiamo immediatamente le insegne BEST WESTERN o HOLIDAY INN, troppo anonime per la campagna. Quello di cui abbiamo bisogno è un motel piccolo e tranquillo, possibilmente lontano dalla strada principale. Dopo alcuni tentativi, troviamo quello che fa per noi. Questo motel è gestito da un anziano Amish ed è immerso nei campi di grano e nei dintorni ci sono solamente fattorie. Logicamente le stanze sono sprovviste di TV ( che sollievo ! ), sono pulite e molto accoglienti.
In questo paradiso di tranquillità decidiamo di fermarci per tre notti, vogliamo “impregnarci” il più possibile della quiete e della serenità che contraddistingue questo luogo, prima di affrontare il caos cittadino dei prossimi giorni. E’ ora di pranzo e su suggerimento del nostro innkeeper, raggiungiamo un ristorante lì vicino che si chiama THE FAMILY CUPBOARD. La gestione e la cucina sono Amish. Optiamo per il pranzo a buffet e, per la prima volta, i nostri palati vengono deliziati da cibi appetitosi e leggeri. Wow ! Decidiamo di fare ritorno anche per cena ( peccato che arriviamo tardi e per mangiare un boccone dobbiamo ripiegare su un’anonima pizzeria nei dintorni ! ) Già al nostro arrivo a Intercourse, sulle strade si potevano vedere circolare i buggies ( carrozze trainate da cavalli ) che sono gli unici mezzi di trasporto utilizzati dalla comunità, oltre alle biciclette. Sulle strade transitano regolarmente anche le normali automobili ed i camion dei residenti non-Amish, oltre naturalmente ai veicoli dei turisti. L’incontro con queste persone, che vivono secondo i canoni di oltre due secoli fa, ci rende giulivi e gongolanti; il che succede con molta frequenza, perché nella Lancaster County vivono circa 18.000 Amish.
Un po’ di storia. Gli Amish sono un gruppo che discende dalla comunità religiosa dei Mennoniti ( nel 1693 il vescovo svizzero Jakob Amman vi si separò, dando origine appunto alla comunità Amish ). Le loro origini sono quindi europee, più esattamente tedesche : Pennsylvania Dutch sarebbe in realtà Deutsch = Tedesco. Dal XVII il loro tempo si è quasi fermato. Non solo gli Amish in America hanno mantenuto gli usi e i costumi tradizionali, ma hanno anche rifiutato di far entrare nelle loro vite e nelle loro case alcune delle maggiori “conquiste” della società moderna: l’elettricità, l’automobile, la radio e la televisione. Hanno riscaldato le loro case con la legna, le hanno illuminate con lampade a olio, hanno conservato i loro cibi in ghiacciaie raffreddate da acqua corrente, hanno utilizzato l’energia eolica come forza motrice, per muoversi si sono serviti di piccole carrozze trainate da cavalli, aggiungendo solo un triangolo fosforescente come unica concessione al codice della strada. In altri termini gli Amish hanno cercato di vivere le loro vite con semplicità, onestà e in armonia con loro stessi, con la loro comunità e con l’ambiente circostante. All’origine di questo comportamento schivo e isolato possiamo ritrovare secoli di persecuzioni religiose perpetrate in Europa.
Sono soprannominati anche “plain people” per la loro estrema semplicità, che si nota anche dal modo di vestire ( camicie bianche e pantaloni neri con bretelle per gli uomini, e abiti lunghi neri o blu per le donne – sulla testa cappello o cuffietta ). Alcuni di loro lavorano nella cucina del ristorante che frequentiamo e si intravedono di quando in quando; il contatto diretto con gli avventori è riservato a cameriere simpatiche e carine.
2 AGOSTO 2002 LANCASTER (PENNSYLVANIA) Venerdì. Trascorriamo la giornata a girovagare in auto per le numerose strade secondarie che si diramano nella Dutch County alla scoperta degli angoli più inesplorati e fuori mano. Qui il turismo di massa non è ancora sbarcato, per fortuna. Nel ristorante ci troviamo molto bene e lì vi trascorriamo tutti i momenti dedicati ai pasti ( dalla colazione alla cena – gli orari sono molto rigidi e spesso c’è talmente tanta gente che siamo obbligati ad attendere il nostro turno ). Inutile dire che diventando degli abitueé, sia le cameriere che alcune famigliole americane, ospiti del vicino albergo, ci salutano con simpatia e scambiano volentieri con noi alcune battute; oltre a bersagliarci di domande sul Belpaese, naturalmente. In fondo, di turisti italiani non se ne vedono mai da queste parti … Fa un caldo terrificante. Le prime pagine dei quotidiani locali riportano a caratteri cubitali la temperatura record di 101°F ( 38,3°C ) – era dagli anni ‘60 che non si registrava una simile calura; resa insopportabile dall’alto tasso di umidità … Visitiamo alcuni ponti coperti ( meno interessanti di quelli visti nel New England ) e passiamo davanti a numerose fattorie Amish, dove si possono intravedere tutti i membri della famiglia ( che qui sono molto numerose ! ) intenti a lavorare la terra, rasare il prato, governare gli animali, pulire l’aia, stendere i panni su stenditoi lunghissimi ( a carrucola ), … La nostra passione è la fotografia, ma qui dobbiamo fare molta attenzione a non farci notare troppo. Quasi sul genere paparazzi … Fortunatamente i teleobiettivi agevolano il nostro lavoro e ci permettono di immortalare questa gente meravigliosa durante i molteplici aspetti della loro giornata. Forse questa particolare attenzione nel cercare di essere più discreti possibile, ha reso ancora più “gustosa” questa esperienza, anche se sono le emozioni che qui la fanno da padrone. Ci hanno spiegato che gli Amish essendo un popolo schivo non ama farsi fotografare… Nel limite del possibile, i nostri reportage fotografici cercano di non essere importuni ed irriguardosi nel rispetto di questa loro necessità.
