Nella terra delle infinite possibilità da cogliere
AGOSTO 2008 Dopo mesi e mesi di preparazione al viaggio, eccitazione pre-partenza per la mia seconda volta in Messico, itinerari studiati e libri letti (consiglio La Polvere del Messico, di Pino Cacucci), finalmente all’alba del 7 agosto 2008 io e Federica siamo atterrati a Città del Messico e no, non è stato certo un inizio facile. L’impatto con El Monstruo è stato duro, appena messo piede sul suolo messicano, quel suolo che tanto desideravo nei mesi precedenti, e via, nella calca della metropolitana tra l’aeroporto e lo zocalo mi rubano il marsupio (con dentro portafogli e carte di credito, cellulare patente e ipod), senso di scoramento per l’ingenuità con cui mi sono fatto fregare (un marsupio pieno e in bella vista è merce appetibile sulla metro di qualsiasi città del mondo), commissariato, denuncia, sbattimenti vari per bloccare le carte, sensazione di essere un puntino in balia degli eventi. Ricordo perfettamente, prima del fattaccio mi guardavo intorno entusiasta come un bambino e le facce dei chilangos mi parevano tutte amiche, tutte conosciute, tutte accoglienti. E poi, subito dopo, ero in una terra lontana mille miglia da casa, in mezzo a gente dura, sospetta, nemica. Espletata tutta la burocrazia ci siamo rintanati nella nostra camera dopo una cena frugale e, complice il fuso orario, ci siamo sparati dieci ore di sonno pesante, fermi nella convinzione che quella lunga dormita doveva essere una riga tirata sopra quello che era accaduto, una riga che doveva segnare il vero inizio delle nostre vacanze, del nostro viaggio.
E cosi è stato.
La mattina dopo, belli riposati, siamo andati alla stazione Tapo a prendere il bus per Oaxaca, e proprio li, coi biglietti in mano e il motore rombante in partenza, ho iniziato a sentire salirmi dentro di nuovo la voglia di macinare chilometri, l’entusiasmo dell’avventura, il desiderio della scoperta. E man mano che il bus si inerpicava sbuffando sulla sierra, in mezzo a canion sconfinati ricoperti di cactus e cielo, ho capito che quello che era successo non era altro che una di quelle disavventure che accadono agli intrepidi, uno di quegli episodi da lasciarsi alle spalle senza ulteriori pensieri sprecati, che in fondo le carte, il cellulare, la patente poi li rimpiazzi, mentre la strada da fare è ancora lì, tutta da vivere e da godere.
Siamo quindi arrivati a Oaxaca, tempo di mollare i bagagli nella classica posada ridente di patii in fiore e fontanelle e subito ci siamo buttati nel paese in fiesta, miriadi di persone ad affollare lo zocalo brulicante di colori, bambini, mariachi, palloncini e complessini che suonavano lente ballate dalle melodie tropicali. Che bella sensazione sentirsi parte di tutto questo!! La serata è scivolata via cosi, con la prima vera abbuffata messicana bagnata da vino tinto di Monterrey e chiusa da una ciuca potente di mezcal distillato dalla casa.
Già dopo un paio di giorni l’incidente di Città del Messico era dimenticato, cancellato, un cattivo odore disperso in mezzo ai mille profumi delle terre che stavamo attraversando.
Il giorno successivo ci siamo quini lasciati incantare dalla magnifica quiete di Monte Alban, abbiamo parlato con una coppia di napoletani che ci hanno dato qualche prezioso consiglio sulla costa del pacifico e la mattina dopo siamo partiti con un minibus alla volta di Mazunte, con un profondo bisogno del mare e delle onde dell’oceano, per sciacquare definitivamente via gli ultimi residui tossici ancora in circolo.
E quando siamo arrivati sull’Oceano è andata proprio come speravo, quelle onde infinite mi hanno sciacquato via qualsiasi scoria residua, restituendomi alla vita lindo quasi come se fossi appena uscito da un giro di lavatrice.
Per farla breve, da Oaxaca ci siamo diretti a Mazunte, ma appena arrivati lì nel tardo pomeriggio dopo un viaggio massacrante di sei ore tutto curve, abbiamo avuto la sorpresa che la posada già prenotata dall’Italia su consiglio di un amico (unica prenotazione del viaggio) non ci aveva tenuto la cabana riservata ed era, ovviamente, ormai tutta piena.
Un po’ scoraggiati, con addosso la leggera sensazione che la sfiga non avesse ancora smesso di dedicarci le sue attenzioni, ci siamo quindi spostati a San Augustinillo, la spiaggia di fianco, seguendo il consiglio della coppia di napoletani incontrati a Monte Alban. E lì, davvero, abbiamo trovato il paradiso. Cabana sulla spiaggia, poca gente ma grandissima, oceano, sole, relax, pura vida.