Ogni tanto gli Amish emergono alla ribalta: nelle foto di una cartolina, in un film ( ricordate WITNESS con Harrison Ford ? ), in un articolo di giornale. I media si occupano di loro solo per descrivere un modello di vita “curioso”, quasi una ricostruzione, visibilmente diverso dal nostro e distante nel tempo. Un mondo che poi è facile incontrare superficialmente nei tour organizzati che portano i turisti all’interno di case in cui viene artificialmente ricreato il loro modo di vita e dove si ritrovano gli oggetti della loro esistenza, ma è certamente un incontro più difficile se si è interessati ad approfondire lo studio della loro cultura, a causa della forte chiusura che attuano nei confronti del mondo esterno.
La sera, terminato di cenare, decidiamo di fare una passeggiata nei dintorni. Mettiamo via le macchine fotografiche e decidiamo di concederci un po’ di relax, senza la tensione e l’ansia di essere pronti a scattare questo o quello… Quella serata ce la ricorderemo a lungo… Passano numerose carrozze, alcuni salutano. All’improvviso ne arriva un’altra; ci giriamo per fare un cenno con la mano ed accade che l’uomo rallenta e fa fermare il cavallo vicino a noi. Non ci sembra vero e siamo agitatissimi … vuole fare conversazione e si presenta. Ancora increduli per il singolare incontro, lo bersagliamo di domande. James capisce che desideriamo conoscere qualcosa di più degli Amish e ci offre un occasione unica per farlo: salire con lui in carrozza ed andare a vedere la sua fattoria ed il suo laboratorio artigiano. I nostri compagni ci seguono in macchina.
Durante la visita alla fattoria appare anche una bimba scalza, bellissima. E’ Catherine la sua nipotina. Ci descrive la sua famiglia: nove figli e numerosi nipoti. Ci mostra la stalla, l’orto ed il laboratorio ma è quasi notte e i nostri occhi non sono abituati alla scarsità di illuminazione. James è molto abile a descriverci le sue attività quotidiane che, per capire, non è proprio indispensabile vedere. Ci salutiamo, lui ci porge il suo biglietto da visita e ci invita a scrivergli una lettera, una volta ritornati in Italia. “Mi raccomando non mandatemi e-mail, perché non ho il computer !”: questa è la sua battuta con sorriso sbarazzino, prima di entrare in casa. Saliamo in auto esultanti e felici, consci di aver fatto un incontro ed un’esperienza unica nel loro genere. Stanchi e felici ce ne ritorniamo in motel, oramai è buio pesto ma ritrovare la strada del ritorno non sarà un problema.
3 AGOSTO 2002 LANCASTER (PENNSYLVANIA) Sabato. La giornata si preannuncia afosa, come ieri. Dopo aver fatto una nutriente colazione a base di toast e pancakes, decidiamo di andare alla scoperta degli altri luoghi incantati nella Lancaster County. Ripercorriamo con la memoria l’episodio accaduto ieri e li per lì rimpiangiamo di non aver fatto qualche foto a James … Sappiamo benissimo che gli Amish non gradiscono affatto essere fotografati poi, in quel frangente, la nostra mente era attenta alle meticolose spiegazioni sulla vita ed il lavoro in fattoria. La cosa importante durante i viaggi è anche capire quando è il momento di fermarsi. La frenesia di scattare fotografie toglie spesso il piacere di assaporare momenti di intimità come quello avuto con l’amico Amish. Le immagini sono comunque vive nella nostra memoria e raccontare di questa avventura sarà sempre affascinante. Dopo pranzo, decidiamo di andare nella città di Lancaster, che si trova a pochi chilometri da noi. Parcheggiamo l’auto in un garage a pagamento e, cartina alla mano, cominciamo il giro turistico del centro. Sarà a causa la forte calura che sta opprimendo la zona in questi giorni o non so cos’altro, fatto sta che non vediamo l’ora di ritornarcene ad Intercourse. Osserviamo frettolosamente alcuni edifici storici ed il famoso mercato ( che sta per chiudere ! ), quindi facciamo dietro-front. Il blitz a Lancaster è durato meno di un’ora … Il cielo si sta diventando cupo e nubi minacciose cariche d’acqua si stanno preparando per riversare la loro furia. Con il temporale in arrivo, ci rifugiamo in un shopping center. Vi sono numerosi negozi outlet mono-marca ed anche in questa occasione non resistiamo alla tentazione di fare nuovi acquisti ( e questa volte senza pagare le tasse ! ) nello spaccio di TOMMY HILFIGER. Inutile dire che qui i prezzi sono nettamente più bassi che in Italia ed i prodotti sono di ottima qualità.
Comincia a diluviare e facciamo ritorno in hotel. Tempo di entrare in camera e si scatena un nubifragio di proporzioni mai viste, complice anche il vento che spira con forza e senza tregua. La burrasca si esaurisce dopo venti minuti; noi ce ne rimaniamo in stanza a riposare ancora un po’ fino all’ora di cena.
Ritorniamo al nostro ristorante e, dopo un po’ di attesa, ci fanno accomodare. Attorno a noi, oltre alle famigliole americane in vacanza ( che già conosciamo ) numerose tavolate di Amish riempiono la sala. Il loro contegno introverso e silenzioso rende molto quieto l’ambiente, persino i bambini sono tranquilli e rimangono ai loro posti. Non ci sembra vero di essere circondati da così tanti marmocchi … e di mangiare in santa pace ! Questa è la nostra ultima serata in Pennsylvania e già ne sentiamo la mancanza.
Buonanotte !
4 AGOSTO 2002 LANCASTER – WASHINGTON D.C.
Domenica. Per la comunità Amish è una giornata di festa ed il FAMILY CUPBOARD RESTAURANT, per rispetto a questa tradizione religiosa, è chiuso. Per la nostra colazione dobbiamo quindi ripiegare su un’anonima tavola calda fuori città.
Lasciamo definitivamente la Lancaster County e il suo splendido paesaggio di praterie. Alcune mongolfiere colorate stanno volando sopra di noi e sembrano salutarci; la fitta cortina di nebbia mattutina che avvolge tutt’intorno si sta pian piano dissolvendo.