Da lì, dopo due giorni e lasciandoci un pezzo di cuore ciascuno, siamo saliti a Puerto Escondido (solo Puerto per noi che siamo trendy) e poi ancora a Piè della Cuesta, spiaggione semideserto a 10 kilometri e quindi lontano quanto basta dall’incasinatissima Acapulco (ma non ci siamo persi lo spettacolo dei clavadistas… Pazzi!!!).
Dopo un bel po’ di necessari giorni di mare, abbiamo quindi puntato il cuore degli altipiani messicani, raggiungendo prima Taxco, cittadina abbarbicata sui pendii delle montagne e resa prospera e vitale da uno dei filoni d’argento più ricchi del mondo, ormai evidentemente estinto vista la smisurata quantità pro capite di botteghe di argentieri sparse per le sue vie acciottolate. Da lì, dopo un lungo viaggio notturno, siamo arrivati a Guanajuato, e solo chi c’è stato può capire quanto sia incredibilmente bella quella città. Gli altri possono solo accontentarsi di immaginare un presepe medioevale colorato di vivaci tinte pastello sparso in una piccola valle verdissima. Da paura.
A quel punto, secondo i piani, avremmo dovuto raggiungere Guadalajara e prendere un aereo per la Baja California, ma i prezzi dei voli per La Paz erano saliti troppo e con il fatto di dover affittare una macchina, lì saremmo andati a spendere cifre fuori budget, quindi abbiamo deciso di cambiare programma. Mancava una settimana, avevamo voglia di mare… Che fare? Idea geniale del sottoscritto: prendiamo un volo per Cancun! Io nella penisola dello Yucatan c’ero già stato due estati prima, ma Federica non aveva mai visto il mar dei carabi e in fondo là dovevo tornare a recuperare uno dei tanti pezzettini di cuore lasciati in giro per quella terra meravigliosa.
Detto fatto, abbiamo prenotato, siamo tornati a Città del Messico e da lì, in due ore, eravamo ai Caraibi! Magia di quel paese incredibile che ha sempre una strada alternativa da offrirti , sempre un altro posto dove andare, sempre un’altra possibilità da cogliere. Ecco: il Messico è il posto delle infinite possibilità da cogliere. Agarrare la onda, così dicono loro. Arrivati a Cancun di sera tardi, abbiamo passato la notte al pueblo e con tempismo degno di due clavadistas abbiamo incontrato due amici che dormivano lì in attesa dell’aereo per l’Italia della mattina dopo. Birrette scambiandoci grandi sorrisi e pacche sulle spalle insieme alle emozioni del viaggio.
Il giorno dopo di buon’ora siamo partiti per Tulum dove abbiamo raggiunto un’altra coppia di nostri amici, anche loro sulla riviera maya per una settimana di descanso dopo il viaggio a zonzo per la penisola yucateca. E niente, ci siamo fatti una super settimana in compagnia loro: quattro giorni nelle cabanas Zazil Kin, un po’ sciallati sulla spiaggia ad aprire cocchi, bere cervezas e volare leggeri, un po’ in giro a vedere cenotes, le piramidi di Cobà e il mare incontaminato di Punta Allen. Poi, per chiudere, ultimi due giorni di puro relax a Isla Mujeres (solo Isla per noi che siamo sempre i più fashion). Infine, dopo aver salutato il sole dei caraibi nell’ultimo spettacolare tramonto, il 25 mattina alle 5 e mezza, sotto un cielo stellato da paura mentre il sole all’orizzonte iniziava timido ad albeggiare, abbiamo preso il traghetto che ci ha portato via dall’isola delle donne e poi taxi per l’aeroporto, da dove alle 8.30 siamo partiti di nuovo per il DF. Tempo di atterrare e di lasciare i bagagli al terminal norte, subito ci siamo diretti a Teutiuacàn (ancora non ho capito come si dice, figuratevi a scriverlo), tappa che avremmo dovuto fare il primo giorno ma che poi gli eventi hanno posticipato all’ultimo. Pieno di energia dalla cima della piramide del sole, ultima cena a Ciudad de Mexico accompagnati dalla musica di quattro mariachi di quelli veri da macchietta e poi la mattina dopo aereo (in prima classe grazie ad una casualità e forse alla legge del contrappasso) che via Madrid ci ha riportato a casa.
E’ stato un viaggio meraviglioso, ricco, vario, sorprendente, un viaggio di quelli in cui ad ogni angolo che giri c’è una foto da scattare, qualcuno con cui parlare, un ricordo indelebile da tatuarsi sulla pelle. Già la prima volta che ci ero stato il Messico mi era entrato nel cuore, ma la seconda, vissuta forse con più consapevolezza, mi ha fatto definitivamente innamorare di quella terra così magica e così viva.
Andateci e godetevela.
(per info più approfondite o consigli contattatemi pure: udg35_at_hotmail.Com)