La nostra destinazione è la capitale degli Stati Uniti Washington D.C. ( che sta per District of Columbia ). Rispetto alla nostra attuale posizione, dobbiamo spostarci a sud di circa 200 km. Percorriamo quindi la I-83 fino a Baltimora e poi la I-95 che ci porta diritti a destinazione. Arriviamo a Washington alle 10:00 circa e troviamo subito una stanza all’ hotel RAMADA sulla New York Avenue. Siamo a pochi minuti d’auto dal centro città, per fortuna oggi è domenica quindi il traffico non è molto caotico.
Parcheggiamo in un garage custodito che ci costerà un occhio della testa, poi ci dirigiamo a piedi verso la WhiteHouse al 1600 di Pennsylvania Avenue. Il caldo soffocante dei giorni scorsi è arrivato anche qui, ma questo non sembra fermare le orde dei turisti: ce ne sono tantissimi. Attraverso le inferriate di un cancello si vede in lontananza la residenza dell’uomo più potente del mondo: il presidente degli Stati Uniti. Rimaniamo delusi; forse anche a causa dei numerosi film che hanno stuzzicato la nostra fantasia. Oltretutto un’enorme gru, piazzata davanti all’ingresso principale, ne rovina il già anonimo aspetto e così non riusciamo a scattare nemmeno una foto-documento … in fondo è solo una Casa Bianca. Attraversiamo il grande parco in direzione del imponente obelisco dedicato a George Washington. Questo è il centro “virtuale” della città ed si trova nel bel mezzo del Mall ( la lunga spianata fatta di giardini, viali alberati pedonali, laghetti e fontane – ricordate Forrest Gump ? – ), alle cui estremità si trovano rispettivamente il Campidoglio ( Capitol Hill ) e il Lincoln Memorial. Facciamo una pausa-pranzo molto veloce a base di patatine fritte e sandwiches. Nonostante l’afa, ci incamminiamo verso il Lincoln Memorial dove si trova anche il Vietnam Veteran Memorial: una lunghissima lapide nera con incisi migliaia di nomi… impressionante ! Siamo vicini al fiume Potomac; il famoso cimitero di Arlington si troverebbe giusto al di là del ponte, ma siamo già stanchissimi e così decidiamo di ritornare al parcheggio. In auto, il climatizzatore ci aiuta a riprendere le forze. Facciamo un giretto al Campidoglio, con sosta per ammirare i splendidi giardini: c’è anche una coppia di sposini che si sta facendo fotografare sul bel prato… Qui ci sono tantissimi luoghi che varrebbe la pena di visitare ( Smithsonian Institution, Natural History, Holocaust e Jewish Museums, il Giardino Botanico e la National Geographic Society, … ), il tempo a nostra disposizione, però, è veramente scarso, quindi ci precipitiamo ad Arlington ( Virginia ) che si trova a pochi minuti di macchina. Il District of Columbia è il piccolo stato che ingloba solamente la città di Washington e viste le sue ridotte dimensioni si può transitare in men che non si dica nel Maryland, o come detto, in Virginia.
Il cimitero di Arlington è molto vasto e le semplicissime lapidi bianche disposte in maniera geometricamente perfetta lo rendono immacolato. La nostra passeggiata ci conduce fino alla collinetta dove si trova la tomba del presidente J.F. Kennedy e della sua amata Jaqueline: ogni giorno numerosi americani vengono qui per rendere omaggio al loro adorato presidente… Mi chiedo quanti italiani farebbero lo stesso con il loro … io compresa ! Il nostro giretto si conclude un’oretta più tardi. Stanchissimi per la giornata appena trascorsa, raccogliamo le forze restanti per cercare di raggiungere il Pentagono. Non troviamo la segnaletica che ci aiuta a capire dove dirigerci; sappiamo che deve essere qui nelle vicinanze… Siamo troppo spossati e gettiamo la spugna. La nostra ricerca ha quindi esito negativo.
E’ quasi ora di cena e decidiamo di spostarci verso l’hotel. In K Street ci sono alcuni ristoranti, ma quello che attira la nostra attenzione è il LEGAL SEA FOODS. Molto famoso quello di Boston, ora è una catena di ristoranti sparsi soprattutto nella East Coast. Decidiamo di fermarci e, dopo quasi un’ora di attesa, riusciamo a prendere un tavolo. Il locale pullula di bella gente e le portate che vengono servite hanno un buonissimo aspetto. Ritorniamo in hotel. La notte non sarà tranquilla: la nostra camera si affaccia sulla ferrovia e molti treni sono in transito, poi …
5 AGOSTO 2002 WASHINGTON D.C. – NEW YORK CITY … quella appena trascorsa è stata una notte “di terrore”. A mezzanotte e mezza siamo stati svegliati di soprassalto da dei forti colpi sulla porta della nostra stanza e dalla voce di un uomo che sbraitava “close the door .. Ehi sirs, close the door !! ”. Siamo rimasti zitti nel totale panico. Ho provato a chiamare la reception… nulla ( Immagino già l’addetto al turno di notte legato ed imbavagliato da delinquenti che cercano di entrare nelle camere per derubare i turisti ). Al secondo tentativo qualcuno mi risponde. Nella totale agitazione chiedo se per caso sta girando qualcuno della sicurezza, perché c’è un uomo che bussa e tenta di aprire le porte ( anche di altre stanze ). La risposta è NO, ma mi dice di stare tranquilla e di dormire… Non so a che ora mi sono assopita ma, con la fifa che avevo, di sicuro ho impiegato un bel po’.
Il mattino, alla reception scopriamo che durante la notte qualcuno della sicurezza ha fatto la ronda di controllo ai piani … questo mi rassicura, ma non me lo potevano dire subito ??? Fatta colazione in hotel, partiamo verso NYC. Percorriamo la I-295 e passiamo nei dintorni di importanti città come Baltimora e Philadelphia. Arrivati nel New Jersey, facciamo una sosta per il pranzo e per il pieno di benzina. Abbiamo ancora un’ora abbondante di strada prima di arrivare all’aeroporto JFK per riconsegnare la macchina all’autonoleggio e la nostra impazienza di vedere La Grande Mela comincia a farsi sentire.
Dopo aver riconsegnato l’auto, saltiamo sull’autobus e poi su un taxi. Verso le 16:30 arriviamo in hotel. E’ il BEST WESTERN MANHATTAN ed è ubicato sulla 42.Ma Strada; siamo proprio nel cuore della city e sopra di noi svetta il grandioso Empire State Building. Sistemati bagagli in stanza, la voglia di scoprire la città ci assale immediatamente, nonostante la stanchezza per la trasferta e la nottata “in bianco” .
La nostra passeggiata a NYC comincia girato l’angolo. Siamo sulla 5th Ave. E qui esordiscono lo stordimento e l’eccitazione nel vedere tutto quello che ci circonda: i grattacieli, il traffico dell’ora di punta, le vetrine dei negozi, la gente ed il suo parlottio multilingue… Per noi ( io ed il mio neo-marito Alex ) è la seconda volta a New York, per i nostri compagni di viaggio Giuliano e Ornella, invece, è la prima esperienza. Comunque sia, ogni volta, questa città ti entra dentro e ti lascia delle sensazioni inimmaginabili… Ogni tanto scruto le loro espressioni per carpire il loro stato d’animo. Dall’inizio di questo viaggio, li avevamo preparati ed “indottrinati” su Manhattan, e non solo dal punto di vista turistico. A volte, ho creduto di aver creato in loro delle aspettative smisurate, ma per fortuna la delusione non ha mai oscurato i loro sorrisi, anzi … Per cena ci affidiamo al caso ed entriamo al TUSCAN SQUARE sulla W 51.Ma strada. Il ristorante non è molto affollato, ma decidiamo comunque di fermarci a mangiare. Il locale è molto elegante ed il cibo che scegliamo ci soddisfa molto; restiamo della stessa idea anche quando ci portano il conto… Salatissimo ! E’ ancora presto, ma decidiamo di andare a riposarci. Domani mattina vogliamo essere in piena forma per iniziare il nostro giro alla scoperta di Manhattan.
6 AGOSTO 2002 NEW YORK CITY Ci svegliamo abbastanza presto e ci attrezziamo per la nostra spedizione a Lower Manhattan. Saliamo su un taxi ed, in un batter d’occhio, siamo a Battery Park ( situato all’estremità meridionale della City ). Qui partono i traghetti per Ellis Island e Liberty Island ( per i turisti che vogliono ammirare più da vicino la Statua della Libertà ).
Il parco è bello e pulito; l’unica presenza è quella di clochard addormentati sulle panchine. Questo è senz’altro uno degli aspetti della vita di una metropoli; i senza-tetto sono moltissimi qui e si possono vedere ad ogni angolo, ma non devono mettere paura. A piedi ci dirigiamo verso Ground Zero. Arrivarci a piedi è un po’ meno difficoltoso che con altri mezzi. Alcune strade nella zona del World Trade Center, sono ancora chiuse causa il crollo delle torri gemelle e degli edifici adiacenti; l’area in questione, poi, è ridotta ad un immenso cantiere dove centinaia di operai e macchine sono al lavoro per sistemare le fondamenta. Vedendo oggi quanto rimane del WTC, riesce difficile immaginare come potesse essere prima, anche per noi che New York l’avevamo vista “tutta d’un pezzo”. Ground Zero è comprensibilmente transennata; una viewing area è stata allestita per i numerosi turisti e tutte le persone che vengono qui a chiedersi “perché ?” e a pregare per le migliaia di vittime.
Ci dirigiamo poi verso il distretto finanziario, dove ha sede la borsa ( NY Stock Exchange ) e la famosa statua che raffigura il toro (simbolo di un’economia forte e solida ). Oggi è una giornata lavorativa, quindi si possono vedere ovunque uomini d’affari o impiegati che si affrettano nei loro spostamenti. Per pranzo facciamo anche noi una pausa in un self-service frequentato soprattutto dal dinamico popolo di Wall Street.
Oggi la giornata è meravigliosamente serena e la temperatura molto gradevole. Ci avviamo, sempre a piedi, in direzione del Brooklin Bridge, passando per South Street Seaport che in quel momento brulica di gente in pausa pranzo; si sta tenendo anche un concerto di musica anni 60-70, e per un po’ ci fermiamo anche noi ad ascoltare la band e ad osservare la gente.
Il ponte di Brooklin signoreggia davanti a noi ma, a causa della sua imponenza, impieghiamo non poco per raggiungerlo. La passerella, cui si accede a est della City Hall in Park Row/Centre Street e che è situata al di sopra del nastro stradale destinato alla circolazione automobilistica. , permette di attraversare il ponte a piedi e offre, in particolare nelle ore notturne, una suggestiva veduta di Manhattan e dei suoi grattacieli, oltre che della Upper Bay con, sullo sfondo, l’inconfondibile sagoma della Statua della Libertà. Scavalcando l’East River il Ponte di Brooklyn collega i due distretti newyorchesi di Manhattan e di Brooklyn. Sorretto da due imponenti piloni in granito con doppia arcata neogotica (alti 89 m), che lo tengono sospeso a circa 40 m sul fiume, il ponte ha una lunghezza di 1052 m ( senza contare le rampe d’accesso) e una larghezza di circa 26. La passeggiata è talmente rilassante che i sintomi della stanchezza spariscono ed ogni tanto si trova anche una panchina dove sostare per “prendere fiato”. Superata ben oltre la metà del punte decidiamo di tornare indietro. Oramai sono quasi le 16:00 Facciamo sosta in un fornitissimo negozio di materiale fotografico dove acquistiamo una scorta di pellicole; poi prendiamo un taxi e rientriamo in hotel.
Dopo una rinfrescata ed un po’ di relax, usciamo nuovamente. La giornata di oggi è magnifica e domani il tempo potrebbe peggiorare; quindi decidiamo di salire sull’Empire State Building. Si avvicina l’orario del tramonto quindi troviamo una lunghissima fila alle biglietterie; noi siamo pazienti ed aspettiamo il nostro turno. Le code qui in America sono molto ordinate e nessuno spinge e fa il furbo per passare avanti … Con i suoi 407 metri d’altezza e i suoi 102 piani, questo grattacielo realizzato in 18 mesi , è dal 1931 uno dei simboli di New York, e dopo la tragedia dell’11 Settembre è tornato ad essere il grattacielo più alto della città. Di notte i piani più alti sono diversamente illuminati a seconda delle circostanze, (il 4 luglio, per esempio, giorno di festa nazionale, si illuminano di blu bianco e rosso). Un po’ di storia. Gli scavi delle fondamenta di questo prestigioso edificio iniziarono poche settimane prima del terribile crollo della borsa dell’ottobre 1929 e i lavori furono ultimati nel 1931, non molti mesi dopo l’inaugurazione del Chrysler, a cui rubò il primato di edificio più alto del mondo, superandolo di circa 60 metri.
L’inaugurazione avvenne il 1° maggio del 1931 anche se meno della metà degli spazi erano già stati affittati, cosa che gli valse il nomignolo di Empty (vuoto) State Building. Ma il vero successo dell’edificio, che si affaccia sulla Fifth Avenue, furono le terrazze panoramiche aperte al pubblico.
Per cena facciamo una sosta in un Deli ( cucinano la pizza ed è pieno di turisti italiani ! ).
7 AGOSTO 2002 NEW YORK CITY Data la sfacchinata di ieri, decidiamo di concederci un sonno più lungo. Facciamo colazione nella super affollata saletta dell’hotel e ripartiamo alla scoperta della City.
Il taxi ci porta a Washington Square e da qui inizia la visita al Greenwich Village, il quartiere più elegante di Manhattan. Peccato che di mattina non ci sia un granchè da vedere ! Di sera, invece, quando gli uffici del Financial District si svuotano e le orde di turisti abbandonano la 5th Avenue, i riflettori della “città che non dorme mai” si spostano sul Village. Qui, dopo le 8, le strade si riempiono, il traffico si moltiplica, i negozi, che restano aperti fino all’alba, cominciano a riempirsi, la musica dei locali invade le strade e scandisce il ritmo della notte. Quando l’ora di cena si avvicina, non c’è posto migliore del Village. Qui i ristoranti si toccano uno dopo l’altro senza soluzione di continuità e spesso, d’estate, quando i tavoli all’aperto affollano i marciapiedi, si riesce a stento a distinguere quali appartengano ad un ristorante e quali a quello attiguo. Sempre a piedi, ci dirigiamo verso il Flatiron Building, situato al n° 175 della Fifth Avenue, all’incrocio con Broadway e la 23rd Street, è un grattacielo di 22 piani che raggiunge l’altezza di 95 metri. L’edificio è stato il primo grattacielo autonomo fornito di un sistema antincendio e dotato di una centrale termica per la produzione di energia il cui vapore residuo viene utilizzato per riscaldare gli ambienti interni e per alimentare l’originale meccanismo di funzionamento dell’ascensore. Il Flatiron venne edificato nel 1902; all’epoca della sua costruzione era il più alto edificio di New York e detenne il primato fino al 1909, quando venne superato dalla Metropolitan Life Tower. Il nomignolo successivamente affibbiatogli (in italiano, palazzo ferro da stiro) è dovuto al suo particolare aspetto: il corso diagonale della Broadway costrinse infatti l’architetto Burnham a disegnare un edificio dall’insolita e originale forma a triangolo, una caratteristica che ne fece, a inizio secolo, un simbolo di New York oltre che un soggetto particolarmente ricercato dai fotografi e dagli artisti. Bellissimo … Inutile dire che qui mi scateno scattando fotografie in b/n ! Lasciamo quindi il Flatiron Bldg., facciamo una pausa-pranzo in un ristorante sulla Avenue of the Americas poi puntiamo verso il Grand Central Terminal. Si sono dovuti rimuovere 2 milioni e mezzo di metri cubi di terra, posare 25 km di rotaie e impiegare 18 000 tonnellate di acciaio per costruire, nel 1913, una stazione degna di New York. Dietro la facciata, di stile francese secondo l’Ecole des Beaux-Arts, si apre una hall più grande della navata centrale della chiesa di Notre Dame a Parigi, con una volta che offre la suggestiva visione di un cielo notturno, punteggiato da 2500 stelle. L’illuminazione proviene da immense aperture, poste a 25 m di altezza. Ai treni si accede scendendo ai due piani sotterranei; oggi sono in funzione solo i treni suburbani che collegano la metropoli con la Westchester County e il Connecticut, ma è allo studio un progetto di ripristino della grande stazione.
Siamo a Midtown ed al 425 di Lexington Avenue c’è il Chrysler Building in stile inconfondibilmente Art Decò. La guglia in acciaio inox, le sue campate a tre archi e le finestre triangolari ( che riprendono il motivo dei radiatori delle auto dell’epoca ), lo rendono sicuramente uno dei grattacieli più caratteristici di New York. La parte più alta del grattacielo, prima della punta in acciaio, è ornata agli angoli da enormi doccioni che riproducono una testa d’aquila, anch’essi in acciaio inox. Tutta la parte alta del grattacielo è rivestita in acciaio inox ed ha una forma tanto caratteristica da essere unica.
Purtroppo si può visitare solamente l’atrio, ma ne vale la pena. Infatti se l’esterno di questo prestigioso edificio è tanto particolare, l’interno non può essere da meno.
L’atrio fu progettato come un immenso salone per esporre le automobili, nel 1978 fu restaurato e ancora oggi si possono ammirare le decorazioni in marmo, granito e acciaio cromato.
Notevoli sono i 18 ascensori le cui porte sono in legno pregiato decorate a intarsio con motivi che ricordano un loto stilizzato.
La storia del Chrysler Building, inizia agli albori della fortuna di Walter Percy Chrysler, che da apprendista presso i laboratori della Union Pacific Railroad, divenne uno dei più famosi produttori di automobili. Nel 1925 fondò la compagnia che ancora oggi porta il suo nome e per dare alla società una sede degnamente rappresentativa, decise di riprendere una vecchia idea costruendo un grattacielo sulla Lexington.
Il Chrysler Building è alto 319 m e ha 77 piani, oggi è la costruzione cittadina più alta soggetta a vincolo monumentale.
Ritorniamo sulla 5th Avenue e la ripercorriamo in direzione nord, verso l’hotel. Dopo un bella doccia rigenerante, siamo di nuovo pronti per affrontare Manhattan di sera. Ceniamo in un “brutto” self-service sulla Broadway, dopo di che ci dirigiamo verso Times Square, la “piazza” più viva della city. Di notte, le enormi insegne pubblicitarie si accendono di mille colori e le scritte al neon lampeggiano impazzite. Questo turbinio cattura i pedoni che, volgendo il loro sguardo all’insù, rimangono quasi ipnotizzati… Come nei notiziari della CNN, anche a Times Square scorrono velocemente, su una banda luminosa, le news dal mondo della politica, dell’economia, dello sport … Entriamo a fare un giro nel grande negozio di giocattoli TOYS ‘R US e poi nel mega-store della VIRGIN dove rimaniamo per un’ora abbondante a girare per i piani; curiosando qua e là nei vari reparti di dischi, facciamo anche qualche acquisto.
Ritorniamo in hotel ovviamente in taxi.
8 AGOSTO 2002 NEW YORK CITY Oggi, tempo meraviglioso, decidiamo di dedicare l’intera giornata alla visita di Central Park, ovvero il “polmone verde” di NYC. Il Parco è ubicato al centro di Manhattan, ci facciamo quindi accompagnare da un taxi fino ad uno degli ingressi sulla Fifth Avenue ( angolo East 70th Street ). Central Park è delimitato a nord dalla 110th Street, che in corrispondenza prende il nome di Central Park North, a sud dalla 59th Street o Central Park South, a ovest dalla Central Park West e a est dalla Fifth Avenue.
Il parco occupa una superficie di circa 5 ettari e, visto dall’alto, seguendo il disegnarsi netto e squadrato dei suoi confini, si intuisce la sua origine studiata a tavolino ( progettato nel 1844 da William Cullen Bryant che, prima di poterlo realizzare, si dovette scontrare con l’amministrazione cittadina e le lobby dei costruttori che volevano impedirne la realizzazione, in quanto significava sottrarre spazio prezioso all’edilizia ). Fu inaugurato nel 1876, con grande pompa, Central Park si presentava come un oasi di campagna immersa in una città già allora densamente popolata.
Il merito comunque della sopravvivenza nel tempo di Central Park è dovuto anche alla lungimiranza dei suoi progettisti e ideatori, che previdero una serie di arterie stradali, a un livello più basso, e perfettamente integrate con l’insieme, che attraversavano il parco, permettendo così il traffico automobilistico.
Passeggiamo sul The Mall che è il viale alberato circondato dalle statue di grandi uomini del passato e fiancheggiato da oltre 150 olmi. Il primo luogo interessate che incontriamo è la Bethesda Fountain and terrace. La si raggiunge dal belvedere passeggiando in direzione di Central Park South. E’ la fontana pubblica ancora in funzione, più antica della città, fa parte del progetto originario del parco e fu inaugurata nel 1873. Al centro della fontana c’è la statua “Angel of the Waters” (angelo delle acque), che risale al XIX secolo.
Tutt’intorno si possono ammirare le terrazze con le scalinate che sono considerate uno dei luoghi più tranquilli del parco. In inverno quando nevica diventa una delle mete preferite dei cittadini per la sua spettacolare bellezza.
Seguendo l’itinerario proposto dalla cartina, arriviamo al Bow Bridge uno splendido ponte in ghisa che attraversa il laghetto. Qua trascorriamo un po’ del nostro tempo a contemplare il bellissimo paesaggio rilassante: barche che navigano, oche, cigni e perfino un airone catturano la nostra attenzione ( fotografica ). In lontananza si possono ammirare le cime dei lussuosi palazzi della 5^ Strada. Camminiamo ancora per un bel po’ fino a Strawberry Fields. Il giardino è abbellito da piante provenienti da oltre 160 paesi del mondo, ma la sua notorietà è dovuta al caratteristico mosaico pavimentale con la scritta Imagine, dedicato alla memoria di John Lennon, il musicista dei Beatles ucciso da un folle nel 1980 nei pressi del Dakota Building, dove abitava.
E’ quasi ora di pranzo. Ci spostiamo su Central Park West – 79th Street dove troviamo un bel ristorante. Mangiamo divinamente e ci rilassiamo nella bella sala accogliente. Terminato il convivio, Giuliano ed Ornella fremono per visitare l’ American Museum of Natural History che è lì a due passi; così, per la prima volta ci separiamo in due gruppi dandoci appuntamento a qualche ora più tardi.
Io e Alex, quindi, che per i musei non abbiamo molta simpatia, ce ne ritorniamo a Central Park.
Il nostro giretto “in solitaria” ci porta a The Sheep Meadow dove una siesta è d’obbligo. E’ uno dei prati più famosi di Central Park. Era il vecchio pascolo, ora è il punto di ritrovo di tutti i newyorkesi che vogliono prendere il sole, fare pic-nic, giocare a pallone o suonare e cantare in compagnia… La nostra passeggiata ci porta poi verso the Carousel la famosa giostra di Central Park. L’ambiente è molto vivace e colorato; i venditori ambulanti di popcorn, hot dogs e bibite ricordano l’atmosfera di una festa di paese. La prima giostra risale al 1870 e, per farla girare, venivano impiegati un mulo ed un cavallo. Quella di oggi ha lo stesso charme dell’epoca ed ogni anno quasi 250.000 “fantini” volteggiano sui suoi magici destrieri.
Qui, complice il caldo pomeriggio, acquistiamo un gelato e ce ne stiamo seduti su una panchina ad osservare il frenetico gioco di alcune squadre. Il baseball, si sa, è uno degli sport più praticati negli States. Dopo quasi un’ora di attenta analisi, non siamo riusciti a capirne il meccanismo … nonostante tutto ci ha molto coinvolto l’accesa tifoseria sugli spalti.
Il resto del pomeriggio trascorre con estremo relax; io mi faccio coinvolgere da un giretto in altalena: bellissimo ! Erano decenni che non provavo l’ebbrezza di questo gioco. Poi passeggiamo in direzione sud-est verso il Grand Army Plaza. Qui sostano in fila numerose carrozze trainate da cavalli che offrono, non proprio a buon mercato, il tour di Central Park. Vari “cocchieri” si fanno avanti per convincerci a salire, ma noi oramai il parco lo abbiamo visitato quasi del tutto… Sul marciapiede ci sono bancarelle che vendono ogni sorta di articoli a stelle e strisce, ciò che attira la nostra attenzione sono soprattutto le bellissime fotografie su New York prima e dopo l’11 settembre. Sicuramente quelle in bianco/nero creano un pathos unico e, anche se la nostra vacanza volge al termine, traggo ugualmente un po’ di ispirazione per i miei prossimi scatti.
Dopo l’ennesima sosta su una comoda panchina vicino a the Pond, ci incamminiamo verso il museo, dove è previsto l’appuntamento con gli altri due cicisbei.
Il sole è in fase calante e una luce così bella ci invoglia a camminare verso il Guggenheim. Dalla parte opposta rispetto a dove siamo ora ! Il Solomon R. Guggenheim Museum, che fa parte del cosiddetto Museum Mile, è ubicato appunto nell’Upper East Side, al n. 1071 della Fifth Avenue, tra la East 88th e la East 89th Street. Nel 1937 l’industriale del rame e collezionista Solomon R. Guggenheim, un ebreo di origine svizzera, istituì una fondazione finalizzata ad accogliere la sua collezione privata (la Guggenheim Collection of Non-Objective Paintings). Nel 1943 il celebre architetto Frank Lloyd Wright fu incaricato di progettare per la Guggenheim Foundation una sede adeguata. Inaugurato nell’ottobre del 1959, anche dopo i lavori di ampliamento e di ristrutturazione ultimati nel 1993, l’edificio appare esternamente come una spirale rovesciata in cemento bianco a quattro anelli che sale fino a una cupola di vetro a ca. 30 m d’altezza. Non ci è possibile entrare a causa dell’orario, tuttavia ci togliamo la soddisfazione di ammirare almeno le sinuose curve architettoniche che lo rendono così particolare.
Stanchissimi, prendiamo un taxi e torniamo in hotel.
9 AGOSTO 2002 NEW YORK CITY Anche la giornata di oggi è splendida. Che fare, allora ? I luoghi di grande interesse li abbiamo praticamente visti tutti, ma la Grande Mela, si sa, è un polo di attrazione soprattutto per gli amanti dello shopping. Prima di dedicarci, però, agli acquisti pazzi vogliamo dare un’occhiata ai quartieri newyorkesi di Chinatown e Little Italy.
Il taxi ci accompagna fino a Canal Street. Il tragitto fino a qua è rallegrato dalla loquacità dell’autista ( un colombiano ); vista la sua disponibilità avanziamo la richiesta di farci prelevare domani dall’hotel per accompagnarci all’aeroporto JFK; lui ci assicura di sì, annotando qualcosa sulla sua agenda … Dopo pochi minuti ci troviamo nel bel mezzo della piccola Cina. I marciapiedi sono ampi ma brulicano di gente che va di fretta. Le attività commerciali hanno le loro insegne incomprensibili ( ogni tanto, oltre agli ideogrammi compare qualche scritta in inglese ), le bancarelle ed i negozi alimentari hanno in vendita prodotti gastronomici bizzarri, per non parlare di vegetali e radici mai visti ! Insomma, quello che si intuisce è che la “way of life” americana non ha intaccato più di tanto le abitudini di questo popolo, persino i quotidiani e le riviste sono in mandarino… Girando per le vie, curiosiamo per i mercatini; ovunque l’aria è satura del forte aroma di spezie, di cucina e di fritto … Lasciamo pian piano ChinaTown e gradualmente le scritte in cinese sono rimpiazzate da altre, a noi più familiari: siamo a Little Italy. Come emerge anche dalla guida, negli ultimi decenni l’area del quartiere cinese si è molto allargata a scapito del “settore” italiano. Quest’ultimo, oramai ridotto a pochi isolati, è un concentrato di ristoranti, trattorie e cafeterie ( a quest’ora quasi tutti con le serrande abbassate ! ). Percorrendo Mulberry Str., una delle vie più importanti, si possono notare gli addobbi ed i festoni tricolori appesi come luminarie natalizie… A differenza della confusione e della vivacità che caratterizzavano le strade di ChinaTown, qui sembra di essere a “Ghost-Town”. Non avremo possibilità di ritornarci, ma probabilmente questo è uno di quei quartieri, come il Village, che si anima solo di sera. Lasciata Little Italy, sempre a piedi arriviamo a SoHo (acronimo per South of Houston), altro celebre quartiere trendy di Manhattan e centro residenziale della nuova avanguardia culturale e artistica. Oltre ad essere sede di nuovi musei, molte maisons della moda hanno scelto SoHo come centro delle loro attività commerciali. E’ qui che sono nate molte tendenze stilistiche e di costume.
Qua comincia la nostra febbre da shopping… Trascorriamo almeno un’ora all’interno del bellissimo negozio di GUESS ( al 537 di Broadway ). Mentre io ed Alex ce ne stiamo comodamente seduti ( a riposare ) sulle panche del reparto calzature, Ornella e Giuliano sono accalappiati da una zelante commessa che fa provare loro una serie infinita di capi e relativo abbinamento di accessori… Se a quell’ora ci fosse stata ressa, non ci saremmo rilassati così tanto ! A piedi percorriamo ancora un pezzo di Broadway; fatta una sosta per ammirare lo stupendo e gigantesco murales in bianco/nero di DKNY, decidiamo di prendere un taxi per tornare in hotel a depositare quanto acquistato. Pranziamo nel ristorante all’interno della “dorata” Trump Tower. Diamo una sbirciatina alle lussuose vetrine delle boutiques ubicate sui 5 piani, poi ci “tuffiamo” sulla 5th Avenue. L’obiettivo è quello di acquistare qualcosa ( abbigliamento ) anche se qui i prezzi sono alle stelle. Se fossimo in via Montenapoleone, un po’ di esitazione nell’entrare l’avremmo di sicuro; sempre con quel modo di squadrarti dalla testa ai piedi. Ma qui no ! Nelle boutiques semi-deserte, numerosi commessi vestiti con eleganza, sono allineati perfettamente come soldatini. Sono discreti e gentili e non ti osservano con quell’aria snob … Entriamo da TOD’S e CALVIN KLEIN. Poi da CLUB MONACO. Qui i prezzi sono molto più abbordabili, così Giuliano ed Ornella fanno i loro acquisti. Alex vuole comperare dei capi da indossare al lavoro o alle riunioni e, su mio consiglio, entra da BROOKS BROTHERS. La vastissima scelta ed i buoni prezzi favoriscono l’incetta delle prestigiose camicie e delle bellissime cravatte… L’unica a non avere ancora comperato nulla è la sottoscritta. Ma ho intenzione di rifarmi. Anche fare shopping è stancante, così verso le 17:00 ce ne ritorniamo in albergo. Bisogna cominciare a preparare i bagagli e così facciamo i primi test per verificare se le valige riescono a contenere anche i recenti acquisti ! Ci rilassiamo un po’ e poi usciamo per un’ultima occhiata a new York by night.
10 AGOSTO 2002 NEW YORK CITY Abbiamo ancora qualche ora per dare “un morso” alla Grande Mela. Questa mattina detto legge io, perché mi voglio togliere lo sfizio dello shopping a Manhattan. Prendiamo un taxi e dopo 10 minuti siamo all’ 867 di Madison Avenue dove si trova RALPH LAUREN. La boutique apre da lì a pochi minuti e per un po’ giriamo in solitaria per i piani per ammirare gli splendidi ( e costosi ) articoli. Attraversiamo la strada ed entriamo nella boutique RALPH LAUREN SPORT. Qui ci sono parecchi capi estivi in saldo ma nulla attrae la mia attenzione… I miei compagni assecondano i miei bisogni “di spendere” e mi seguono dentro tutti i negozi fino al megagalattico BARNEY’S NEW YORK. Barney’s è uno dei più famosi store multipiano di abbigliamento e non solo ( accessori, profumeria, … ) situato al n° 600 di Madison Avenue. Salire e scendere i cinque piani ci costa un po’ del nostro prezioso tempo; solo quello, perché di dollari non ne spendiamo nemmeno uno ! Usciti da Barney’s, la nostra marcia continua imperterrita… visti i prezzi ( gli stessi articoli li trovi in Italia a molto meno ! ) decidiamo di ritornare alla boutique di CLUB MONACO sulla 5^Strada. Qui finalmente provo alcuni articoli ed entusiasta decido di acquistarli ( due maglie, una gonna ed un cappello ): me li vuole regalare Alex e la cosa mi rende ancora più felice. Ora è meglio fare ritorno in hotel e sistemare le ultime cose. Lasciamo la stanza per le 12:00; il taxista di ieri dovrebbe passare a prenderci alle 12:30 così lo attendiamo sul marciapiede. Il tempo passa e molti taxi in transito ci “corteggiano” per accompagnarci ( dalle valigie intuiscono che dobbiamo andare in aeroporto ). Dopo mezz’ora di paziente attesa, decidiamo di prendere il primo che passa – in realtà lo stesso taxi aveva fatto il giro dell’isolato, svariate volte !! – Il nostro volo è previsto per le 17:55; non c’è fretta e quindi siamo tranquilli. Poi, arrivati al Terminal della KLM e controllati i voli in partenza, constatiamo con disappunto che il nostro aereo per Amsterdam è in ritardo di circa due ore … A questo punto non ci resta che aver pazienza e farsela passare. Dopo un simil-pranzo a base di schifezze indiane, girovaghiamo per i vari duty-free shop, finchè il nostro volo non viene chiamato.
Se la nostra sosta forzata nel terminal del JFK sembrava non finire mai, il volo ha dato l’impressione di essere breve ( nonostante le oltre 10 ore effettive ).
Ad Amsterdam una hostess ci attende noi quattro con i biglietti già preparati per il volo per Malpensa, che sta per decollare … una folle corsa verso il terminal opposto, ci permette di non perdere la coincidenza, ma ci fa restare senza fiato. Chissà se le nostre valige sono state trasferite su questo aereo con la stessa velocità ? Stanchi ma felici arriviamo a Milano. Un’inutile attesa alla consegna-bagagli fa presagire il peggio. A quanto pare sono moltissime le persone nella nostra stessa situazione; e pensando al detto “mal comune, mezzo gaudio”, ci mettiamo pazientemente in coda al banco “bagagli smarriti”.
Accanto a noi centinaia di valige non ritirate; pensare alle nostre abbandonate a loro stesse ( con dentro tutto quel ben di dio che abbiano comperato ! ) mi fa stare male. Dove sono andate a finire le nostre ? A questa domanda, l’addetta ci avvisa prontamente che i nostri bagagli sono rimasti all’aeroporto di Schipol ( Amsterdam ) – dice che lo vede dal computer -, e a questo punto ci viene rilasciato un rapporto di smarrimento.
Ce ne ritorniamo a casa. Questo avvenimento ha sciupato un po’ la conclusione della nostra avventura americana; di buono c’è che, stanchi come siamo, non dovremo subito disfare le valige e procedere alle lavatrici di rito ! Magra consolazione.
PS Le tre valige rigide ci vengono consegnate dopo cinque giorni. Lo zaino, invece, subisce una sorte a dir poco infausta e torna in mano ai legittimi proprietari dopo oltre un mese di vagabondaggio in luoghi sconosciuti ! In quei giorni, oltretutto, scoppia il caso “furti dai bagagli” perpetrati proprio allo scalo milanese ed il solo pensiero che abbiano aperto le valige e frugato fra le nostre cose, ci terrorizza. Fortunatamente tutto si risolve per il meglio ! A questo punto la nostra vacanza si può considerare finita.